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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

§ La domenica specialmente


§ E’ domenica. Oggi il Festival chiude. E voglio ricordare che qui, a Santarcangelo, è nato Tonino Guerra che ha fatto girare parecchie cose nelle sue pagine come in una giostra piantata qua in piazza, perché di questa terra ne ha fatta una misura del mondo, perfino quando descrive la Russia, patria della moglie, che è vista come un paese che dista un tot chilometri da Santarcangelo; e della vodka poco manca che ne tracci la differenza con l’Albana.
Ha lavorato come sceneggiatore con Anghelopoulos, Antonioni, De Sica, Monicelli, Rosi, i fratelli Taviani, Tarkovskij, Wenders, Fellini. E’ autore di importanti raccolte di poesie in dialetto romagnolo, iniziò a comporle durante la sua prigionia nel campo di concentramento di Troisdorf, in Germania e le pubblicò nell’immediato dopoguerra. Vittorini, poi, lo volle come scrittore nei Gettoni di Einaudi. Diceva Calvino di lui: “C’è sempre un racconto in ogni sua poesia; c’è sempre una poesia in ogni suo racconto”
Ora vive a Pennabilli, centro del Montefeltro. Lì ha prodotto singolari installazioni: insoliti giardini-museo e mostre permanenti che ha chiamato "I Luoghi dell'anima": l'Orto dei frutti dimenticati, il Rifugio delle Madonne abbandonate, la Strada delle meridiane, il Santuario dei pensieri, l'Angelo coi baffi, il Giardino pietrificato.
Non lo vedo da anni, se faccio in tempo, concluso il Festival, lo vado a trovare.
E in questa domenica, avendo trovato qui, a Santarcangelo, alcuni suoi versi, ve li trasmetto: “la domenica specialmente / quando non c’è nessuno in casa / e siamo là verso la fine di giugno, / vado fuori sul terrazzo / per stare a sentire che al di là dei muri / la città sta zitta.”
Tonino Guerra. Insegnò a scrivere alla madre analfabeta.


* Parole di scena


Achras – Ma che c’è scritto su questo biglietto?... Uhm!... Signor Ubu… già re di Polonia e d’Aragona, dottore in patafisica…

(Antonin Artaud, “Guignol”, scena introduttiva a Ubu re”)

.


§ C'è moto e moto


§ Motus è una compagnia che nasce a Rimini nel 1991 fondata da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Agisce in un'ottica di commistione tra forme espressive che vanno dalle arti visive al cinema, dal video, al teatro. Lo ritengo uno dei gruppi più interessanti che si muovono nello scenario del nuovo teatro italiano di questi ultimi dieci anni. Lo spettacolo che hanno proposto al Festival di Santarcangelo (nella sede distaccata di Cattolica), si chiama "L'ospite" ed è un adattamento da Teorema di Pasolini.
Ne sono autori: Enrico Casagrande e Daniela Nicolò; interpreti: Catia Della Muta, Dany Greggio, Frank Provvedi, Daniele Quadrelli, Caterina Silva, Emanuela Villagrossi. A proposito di Villagrossi, ho due cose da dire: 1) quando il cinema si ricorderà di lei sarà sempre troppo tardi; 2) pensavo, vedendola in scena, che se l'avessi avuta in un mio spettacolo d'anni fa, quella cosa sarebbe venuta tanto meglio... come?... quale spettacolo?... non lo dico nemmeno se m'offrite un'intera cantina, sarebbe indelicato verso quella generosa interprete che ebbi allora, chiaro no?
"L'ospite" s'avvale di un impianto scenotecnico d'eccezionale forza (Fabio Ferrini e la Plastikart di Zimmermann & Amoroso) e si muove su di un'intuizione degli autori del testo quanto mai centrata.
Pasolini dichiarò che "Teorema" era nato contemporaneamente lavorando sulla pagina e sulla pellicola, questa duplicità è stata pienamente afferrata da Casagrande e Nicolò che fanno navigare fra immagini teatrali e immagini filmiche tutto il percorso drammaturgico che risulta equamente diviso fra cellulosa e celluloide.
Fin qui i meriti. Demeriti? A mio avviso, lo spettacolo di un'ora e mezza ha non meno di 20-30 minuti in più, insomma qualche taglio lo migliorerebbe di molto. A proposito, nella remota ipotesi che i Motus raccolgano questo mio consiglio, attenti a non tagliare la scena in cui Emanuela Villagrossi prende il sole, se lo fanno li denuncio.
E ancora: perché scrivere nei titoli "cura delle parole" di Daniela Nicolò? Non è lei stessa autrice del testo? E perché mai cura le parole? Di che cosa si sono ammalate dopo la brillante scrittura dell'autrice. Ah, saperlo! Saperlo!


* Battute di scena


Tieniforte – Sta pur tranquillo pel sinistro lato! / Dove io sono il possesso è assicurato. /
In ogni posizione mi mantengo / e il fulmine non strappa ciò che tengo.

(Wolfang Goethe, “Il secondo Faust”, Atto IV)


§ Enterprise su Santarcangelo


Assai spesso al vertice di un Festival si trova un angoscioso burocrate di partito più o meno competente (di solito meno, assai meno competente) delle cose che la rassegna produce e promuove.
A Santarcangelo, invece, troviamo al vertice Silvio Castiglioni che come si sa, e i più distratti potranno informarsene leggendo la sua biografia, proviene dal palcoscenico e continua – anche aldilà del Festival che dirige – a occuparsi di drammaturgia.
Ha guidato un Festival molto vivace da un punto di vista espressivo e sul piano organizzativo assolutamente perfetto.
Questa che segue è la conversazione che ho avuto con Silvio Castiglioni salito a bordo dell’Enterprise che dal due all’undici luglio ha sostato in cielo sopra Santarcangelo di Romagna.
Per ascoltare in audiologramma ciò che ci siamo detti cliccate con fiducia su:
Silvio Castiglioni


* Parole di scena


L’Araldo – E in che ho errato contro la giustizia?

Il Re – Non sai d’esser straniero, in primo luogo


(Eschilo, “Le supplici”)


§ Che tragedia!


Esisteva una volta un gruppo che mi piaceva tanto, ma proprio tanto tanto: Socìetas Raffaello Sanzio. Formatosi a Cesena nel 1981 partendo da un valoroso trio (Romeo Castellucci, Chiara Guidi, Claudia Castellucci) che ancora oggi dirige la formazione, hanno prodotto spettacoli importanti nella storia degli ultimi vent'anni del nuovo teatro italiano. Da due anni, però, si sono incartati in un progetto chiamato "Tragedia Endogonidia" che a me piace né punto né poco.
Ieri ho assistito ad un episodio di questo progetto ("V Crescita Santarcangelo") che ha fatto calare proditoriamente un velo di mestizia sui cuori degli spettatori (15 per volta ammessi in una palestra, sede della performance).
Tutto male quindi? No. Un merito l'azione scenica di ieri ce l'aveva: durava solo 15' 00".
La brevità è valsa come benefica anestesia locale.


