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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Il ciak della dea Partenope


"La più grande invenzione del secolo” – scrive Mario Franco in un suo saggio – “giunge a Napoli il 4 aprile del 1896 al Salone Margherita. E ben presto la città impazzisce per il cinematografo […] nel giro di pochi anni Napoli si riempie di sale cinematografiche. La Sala Iride, l'Arenile Olimpia, il Cinema Moderno, il Salon Parisienne, il Vittoria, l'Alberini, l'Umberto, il Krumas, l'Internazionale, la Sala Roma, il Trianon, il Santa Brigida… E questa febbre di cinema non si limita a moltiplicare le sale di spettacolo; nascono anche i primi produttori di film, come Roberto Troncone, che inizia con documentari per passare poi al lungometraggio verista ed è anche il primo a costituire un teatro di posa per realizzare i suoi film”.
Come si può notare, Napoli è stata tra le prime città italiane ad accogliere la settima arte e, come si racconta nella mia famiglia, in quel campo trovò lavoro, facendo spesso la comparsa, anche un mio zio paterno morto ben prima che io nascessi; meno fortunato di me, mai beneficiò dell’Enpals, allora inesistente, di cui, invece, godrò io con minori meriti storici: la vita – si sa – è ingiusta assai.
E oggi, Napoli vanta una generazione di registi – da Martone a Capuano, da Cosicato alla De Lillo, ad altri ancora - di prima fila nello scenario cinematografico italiano.
Non meraviglia, quindi, che un’importante rassegna di cinema da ben sei anni si tenga proprio a Napoli e stia per approdare felicemente alla sua settima edizione.
Mi riferisco al Napolifilmfestival che si terrà a Napoli dal 6 al 16 giugno 2005.
Il festival, è organizzato dall’Associazione Napolicinema in collaborazione con il Warner Village Metropolitan e la Fondazione Laboratorio Mediterraneo.
S’avvale della direzione artistica di Davide Azzolini e Mario Violini ed è promosso dall’ufficio stampa dello Studio Sottocorno di Milano guidato da Lorena Borghi e Patrizia Wachter, tel. 02 – 20 40 21 42, e-mail: info@sottocorno.191.it, con un riferimento a Napoli in Angelo Carotenuto: 347 - 69 43 381.
Ad Azzolini e Violini, ho chiesto d’illustrare in sintesi il profilo di questa loro creatura di celluloide. Così mi hanno risposto:
Per questa sua settima edizione, il Napolifilmfestival apre a tutti i paesi europei. Si tratta di un ulteriore passo avanti rispetto ai programmi dello scorso triennio, quando la rassegna era riservata ai soli titoli provenienti dall’area mediterranea. Una decisione con la quale intendiamo comunque offrire una visibilità maggiore a chi possiede capacità produttive ridotte. Fra le numerose iniziative che andremo via via a definire e ad annunciare, c’è un workshop sul tema del grande cinema italiano visto dagli americani, in occasione della presenza al Festival di “Criterion Collection”, la prestigiosa etichetta newyorchese che riedita in dvd i capolavori del cinema mondiale, spesso restaurandoli. “Criterion” sarà al Festival con il suo presidente Peter Becker e con la vice Kim Hendrickson. I titoli in concorso saranno dieci. Avremo, inoltre, una sezione “Making of” per i backstage dei set internazionali ed un’altra chiamata “Schermo Napoli”, dedicata alla produzione audiovisiva indipendente & ‘off’ realizzata da autori o produttori napoletani, oppure napoletana per l’ambientazione.
Sono previste prossimamente altre corse di Cosmotaxi verso gli schermi di questo Festival protetto dalla dea Partenope.


ArteinTavola alla Rampina


Giorni fa, ho parlato dell’osteria di San Giuliano Milanese La Rampina dei Fratelli Angelo e Lino Gagliardi che ben la conducono. Da loro mi è pervenuto un comunicato che annuncia il nuovo ciclo della rassegna “ArteinTavola”, giunta alla settima edizione.
In calendario quattro appuntamenti volti a valorizzare al meglio i prodotti nazionali e di nicchia, con l’obiettivo di riscoprire le ricette delle tradizioni regionali che il tempo e le mode, spesso, ingiustamente oscurano.
Il calendario degli appuntamenti prevede per martedì 5 aprile un appuntamento dedicato alla cucina delle carni. Costo: 45 euro, vini compresi.
D’appuntamenti ce ne sono anche altri, ma essendo in date più lontane mi pare inutile segnalarvele adesso perché ve le scordereste. Per chi voglia farsene un pro memoria consiglio di mettere tra i ‘preferiti’ del proprio computer il sito web del ristorante che è www.rampina.it

Rampina, S. Giuliano Milanese, 02 – 98 33 273, rampina@rampina.it
Chiusura il mercoledì


L’importanza di chiamarsi Hans


Chissà in questo momento quanti cavalli che si chiamano Hans stanno galoppando o trottando sulle piste degli ippodromi del mondo… e chissà quanti fra artieri, fantini e scommettitori sanno che il nome Hans è legato a famose memorie equine.
Non soltanto esiste, infatti, il caso noto come quello del “piccolo Hans”, di cui nel 1908 s’occupò Freud, curando un bambino con la fobia per i cavalli, ma nel 1904 ci fu un gran parlare di un un altro Hans che, stavolta, era il nome di un destriero.
Ora qualcuno si chiederà vista la vicinanza delle date nei due casi: ma il piccolo Hans ha mai incontrato il cavallo Hans? O, addirittura, era proprio di Hans che aveva paura?
In un mio lavoro letterario d’anni fa da queste ipotesi partivo, ma in realtà è improbabile l’incontro fra i due; il bipede Hans abitava in una casa di Vienna, il quadrupede Hans in una stalla di Berlino.
Io, però, l’incontro fra i due l’immaginai… hai visto mai?
Ora, la casa editrice Elèuthera ha mandato in libreria una vera chicca: Hans, il cavallo che sapeva contare. L’autrice è Vinciane Despret - 46 anni, faccia simpatica e gran sorriso da spot per dentifricio in retrocopertina - che, sempre per Elèuthera, ha già pubblicato l’anno scorso “Quando il lupo vivrà con l’agnello”.
La fluida traduzione delle avventure di Hans, si deve a Carlo Milani.
L’interesse della Despret per il tema etologico non deve sorprendere perché un’etologa è, ed insegna Filosofia della Psicologia nell’Università di Liegi ed Etologia in quella di Bruxelles.
Nel settembre del 1904, a Berlino, un cavallo di nome Hans suscitò accese dispute scientifiche e parascientifiche non solo in Germania ma in mezzo mondo. Secondo il suo proprietario, Hans era capace di risolvere problemi aritmetici, riconoscere carte da gioco, comporre le lettere di una parola.
Truffa? Telepatia? Scoperta rivoluzionaria dell’intelligenza animale? Sia come sia, ne nacque un’avventura attraverso la quale Vinciane Despret fa rivivere ai lettori i primi momenti della psicologia sperimentale, i suoi problemi, le poste in gioco.
Giorgio Celli nella postfazione scrive: Questo libro finisce proprio nel momento in cui il giallo etologico del bravo Hans, invece che chiarirsi, diventa più oscuro e intricato, perché il cavallo pitagorico esce di scena lasciando dietro di sé una specie di allucinazione collettiva, che durerà per tutta la prima metà del Novecento, dando vita ad una vera e propria saga di animali sapienti. La diagnosi di Oskar Pfungst, che Hans percepisse dei segnali involontari dall’istruttore o dal pubblico interpretandoli nel modo giusto, ricevette un consenso diffuso, ma non unanime. Oggi siamo più propensi a credere che Pfungst avesse ragione. Perché l’etologia, conclude Celli, verifica spesso casi d’interazione fra l’animale e l’uomo.
Il libro è ricco d’episodi e aneddoti, spesso divertenti, seguendo le varie fasi delle indagini, le discussioni e gli scontri delle, e nelle, commissioni scientifiche che indagarono sul caso.
Né lascia insoddisfatti sull’ultimo destino di Hans raccontando anche il curioso epilogo della vita del celebre cavallo che… eh no! non ve lo dico… sennò quelli di Elèuthera s’incazzano. Per saperlo, comprate il libro. Credetemi, ben vale gli euro che spenderete.

Vinciane Despret: “Hans, il cavallo che sapeva contare”
112 pagine, 11 euro, Edizioni Elèuthera


I tamburi dell'Amazzonia


E’ da ieri in edicola, quale supplemento a “Liberazione”, “il Manifesto”, “Carta”, il film documentario I tamburi dell’Amazzonia, sottotitolo: da Manaus a Porto Alegre: Brasile, il paese del Social Forum.
Un documento storico in 55’00” (costa 4:50 euro) durante i quali sfilano volti e testimonianze dell’urgenza politica di un mondo depredato dalla speculazione industriale, specie nordamericana.
Un esempio clamoroso per tutti: il famoso Viagra che ha fruttato 360 miliardi di dollari ai produttori, è stato estratto da una liana brasiliana e chi se n’è impossessato non ha lasciato un solo cent ai popoli che abitavano le zone d’origine della pianta.
Ancora più grave un altro tentativo in corso, a quei popoli, infatti, si tenta di schiacciare anche la loro sostanza culturale perché da questa può nascere – e sta, difatti, nascendo – la forza prima d’opposizione allo sfruttamento.
“I tamburi dell’Amazzonia”, è un documento che se non vivessimo in un paese in cui le scuole sono governate dalla pirluscona Moratti, andrebbe proiettato in tutti gli istituti.
Altra connotazione: l’uso delle immagini è libero e, quindi, può tornare molto utile a chi lavora sui video o in altre produzioni audiovisive.
Gli ottimi autori che hanno ben girato e montato le riprese sono Paolo Grassini (misi in Rete una sua biofilmografia quando girò “Il secondo naxalita”, per leggerla cliccate QUI), Federico Mariani, Federico Minnini, Antonio Pacor, con la collaborazione di Cecilia Pagliarani.
“I tamburi dell’Amazzonia” è una produzione Cambusat, Focuspuller, Progetto Comunicazione, Videoset.


Nunca Màs


Oggi, dalle ore 20.00, a Roma, presso l'Acrobax, Via Vasca Navale 6 (ex Cinodromo) l'Associazione Progetto Sur Onlus organizza - in occasione della Día Nacional de la Memoria por la Verdad y la Justicia - una serata dedicata alle "Vittime del terrorismo di Stato".
Video, musica e balli fino all’alba.
Gli organizzatori hanno diffuso una nota che sintetizzo e volentieri rilancio. Eccola.