* Parole di scena


Krapp – Forse i miei anni migliori sono finiti. Quando la felicità era ancora possibile. Ma non li
vorrei rivivere. Non col fuoco che sento in me ora. No, non li vorrei rivivere.

(Beckett, “L’ultimo nastro di Krapp”, Atto Unico)


§ Ma perché?


Ma perché quando i registi, gli autori, gli attori, richiesti di scrivere un programma di sala - strumento esplicativo per chi legge - s'ingegnano, centrando il perverso obiettivo, di rendere oscuro (e anche tenebroso) il loro inchiostro?
S'incartano il cervello in vorticosi giri di parole desuete, discutibili neologismi, estenuanti litoti che complicano la vita a chi legge offuscando del tutto il loro spettacolo.
Poi succede fatalmente che tali enigmatiche schede illustrino (illustrino, si fa per dire) anche spettacoli pessimi aggiungendo al dramma la tragedia.
Per non dire di oscure dizioni che sembrano messe lì apposta per creare imbarazzo ai funzionari della Siae e dell'Enpals. Qualche esempio: "traiettorie e scritture", "memoria video", "cura delle parole"... vado avanti?... no, eh?
Ma perché?


* Parole di scena


Prometeo - Gli dei li odio tutti, come sai
Pistetero - Lo so... li odi da sempre.

(Aristofane, "Gli Uccelli")


§ Oltraggi post mortem


Si può essere uccisi in vari modi. A Pier Paolo Pasolini, ne sono toccati parecchi.
Dopo essere stato massacrato fisicamente, la sua opera è da tempo ferocemente colpita.
Fra le più recenti offese segnalo "PPP" rappresentato dalla Compagnia LaLut qui a Santarcangelo.
Piccola riflessione in margine, alla maniera di Aldo Fabrizi che cominciava i suoi monologhi dicendo "Ci avete fatto caso..."
Ci avete fatto caso che c'è un triangolo d'autori di grande levatura (Artaud, Genet, Pasolini) che se le Compagnie di ricerca teatrale non li citano, a proposito o a spropositano, si sentono come mancanti sul piano artistico e morale?
Credo che dalla tomba i tre in coro dicano come quel personaggio di Eduardo: "Per favore, un po' di pace".


* Parole di scena


Coro – Viva il vino spumeggiante / di Frascati e di Marino, / viva ognor l’Asti spumante /
lo Champagne ed il Bordeaux. / E fra il bere ed il mangiare / con le donne a noi vicino /
ci faremo sollazzare / sulle molle del sofà.

(Petrolini, “Nerone”, Atto Unico)


§ Riparazione


Ieri ho promesso di fare il nome del tecnico del suono che ha curato il Concerto della Banda Improvvisa. Non lo ricordavo perché avevo dimenticato in albergo il foglietto con su scritto quel nome.
Si chiama: Guglielmo Ridolfo Gagliano.
Se volete sapere perché lo nomino, troverete spiegazioni nella mia nota di ieri intitolata Note nomadi e note apolidi.
E anche questa è fatta. Alè.


* Parole di scena


Professore – Signorina, le insegnerò adesso la filologia comparata

Allieva – Sì, professore

Governante – No, professore, no!… la filologia comparata conduce al peggio.

(Ionesco, “La Lezione”, Atto Unico)



§ Risolto il giallo


Vi ho parlato nei giorni scorsi della misteriosa scomparsa da Santarcangelo dell'Albana secco, era stato rapito e dopo serrate indagini adesso sappiamo da chi. Due insospettabili: Paolo Pirini e sua madre Silvana, oriunda siciliana.
L'Albana Trerè appena liberato ha detto d'essere stato trattato bene dai suoi rapitori e tenuto segregato in cantina al giusto grado di umidità.
Paolo Pirini conduce, assistito dalla madre Silvana il bellissimo Caffè Roma nella piazza principale; sedersi lì è un piacere, il servizio - affidato a un cordialissimo personale esclusivamente femminile - è assolutamente perfetto. Eccellenti le qualità dei dolci, dei caffè, delle bevande e una buonissima birra Bittburger. Insomma, se passate di qui non mancate una sosta ai tavoli del Caffè Roma.
Incomprensibile, quindi, la scelta dell'atto criminale di sottrarre per tanto tempo al consumo l'Albana secco Trerè. Nonostante l'intervento di Amnesty International, i due, saranno condannati a una pena di durezza islamica qui a Santarcangelo, riservata ai rapitori di vino: ascoltare per tre giorni di seguito i discorsi politici dell'On.le Bondi di FI, discorsi intervallati - per accrescere le sofferenze - da brani cantati da Iva Zanicchi.
Non resta che sperare in un atto di clemenza da parte di Ciampi.


* Parole di scena


La Ponzia – Stanotte a Paca la Colabrodo le hanno legato il marito a una mangiatoia e se se la son
portata via a forza in groppa a un cavallo fin sull’alto dell’uliveto

Bernarda – E lei?

La Ponzia – Contenta come una pasqua.

(Federico Garcia Lorca, “La casa di Bernarda Alba”, Atto I)


§ Eccezionali!


E potrei chiuderla qui questa nota su "Endless Medication" del duo femminile belga Buelens Paulina.
Il testo è delle stesse due interpreti - Marijs Boulogne e Manah Depauw - e s'avvale della traduzione di Franca Moccagatta e dell'adattamento di Francesca Della Monica.
Hanno, quindi, recitato in italiano, un italiano pressoché perfetto e laddove perfetto non era, le due ne hanno sapientemente tratto spunto per gags d'ottima fattura.
Testo che ha molteplici sottotesti e richiami: da Rabelais al fumetto underground.
Spettacolo violento e dolcissimo, autenticamente iconoclasta, dimostrazione di come si possa sposare - con mezzi poveri - il teatro di parola con il teatro visivo.
Insomma una grande, memorabile impresa scenica condotta da queste due deliziose, cattive ragazze.
Conclusione: le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto.


* Parole di scena


Collatino – Amalia l’aspetta… Si sposano. Sbarbalo per la cerimonia, ha la barba difficile sotto
la gola. Il rasoio, lo fai tenere in mano a lui.

Pepesce – Come comandate…

(Gennaro Pistilli, “L’arbitro”, Atto III)


§ Accidenti che ospitalità!