"Il 24 marzo del 1976, in Argentina un Direttorio di Comandanti Militari prendeva il potere; le tre Forze Armate, Aeronautica, Marina Militare ed Esercito, designavano quale Presidente de facto Jorge Rafael Videla. Si apriva, come dal Direttorio stesso denominato, il "Processo di Riorganizzazione Nazionale".
Il golpe, voluto e finanziato dall'oligarchia economica argentina e dagli Stati Uniti d'America, con la connivenza delle gerarchie ecclesiastiche, apre il periodo più buio che la storia dell’Argentina abbia mai conosciuto. I dati ufficiali parlano di circa 30.000 scomparsi, quasi un milione di esiliati, oltre 350 centri clandestini di detenzione, dell'applicazione sistematica della tortura, di esecuzioni collettive, della sospensione delle libertà fondamentali, di censura ferrea della stampa, dello scioglimento dei sindacati.
La repressione colpiva tutti gli strati della società trovando nei più indifesi, studenti, operai, intellettuali, professionisti, i settori più colpiti.
Contestualmente, la politica economica adottata distruggeva l'industria nazionale, decuplicava il debito estero, passato da 5 a 55 miliardi di dollari, e la disoccupazione passava dal 4 % al 10 %.
Il 2 aprile del 1982, a fronte di opposizioni nazionali sempre più rafforzate e della comunità internazionale palesemente contraria alla "Junta", nel tentativo di guadagnare tempo e consensi, i Militari invadevano le Isole Malvinas dichiarando guerra alla Gran Bretagna. Le conseguenze disastrose sul piano internazionale, le moltissime vittime argentine, in maggior parte adolescenti impreparati ed in servizio di leva obbligatoria, accelerano quanto da tempo atteso. I militari si vedono obbligati ad indire l'elezioni nazionali ed a lasciare il potere nelle mani del Presidente neoletto Raul Alfonsín il 10 dicembre del 1983.
Gli effetti disastrosi del golpe sono ben visibili tutt'oggi. L' Economia argentina è schiava di un debito estero spaventoso, manca una generazione di "cervelli", la classe dirigente è davvero scomparsa. Il mancato rispetto dei diritti fondamentali della salute, dello studio, dell'associazionismo sindacale, la situazione dei detenuti nelle carceri, e la povertà generalizzata formano il vero debito che l'Argentina ha con i suoi cittadini.
In questo contesto, ricordare il 24 Marzo 1976 quale "Giornata della Memoria e della Giustizia" significa salvare nella nostra memoria quelle persone che hanno subìto e tuttora subiscono quanto programmato e voluto dalla giunta militare, dai poteri economici, nazionali ed internazionali.
Per dire ancora e sempre: Mai Più, Nunca Màs".


Le idee geniali di Dedalo


Quando le Edizioni Dedalo, guidate con sicura mano da Claudia Coga, annunciano le novità, c’è solo l’imbarazzo della scelta nello scegliere quali segnalare perché si tratta di testi tutti tanto interessanti quanto necessari.
Da tempo, infatti, l’Editrice agisce prevalentemente su due cursori (la documentazione storica contemporanea e la divulgazione scientifica) mettendo a disposizione dei lettori volumi che della nostra epoca illustrano nodi e snodi, descrivono bassezze e altezze, misurano la quantità d’informazione mancante che quei libri provvedono a rendere invece presente e attiva.
Per oggi, due titoli che mi piace portare alla vostra attenzione.
Il primo è “L’orgia del potere” di Mario Guarino. Testimonianze, scandali e rivelazioni su Silvio Berlusconi. Una serrata, scrupolosa, attenta indagine: dall’ombra della Loggia P2 a un potere quasi assoluto. Dal baratro di un crack finanziario a una ricchezza smisurata. Segreti e scandali del Premier dal 1965 ad oggi.
Libro essenziale non solo per chi lavora nell’informazione stampata, radiotelevisiva e web, tanto è ricco di elementi, date, documenti, ma anche per chi voglia rendersi conto su come, quando e perché è nato in Italia un fenomeno che avvelena da tempo non soltanto la vita strettamente partitica, ma pure quella culturale, finanziaria, e perfino sportiva del nostro paese, vale a dire: la vita politica tutta.
Mario Guarino, inviato per molti anni del Gruppo Rusconi-Hachette, ha collaborato a testate quali “Gente”, “L’Europeo”, “Il Mondo”, “Avvenimenti”. Ha ricevuto il premio giornalistico “Mario Pannunzio”. Tra i suoi libri: il best-seller "Berlusconi: Inchiesta sul signor Tv", con Giovanni Ruggeri (1987, 1994), "L’Italia della vergogna" (1994), "I mercanti del Vaticano" (1998), "L’Impero del male" (2000), "Fratello P2. L’epopea piduista di Berlusconi" (2001), "Scandali e segreti della moda" (2001), "Versace versus Versace" (2002), "Poteri segreti e criminalità" (2004).
“L’orgia del potere”: per assaggi di lettura cliccate QUI.
L’altro libro che segnalo è “Le idee geniali” di Carlo Bernardini - Silvia Tamburini.
Le ragioni della genialità nei racconti delle imprese e della vita di oltre cento grandi scienziati.
Ai due autori ho chiesto le ragioni che li hanno spinti alla stesura del testo e se è possibile definire che cos’è la genialità. Così mi hanno risposto:
Ci è sembrato opportuno, in un mondo in cui girano stupidaggini e pregiudizi, far vedere che, se uno usa l'intelligenza per decifrare i modi in cui la natura si manifesta, cioè il linguaggio del reale, può ottenere risultati sorprendenti e imprevisti che è giusto attribuire alla sua "genialità".
Qualcosa dunque di cui è lecito vantarsi.
Siamo entrambi insegnanti e abbiamo sempre incoraggiato i nostri studenti a dare il meglio di sé, preoccupati al pensiero che alcuni individui geniali soccombessero in una società disattenta.
Circa su che cos’è la genialità, rispondiamo che, in fisica e in matematica - i nostri campi di interesse - è difficile definirla in astratto; per questo abbiamo collezionato un campione di esempi che a noi sembrano significativi, anche se il campione è incompleto.
Ci sembra che i casi illustrati rappresentino una varietà ben assortita. In tutti essi vi sono elementi comuni, che da soli non bastano a caratterizzare il genio e tuttavia ricorrono puntualmente: la curiosità sfrenata combinata col desiderio di capire, la perseveranza nel tenere desta l'attenzione su un problema, la capacità di scegliere problemi generalizzabili, la ricerca di modi di ragionare produttivi ma non standard
.

Mario Guarino, “L’orgia del potere”, 448 pagine, 17:50 euro
Bernardini – Tamburino, “Le idee geniali”, 160 pagine, 13:00 euro
Edizioni Dedalo


Robert Morris a Prato


E’ in corso presso il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci una grande mostra dedicata a Robert Morris, uno dei massimi esponenti della Minimal Art.
La mostra di Prato è a cura di Jean-Pierre Criqui, uno dei più noti esperti a livello internazionale dell'artista.
Per la prima volta in assoluto sono esposti insieme un numero così considerevole di Blind Time Drawings. I “Blind Time Drawings” sono disegni realizzati dall'artista ad occhi chiusi o bendati, previa una breve stesura delle indicazioni che seguirà nell'esecuzione, per sottolineare lo scarto tra l’idea e la realizzazione, tra il proposito dell’artista e il limite del corpo. Gli scritti sono parte integrante dell’opera e spesso si trovano ai margini del disegno stesso.
Scrive Robert Morris: Il fatto di non vedere il foglio mentre disegno mina tutte le idee di intenzionalità e rimette in questione lo statuto di errore come criterio limite. Per chi lavora ad occhi bendati la nozione di talento perde completamente di senso. Il processo in se non mi interessa, non è che un mezzo.
In occasione della mostra di Prato sarà pubblicato un libro dedicato principalmente ai “Blind Time Drawings”, la pubblicazione più importante ed esaustiva dedicata a questi straordinari lavori. Testi di Robert Morris, Donald Davidson e Jean-Pierre Criqui.
La mostra resterà aperta fino al 29 maggio.

Orari: da lunedì a venerdì 12.00 -19.00; sabato, domenica e festivi 10.00 -19.00;
martedì chiuso. Biglietti: intero € 5,00 - ridotto € 4,00
Per contattare l’Ufficio Comunicazione del Centro Pecci: 0574 – 53 18 28


La buona tavola: Osteria Rampina


E’ proprio vero che molta ristorazione di qualità non si trova più all’interno delle grandi città. A questo pensavo dopo una duplice esperienza fatta giorni fa a Milano dove presso il celebrato Italian Bar di Cracco-Peck (a Cordusio, pieno centro) ho mangiato una piovra mal cucinata con patate lesse scotte (17 euro, il costo del piatto) e giorni dopo ho consumato un’ottima cena presso l’Osteria Rampina che si trova a S. Giuliano Milanese.
Sono arrivato lì guidato da Mauro Pedretti e Michela Paci che da tempo mi segnalavano calorosamente il locale.
La Rampina deve il nome all’antica posteria di un cinquecentesco cascinale lungo la via Emilia di cui conserva memoria ancora oggi nell'architettura propria delle locande con stallazzo. L'edificio, infatti, è tuttora conservato nelle sue caratteristiche originarie, valorizzate da un sapiente recupero degli spazi. Le ampie e antiche sale, si affacciano su una suggestiva corte interna, che si trasforma in un bel giardino nel periodo primavera estate e, durante il periodo invernale, si può pranzare anche davanti ad un monumentale camino. Il tutto, grande pregio, con tavoli ben distanziati.
Proprio di recente, è stato inaugurato un nuovo spazio ristobar che permetterà soste in orari più larghi rispetto a quelli del ristorante vero e proprio con menu più leggeri e veloci, ma ben lontani, per fortuna, da ogni perniciosa connotazione fast food, quelli io li chiamo i tristobar.
Dal 1973 la Rampina è gestita dai fratelli Gagliardi e il loro lavoro non è sfuggito alle guide gastronomiche che – talvolta in modo un po’ avaro quanto a punteggio – ne hanno segnalato la presenza.
In sala si è accolti da Angelo Gagliardi che con signorile amicizia e appassionata competenza guida attraverso le scelte che – altro gran pregio – non sono sterminate perché mirate a pietanze frutto di un lavoro fatto secondo le opportunità di stagione e mercato; mai mi stancherò di ripetere che non si può fare grande gastronomia ostentando liste di lunghezze chilometriche, anzi è il primo cattivo segno di un ristorante.
Maestosa, invece, è la cantina che offre pluralità d’indicazioni, con prevalente orientamento sul territorio italiano, e più di una chicca autoctona.
Guida una piccola e affiatata brigata di cucina l’eccellente chef Lino Gagliardi che riesce a coniugare tradizione e innovazione senza proporre improbabili filologie e senza cadere in spericolate novità. Difficile compito, concettuale e tecnico, risolto come meglio non si potrebbe dagli antipasti al dolce.
Non descrivo le pietanze che ho lì consumate perché, come ho ripetuto più volte in queste mie pagine web, non credo che le emozioni sensoriali siano descrivibili senza precipitare in astrattezza, ma da ogni piatto di Lino ne ho ricavato lussi di palato.
Buono il rapporto qualità prezzo che, ampiamente gustando, non supera, vino incluso, i 60 euro.

Rampina, S. Giuliano Milanese, 02 – 98 33 273, rampina@rampina.it
Sito web: www.rampina.it, chiusura il mercoledì


Ethel, Etta e l'altra


Un uomo che si chiami Francesco Bevivino ha già un nome dal suono per me caro, che sia il benvenuto su Cosmotaxi. Ma i suoi meriti non stanno soltanto in quell’invitante cognome perché ne ha altri. Da due anni guida una nuova casa editrice che s’è affacciata sullo scenario librario italiano: www.bevivinoeditore.it.
Cliccando su quel sito potrete meglio conoscere qual è il progetto dell’Editrice; qui mi occupo oggi di un titolo uscito nella collana ‘Wanted’ diretta da Michele Vaccari. Collana che pubblica biografie di banditi, briganti e criminali, dal meridione d'Italia al vecchio West, fino alla cronaca dei nostri giorni, da Fra' Diavolo a Renato Vallanzasca, da Butch Cassidy alla banda della Uno bianca.
I volumi, per scelta editoriale, sono arricchiti sempre con una prefazione di un noto scrittore e 16 pagine di fumetto in rima con la storia narrata nel libro, fumetto pressoché muto poiché è presente la parte rumoristica ma non ci sono nuvolette con parole.
Presentato da Paolo Nori è in libreria: Ethel sottotitolo: vita e menzogne di Etta Place di Mario Bonaldi.
Bonaldi, protagonista di questo promettente debutto in narrativa, è nato nel 1979 a Milano, città in cui vive e lavora. Laureato in Lettere, collabora dal 2002 alla rivista online Hideout, occupandosi di letteratura e di cinema.
“Ethel” è una biografia tra vero e immaginario, raccontata con velocità da fumetto e le necessarie tenebre che sprigionano le storie nere dove il destino di certe vite sembra già stare tra l’ineluttabilità della propria cronaca e la fatalità di un presagito romanzo.
Scrive fra l’altro Paolo Nori in prefazione: “…la cosa strana è che tutte queste storie che si riferiscono alla vita di Etta Place così come le racconta Mario Bonaldi, la cosa strana è che la maggior parte delle storie che ci son dentro e che si leggono con così tanto interesse, son false”.
Perché accade ciò? Per saperne, ho chiesto all’autore di parlarmene. Così mi ha risposto:
La misteriosa Etta Place, colei che fuggì in Sudamerica con Butch Cassidy e Sundance Kid, in realtà si chiamava Ethel. Il nome con cui la conosciamo è dovuto all’errore di compilazione di una locandina: gli uomini che la ricercavano trascrissero Etta, e tale divenne. Le sue origini, il suo destino ci sono ignoti; tutto ciò che esce dal cono di luce della sua avventura con i due banditi appartiene al campo delle supposizioni. La sproporzione tra il poco che si conosce per certo e la quantità di fantasie inventate su di lei è sorprendente; così, paradossalmente, per capire chi era davvero Ethel, è necessario dare voce alle voci false.
Era una maestra, una prostituta, una cameriera?
Ed era la donna di Sundance, di Butch, o di entrambi?
Che cosa ci fa in Messico durante la rivoluzione?
E in Baviera, al festival di Bayreuth?
Abbandonarsi al richiamo delle menzogne era forse l’unico modo per raccontare la sua storia
.
Fin qui Bonaldi. Mi resta d’aggiungere che le pagine di fumetto - come dicevo in apertura, accompagnano ogni volume della collana Wanted - in “Ethel” sono di Francesco Garbuggino.

Mario Bonaldi, “Ethel”, 115 pagine, 10 euro, Bevivino editore


Ultime notizie da Monsieur Boltanski


Mentre ero a Milano per il XV Festival del Cinema Africano, ho partecipato all’anteprima della mostra di Christian Boltanski intitolata Ultime notizie.
Splendida mostra, a cura di Jean-Hubert Martin, che resterà aperta fino al 12 giugno al PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea.
Boltanski è il più grande artista concettuale europeo e, probabilmente, non solo europeo.
Nato a Parigi il 6 settembre del 1944, da oltre trent’anni espone nei più importanti musei al mondo. Inizia la carriera artistica dipingendo grandi tele e a soli 24 anni ha già al suo attivo le prime esposizioni di successo. Dal 1968 abbandona definitivamente la pittura e volge le sue applicazioni su percorsi extrapittorici, facendo uso di materiali eterogenei: giornali, fotografie, ritagli di carta, brandelli di tessuto, candele, vecchie scatole di latta, lampadine.
Come tutte le “ultime notizie” che si rispettino, anche queste sono accompagnate da un segnale orario, qui ininterrotto (l’opera in diffusione sonora si chiama ‘Horloge parlante’, così come sonora è quella che accoglie i visitatori già prima dell’ingresso: un latrare di cani), e raccontano tutte del Tempo, del suo infinito scorrere e del suo improvviso aggrumarsi nei ricordi.
Come “Entre temps”, dissolvenza incrociata di foto che ritraggono l’artista dai 7 ai 58 anni; “Contacts”, 8 vetrine di provini fotografici; “Les portants”, fotografie tratte dal giornale sensazionalistico ‘Détective’ mischiando e sovrapponendo i volti di vittime e assassini; “Mes Morts”, date di nascita e morte, la vita dei suoi cari ridotta a trattino fra due date.
Poi, altre notizie. Più o meno ultime o, forse meglio, che tendono all’ultimatum.
Ad esempio, tempo fa Boltanski aveva il progetto di dire i nomi di tutti i suoi contemporanei che vivono su questa terra; progetto irrealizzabile che ha trovato un suo surrogato nella sterminata collezione di elenchi telefonici del pianeta (2639 quelli esposti).
Ma l’opera più spettacolare, anche come esperienza ottica, è “6 settembre”. Qui l’artista francese (autore anche di film sperimentali di varia lunghezza, ma prevalentemente sul breve) ha messo in successione le notizie del tg trasmesse nel giorno del suo compleanno – il 6 settembre – partendo dal 1944, anno della sua nascita, ad oggi. Nel film le immagini scorrono 2000 volte più rapide del normale: in 4’30” sfilano davanti agli occhi 60 anni di un’esistenza. Grande concentrato di memoria dunque? Sì. Eppure no. Scrive, infatti, al proposito Jean-Hubert Martin: …il film è anche un’antimemoria, perché non presenta nessuno degli eventi essenziali che hanno segnato la vita dell’autore, che ne hanno condizionato sentimenti ed emozioni, come avviene per qualsiasi essere umano: la prima infanzia, il primo amore, la morte dei genitori… eppure si fa fatica a immaginarlo incollato alla tv la sera del suo compleanno per quanto appartenga a quelle persone che al rosseggiare del fuoco del camino preferiscono la luce azzurrata dei raggi catodici.
Che altro dire? Una mostra imperdibile. Allestita benissimo fra necessarie tenebre.
Mostra che merita un viaggio a Milano fatto apposta per vederla.


XV Festival del Cinema Africano


SPECIAL COSMOTAXI PER IL FESTIVAL

Milano, 14 - 20 marzo 2005


Special per il XV Festival del Cinema Africano (11)

Concorso Lungometraggi Finestre sul mondo

“El cielito”, di Maria Victoria Menis (Argentina) - 2004 - 93’
Prima Nazionale
In un’Argentina devastata dalla crisi economica, nasce un tenero e insolito legame tra Felix, un giovane vagabondo, e Chango, un bimbo di appena un anno Nella campagna della Pampa, Felix è assunto come bracciante da Roberto, il padre di Chango. Mentre in casa cresce la tensione tra Roberto e la moglie, Felix comincia a prendersi cura del neonato. Tra i due nasce un grande
affetto. Felix, orfano dei genitori, sente che deve dare al bambino l’amore negatogli dalla famiglia. Emarginato dalla società e solitario, il giovane ha trovato uno scopo nella vita: salvare il bimbo dal caos.


“Un dia sin mexicanos”, di Sergio Arau (Messico/Usa/ Spagna) - 2004 - 90’
Prima nazionale
Un giorno che sembra essere uguale a tutti gli altri, la California si sveglia in un mondo che le riserva un’incredibile novità : un terzo della sua popolazione è scomparsa. Quattordici milioni di individui nelle cui vene scorre sangue ispanico sono magicamente scomparsi. Lo stato è paralizzato economicamente, politicamente e socialmente. La crisi avanza da San Francisco a San Diego. Una sola domanda è sulla bocca di tutti: dove sono finiti i messicani?


“L’Enfant Enormi”, di Jasmine Kassari (Marocco) - 2004
La realtà dell’immigrazione vista per una volta con gli occhi e il cuore di chi resta; la sofferenza e l’inquietudine delle giovani donne abbandonate subito dopo il matrimonio ad una vita di solitudine, punite severamente se si avvicinano ad un altro uomo. Donne che vivono nell’attesa infinita di un uomo che non ritornerà e che addormentano nel loro ventre il feto nell’assurda speranza che possa venire alla luce il giorno del ritorno del padre.


“O heroi”, di Zeze Gamboa (Angola) - 2004 - 97’
Prima nazionale
Vitório è un ex-combattente dell’esercito angolano che ha perduto una gamba sopra una mina. Per le strade di Luanda scopre che la guerra continua, una guerra quotidiana per la sopravvivenza. Nessuna solidarietà e riconoscenza dal suo popolo, anzi un assurdo accanimento contro i più deboli. Un giorno gli rubano anche la protesi. Tre incontri cambieranno la sua vita: con Joana sogna un amore impossibile; con Judite ritrova la sua dimensione umana; con Manu inventa una famiglia possibile.


“Lakposhta Ham Parvaz”, di Bahman Ghobadi (Iran) - 2004 - 95’
Prima nazionale
Pochi giorni prima dell’invasione americana dell’Iraq, in un campo di rifugiati curdi al confine con la Turchia, la popolazione confida nell’abilità di Kak Satellite, un ragazzino tredicenne esperto in antenne paraboliche. Sono isolati dal mondo e cercano di carpire dalla televisione informazioni sul loro futuro. La difficile esistenza del ragazzino si complica quando incontra una ragazzina di un villaggio vicino, orfana e già madre. Per sopravvivere tutti i bambini del villaggio disinnescano le mine inesplose e le rivendono al mercato. L’arrivo degli americani è vissuto come la liberazione da tutte le sofferenze, ma cosa cambierà realmente nella vita di questa gente dimenticata da tutti?

“La nuit de la vérité”, di Fanta Regina Nacro (Burkina Faso) - 2004 - 100’
Prima nazionale
In un paese immaginario dell’Africa sconvolto da un’atroce guerra genocida, i leader delle due etnie rivali decidono di far tornare la pace e di dare il via ad un processo di riconciliazione. Ma il perdono e la tolleranza richiedono il tempo di una rielaborazione del lutto. La moglie del Presidente, il cui figlio è stato trucidato senza pietà, non riesce a liberarsi dai fantasmi del passato. Fuori di sé dal dolore, è sopraffatta dal desiderio di vendicare la morte del figlio.


“Okhotnik” (Il cacciatore), di Serik Aprimov (Kazakistan) - 2004
Prima nazionale
La natura selvaggia delle montagne del Kazakistan è il regno indiscusso del Cacciatore. Il suo incubo è Kokjal un lupo solitario che semina il terrore tra la popolazione. Quando il giovane Erken gli ruba il cavallo e poi sfugge alla polizia rifugiandosi sulle montagne, il Cacciatore lo raggiunge e decide di tenerlo con sé. Gli insegnerà a riconoscere i segni della Natura, a sopravvivere in un mondo dove gli uomini e gli animali sono governati dalle stesse leggi. Costretto a tornare in città per salvare la madre, Erken è catturato e messo in prigione. Il Cacciatore si lancia da solo sulle orme di Kokjal.


Shangkhonad, di Abu Sayeed (Bangladesh) - 2004 - 102’
Prima nazionale
Chand torna al suo villaggio dopo 27 anni d’assenza. Nessuno lo riconosce.
E’ un uomo segnato dal passato, il trauma che ha subito nel corso della sua infanzia lo accompagnerà per sempre. Ora, l’unico suo desiderio è quello di vivere in pace il resto dei suoi giorni nel villaggio natio. Non si fa riconoscere perché nessuno crederebbe alla sua buona fede e tutti penserebbero che è tornato per vendicarsi. Ma la maga , sempre in dialogo con gli spiriti de villaggio, lo riconosce. Per Chand non ci sarà più scampo. Il destino si ripeterà in modo ineluttabile.


“U-Carmen eKhayelitsha”, di Mark Dornford-May 2005 (Sudafrica)
Prima nazionale
Splendida Carmen cantata e recitata nella township di Khayelitsha di Cape Town. Il testo della famosa opera di Bizet è stato tradotto nella lingua locale Xhosa. Carmen lavora in un tabacchificio, è lì che incontra il sergente di polizia Jongi. Nasce una storia d’amore e morte. Per lei Jongi lascia la polizia e comincia a frequentare gli ambienti criminali dove Carmen è cresciuta. Il resto della storia segue le orme della famosa opera lirica. La fotografia raffinata, l’impianto coreografico dell’opera, il canto lirico non ci fanno mai scordare, neanche per un attimo, che siamo in Africa, tra africani, immersi nella cultura metropolitana della township.