Un Festival pur essendo rappresentato in primis dalle scelte editoriali della direzione artistica, nonché dall'organizzazione promozionale presso i mass media, dalla sincronìa organizzativa di chi è preposto a renderla al meglio, ha anche altri motori meno in vista che se non funzionano in modo giusto possono fare naufragare il tutto. Una sorta di sala macchine d'una nave.
Prendiamo, ad esempio, ma non a caso, l'ufficio che s'occupa dei rapporti con gli artisti e col pubblico e che nell'irganigramma del Festival di Santarcangelo è denominato "Responsabile dell'ospitalità". Da anni è felicemente condotto da Gilberto Urbinati, detto Gibo. Indaffarato oltre ogni dire, con il telefono che squilla in continuazione, foglietti che volteggiano sul suo tavolo che reclamano richieste, naturalmente tutte urgenti
L'ho invitato a parlarmi del suo lavoro e così mi ha risposto: Il mio lavoro, come sai, è curare l' "ospitalità", ma mi piacerebbe che si dicesse il "benessere" di chi viene qui per impegni artistici o per interesse culturale verso il Festival. Perché la gente la si può accogliere bene anche con comportamenti efficaci ma àlgidi, mentre qui - e tu me lo confermavi poco fa - s'è scelto di preferire una linea calorosa, oserei dire familiare. A volte certe richieste dapprima sgomentano, ma poi scatta una sorta di competizione con l'emergenza che ti fa produrre la soluzione dei problemi... un esempio?... beh, te ne potrei fare tanti... ecco prendiamo uno più recente... richiesta improvvisa di un sushi in scena in un giorno in cui i ristoranti adatti sono tutti implacabilmente chiusi... oppure procurare un tipo di fiori rari. Diciamo che il mio ufficio è un po' la pelle dell'organismo del Festival, il primo impatto che gli ospiti hanno. Altri settori, poi, tutti diretti da colleghi bravissimi, risolvono a loro volta, altri e non pochi problemi.
Il Festival è anche una risorsa economica per Santarcangelo, specie oggi che dopo trentaquattro anni di vita è diventato un riferimento dello scenario di ricerca. Ogni anno aumenta il numero degli spettacoli in cartellone e degli spettatori, ma anche di turisti incuriositi dall'evento. Perciò spero proprio che ci sia un incremento delle strutture ricettive di Santarcangelo, specie sul versante alberghiero (bar e ristoranti sono già in grado, per qualità e quantità, di fronteggiare il delizioso assalto dei consumatori), procedendo a ristrutturazioni delle sedi esistenti e pure creandone di nuove, non costringendo così chi non trova qui posto ad emigrare verso località vicine. Questo significherebbe anche - cioè con una piena residenza oraria degli ospiti - un aumento delle occasioni d'incasso per gli operatori commerciali santarcangiolesi tutti

Piomba in stanza un'allarmatissima ragazza e dice a Urbinati di un certo problema improvviso, capisco che è meglio concluda qui l'incontro con Gibo che apprezza la mia sensibilità e parte verso la soluzione di un'ennesima difficoltà. Sono certo: la risolverà.


* Parole di scena

George – Ma, bambina, l’ho fatto solo per te. Pensavo ti piacesse… era tutto in armonia coi tuoi
gusti… sangue, carneficina e il resto.

(Edward Albee, “Chi ha paura di Virginia Woolf”, Atto II)


*§ Il cerchio si stringe


§ Vi ho parlato nei giorni scorsi della scomparsa dell'Albana secco rapito da ignoti. Forse, però, siamo all'epilogo del giallo come fanno capire gli investigatori anche se molto abbottonati e, in questo, assistiti da Giorgio Gallavotti del locale Museo dei Bottoni.
Secondo alcune indiscrezioni, si tratterebbe di due insospettabili (forse imparentati fra loro) che gestiscono un'attività commerciale in centro.
Non ci resta che attendere. Forse solo 24 o 48 ore.


Parole di scena


Folial – Sì, prenderò gli orologi a calci in culo! Ho fretta di farla finita…

(Michel De Ghelderode, “La scuola dei buffoni”, Scena I)


§ Enigmatiche iniziali

§ Lo spettacolo si chiama "Vi e Ve", ma non lasciatevi ingannare da quella grafia ACI, non c'entrano Vicenza e Venezia, bensì lo scrittore Elio Vittorini e il pittore detto il Veronese (al secolo, Paolo Caliari). I due si ritrovano in un testo di Marco Martinelli portato alla ribalta dalla Compagnia "Zoe-Teatro" formata da Michele Bandini ed Emiliano Pergolari.
Il dialogo fra i due fra una partita a carte e una bevuta di vino si svolge alla fioca luce di una lampadina nel regno delle ombre, e vabbè non poteva essere altrimenti visto che si tratta di due trapassati, ma si svolge - per volontà masochistica dell'autore stesso - in dialetto folignate, lingua dei due interpreti che di Foligno sono. Non mi è restato altro che godere dei giochi fonematici di una recitazione condotta sul filo di una velocità degna di Tino Scotti. Per fortuna, la Compagnia, conscia della difficoltà di molti di noi, ha distribuito ai giornalisti il copione (in italiano) e allora, perfino io, ci ho capito qualcosa. Ma solo qualcosa. A proposito di questo spettacolo, così dice Marco Martinelli di questo "corto" teatrale (dura, infatti, 22' 00"): ...i due personaggi sono maschere agli antipodi , i guai avuti con la censura, il Sant'Uffizio, Togliatti. Sono morti ben vivi. Ho consegnato questo metalogo, scritto in lingua italiana, ai due "gemelli" e ho suggerito loro: facciamolo in folignate... quel vostro folignate ha risonanze cupe, medievali, ben si presta al "de contemptu mundi" di Vittorini, ma anche per contrasto al finale sospeso, in luce, quasi francescano di Veronese".
Chiaro no?


* Parole di scena


Sigismondo - …perché un sogno è questa vita / e anche i sogni, sogno sono.

(Calderon de la Barca, “La vita è sogno”, Seconda Giornata)


* Trepide àsole


Oggi “attaccare un bottone” significa intrattenere qualcuno a parlare di cose noiose per chi ascolta.
“Affibiar bottoni” – dice Carlo Lapucci studioso delle locuzioni popolari – “un tempo aveva il senso di parlar male di qualcuno”.
Né l’una né l’altra cosa càpitano a chi si ritrova fra tanti bottoni (6737, a tutt'oggi) ad ascoltare Giorgio Gallavotti fondatore di un originale Museo, qui a Santarcangelo (è ospitato nelle sale del Museo Etnologico diretto da Mario Turci), che esplora attraverso il bottone la storia di uomini e donne attraverso epoche e paesi. Gallavotti illustra i riquadri - cornici di Oreste Brighi, artigiano che sfoggia nella sua bottega anche un'opera che gli regalò Tonino Guerra - producendosi in una performance verbale che, sinteticamente, traccia un dotto (e di piacevolissimo ascolto per gli angoli saporosi con cui lo condisce) rapporto fra sostanza e forma dei bottoni e il tempo in cui furono prodotti. Cento anni di storia in 400 quadri, suddivisi in: storia del bottone nel '900 e, inoltre, curiosità dei bottoni del '700 e '800. Se passate di qui, non dimenticate di andare a trovare Giorgio Gallavotti e il suo tesoro.
Se passate di qui, ma vale la pena, credetemi, fare un viaggio apposta per godere di questa meraviglia.
Qui avrebbero trovato salvezza alle loro comiche disgrazie quei ragazzini sconfitti, nelle sfide fra compagni rivali, condannati a perdere sempre, in segno d’infamia, i bottoni dei pantaloni in un lontano film di Yves Robert “La guerra dei bottoni”. Che ci scappi un sequel?


Parole di scena


Emone – Ravvedermi?... Ah! Purtroppo a te son figlio!...

(Vittorio Alfieri, “Antigone”, Atto V)


§ Note nomadi e note apolidi


§ Ho incontrato Massimo Eusebio, Direttore della parte musicale del Festival, sezione che sta raccogliendo un grande successo registrando pienoni in Piazza Ganganelli e al Circo Inferno Cabaret, luoghi deputati ad ospitare sonorità italiane e straniere come vedremo fra breve.
Eusebio, uomo cordialissimo, nato a Milano 45 anni fa, è laureato in filosofia con indirizzo psicologico, e insieme a questa specializzazione, è mosso da due altre passioni: la musica e l’editoria.
Ha lavorato, infatti, come redattore alla Garzanti e ha suonato da percussionista nei “Rosso Maltese”, gruppo nel quale c’era allora anche Pacifico che ha ricevuto quest’anno una menzione speciale al Festival di San Remo.
Dirige da sette anni la parte musicale di Santarcangelo dei Teatri e insieme ad altri impegni sommatisi negli anni, non è riuscito a trovare tempo per suonare ancora spostando i suoi interessi sempre più verso la musicologia.
Attualmente insegna editoria presso la Facoltà di Lingue e Sociologia di Urbino.
Mentre sorseggiavamo una birra in un bar le cui mura ci hanno salvato la vita difendendoci dalla calura tropicale di questi giorni, gli ho chiesto di parlarmi su come ha impostato il lavoro di quest’anno.
Il programma gira su due perni dislocati in Piazza Ganganelli e al Circo Inferno Cabaret, luoghi che ospitano percorsi sonori diversi, ma che interagiscono fra loro.
In Piazza Ganganelli abbiamo ricreato un clima di sagra popolare, attraverso, in parte, la tradizione bandistica italiana. Perché ti dico “in parte”, perché – in sintonia con lo spirito di ricerca espressiva che connota il Festival – abbiamo invitato quei gruppi che agiscono un progetto musicale che superi gli àmbiti della tradizione popolare per incontrare altri momenti sonori, quali il jazz sperimentale, il pop, lo ska. Qualche nome fra questi che interpretano tali piani di lavoro: la Etruria Criminale Banda, Roy Paci, Banda Improvvisa.
E sempre in Piazza Ganganelli s’esibiscono anche gruppi stranieri che lavorano sulla contaminazione di generi partendo, spesso, anche da una fusione d’etnìe. Un esempio fra tutti, la Bollywood Brass Band, formazione anglo-indiana che miscela musiche tradizionali del Punjab con la disco-music e i repertori di colonne sonore di film indiani.
Diverso, ma consonante, discorso nell’altro luogo di cui ti parlavo prima: il Circo Inferno Cabaret. Il tema, come sai perché te ne sei già occupato in questo tuo diario in Cosmotaxi,
lì è dato dalla riflessione sui Nomadi e gli Apolidi. Per questo là offriamo un percorso sonoro della diaspora dei Rom dall’India fino alla Spagna. Prendo ad esempio la Jaipur Kawa Brass Band che sulla musica tradizionale innesta la cultura araba, o il gitano spagnolo Moraito de Almeria. Concludendo sui Rom, ho voluto anche una prospettiva su altri territori, come i berberi del Marocco rappresentati da B’net Houaryit.
Circa l’altro tema – gli Apolidi – il panorama è enorme e siamo stati costretti ad operare una scelta. L’abbiamo concentrata sulla musica ebraica come quella dei Tri Muzike e la fanfara di Frank London, esempio raro di musica klezmer eseguita solo da fiati e percussioni escludendo violino e fisarmonica strumenti principi di quella musica
.
Massimo, uomo elegante, non ha detto della eccellente cura tecnica, oltre che espressiva, dei concerti, allora questo ve lo dico io. Ieri sera, ad esempio, mi ha impressionato la bravura di... di... di... (il nome ve lo farò domani perché ho sbadatamente lasciato il foglietto con l'appunto in albergo) tecnico del suono della "Banda Improvvisa" composta da ben 50 elementi; ebbene tutti, dicasi tutti, gli strumenti erano perfettamente ascoltabili e neppure la più lieve distorsione sui pieni (e che pieni!) orchestrali, ho oltre un trentennio di radio Rai alle spalle e forse un po' me ne intendo.
Ho chiesto a Massimo Eusebio se ha un sogno nel cassetto per il futuro. E il sogno c’è.
Trovare qui a Santarcangelo anche spazi che possano accogliere la ricerca musicale contemporanea dall’elettronica alla performance.
Per questo – aggiungo io – sarebbe il caso che si muovessero le nostre pachidermiche istituzioni quali la Biennale Musica, la Rai, e altri ancora che dovrebbero (ho detto dovrebbero e non potrebbero) trovare nei loro patrimoni di nastroteca e nei loro budgets energie per favorire progetti come quelli di Eusebio il quale si muove all’interno di un Festival che da 34 anni dà lustro alla nostra ribalta culturale.


* Parole di scena


Regina - Lui diceva che la commedia era cattiva perché era vera, ma questa è la solita bugia degli
scrittori di cattive commedie.

(William Saroyan, "I Cavernicoli", Atto II)


§ Ritrovo dei ritrovi


Come avrete capito da queste mie note, a Santarcangelo – oltre il Festival – ci sono molte cose che meritano un viaggio fin qui.
Fra le imperdibili, segnalo vigorosamente “Il ritrovo di Titti” di Donald Bonacci.
Donald, oste sublime, conduce questo ristorante d’assoluto rilievo coadiuvato dal giovane chef Gianni Stargiotti.
Tagliatelle e tagliata sono trionfi gastronomici protagonisti del menu che s’articola attraverso molti altri momenti di delizia del palato.
Donald, raffinato intenditore di vini e sommelier, dispone inoltre di una cantina ricca d’etichette di gran gusto esibite con ricarichi accettabilissimi.
Mettere in tavola grandi, rinomati vini, è cosa che con una buona guida e pagamenti celeri è possibile quasi a tutti, ma pescare bottiglie di gran qualità, con ricerca mirata sull’autoctono, e non ancora notissime, è arte difficile: è arte di Donald.
Indirizzo: Via Di Nanni 8; per prenotare: 0541 – 622 906.


* Parole di scena


Lorna – Viviamo nel ventesimo secolo Tom… non accadono più miracoli a New York.