“Whisky”, di J. P. Rebella e P. Stoll (Uruguay) - 2004 - 94’
Prima nazionale
La piccola e squallida fabbrica di scarpe è tutto l’universo di Jacobo. Marta è la sua fedele e umile segretaria da sempre. La routine di Jacobo è minacciata dall’arrivo del fratello, Herman, che torna a casa dopo anni d’assenza. Per salvare le apparenze, Jacobo chiede a Marta di fingersi sua moglie. Quando Herman li trascina in una vacanza al mare, i tre sconosciuti si sforzano di creare una quasi famiglia. Le situazioni che si creano sono assurde ed esilaranti. Marta e Jacobo, dopo anni trascorsi uno accanto all’altra nell’indifferenza, cominciano a conoscersi. E’ il momento per loro di posare, di dire “whisky” e di sorridere.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (10)

Concorso Documentari Finestre sul mondo

“Accampamento de Desminagem”, di Licinio Azevedo (Mozambico) 2005 60’
Prima nazionale
I campi minati e le conseguenze della guerra civile sono ostati oggetto di molti documentari, ma Azevedo inverte la rotta del suo film spostando l’obiettivo sugli uomini che oggi sminano i campi. Alcuni sono ex-combattenti, anche di fazioni contrarie, altri disoccupati che cercano un’alternativa al crimine, altri ancora non hanno famiglia e nulla da perdere. La dimensione di vita comune nelle tende, il rischio quotidiano di perdere la vita, li ha resi un gruppo unito, un gruppo d’uomini veramente speciali.


“Arafat my brother”, di Rachid Masharawi (Palestina) 2004 75’
Prima nazionale
Una riflessione sulla storia di Yasser Arafat e della Palestina, ma anche una riflessione più profonda sulla Storia, su chi fa la storia e su chi la racconta. Il regista comincia a filmare nel 2003 un ritratto d’Arafat attraverso le memorie di Fathi Arafat, il fratello più giovane del leader.
Malato di cancro, Fathi sta combattendo la sua lotta personale per la vita.
Il dottore gli dice: “Non combatto il cancro, ma per la sua immunità e il suo morale” e Fathi immagina il fratello dire le stesse parole al popolo palestinese. Grazie all’aiuto di Fathi, il regista riesce ad incontrare
Arafat a Ramallah. Vuole parlargli, vuole che lo aiuti a capire cosa sta succedendo….


“Bunso”, di Ditsi Carolino (Filippine) 2004 63’
Prima nazionale
Tony, Diosel e Bunso sono tre bambini imprigionati in un carcere di Manila insieme ai criminali adulti. Le condizioni di vita nella prigione sono disumane, i carcerati dormono ammassati, si lavano con la pioggia e ricevono come pasto un pugno di riso. Fuori dal carcere i genitori di Tony vivono nel degrado della povertà e dell’alcoolismo. La madre di Bunso, il più piccolo e ribelle, è convinta che la prigione gli darà una lezione e lo metterà in riga una volta per tutte. Con gran discrezione, senza inutili patetismi, Ditsi Carolino riesce ad ascoltare i bambini, a farli parlare di sé, a restituire loro tutta la dignità negata. La loro consapevolezza è sconcertante.


“The concrete revolution” di Xiaolu Guo (Cina) 2004 60’
Prima nazionale
Il 21° secolo è in mano alla Cina, si dice a Pechino. Ma che prezzo stanno pagando i cinesi per la costruzione della nuova Cina? La regista dà voce agli operai che vengono dalla provincia e lavorano nei cantieri edilizi, giorno e notte. Spesso aspettano mesi prima di esser pagati. Sono disperati.
La città li ha fagocitati per poi espellerli. Non c’è posto per loro nella nuova Pechino. Intanto fervono i preparativi per le Olimpiadi del 2008.


“The importance of being elegant”, di George Amponsah e Cosima Spender
(Ghana/UK) 2004 69’
Prima nazionale
Esilarante ed inquietante incursione nel mondo della Sape (Société d’Ambianceurs et des Personnes Elegantes), uno dei movimenti più travolgenti della cultura black, nato negli anni ‘80. I Sapeurs, congolesi immigrati in Francia e in Belgio, hanno un’unica religione: la moda. I loro Dei: Roberto Cavalli, Yohji Yamamoto, Dolce & Gabbana; il loro leader assoluto: Papa Wemba, detto anche il Re della Sape. Seguendo per alcuni mesi il famoso musicista congolese, il film esplora le dinamiche del gruppo, la loro dottrina, i guai con la giustizia, la clandestinità e la disperata ricerca di un’identità nell’ostile Olimpo della moda europea: Parigi.


“Mahaleo”, di Raymond Rajaonarivelo e Cesar Paes (Madagascar) 2004 90’
Prima nazionale
La voce e la musica dei Mahaleo hanno accompagnato i malgasci dalla caduta del regime coloniale fino ad oggi. I sette musicisti hanno rifiutato lo show business e hanno scelto d’impegnarsi tutti nello sviluppo del loro paese.
Attraverso le loro attività sociali, la musica, le bellissime parole delle canzoni che ricordano il blues, il country e i cantautori delle lotte popolari, facciamo un viaggio insolito, emotivo, ritmico, in Madagascar.


‘Nous, les irakiens’, di Abbas Fahdel (Irak) 2004 54’
Prima nazionale
La quotidianità a Baghdad nel salotto di una casa come tante altre, quella del fratello del regista. I preparativi in attesa della guerra, i commenti davanti alle immagini della tv, le scorte alimentari, le difficoltà dei figli a frequentare la scuola. Un’altra faccia dell’Iraq, più umana, più profonda: le paure e le speranze di un popolo che sta uscendo dall’incubo della dittatura per ricadere nel caos. Dopo la caduta del regime, il regista torna a Baghdad per riabbracciare i suoi cari. Insieme al fratello esce per le strade, incontra la gente. “Ero venuto a filmare la morte, ma è la vita che ha preso il sopravvento..”.


“Oscar “, di Sergio Morkin (Argentina) 2004 61’
Prima nazionale
Oscar, tassista di Buenos Aires, affianca al suo lavoro un’occupazione altrettanto impegnativa: cambiare il volto della sua città ridipingendo e reinterpretando i grandi manifesti pubblicitari. Con humour ed irriverenza, Oscar conduce da solo la sua battaglia contro il consumismo. Il messaggio commerciale si trasforma di volta in volta in satira politica, in collage surreale, in immagine dissacratoria (osa persino utilizzare l’icona di Peron). Intanto, per le strade di Buenos Aires, si colgono frammenti dell’attualità argentina di lotta e di protesta.


“El velo de Berta”, di Esteban Larrain (Cile) 2004 73’
Prima nazionale
Nelle montagne del sud del Cile, la multinazionale Endesa ha messo in opera il grande progetto Ralco: la costruzione di una diga sul fiume Bio Bio. Le acque del fiume hanno invaso le terre di circa 100 famiglie della comunità indigena Pehuenche. Dal 1996 un gruppo di donne anziane ha opposto una strenua resistenza al progetto. Tra queste, l’ultraottantenne Berta Quintremán, una donna unica per carattere, spirito ed energia che ha vissuto tutta la vita in armonia con la natura nella terra dei suoi antenati, secondo le tradizioni del suo popolo. Il film è un omaggio al suo coraggio e un atto di solidarietà per la difesa dei diritti delle popolazioni indigene.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (9)

Concorso Cortometraggi Africani

‘Africains poids moyens’, di Daniel Cattier (Zimbabwe/Belgio) - 2004 - 17’
Samwa, il leone congolese, è a Bruxelles con l’amico allenatore in attesa di combattere contro René, il gallo belga: una sfida afro-europea che Samwa vuole vincere a tutti costi. Chiusi in un appartamento, i due africani si allenano senza tregua. Alla vigilia del match, ascoltano alla radio il discorso di Lumumba. Il Congo è finalmente libero, il nuovo Presidente condanna pubblicamente i torti subiti dal suo popolo. Samwa “getta la spugna”… torna in Congo rifiutandosi di combattere. Sceglie per la libertà.


‘Au-delà du temps’, di Jean-Chris Semutakirwa e Serge Zeitoun (Mali/Francia) - 2004 - 28’
Due generazioni di donne a confronto. La giovane fa la tassista a Bamako ed aggredisce il marito fannullone. “Come si fa a sopportarlo?” chiede alla donna anziana cui ha dato un passaggio. La vecchia sorride e racconta in un lungo flash back la storia della sua dura esistenza, costretta a sposare un uomo che non amava. Ma non è mai troppo tardi per riscattare la propria felicità…. L’anziana donna confida alla giovane i suoi più intimi segreti.


‘L’autre mal’ di Tairou Tasséré Ouédraogo (Burkina Faso) - 2005 - 26’
Rakieta è vittima di un matrimonio forzato. E’ sposata ad un vecchio, ma ama segretamente il giovane Ousmana. Quando il marito si ammala, Rakieta cerca in ogni modo di salvarlo. Non vuole essere giudicata una cattiva moglie.
Tutte le cure sembrano inutili, fino a quando un guaritore le dà un’erba miracolosa. Il vecchio guarisce. Non è ancora in grado di reggersi in piedi e già escogita il modo di uccidere il suo rivale, Ousmana. Finirà per cadere vittima del suo stesso tranello. Il destino sembra clemente con i due giovani amanti, ma un altro male si oppone alla loro felicità: le voci maligne del villaggio.


“Aveux”, di Mohamed Lakhdar Tati (Algeria) - 2004 - 15’
Una camera d’albergo, un uomo e una donna. Il desiderio è creazione… di colori, spazi, suoni e parole. Sono due sconosciuti? Non si sa. Forse sono solo amanti persi nel gioco della seduzione.


“Case 474” di Thabang Moleya (Sudafrica) - 2004 - 20’
Un uomo è in carcere. La notte è perseguitato da incubi, sono i ricordi traumatici della sua infanzia. Un donna lo ascolta, è il suo avvocato difensore. Per l’uomo è l’occasione per raccontare la sua vita, i crimini che ha commesso. I flash back del suo passato sono come scene tratte da un B-movie di gangster. Questa è stata la sua vita. Ma quando confesserà alla donna, il suo reato più grave, per lei sarà impossibile continuare a difenderlo…


“Déjà Loué”, di Meiji U Tum'si (Congo) - 2004 - 9’
Lei, bella, meticcia, dinamica e ambiziosa è al suo ultimo giorno di prova, ancora un piccolo passo e poi potrà firmare il contratto di lavoro con un’importante agenzia immobiliare. Una giornata d’appuntamenti tra le quattro mura di un appartamento e poi la telefonata di conferma del lavoro.
Ebbra di gioia, chiude la porta in faccia all’ultimo cliente: un africano.
Lui insiste, lei lo respinge. Lui insiste ancora, lei lo respinge…. Un
errore che le costerà caro.


“How to make a friend”, di Kara Miller (Giamaica – UK) - 2004 - 7’
Per tenere compagnia al figlio unico di 11 anni, la madre invita a casa due bambine vicine di casa. Dopo un inizio un po’ impacciato in cui i tre bimbi si studiano l’uno l’altro, l’atmosfera si riscalda con un po’ musica, loro si rilassano ed è subito amicizia. Una divertente e tenera evocazione della spontaneità e immediatezza delle amicizie infantili.