(Clifford Odets, “Ragazzo d’oro”, Atto I)


§ Parole parole parole


§ Così risponde Amleto a Polonio che gli chiede che cosa stia leggendo, e così secoli dopo risponderà Mina ad Alberto Lupo che le chiede di perdonarlo per qualche sua birbonata.
E parecchie parole in scena anche qui a Santarcangelo. Sgradita sorpresa per me che non amo il teatro di parola. Per fortuna ci sono pure, per fare 2 esempi 2 quelli del Teatro delle Ariette o i Kinkaleri di cui mi sono occupato nelle trascorse note.
Uno spettacolo come "Grand Guignol" dei pur bravi attori (Andrea Cosentino, Mirko Feliziani, Antonio Tagliarini, Daniele Timpano, diretti da Massimiliano Civica) che interpretano storie di donne alla ricerca di un riscatto e travolte da un implacabile destino, sono, forse, adatti ad un set radiofonico più che a un palcoscenico. E in sala più di un piedino batteva spazientito, più di una mano tamburellava nervosa con le dita, ed io facevo entrambe le cose contemporaneamente. Provvidenziale un brano di Nick Cave. Non brevissimo, ma ci è sembrato passasse in un lampo, purtroppo. Eppure, desidero sottolinearlo la prova degli attori è assai buona, ma quanto chiacchierano! Fermi lì in scena, immobili, per tutto il tempo!
Stesso ragionamento per una bravissima attrice, Sandra Garuglieri, che da sola in scena s'è esibita in un lungo monologo, teso, emozionato ed emozionante, sulle vicende di Silvia Baraldini. Spettacolo civilissimo, ma dopo un po' vai alla ricerca di una flebo di birra.


* Parole di scena


Simone – Aveva i capelli lunghi come una coda di cavallo e gialli come l’oro
Pietro – Beh, pace all’anima sua!

(Eugene O’Neill, “Desiderio sotto gli olmi”, Atto I)


§ Artaud non abita più qui

Ieri sera ho visto "I Cenci/Spettacolo", un'ora e dieci il minutaggio, tempo volato tanta era la grazia scenica della performance piena d'invenzioni e clownerie, teatro nel teatro, tutto - per fortuna! - senza plot. Pur ispirandosi, più nel titolo che non nei materiali agiti, all'omonimo lavoro di Artaud, sono stati proiettati in una successione di scene (tutte attraversate da una raffinata vis comica) occasioni irreali di una vita quotidiana che può sembrare reale solo agli osservatori più pigri e rassegnati.
"I CVenci/Spettacolo" (il titolo è l'unica cosa che non mi è piaciuta) è stato ideato e messo in scena dai Kinkaleri, gruppo nato nel 1996. Si definiscono "raggruppamento di formati e mezzi in bilico nel tentativo". Quale? A vostro gusto. I sei componenti sono: Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo. "Tutte le produzioni trovano un momento comune in un linguaggio che impasta le lingue e le rende straniere a se stesse" così si legge in catalogo "per poi ridefinirsi in altro luogo; una ricerca indirizzata verso l'interazione tra i linguaggi"
Se vi capita di leggere il nome Kinkaleri in qualche locandina, andateci e mi ringrazierete.
Che dire ancora? Si potrebbero fare varie recensioni a "I Cenci/Spettacolo". Vogliamo tentare degli esercizi di stile?
Recensore pessimista
I Kinkaleri con "Cenci" ci hanno ricordato la dolenzìa del tout passe, tout casse, tout lasse.
Recensopre ottimista
I Kinkaleri con "Cenci" hanno prodotto un inno alla joie de vivre
Recensore complicato
I materiali artaudiani accettati e negati dai Kinkaleri che guardano e si guardano travedendo traguardi raggiunti sì dalla ridisposizione extratestuale, si rivelano poi vanificati dalla disperante insignificanza del néant...
Recensore pittore
"Cenci" diei Kinkaleri, pur essendo un trittico che parte da "My love for you will never die" e "Otto", va considerato un polittico nella successione di quadri che matericamente...
Recensore naif
Uuuh! Quant'è bello "Cenci" dei Kinkaleri"...gesù...beeello...beeello proprio!!
Recensore erotomane
La Kinka Lera, superba danzerina sia negli scatti ribelli e sia nel sensuale strisciare in scena - un voyage au bout de l'eclavage? - esprime una cifra rissosa con quegli slip rossi e stivali neri che vincono gli sguardi e commuovono il cuore. Credo che la Kinka Lera rappresenti una signiFICAtiva presenza del nostro teatro di ricerca che, finalmente, ha smesso di guardare attraverso il buco della serratura.
Recensore 'mbriaco
Mi è molto piaciuto "Stracci" del duo Kinka e Leri tratto con ammirevole rigore filologico dal noto poema di Mirabeau. Non a caso lo spettacolo si apre con una struggente interpretazione di "Fin che la barca va" di Orietta Berti e si conclude con le disperate note di "Splendido splendente" di Donatella Rettore.


Parole di scena


Zia Lena – Cia!... Cia!... Cia!

(Luigi Pirandello, “Come tu mi vuoi”, Atto III)



§ Festival di carta


All'interno del "Corriere Romagna" diretto da Claudio Casali, durante tutto il periodo del Festival di Santarcangelo, tutti i giorni è pubblicato un inserto di 4 pagine chiamato "Il Corriere del Festival" che copre tutti gli eventi della manifestazione.
Sono pagine curate, e assai bene curate, da Fabio Acca e Enrico Costanza.
Non si tratta - è uno dei suoi più evidenti pregi - di un house organ, nè di un bollettino col calendario commentato degli avvenimenti, ma di una pubblicazione che disegna veri e propri tracciati critici sugli spettacoli in cartellone, con un linguaggio che pur essendo diretto agli addetti ai lavori non esclude, per semplicità e chiarezza che lo connotano, chi ai lavori addetto non è.
Fabio, Enrico ed io, dopo avrere avventurosamente girato per molte stanze freneticamente indaffarate, e, quindi, impraticabili, abbiamo trovato precario asilo presso una finestra allietata da un capriccioso Eolo che mi ha rapito anche un foglio con appunti internettiani.
E qui, Fabio Acca, così mi ha detto: Il Giornale del Festival è stato voluto anni fa dallo studioso di teatro Massimo Marino che in passate stagioni è stato anche consulente di Santarcangelo dei Teatri. La pubblicazione era nata come laboratorio per giovani critici aspiranti a misurarsi professionalmente nel giornalismo culturale. Da quest'anno, sviluppando quell'idea, è stata attivata una convenzione di tirocinio con il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna.
Nonostante le nostre pagine siano distribuite all' interno del "Corriere Romagna", gode di un'assoluta autonomia rispetto alla redazione centrale
.
Enrico Costanza - di cui ho citato ieri un suo brano critico - così ha soggiunto: All'interno di quest'autonomia di cui diceva Fabio, s'afferma il nostro obiettivo d'essere uno strumento dialettico rispetto a tendenze e realizzazioni della nuova scena. Obiettivo perseguitato da tutta la redazione, formata da nove elementi, con prevalenza femminile nel gruppo. Una redazione dove ognuno non si limita a scrivere i "pezzi", ma fa una pratica giornalistica a tutto campo, muovendosi in una tempistica stretta e, a volte, frenetica. Il cartellone su cui lavoriamo, quest'anno è molto eterogeneo nonostante il legame tematico pasoliniano. Quest'eterogeneità, forse, è ben simbolizzata dagli orsi che appaiono nel manifesto del Festival, orsi rappresentati fra boschi e diorami, fra deserti e paludi, monti e steppe, metafore della grande varietà del Festival e dei suoi format con spettacoli, ad esempio, di sei ore e altri di dieci minuti.
Fabio e Enrico stavano per aggiungere qualcosa d'altro ma sono stati minacciosamente accerchiati da un malintenzionato gruppo di collaboratori che reclamavano indicazioni sulla vicinissima chiusura delle pagine.
Ci siamo salutati, o forse nemmeno, separandoci di corsa come banditi al termine di una rapina.