“Kare Kare Zvakon” (Mother’s Day), di Tsitsi Dangarembga (Zimbabwe) - 2004 - 30’
In un villaggio africano la carestia ha colpito duramente una famiglia. Il padre decide di uccidere la moglie per sfamarsi con la sua carne. Le tende quindi una trappola mortale, ma eliminare la madre dei suoi figli non sarà una cosa semplice….. Ispirato ad un racconto shona, il film reinterpreta gli elementi macabri e magici della tradizione popolare in chiave musicale cantata e danzata. Uno dei rarissimi esempi di musical del cinema africano.


‘Lahna lalhia’ (Une place au soleil), di Rachid Boutounes (Marocco) - 2004 - 14’
Un uomo sulla sessantina riceve una medaglia al lavoro dal Comune. Vive in Francia da 1965, tutta una vita da immigrato al servizio della nettezza urbana. Oggi è in pensione. Invia in Marocco ad una donna senza volto e senza nome il diploma che lei appende con cura alla parete insieme a tutte le altre foto che hanno scandito i suoi anni di lontananza. E’ arrivato il momento di tornare al paese? Per ora si siede a prendere il sole al tavolino di un bar con gli altri pensionati…………


“Nazra Lel Sama” (Uno sguardo verso il cielo), di Kamla Abou Zikri (Egitto) - 2003 - 10’
L’angoscia e la paura di una ragazza del Cairo. Ha spergiurato. Per difendersi dalle accuse dello zio che l’ha vista amoreggiare con un ragazzo su un ponte del Nilo ha giurato il falso sul Corano. Terrorizzata dalle conseguenze del suo gesto sacrilego, si rinchiude in casa a pregare. Quando un giorno lo zio finisce in ospedale, tutti pensano ad una punizione divina.
Per la giovane, è un chiaro segnale che la vita ricomincia…


“Pour la nuit”, di Isabelle Boni-Claverie (Costa d'Avorio/Francia) - 2004 - 26’
Dopo anni d’assenza, Muriel torna nella casa paterna per la veglia funebre della madre. Lo scontro con il padre è feroce. Figlia di un’africana e un francese, Muriel porta dentro i segni di un disagio culturale. Sopraffatta dal dolore, la giovane fugge e trascorre una notte alla deriva, in taxi per le strade di Marsiglia, in riva al mare, nei bar, tra le braccia di uno sconosciuto: una notte insonne alla ricerca disperata di segnali di vita…..


“Prince Loseno”, di Jean-Michel Kibushi (Rep Dem. del Congo) - 2004 - 29’
Un reame lontano nel cuore dell’Africa profonda. Il Re Muakana Kasongo Ka Ngolo ha tre mogli, ma non riesce ad avere figli…Chiede aiuto alla guaritrice Yakouba, ma poi l’allontana accusandola di stregoneria. Infine il bimbo tanto atteso arriva, ma il giorno della sua incoronazione, il re muore all’improvviso. Morale della favola: la nascita e la morte sono gemelle nel destino dell’uomo. Film d’animazione di marionette ispirato alle leggende della tradizione orale africana.


“Visa - La dictée” di Ibrahim Letaief (Tunisia) - 2004 - 26’
Divertente parodia delle acrobazie sempre più sofisticate cui sono costretti i tunisini per ottenere un visto d’ingresso in Francia. L’ultima immaginaria legge sull’immigrazione impone un nuovo esame da superare: un dettato in lingua francese. Con zero errori si ottiene il visto. Per il povero Rachid comincia un’immersione forzata nel regno della francofonia: trasmissioni di France culture, musica di Trenet e nouvelle cuisine…


Special per il XV Festival del Cinema Africano (8)

Concorso documentari Africani

“Algeriennes”, di Djamel Sellani (Algeria/Francia) 2004 57’
La guerra d’Algeria per una generazione di donne. Materiali d’archivio e testimonianze di tre combattenti per un racconto che comincia negli anni Trenta, durante la loro adolescenza, per proseguire negli anni Cinquanta della Resistenza, degli arresti, delle torture, fino al 2003, quando per le protagoniste è arrivato il tempo della parola, dopo quarant’anni di silenzio assoluto.


“Borry Bana, le destin fatal de Norbert Zongo”, di Luc Damiba e Abdoulaye Diallo (Burkina Faso) 2003 58’
Il 13 dicembre 1998 il giornalista indipendente del Burkina Faso Norbert Zongo viene trovato morto, insieme a tre compagni, in un’auto carbonizzata a sud di Ouagadougou. L’opposizione, la società civile, gli studenti si sono organizzati per chiedere giustizia e verità sul suo assassinio. Per la prima volta l’affaire Zongo è descritto in immagini, con testimonianze e immagini di repertorio inedite.


“Brown”, di Kali Van der Merwe (Sudafrica) 2004 56’
Viaggio personale della cantautrice sudafricana Ernestine Deane nei luoghi del suo passato. Nel momento in cui sta per diventare madre, si avventura in un’inchiesta intima e soggettiva nelle sue radici, negli anni Sessanta quando i nonni furono deportati dalle loro terre e costretti ad abitare in sobborghi urbani. La musica diventa strumento di memoria emozionale e politica.


“Un bus pour Palenque”, di Wilfrid Massamba (Congo – Colombia) 2004 18’
A Cartagena, in Colombia. A contatto con la popolazione locale che ha radici africane. Il rap e le canzoni tradizionali. La musica come segno-memoria delle origini. La scoperta di un set africano lontano dal continente, come una ‘cartolina postale’ dalla cui superficie si aprono pagine di Storia e di vita quotidiana.


“Dancing wizard”, di Caroline Kamya 2004 (Uganda) 10’
Breve, intenso, originale ritratto di un ottantenne ballerino e maestro di danza, tra documentario e schegge di finzione per rievocare la vita di un uomo pieno d’energia, i suoi sogni e la realtà da affrontare. Immagini essenziali/espanse che al tempo stesso mostrano e lasciano intuire. Episodio della serie Extraordinary People Extraordinary Lives.


“Everything is gonna be alright”, di Tamer Ezzat 2004 (Egitto) 52’
Alcuni mesi dopo l’11 settembre 2001 il regista Tamer Ezzat rivolge la sua videocamera su se stesso e su compagni egiziani di New York. In modo diaristico coglie la vita nelle strade e il punto di vista dei connazionali che abitano lì e discutono delle conseguenze dell’attacco alle Twin Towers sulle loro vite e del ruolo dei media nel fomentare un’opinione negativa sugli arabi.


“Hun”, di Arnaud Zohou (Benin/Francia) 2005 17’
Una video-lettera al rito vudù. Un lavoro sperimentale sulla memoria, sul mistero dell’energia che scaturisce dai corpi, dai rituali, da una sfilata su statue di legno, da un leone che scalpita in una gabbia, dai luoghi di un’Africa impossibile da contenere nello spazio ristretto di un’inquadratura. “Il vudù è il culto che noi rendiamo ai nostri ricordi più cari”.


“Kalala”, di Mahamat Saleh Haroun 2005 (Ciad)
Un film per descrivere, attraverso le parole, il ricordo delle persone che l’hanno conosciuto, qualche breve immagine dal set di Bye bye Africa e fotografie, la figura di Kalala, come veniva soprannominato, l’amico più caro di Haroun, presenza costante sui set dei suoi film, morto di Aids. Un film-ritratto in assenza del suo protagonista. Un film, anche, per affrontare senza paura il tema dell’Aids, ancora tabù in Ciad.


“Mère patrie”, di Albertine Lastera (Benin/Francia) 2004
La storia di una donna pied noir costretta a lasciare adolescente l’Algeria nel momento dell’indipendenza del Paese nordafricano. Nella sua abitazione francese, rievoca - per pensieri che si materializzano oltre le immagini d’archivio montate sulla sua testimonianza - la propria lacerazione intellettuale e emozionale, un rapporto intimo, fisico e mentale, con l’Algeria amata e abbandonata.


“Regard de mémoire”, di Sarah Maldoror (Francia/Guadalupa)
Realizzato per l’Unesco e il Consiglio Regionale della Martinica nel quadro del bicentenario dell’abolizione della schiavitù. Viaggio sulla strada della deportazione, dall’isola di Gorée in Senegal alla fortezza francese nella regione del Jura dove fu rinchiuso e morì Toussaint L’Ouverture. Per giungere alla Martinica, ulteriore luogo di memorie rievocate da Aimé Cesaire come da giovani studenti liceali.


“Sorcière, la vie”, di Monique Mbeka Phoba (Congo/Francia) 2004 52’
Dopo aver trascorso parte dell’infanzia nel Congo-Kinshasa, dove la stregoneria è parte integrante della vita delle persone, la filmaker Monique Mbeka Phoba si è trasferita in Belgio. Un giorno, decide di affrontare il rapporto con quella sua eredità culturale accompagnata da una guida speciale: l’anziano dottor Dieka che si pensa possegga, da sempre, grandi poteri occulti.


« Sur le traces de l'oubli » di Raja Amari (Tunisia) 2004 58’
Nel centenario della morte di Isabelle Eberhardt (1877-1904) un ritratto della scrittrice e viaggiatrice svizzera innamorata del deserto,scomparsa travolta da un’inondazione ad Ain Sefra. Un ritratto stratificato che si compone di fotografie, lettere, voce femminile off, corpi senza tempo, luoghi descritti ritrovati e filmati con sguardo multiforme, dal mare al deserto ai vicoli. Fino alla sua tomba nella campagna algerina.


“Zad Moultaka” di Laila Kilani (Marocco)2004 52’
Ritratto di un singolare compositore e pittore, Zad Moultaka, cerniera di due mondi, quello mediorientale e quello europeo. Libanese e francese, fonda la sua esperienza artistica sulla coesistenza della scrittura musicale occidentale con l’oralità della tradizione araba al fine di superare le contingenze di entrambe per nuove esplorazioni della musica e della voce.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (7)

Panoramica sul Cinema Africano

“Al'lèèssi”, di Rahmatou Keïta (Niger) 2003 69’
Zalika Souley oggi vive nella periferia di Niamey con i suoi quattro figli, in una casa senz’acqua corrente né elettricità. Negli anni 60, agli esordi del cinema nigerino Zalika era una star del grande schermo. Il racconto della sua vita, del rapporto d’amicizia con i registi Moustapha Alassane et Oumarou Ganda, delle sue difficoltà a farsi accettare come attrice recitando anche i ruoli d’adultera e prostituta, è l’occasione di far rivivere i capolavori dei due grandi pionieri del cinema nigerino e di riflettere sulla situazione attuale del cinema in Africa e del ruolo della donna nella società moderna africana.


“Fama... bontoula bela magd”, di Dalila Ennadre (Marocco/Egitto) - 2004 - 52’
All’età di 15 anni Mé Fama decide di consacrare la propria vita a lottare per un Marocco libero e democratico. La sua storia si intreccia con quella di diverse generazioni femminili che hanno combattuto e combattono per i loro diritti e per quelli dei loro figli. Un viaggio ai quattro lati del Regno alla scoperta di una parte fondamentale della Storia del Marocco.


“Forgiveness”, di Ian Gabriel (Sudafrica) - 2004 - 112’
Tertius Coetzee, ex agente di polizia ai tempi dell’apartheid, si reca in un villaggio di pescatori dove vive la famiglia di Daniel, una delle sue vittime. Nonostante sia stato assolto dai crimini commessi, Coetzee è schiacciato dai sensi di colpa. Perdono, oblio, redenzione sono temi ormai ricorrenti nel cinema sudafricano. L’incontro con la famiglia sarà carico di grande tensione, la presenza di Coetzee fa riemergere un dolore insostenibile. Il film solleva interrogativi etici sul concetto cristiano del perdono cui non è facile trovare una risposta….

“Le grand voyage”, di Ismaël Ferroukhi (Marocco-Francia) - 2004 - 108’
Road movie che attraversa mezza Europa per arrivare fino alla Mecca. Il padre, immigrato in Europa da anni, chiede al figlio Reda di accompagnarlo.
Ogni mussulmano deve andare almeno una volta nella vita alla Mecca. Un viaggio interminabile di 5000 km in automobile. Tra i due non c’è mai stato dialogo, solo ostilità e indifferenza. Una distanza enorme li divide, culturale e generazionale. Per il figlio vive la dimensione più laica del viaggio, il padre quella più rigorosa del pellegrinaggio. Un percorso lungo e difficile che li obbligherà, per la prima volta, a guardarsi, a parlare ed a scoprire il sentimento profondo che li unisce.


“I love cinema”, di Ossama Fawzi (Egitto) - 2004 - 120’
Sulle orme di Nuovo cinema paradiso, un bimbo del Cairo appassionato di cinema deve lottare con il padre che considera il cinema come fonte di peccato. Anche a casa la situazione è critica, il padre, in piena crisi di esaltazione religiosa, rifiuta rapporti sessuali con la moglie. Lei, insegnante di disegno, ha dovuto abbandonare la sua professione. Riflessione
sulla lotta della religione contro l’arte in tutte le culture.. …in questo caso un po’ provocatoria perché il film viene da un paese mussulmano e parla d’integralismo cattolico.


“Le malentendu colonial”, di Jean-Marie Teno (Camerun) - 2004 - 75’
Il documentario, narrato in prima persona dal regista, è un viaggio attraverso la storia per far luce sulla complessa e problematica relazione tra la colonizzazione e le missioni europee nel continente africano. In particolare il regista esamina il lavoro svolto dalle missioni tedesche che dovevano portare in Africa il Cristianesimo, ma in realtà aiutarono il potere coloniale europeo a imporre la propria cultura e la propria legge.


“El Manara”, di Belkacem Hadjadj (Algeria) - 2004 - 90’
Asma, Fawzi e Ramdane sono legati da un’amicizia amorosa e conducono una vita spensierata.Ma gli eventi dell’ottobre 1988 e la conseguente ascesa dell'integralismo islamico sconvolgeranno le loro vite per sempre. Fawzi, giornalista indipendente di sinistra e Ramdane medico sensibile ai problemi della gente comune prenderanno due strade opposte, l’uno sogna un’Algeria democratica, l’altro si lascia coinvolgere dagli integralisti. El Manara, è un mausoleo sul mare dove si celebra ogni anno una festa tradizionale: un momento di gioia e serenità destinato a diventare un lontano ricordo.

“Moolaadé”, di Sembène Ousmane (Senegal) - 2004 - 117’
Collé GalloArdo Sy è l’unica nel villaggio a non aver mai escisso la figlia. (L’escissione è una mutilazione del sesso femminile, un rituale tradizionale che praticano solo alcune etnie africane). Un giorno sette bambine si rifugiano a casa sua chiedendo protezione (Moolaadé): non vogliono essere escisse. Collé tende una corda all’entrata della sua corte. Nessuno potrà entrare. Il villaggio è in subbuglio. Le anziane, le madri delle bambine, il marito, il capo villaggio, tutti sono contro Collé. Lei cerca in ogni modo di resistere e far valere le proprie ragioni.


“Nadia et Sarra”, di Moufida Tlatli (Tunisia) - 2004 - 91’
Nadia ha 45 anni e insegna all’università di Tunisi. Ha una bella casa, un marito e una figlia di 18 anni, Sarra. Eppure Nadia si scopre terribilmente infelice. Non riesce a comunicare. Si sente trascurata dal marito, sempre più assente, non considerata dalla figlia che vive in segreto la sua vita privata. Soffre di scalmane e accelerazioni del ritmo cardiaco. La diagnosi del medico è scontata: i sintomi sono quelli della menopausa. E intanto lo stato psicologico della donna si deteriora sempre più….


“Ouaga Saga”, di Dani Kouyaté (Burkina Faso) - 2004 - 90’
Vivacissimo ritratto dei giovani di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso.
I loro sogni, gli eroi del cinema americano da imitare nella città del cinema africano, la piccola criminalità, le mille peripezie per cavarsela in un paese senza futuro. In quest’universo drammatico, il regista mantiene un tono comico e leggero, fa appello a tutti gli elementi possibili (anche effetti speciali) per dare un carattere fantastico e popolare al racconto della sua gente e reagisce all’afro-pessimismo esaltandola follia, il dinamismo, la gioia di vivere di una città in cui regna la legge del Sistème D ossia “se Debrouiller” (cavarsela).


“Le plafond de verre”, di Yamina Benguigui (Algeria) - 2004 - 52’
A Tunisi, per le strade, al mercato, nella casa di Tahar Cheriaa conversando a proposito del cinema africano e dei suoi 40 anni, anche in compagnia delle parole, del volto, delle immagini di Pierre Haffner che riaffiorano dalla memoria. Una conversazione amorosa per un viaggio non archeologico nel cinema africano.


“Safi, la petite mére”, di Raso Ganemtore (Burkina Faso) 2004 30’
La madre di Safi muore dando alla luce un maschietto. Le superstizioni degli abitanti del Burkina Faso riaffiorano a scongiurare la cattiva sorte.
Per salvargli la vita, Safi deve fuggire con il neonato.


“Sometimes in April”, di Raoul Peck (Haiti-Ruanda) 2005
Un film coraggioso che affronta una delle pagine più dolorose della storia contemporanea: la guerra tra tutsi e hutu. La storia del genocidio è raccontata attraverso il destino di una famiglia, due fratelli hutu: Augustin che ha disertato le milizie assassine e Honoré che si è macchiato di gravi reati.
Per cercare di mettere in salvo la moglie tutsi e i figli, Augustin è arrestato e perde le tracce dei suoi cari. Dieci anni più tardi ricomincia una nuova vita con Martine. Insieme a lei si reca al processo del fratello Honoré che deve rispondere dei suoi crimini di fronte alla Truth and Reconciliation commission dell’Onu.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (6)

GIURIE
Giuria Ufficiale – Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo

Wole Soyinka -scrittore-Nigeria - presidente
Luciana Castellina -Presidente Europa Cinema- Italia
Pierre Alain Meier - produttore - Svizzera
Bina Paul-direttore Kerala International Film Festival-India
Jean Rabinovici -Semaine de la critique Cannes -Francia

Giuria Ufficiale Concorso Cortometraggi africani
Amedeo D’Adamo -regista e sceneggiatore- USA -presidente
Jacques Curtil -Festival du Court Métrage de Clermont Ferrand -Francia
Gaylene Gould –direttore del progetto Black World -UK

Giuria Ufficiale Concorso Documentari Finestre sul Mondo e
Concorso Documentari Africani

PREMI UFFICIALI
Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo

1° Premio COE - 10.000 Euro
2° Premio CEI - 5.000 Euro
3° Premio Provincia di Milano - 3.500 Euro


Concorso Documentari Finestre sul Mondo
1° Premio Ministero per i Beni e le Attività Culturali - 5000 Euro
2° Premio FNAC - 3000 Euro


Concorso Documentari Africani
1° Premio Ministero Affari Esteri - 3.000 Euro
2° Premio Regione Lombardia - 2.000 Euro

PREMI SPECIALI
Premio “Città di Milano” del Comune di Milano al lungometraggio più votato dal pubblico

5.000 euro
Il pubblico è invitato a votare i lungometraggi del Concorso Finestre sul Mondo, esprimendo il proprio giudizio su apposite cartoline distribuite all’entrata delle sale cinematografiche.

Premio CEM-Mondialità/COE al Miglior Cortometraggio
Il premio, che sarà assegnato da una Giuria composta da studenti delle Medie superiori e dell’Università, consiste nell'acquisizione dei diritti di distribuzione home-video in Italia.


Premio SIGNIS (OCIC e UNDA)
Premio CINIT- CIEMME
Il premio consiste nell'acquisizione dei diritti di distribuzione home-video in Italia di un cortometraggio africano.


Premio "Città di Venezia"
Il premio consiste nell’invito (viaggio e soggiorno) alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia a un regista o critico cinematografico proveniente dall’Africa, Asia e America Latina


Premio WEEC
L’Associazione Internazionale WEEC (World Environmental Education Congress) conferisce un Premio di 1.000 euro al film il cui contenuto evochi la complessità del rapporto che sempre e ovunque lega l’uomo al suo ambiente inteso nelle sue componenti naturali, sociali e culturali.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (5)

Un pensiero di Wole Soynka

Il primo ottobre del 2001, commentando l’attentato alle Due Torri di New York, ha così scritto su “Repubblica”:

Durante una conferenza promossa a Praga da Vaclav Havel tre anni fa per contemplare il nuovo secolo, misi in guardia dai pericoli del fanatismo religioso, da quelli che hanno "rivelazioni esclusive" che cercano di applicare universalmente, da "questo altro furioso, intollerante, apocalittico che preferirebbe annientare il mondo piuttosto che condividerne il potenziale". Avevo in mente alcuni esempi di fanatismo. Pensavo, ad esempio, a quegli indù radicali dell'Uttar Pradesh, in India, che avevano raso al suolo una moschea perché credevano fosse stata eretta nel punto in cui (il venerato dio indù) Rama si era seduto in un lontano momento preistorico. Pensavo a quell'uomo che aveva commesso una serie di omicidi lungo la costa orientale degli Stati Uniti e le cui vittime erano dei medici favorevoli al cosiddetto "diritto di scelta" che praticavano aborti.
Quest' uomo si considerava una sorta di dio che poteva decidere il destino degli altri, in quanto depositario di una particolare rivelazione. Pensavo a quel medico ebreo, in Israele, che aveva falciato i fedeli nella loro moschea. Pensavo a quei fanatici sciiti che avevano massacrato centinaia di sunniti recatisi alla Mecca per l'haj, il pellegrinaggio. Ed erano "fratelli nella fede". In breve, pensavo a quella vena di follia fondamentalista presente in tutte le religioni - cristiana, ebrea, musulmana e indù.
Ritengo che questi fanatici non siano diversi da quegli individui illusi che hanno commesso le atrocità di New York e Washington, convinti che sarebbero andati in paradiso. I crimini commessi da queste persone differiscono solo nelle dimensioni. C'è dunque uno strato della popolazione che crede che la passione religiosa debba spazzare via qualsiasi considerazione per il resto dell'umanità. Essi credono di aver ricevuto da Dio il diritto di giudicare e distruggere. L'irragionevolezza - che di questo si tratta - è una pericolosissima mancanza di umanità e ci minaccia tutti dovunque siamo
.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (4)