* Parole di scena


Massimo – Dicono che l’Orloff sia alla ricerca di un secondo marito. Dovresti farti avanti…

(Giuseppe Giacosa, “Come le foglie”, Atto II)


Visto e si stampi

Alfonso Marchi, uomo timido, riservato, gentile, un gran signore, è custode e operatore di una rara tecnica. Nella sua bottega artigiana, qui a Santarcangelo, in Via Cesare Battisti 15, si stampa dal 1600 la tela con gli stessi colori, metodi, cliché lignei, patrimonio dell'arte popolare decorativa dell'antica Romagna.
Ma non basta. Soltanto qui potrete vedere in funzione il "Mangano a ruota" di legno e pietre del XVII secolo, unico per peso e dimensioni esistente ancora su questo pianeta.
Se a Santarcangelo non ci fossero altre attrattive - ce ne sono, invece, e in buon numero - basterebbe la bottega Marchi a rendere necessario e lietissimo un viaggio fin qui.


Parole di scena


Edgardo – Non si è, a questo mondo, l’uno al posto dell’altro; si è al proprio posto e si è ciò che si
è, né più né meno!

(Arthur Adamov, “Intimità”, Atto Unico)


Discesa in campo

A metà anni Ottanta i miei amici Righeira cantavano l'estate sta finendo, e un anno se ne va / sto diventando grande, lo sai che non mi va.
A Santarcangelo, vent'anni dopo, un'altra estate "Estate. Fine" che non si riferisce alla fine dell'estate, forse quel personaggio di quella hit è diventato grande, quasi vecchio e lo troviamo che si scava la fossa in un campo dove il Teatro delle Ariette ha ambientato il suo più recente lavoro.
Uno spettacolo magnifico, emozionante, strepitoso, interpretato dai progettisti Paola Berselli e Stefano Pasquini e da Maurizio Ferraresi, Gregorio Fiorentini, Claudio Ponzana.
Vediamo più da vicino chi sono.
Il Teatro delle Ariette è un'associazione culturale che produce, studia, organizza e promuove teatro.
E' nata nel 1966 e da allora ha sempre operato in situazioni non teatrali, fuori dei luoghi e dei circuiti ufficiali della scena di prosa. Ha fatto teatro nelle case, nei forni, negli ospedali, per le strade, nelle campagne. Il nome dell'Associazione - i suoi due soci fondatori sono Paola Berselli e Stefano Pasquini - si chiama Ariette dal nome del podere dove ha sede: Castello di Serravalle in provincia di Bologna.
Veniamo ad oggi.
Hanno chiesto e ottenuto dal Festival un grande campo, lo hanno coltivato fin dal mese di febbraio di quest'anno rendendolo territorio di scena.
Guidati dalla cordialissima Mara Serina dell'Ufficio Stampa del Festival, abbiamo fatta la nostra discesa in campo che nulla ha avuto a che fare con altre discese tristemente note. Abbiamo attraversato fruscianti coltivazioni di mais giungendo in un luogo dissacrato prima che diventasse sacro dove dagli attori è stata avviata la preparazione di una cena che, dopo lo spettacolo, sarà offerta a noi spettatori.
Si è assistito ad un racconto frammentato eppure drammaturgicamente unitario quant'altri mai, alla comparsa di Monna Falce in forma di un'autentica quanto occhiuta e fatale risonanza magnetica che testimonia un cancro che divorò una persona cara al Gruppo.
Lo spettacolo - sposando il richiamo a Pasolini, elemento tematico del Festival - s'avvale anche di letture di pagine pasoliniane nonché di colonne sonore di alcuni film di PPP. Ma questo, in verità, è la cosa che meno c'entra con la magnifica rappresentazione di cui vi sto parlando. Poteva, infatti, trattarsi invece di Pasolini, di Dylan Thomas o Ginsberg, Cardarelli o Montale, le cose sarebbero state le stesse, le stesse bellissime cose che ho visto.
Ma di sicuro questi del Teatro delle Ariette sono andati più vicino a PPP di quanto non abbia fatto Francesco Vezzoli - artista bravissimo, ma non in quest'occasione - con la miliardaria (in quanto a buget) perfomance prodotta da Mariuccia Prada - "Comizi di non amore" - che vedeva all'opera Marianne Faithfull, Catherine Deneuve, Antonella Lualdi, Jeanne Moreau .
Mi piace riferire anche però che Enrico Costanza sul "Giornale del Festival" (stampa di cui vi dirò in una prossima nota) scrive che di tessuto pasoliniano si tratta allorché s'evoca la sostanza poetica di "un tavolo-altare, un tabernacolo-frigo, calici di sangue-Campari, vino e piadine (oggetti presenti in scena, aggiungo io per voi che non avete visto lo spettacolo), tutto nello spirito della parola pasoliniana, dalle maestose colonne sonore dei suoi film e anche da una struggente 'Romagna mia' nella versione di Orietta Berti". Può darsi che abbia ragione Costanza, chissà.
Sia come sia, questo Teatro delle Ariette propone azioni sceniche che innovano gli statuti linguistici teatrali e anche del nuovo teatro. Lavorando sulla Natura felice e maligna, su di un campo che diventa campo di giochi e camposanto attraverso un lavoro lento e muscolare destinato a mettere in imbarazzo i funzionari enpals quanto all'identificazione del genere contributivo.
Dalla radio apprendo che fra pochi giorni arriverà il maltempo: l'estate sta finendo / e un anno se ne va...