Biografia di Wole Soynka

Nato nel 1934 ad Abeokuta in Nigeria, Wole Soyinka è uno dei più grandi drammaturghi africani.
Nel corso della sua adolescenza quest'eclettico autore di opere teatrali, romanzi e saggi letterari, entra in contatto sia con la cultura europea e sia con le tradizioni locali.
Cresciuto presso la missione anglicana di Aké, riceve un'educazione cristiana. Suo padre è preside della locale scuola elementare, dove l'inglese è insegnato come la lingua ufficiale.
Le influenze culturali dei colonizzatori sono però bilanciate dalle frequenti visite al villaggio di origine del padre: Isarà, una piccola comunità Yoruba dove Soyinka impara a conoscere le tradizioni e i miti della sua etnia di origine.
All'età di dodici anni lascia Aké per Ibadan dove rimane fino ai primi anni dell'università. In quegli anni assiste alla nascita del movimento di protesta che nella decade successiva porterà la Nigeria all'indipendenza.
Periodo che Soyinka descrive nel libro “The Penkelemes Years, A Memoir: 1946-1965”, una delle sue molte opere autobiografiche.
La sua passione incomincia a focalizzarsi intorno al teatro. Nel 1954 si reca in Inghilterra per seguire un corso in drammaturgia presso l'Università di Leeds. Vi rimarrà per 7 anni.
Completati gli studi a Leeds, nel 1957 l'apprendistato teatrale di Soyinka continua a Londra presso il Royal Court Theatre, dove lavora come sceneggiatore, interprete e regista.
Vengono realizzate le prime opere: “The Swamp Dwellers” e “The Lion and the Jewel”.
Nel 1960 un assegno di ricerca della fondazione Rockfeller permette a Soyinka, ora ventiseienne, di tornare stabilmente in Nigeria dove fonda una sua compagnia teatrale e produce una nuova commedia “A Dance of the Forests”. La presentazione dell'opera, nell'ottobre 1960, coincide con l'avvio dei festeggiamenti ufficiali per l'Indipendenza della Nigeria dalla Gran Bretagna.
Quest'opera stilisticamente rappresenta una complessa fusione tra le tradizioni e il folklore degli Yoruba e le avanguardie artistiche europee.
Tematicamente si tratta di una sarcastica denuncia dell'endemica disonestà e corruzione dei governi locali, inalterata nel passaggio dal regime coloniale all'indipendenza.
”A dance of the Forest” attira naturalmente su Soyinka l'ira del governo, accusato di corruzione. Ma anche molti intellettuali nigeriani non risparmiano critiche: i marxisti si lamentano del carattere elitario dell'opera mentre i puristi attaccano l'uso di tecniche e stili europei.
Queste critiche falliscono nell'apprezzare l'originalità del tentativo di Soyinka di emancipare la cultura africana dal passato coloniale tramite la riformulazione dei miti tradizionali, adattati alla realtà contemporanea senza rigettare acriticamente gli influssi culturali europei.
Negli anni successivi Soyinka si dedica con inventiva ed energia al compito di contribuire a definire l'identità della nuova Nigeria indipendente, un paese di 115 milioni di abitanti suddivisi in oltre 400 etnie diverse.
Tre le opere di questo periodo ricordiamo la commedia “The Trials of Brother Jero” su ciarlatani e mistificatori religiosi, i drammi a sfondo politico “The Road”, “The Strong Breed”, “Kongi's Harvest” e il racconto “The Interpreters” (1965), un complicato intreccio narrativo, che, per stile, viene paragonato a Joyce e a Faulkner, in cui sei intellettuali nigeriani discutono e commentano la situazione africana.
Nel 1965 Soynka sconta un breve periodo di detenzione per le sue attività politiche. E nel 1967 le autorità lo accusano di simpatizzare con i movimenti secessionisti del nord. Viene quindi arrestato e stavolta imprigionato per 22 mesi, fino al 1969. Nel 1972 racconterà, in “The Man Died” gli anni della prigionia.
Dopo la sua liberazione Soynka lascia volontariamente il paese e attraversa un nuovo periodo di forte creatività. Pubblica il libro di poesia “A Shuttle in the Crypt” (1972), diversi saggi come “Myth, Literature and the African World” (1976) sulle tradizioni africane, e i drammi “Madmen and Specialists” (1970) e “Death and the King's Horseman” (1975).
Contemporaneamente assiste al declino della Nigeria verso la dittatura che culmina nel 1995 quando il regime del generale Sani Abacha mette a morte per le sue opinioni politiche Ken Saro-Wiwa, scrittore e drammaturgo amico di Soyinka.
Lo stesso Soyinka, in salvo all'estero, viene condannato alla pena capitale per tradimento, condanna poi abbandonata nel 1998 dopo la caduta di Abacha.
Nel 1986 viene conferito a Soyinka il premio Nobel per la sua ricca attività letteraria. Il comunicato della Fondazione per il Nobel cita “Death and the King's Horseman”, come esempio dell'uso letterario inedito dei miti e riti africani.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (3)

Annamaria Gallone

Quella dello scorso anno era una scommessa. Siamo felici di poter dire che l’abbiamo vinta.
Il grande successo del Concorso lungometraggi ”Finestre sul mondo” ha confermato l’importanza di aprire i confini del festival ad Africa, Asia e America Latina e di valorizzare nel Concorso i nuovi talenti, i registi emergenti dei tre continenti.
Sull’onda di questo successo abbiamo voluto aggiungere un’altra sezione aperta ai tre continenti, il Concorso documentari “Finestre sul mondo”.
Questa la grande novità della XV edizione. Desideriamo sottolineare il nuovo importante spazio che il film documentario sta conquistando nell’ambito della distribuzione commerciale e il forte impatto sul pubblico di questo "genere” a lungo ignorato e sottovalutato, soprattutto nel nostro Paese.
Da sempre il festival si è proposto di mostrare una realtà “dal di dentro” e la realtà di oggi ha più che mai bisogno di essere raccontata da protagonisti e testimoni diretti.
Una realtà dolorosa e tormentata, come è spesso lo scenario del quotidiano di ciascuno dei registi che ospitiamo al festival. Una realtà che ci è narrata anche negli aspetti più intimi e più poetici, con una varietà di stili che è il frutto di un’accurata selezione.
L’Africa, però, continua ad essere la grande protagonista, secondo la vocazione delle origini del nostro festival.
E quest’anno il focus della Retrospettiva si è diretto verso il boom della produzione home video dell’Africa anglofona, dalla Nigeria al Kenia, un fenomeno senza precedenti chiamato Nollywood e considerato provocatoriamente “il primo cinema veramente africano”, perché l’unico ad alto gradimento popolare e completamente prodotto con capitali africani.
Una produzione di film di cassetta, marginale sotto il profilo artistico, ma unica per l’energia e l’autenticità delle sue storie, così lontane dagli stereotipi cari al pubblico europeo.
Un universo tutto da scoprire, che avrà un testimonial d’eccezione: il premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka
.


Special per il XV Festival del Cinema Africano (2)

Alessandra Speciale

Gli obiettivi specifici del festival possono essere così sintetizzati:
- approfondire la conoscenza dei temi e dei linguaggi delle cinematografie meno conosciute e mettere in evidenza le potenzialità della creatività artistica dei tre continenti
- veicolare un’immagine dell’attualità e della cultura d’Africa, Asia e America Latina, attraverso il punto di vista dei registi locali
- proporre un’alternativa concreta alla cultura e all’informazione corrente dei mass media in rapporto al Sud del Mondo.
- dare un’opportunità ai registi di entrare in contatto con le istituzioni europee di produzione e distribuzione cinematografica
- stimolare uno scambio culturale tra gli artisti, il pubblico, i giornalisti e i professionisti del settore degli audiovisivi.
- favorire relazioni di scambio tra le istituzioni, i festival, gli organismi europei impegnati nella promozione della cinematografia africana
- creare un luogo di riflessione annuale sulle nuove tendenze e prospettive del cinema d’Africa, Asia e America Latina
- offrire alle comunità straniere in Italia un’opportunità d’incontro con la propria cultura d’origine
- sollecitare nelle scuole l’introduzione degli audiovisivi come strumenti didattici per l’educazione all’immagine e per l’approccio interculturale.

I motivi di quest’apertura del festival agli altri continenti del Sud del mondo sono molteplici. Innanzi tutto la richiesta degli stessi registi africani di partecipare ad una competizione che non si limiti al cinema africano ma che apra le porte ad un confronto con altre cinematografie. Si moltiplicano gli sguardi sulle cinematografie più nascoste per un ulteriore arricchimento del dialogo multiculturale. Si crea in questo mondo anche la possibilità di invitare al festival registi dei tre continenti per uno
scambio con i professionisti d’Italia e d’Europa. Nonché l’opportunità di stimolare coproduzioni Sud-Sud. Con il coinvolgimento delle realtà cinematografiche d’Asia e d’America Latina si ambisce, infatti, a dare un nuovo impulso al cinema africano sia in termini di sviluppo economico della
produzione che dell’inserimento dei professionisti africani nel settore culturale e cinematografico internazionale.
Due parole sul contesto italiano. Da noi esistono ancora gravi ritardi e carenze d’informazione, d’accesso e di cooperazione con le realtà culturali e cinematografiche dei paesi del Sud del mondo. Al contempo il fenomeno dell’immigrazione ha subito negli ultimi dieci anni un aumento considerevole. In queste condizioni esiste il rischio di un’omologazione dell’offerta culturale e di una perdita totale d’interesse nei confronti delle culture dei paesi in via di sviluppo. La distribuzione cinematografica alternativa attraverso i festival e le rassegne rimane l’unica possibilità
di dare risalto e valore alle opere cinematografiche provenienti dai Paesi del Sud del mondo. Le potenzialità di pubblico sono molto alte. L’interesse nei confronti di un’offerta alternativa e concreta alla cultura e all’informazione corrente al cinema e nei mass media è sempre vivo e pronto
a rinnovarsi dinanzi a proposte culturali di qualità.
Il Festival del cinema africano ha potuto contare su un pubblico di affectionnés” che è aumentato ogni anno. Un pubblico che ha seguito in questi anni l’evoluzione della cinematografia africana e che si è anche appassionato al cinema degli altri continenti grazie alla sezione Finestre sul mondo.
Voglio aggiungere ancora una cosa: il festival non si rivolge solo al pubblico di Milano, ma un pacchetto di film del festival è fatto circuitare anche in altre città italiane


Special per il XV Festival del Cinema Africano (1)

Torna a Milano, per il quindicesimo anno consecutivo, il http://www.festivalcinemaafricano.org, Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina. Ieri la giornata inaugurale. Si proseguirà con le proiezioni, le tavole rotonde, gli incontri con i giornalisti, fino a domenica 20.
La direzione artistica è affidata a Annamaria Gallone e Alessandra Speciale.
Nel corso di una conferenza stampa, allestita dall’ufficio stampa guidato da Lorena Borghi, sono state anticipate le linee guida della manifestazione e illustrato il programma che s’articola in più sezioni.
Per saperne di più su questa manifestazione, Cosmotaxi ha invitato a bordo le due nocchiere di questo vascello di celluloide. A loro la parola. Subito dopo la pubblicità.


8 Marzo: mimose in cosmotaxi


Virginia Woolf:

Per tutti questi secoli le donne hanno svolto la funzione di specchi, dotati della magica proprietà di riflettere la figura dell’uomo a grandezza doppia del naturale.