§ Accaldati e Raggelati


§ Dopo un'attesa non brevissima, stretti fra alte mura, nasino all'insù angosciosamente fissando una striscia di cielo, siamo stati introdotti nella sauna del Teatrino della Collegiata.
L'ingresso è avvenuto nelle tenebre appena rischiarate da una fioca luce rossastra che permetteva di vedere gli inciamponi di alcuni e le cadute di altri che avvenivano in slow motion come sembra avvengano le cadute nel quadro "I ciechi" di Bruegel il Vecchio, dipinto che s'ammira al Museo Capodimonte di Napoli.
I Sacchi di Sabbia sono un giovane gruppo tosco-napoletano formatosi a Pisa nel 1994. Molto attivo "sul piano della pedagogia" - così riferisce il catalogo - "e altrettanto determinato nella reinvenzione di una scena popolare contemporanea.
Hanno presentato a Santarcangelo "Tràgos" (Tràgos, significa Capro).
Ne dico subito il loro maggiore pregio: fare uno spettacolo comico, cosa che nell'area del nuovo teatro è piuttosto rara.
Propongono - lo sostengono in un'intervista con Goffredo Fofi riportata ancora nel catalogo - la tendenza "a decostruire la gag, a trasformarla in lapsus, a raggelarla".
Alcune (parecchie) battute e gags mi hanno ricordato quelle di Franco Sportelli col quale alla fine degli anni '60 fui regista di uno special tv sul teatro napoletano.
Quelli di Sportelli erano altri ritmi, altri sguardi, altri passi, assai diversi da quelli de I sacchi di Sabbia, perché, com'è chiaro, non erano "raggelati".
In questo scenario da Sportelli & C. - passando per Nino Formicola, Agostino Salvietti e non scansando i Trettrè - la Compagnia innesta silenzi e fissità beckettiane mutuando dal teatro d'avanguardia le lunghe scene a loup tendenti a convincere il pubblico di trovarsi di fronte ad un pensoso enigma; una sorta di dolce terrorismo suffragato anche dalle solite battute pronunciate da più attori contemporaneamente per creare effetti d'interferenza ai quali siamo così abituati da decenni che quando le battute le sentiamo pronunciate una alla volta, corriamo il rischio di non capirle più.
In tutto questo, e lo affermo con il peso dei quasi quarant'anni enpals che mi ritrovo, segnalo la forte presenza scenica di Gabriele Carli nel ruolo di un aureolato santo; Carli, attore magnifico, che, purtroppo, essendo stato "raggelato" dalla regìa non ha potuto esprimere tutte le grandi possibilità che ha. Ecco uno cui le briglie al collo è un errore mettergliele, perché succede che si "raggela" e ti saluto patria.
La parte finale dello spettacolo, forse la meno felice, è una pantomima sofferente di qualche zoppìa ritmica del Capro.
All'uscita - avvenuta in condizioni luministiche meno drammatiche dell'entrata (i feriti, difatti, sono stati di numero inferiore a quello registrato all'ingresso - il mio sguardo ha colto tardivamente un cartello in cui la Compagnia si scusava di presentare un'edizione di minutaggio ridotto rispetto al solito, cioè 50' 00' invece di 1h' 10". Solo allora ho capito che poteva andarmi peggio.
E dentro di me li ho ringraziati. Di cuore


* Parole in scena


Manfurio - … e megliormente voi, che dei nostri casi fastidiosi ed importuni siete stati gioiosi
spectatori, Valete et Plaudite.

(Giordano Bruno, “Candelaio”, Atto V)


§ Monte Giove tu sei la mia patria


§ In realtà, la canzone patriottica del '15-'18 dice: "Monte Grappa tu sei la mia patria", ma, essendo Monte Giove un'enoteca, come vedete sempre di 'mbriachezza si tratta ed io preferisco quella meno patriottica.
Dopo essere stato "raggelato" - com'era nelle loro dichiarate intenzioni - dai Sacchi di Sabbia, ho trovato riparo e sicuro asilo proprio nell'enoteca Monte Giove: Via Pio Massari 10.
E' gestita da Riccardo Agostini e Simone Pesaresi: giovani, entusiasti, cordialissimi.
Gestivano tempo fa un ristorante sui Colli di Rimini, poi, essendo tipi inquieti sempre alla ricerca di nuovi stimoli, hanno aperto qui a Santarcangelo quest'enoteca dove si sta molto male il martedì perché è giorno di chiusura.
Vi consiglio d'andarci. Orario dalle 19.00 all'una di notte, ma, come ogni pronto soccorso che si rispetti (vale a dire sottratto all'amministrazione dell'attuale governo), sarete accolti anche un po' dopo quell'ora, specie se le vostre condizioni richiedono un alcoolico intervento d'urgenza.
Lavorano circa 250 etichette, al banco troverete molti bianchi e rossi e (w la faccia!) anche dolci, tanto deprecati da chi dice di saperne di vino e invece nulla sa.
Invano ho chiesto quale fosse la cosa che fa loro venire la scarlattina quando si parla di vini. Dopo stringente interrogatorio, però, da me condotto con modi bruschi, hanno ammesso un discreto odio per i "novelli" e una certa insofferenza per il Nero d'Avola tanto, troppo, di moda.
In positivo, sostengono con piacere l'Azienda Agricola Marchesi - roba di territorio - che produce due ottimi rossi (Sangiovese e Cabernet) e due ottimi bianchi (Rèbola s Sauvignon). Non li bevuti ma credo loro sulla parola.
Ancora una cosa: anche qui ho chiesto dell'Albana secco e mi è stato risposto che è stato rapito e, forse, da qualcuno di qui. Le mie indagini proseguono.
E ora ricordate, se siete o passate di qui: Enoteca Monte Giove. Prosit!


* Parole in scena


Poeta – Ottimamente! Può darsi che proprio l’igiene universale sia un’uscita da questa situazione.

(Slawomir Mrozek, “Il tacchino”, Atto II)


§ Circo-stanze


Incontri nomadi, parole apolidi, cucine del mondo, fanfare gitane, tutto questo al "Circo Inferno Cabaret" - ideato e condotto da Sonia Bettucci e Roberto Naccari - che, a Santarcangelo, nel programma del Festival, agisce fino a notte fonda.
Ho incontrato Sonia, bruna, scattante, che alterna rapida momenti d'allegria ad altri, improvvisi, di pensosa severità.
Ha molti meriti, come vedrete fra breve, e un solo gravissimo difetto: è astemia.
Aldilà di questa grave, e vergognosa colpa, è un'attenta ideatrice e organizzatrice free lance di eventi socioculturali, ed è autrice, con Roberto Naccari (spero non sia pure lui astemio, sennò la smetto di fare loro elogi), di un progetto che... no, meglio che a dirlo sia lei stessa mentre io l'ascolto sorseggiando un Trebbiano perniciosamente tiepido.
Il Circo nasce nel 1999. Nasce a Santarcangelo come luogo d'intrattenimento dedicato sia al pubblico del Festival sia a quello che al Festival non va ma s'incuriosisce delle cose che quest'evento di spettacolo produce anche fuori scena. Ammesso che qui durante il Festival esista un "fuori scena" perché è tutto in scena.
Dopo un esordio di sperimentazione, le nostre ideee sono piaciute e ciò ci ha spinto a proseguire il lavoro.
Oggi, infatti, il Circo è incentrato su di un progetto specifico, mirato sul concetto di "viaggio" attraversando i territori dei Nomadi e degli Apolidi in senso sia letterale e sia metaforico. Tutto ciò che accade nel nostro spazio non è casuale: si tratta, difatti, d'incontri con personaggi e fra le persone improntati ad approfondire il significato tematico di quelle due parole (Nomadi e Apolidi) rendendole da suono estraneo a musica familiare.
Parallelamente ai concerti in Piazza, e alla convegnistica (non a caso aperta dal tema "Dalla prostituzionwe al transgender" con l'intervento di Pia Covre, Presidente del Comitato per i diritti delle prostitute e Porpora Marcasciano del Movimento d'identità transessuale, presentati dalla sociologa Roberta Sapio), parallelamente ti dicevo, si svolge ogni sera un intrattenimento gastronomico multietnico.
Voglio dirti ancora una cosa che mi sta molto a cuore. il Circo Inferno Cabaret sostiene un piano umanitario, di solidarietà: il "Progetto Ludobus Palestina". Questo bus porta insegnanti travestiti da clowns nelle scuole della striscia di Gaza
.
Sonia ed io ci salutiamo qui. Lei parte a razzo verso i suoi mille impegni, io, lento pede, verso un Trebbiano meno caldo di quello appena finito di bere.


* Parole in scena


Principessa – Sento che tutto diventa più torbido, più torbido. Questa volta l’autunno è triste oltre
ogni limite.

(Franz Kafka, “Guardiano alla tomba”, Atto Unico)


§ Sangiovesa vale la spesa


Se passate per Santarcangelo di Romagna è obbligatoria una tappa alla Sangiovesa.
Ristorante - gestito da Daniele Vasini e Loris Vestrucci - che s'avvale del giovane chef Massimiliano Mussoni, uno di cui sentirete parlare; nell'attesa, venite qui ad assaggiare i suoi piatti, mi ringrazierete.
Il locale si trova in un antico palazzo fine '600 e il logo lo si deve alla matita di Federico Fellini, logo giunto fino a noi attraverso Tonino Guerra.
La visita a "La Sangiovesa" s'apre con un'escursione archeologica nelle vecchie grotte che giungono fino ad una fonte d'acqua e di leggende. Il percorso è illuminato da box e idee - ancora una volta di Tonino Guerra - dedicate alle "colombaie", omaggio ai postini d'un tempo, messaggeri d'amori e di guerre. Ma (è un mio consiglio) non pensino Bush e i suoi compari di trovare qui assistenza, si troverebbero davanti a dinieghi piuttosto bruschi.
Non sono di quelli che descrivono le pietanze poiché penso che vadano mangiate, ma - credetemi - qui c'è del buonissimo (quando va male) e dell'ottimo quando va bene, vale a dire: sempre.
Un'ultima cosa, da anni accuso (e per fortuna non sono certo il solo) l'enogastronomia italiana di praticare ricarichi sui vini fra viltà e sterminio. La Sangiovesa - caso raro - l'ho trovata con ricarichi onesti su vini tutti (e con molte etichette) rigorosamente di territorio.
Et hoc satis. Alè.


* Paole di scena


Goetz – C’è da fare questa guerra, e la farò

(Jean-Paul Sartre, “Il diavolo e il buon dio”, Atto III)



§ Giallo a Santarcangelo


E' scomparso l'Albana secco. Non lo si trova più. E' stato rapito. Chi mai può essere stato?
Il paese tutto indaga. Partecipo attivamente anch'io alla ricerca.


* Parole in scena


Luisolo - … Marietta, se non vuoi essere mia moglie, sii almeno il mio ideale!

(Carmelo Bene, “Ritratto di signora del cavalier Masoch per intercessione della beata Maria Goretti”, Parte Prima)


§ Santarcangelo: fatiche celesti


§ Come avevo promesso, o meglio minacciato, terrò fino all’undici luglio una sorta di diario durante la mia permanenza qui a Santarcangelo nel periodo del Festival.
Riferirò sugli spettacoli che vedrò, sugli incontri che farò, e su altre occasioni locali con artisti, artigiani, e, naturalmente, osti del luogo.
Santarcangelo di Romagna è un posto delizioso. Veniteci, anche in un mese in cui non c’è il Festival se adesso proprio non avete tempo.
Deve il suo nome a Santo Arcangelo Michele, ma per distinguersi da altre località che portano lo stesso nome, dal 1862 in seguito ad una delibera comunale - partorita evidentemente in trip lisergico - il suo nome si scrive senza l’apostrofo. E così qui sono costretti a sopportare questa bizzarrìa di scrittura ad un passo dall’errore ortografico. Non so se l’Arcangelo abbia voglia un giorno di porvi riparo, è, infatti, indaffaratissimo. Pensate che oltre ad essere in lotta contro Lucifero e gli altri angeli ribelli (Apoc. XII, 7), è protettore di Caltanissetta e Cuneo, è “signifer” cioè guida le anime del Purgatorio a fine pena verso il Paradiso, un’occhiata alle località di Sant’Arcangelo scritte con l’apostrofo (Potenza e Benevento) la deve pur dare, né può negarsi ad uno sguardo al Castello di Roma a lui dedicato con tanto di statua in cima, e, infine, non può sottrarsi alla protezione della gente di qui che soffrono (moderatamente, in verità) della chirurgica asportazione di quel segno che indica l’elisione di una vocale finale di parola e, ovviamente, deve tutelare il Festival.
Badare al Festival non è impegno di poco momento, l’Arcangelo deve proteggere il Presidente del CdA Pier Silverio Pozzi, gli altri amministratori Natalino Cappelli, Roberto Alessi, Paolo Maria Fabbri, Giuseppe Prosperi, e il Direttore artistico Silvio Castiglioni… finita qui?... seeeh!... ci sono poi i suoi collaboratori, Silvia Bottiroli, Massimo Eusebio, Andrea Nanni, e il Direttore organizzativo Roberto Naccari, e l’organizzatrice Simona Lombardini, e l’amministratore Tonino Rossi, e la capo ufficio stampa Nelsy Leidi, e Mara Serina dello staff press, e di sicuro me ne sarò scordato altri, ma non per questo resteranno senza protezione. Perché l’Arcangelo Michele il suo mestiere lo fa alla grande.
Basta, vado a bere il primo bicchiere d’oggi di Albana. Stasera comincia il Festival e voglio essere in forma.


* Parole in scena

Madame Joussac - …poi, scoppiando in lacrime, gli confessò che anche lei lo aveva sempre amato,
e che si era fidanzata solo perché stanca d’aspettare la sua dichiarazione…

(Raymond Roussel, “La stella in fronte”, Atto III)


§ A Santarcangelo.


Sto all'Albergo Zaghini, in pieno centro. E' famoso per le tagliatelle che servono al ristorante.
Fama ampiamente meritata. Sangiovese anche al bicchiere, Albana solo in bottiglia.
Alla reception, l'attivissima Angela Venturi: ciuffo biondo, straripante simpatia di marca contadina, di quelle contadine, per intenderci, che mai hanno impugnato una vanga.
Si rivela informatissima su luoghi vicini del territorio di cui sa tutto.
Così come una miniera di conoscenze su cose e personaggi di Santarcangelo è il patron del Bar dell'Arco (Via Pascoli 15). Si chiama Alberto Beltrambini,detto Titti. E' un bambino barbuto con moglie e figlia (per niente barbute, anzi aggraziatissime), accanito fumatore di Diana, vivace organizzatore d'eventi enogastronomici (è stato anche chef). Gli devo festosa compagnia mentre bevevo birre al banco e preziosi consigli su contatti presso personaggi del luogo di cui nei prossimi giorni vi parlerò.
Che cosa mai sarebbe la vita, senza alberghi e senza bar?


* Parole in scena


Polonio – Che cosa leggete o mio signore?
Amleto – Parole, parole, parole…

(William Shakespeare, “Amleto”, Atto II)


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