8 Marzo: è qui la festa?


Poiché il conducente di Cosmotaxi 100 ne pensa e 1 ne fa, gli è venuta voglia di fare per oggi un mini special in occasione della Festa delle Donne.
Tante sono le testate che non leggo, tra queste ne spiccano tre: Liberal, Liberazione e Libero. Mai mi pento di questa mia scelta. Però, può capitare. Ed ecco, infatti, che avrei perso un ottimo intervento di Raniero La Valle su ‘Liberazione’ di pochi giorni fa, se un amico non me l’avesse segnalato (grazie, Giancarlo!).
Ne trascrivo una parte perché mi sembra un buon avvìo per questo piccolo special.
Si dirà: ma come, vuoi parlare della Festa delle Donne e parti con il brano scritto da un uomo? Non abbiate fretta. Vedrete, ho le mie ragioni, e con la data c’entrano.
E poi, subito dopo, di donne, come accadeva a Gastone, ce ne saranno a profusione.
L'8 marzo, dovrà essere approvata la nuova Costituzione, per volere della maggioranza, senza alcun emendamento, nell'identico testo trasmesso dalla Camera. Poi ci vorranno tre mesi per la seconda lettura, e già l'8 giugno la nuova Costituzione, interamente riscritta nella seconda parte e di fatto svuotata e lasciata sguarnita nella prima, potrebbe essere varata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale […]
8 marzo: mi sembra uno sfregio che alle donne, per la loro festa, si regali proprio la demolizione della Costituzione del '47, che in Italia è stata l'inizio anche della loro libertà, della orgogliosa possibilità di esercizio della loro differenza. I nuovi poteri sono disegnati come "maschi", nella solita loro pretesa di onnipotenza, insindacabilità e impunibilità; come tali patetici, anche se assai pericolosi. Ma qui le donne hanno qualcosa da difendere non solo per loro, ma per tutti […] Sommessamente propongo alle donne, ai loro movimenti, e anche agli uomini con loro solidali, che quest'anno la festa delle donne si trasformi in una grande manifestazione di volontà politica e di impegno militante per salvare la Costituzione.


Donna di parola


Mae West:

Tra due mali scelgo sempre quello che non ho mai provato prima.


8 Marzo: ma quando arrivano le ragazze?


Gli interventi che seguono, pur tutti originati dalla data nella quale ricorre la Festa delle Donne, non hanno un tema unico. Procedono con voluto disordine.
Dimmi cosa l’8 marzo ti fa pensare… è lo spunto che raccoglie quanto segue.



Donna di parola


Zsa Zsa Gabor:

Il problema di molte donne è che si emozionano per un nonnulla. E poi lo sposano.


8 Marzo: Maria Mantello


Serratamente politico è quanto ha inviato Maria Mantello. E’ Presidentessa della Sez. romana dell’ Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" e in occasione della Festa delle Donne, ha organizzato per oggi un pubblico dibattito a Roma (ore 17.30, presso l’Endas, Via Aldo Manuzio, 91) sulla legge che regolamenta la fecondazione assistita.
Con l’entrata in vigore della legge sulla fecondazione assistita siamo tutti meno liberi come cittadini, e come donne in particolare. Con questa legge lo Stato italiano è meno laico, perché impone per legge principi morali propugnati dal confessionalismo del clero.
Una legge oscurantista, dove è bastato attribuire all’ovulo fecondato lo status giuridico di “nascituro” (così come la Chiesa romana predica), sia per vietare ogni possibilità di ricerca scientifica sugli zigoti, sia per riportare in un futuro non troppo lontano le donne a dover accettare la maternità come condanna. Vediamo di riflettere su queste due questioni.
Come noto dai gameti umani possono avere origine tutte le altre cellule che compongono un individuo umano, e per questo il loro uso medico potrebbe essere vitale per la cura dei malati di Alzheimer, di Parkinson, di sclerosi laterale amiotrofica, di tumore, e di molte altre malattie. Ma ogni speranza di sperimentazione scientifica in tal senso è definitivamente sepolta. I gameti sono stati sacralizzati per legge, e visto che sono soggetti giuridici, si potrà anche arrivare a chiedere per loro un giudice tutelare a garanzia del loro sviluppo. Forse potranno rivendicare anche l’eredità dai futuri-ipotetici-virtuali genitori. Chissà?
Ma torniamo alla ricerca scientifica. Quotidianamente interveniamo su tutte le altre strutture cellulari umane, anche con una semplice aspirina. E nessuno si scandalizza per il fatto che qualche cellula del corpo umano muoia o venga “manomessa” a seguito di terapie chemioterapiche, ad esempio, o per interventi chirurgici. Anzi cerchiamo e vogliamo l’intervento medico perché è in gioco la nostra salute o addirittura la nostra vita.
Nessuno è stato mai rassegnato di fronte alla malattia.
Neppure gli stessi ecclesiastici, sebbene credano che il mondo ed ogni evento nel mondo, malattie comprese, è il prodotto dalla superiore volontà del loro Dio Unico e Rivelato
.


Donna di parola


Erica Jong:

Attente all’uomo che inneggia alla liberazione della donna: sta pensando di lasciare il lavoro.


8 Marzo: Marina Mariani


C’è chi ricorda, nell’occasione della Festa delle Donne, una presenza femminile che fa capolino fra le nuvole della memoria della propria adolescenza. E’ il caso della scrittrice
e autrice radiofonica Marina Mariani che qui fa volare ciprie del tempo.

Si chiamava Laura Cotogni, insegnava lettere al ‘Regio Liceo Ginnasio Giulio Cesare’, a Roma, intorno al 1940. Era considerata severa, esigente, rigida; ma non pretendeva né ostentava austera ritualità nella cerimonia del saluto romano che dovevamo ripetere ogni mattina, entrando in classe. Alla presentazione dell’ ‘Infinito’ di Leopardi dedicò un’intera lezione, comunicandomi un’emozione che mi è rimasta nell’anima, e mi accompagna.
Quando, alla fine degli Anni Cinquanta, la cercai per mostrarle alcune mie poesie, mi disse, ricordo: “Brava! Lavori alla Rai, ma non ti sei rovinata.”
Morì pochi anni dopo, in un incidente automobilistico per le strade di Roma
.



Donna di parola


Mina:

Essere immortale non m’interessa. Preferisco invecchiare.



8 Marzo: Giulia Niccolai


Giulia Niccolai, una delle protagoniste della scena poetica italiana, è, più o meno segretamente, orgogliosa dell’anagramma del suo nome: "gioia luci lanci", forse perché le ricorda lo spiritualismo buddista di cui è praticante. Famosa per i suoi frisbees, ricchi di sense of humor e sapienza linguistica.

Voleva essere un frisbee sull'8 marzo ma non mi viene in mente nulla di spiritoso perché stiamo vivendo tutti - donne e uomini - un periodo mostruoso.


Donna di parola


Epitaffio voluto sulla propria tomba da Dorothy Parker:

Scusate la polvere


8 Marzo: Maria Turchetto


Maria Turchetto, epistemologa, è docente all’Università di Venezia. Dirige il bimestrale “L’Ateo”, dispone di un sito web personale dove, vista la data odierna, vi consiglio di leggere una recensione di grande umorismo a un libro che raccoglie il pensiero di Giovanni Paolo II: “Il Papa alle donne”, titolo: ‘Donne di servizio’.

Attente, ragazze: tira una brutta aria. Li sentite, tutti questi maschi che disquisiscono di ostetricia e ginecologia - alti prelati, anziani accademici, quotati opinionisti? Tutta gente a cui non chiederei nemmeno come si infila correttamente un preservativo, figuriamoci! Ma tant'è: ultimamente non parlan d'altro che di ovuli, ovociti, morule, embrioni. Oddio, fanno discorsi piuttosto oziosi su queste cellule o agglomerati di cellule: sono persone? o magari sono "come persone"? hanno l'anima? sono omini e donnine "in potenza"? Scempiaggini, certo. Ma non fate spallucce, ragazze. State in campana: è con noi che ce l'hanno. Soprattutto, ragazze, attente ai preti! Buon otto marzo e non abbassate la guardia.


Donna di parola


Emily Dickinson:

Che l’amore è tutto, è tutto ciò che noi tutti, donne e uomini, sappiamo dell’amore.


8 Marzo: Nicoletta Vallorani


Nicoletta Vallorani, scrittrice (il suo più recente successo è “Visto dal Cielo”, Einaudi) è anche docente universitaria a Milano. Mi disse una volta di considerarsi “pasticciona e alchimista”. Qui forse è alchimista. Pasticciona, per niente.

8 marzo: una giornata all'anno per l'altra metà del cielo, quella che non troppo spesso ci si ricorda di guardare, ma che è lì, sempre e da sempre, a fare quello che dev'esser fatto.
E: 8 marzo per ricordarsi che si è persone intere prima che uomini o donne. E le persone hanno bisogno di considerazione, non di sentirsi invisibili.
Infine: 8 marzo, quest'anno, per Giuliana Sgrena e per le donne (e le persone) come lei. Perchè continuino ad avere coraggio abbastanza da fare quello che fanno.
E perchè tornino, dopo. E tornino vive/i
.


Kevorkian e Vonnegut uniti nella lotta


Tra i meriti che ha la casa editrice Elèuthera c’è quello d’avere in catalogo ben sei titoli di Kurt Vonnegut, un autore che molto mi piace. E piace a tanti.
Mi sta simpatico anche perché – dopo la morte di Asimov - è diventato il capo degli “umanisti” cioè degli atei americani. Perché infatti in Longman, Dictionary of English Language and Culture, così si legge: "Humanism 1. a system of belief and standards concerned with the needs of people, and not with religious ideas; 2. the study in the Renaissance of the ideas of the ancient Greeks and Romans"
Come si può notare, per gli anglosassoni il primo significato di "humanist" è ateo, wow!
E poi di Vonnegut amo la sua scrittura, il suo stile robusto e veloce che ne fa un bomber – si direbbe nel calcio – della pagina; ed è l’unico che riesce a farmi sopportare il luddismo altrimenti da me amato quanto amo Pannella, cioè pochissimo. Amo i contenuti corrosivi che usa partendo dai territori della fantascienza per approdare a cose che riguardano assai il nostro pianeta come sta messo oggi. E, si sa, sta messo molto male. Diventato com’è (ma lo è stato anche nei secoli passati, e ci sono ragionate speranze che lo sia anche in futuro) un grande Mattatoio.
Strana fantascienza quella di Kurt. Che ha estimatori numerosissimi, fra i quali s’annovera anche un certo Philip K. Dick il quale dichiarò che non leggeva mai fantascienza, con l'unica eccezione di Vonnegut.
Una vera chicca è “Dio la benedica dott. Kevorkian”, tradotto da Vincenzo Mantovani, che figura nel catalogo – breve ma luminoso – della casa di cui dicevo in apertura: Elèuthera.
Kevorkian è più noto alle cronache come “Dottor Morte” perché è l’inventore di una macchina per l’eutanasia. A proposito, per chi non lo sapesse anche in Italia abbiamo un’Associazione – cui sono iscritto… e ti pareva di no? – che si batte per favorire l’ingresso nella nostra legislazione dell’eutanasia. Ha un nome un po’ buffo ma efficace: Exit, che mi pare suoni come a dire: la buona uscita.
Vonnegut in questo librino, si finge inviato della radio WNYC ad intervistare morti famosi e meno famosi, tanto che nei brevi racconti ricorre il suo saluto – evidentemente noto agli ascoltatori – “Qui Kurt Vonnegut, che vi saluta dalla cella per le iniezioni letali del carcere di Huntsville, nel Texas”. Umorismo nero, invettiva sorniona, apòstrofe morale, confluiscono in pagine divertenti e orripilanti che riecheggiano quella frase che tanto spesso ricorre nel suo Mattatoio: “Così va la vita”.
Il libro cui ho accennato non è recente, è stato pubblicato nel novembre del 2000, ma Elèuthera l’ha ancora in catalogo. Interessa l’articolo?

Kurt Vonnegut, “Dio la benedica dott. Kevorkian”
78 pagine, 5:16 euro, Elèuthera Editrice


Kerouac in viaggio. Nel jazz.


Tempo fa ho visto, esposto a Roma, quel lungo rotolo di carta da telescrivente sul quale nel 1951 Jack Kerouac (Lowell, Massachuttes 1922 – St. Petersburg, Florida 1969) scrisse "Sulla strada": 40 metri con sopra scritte 125 mila parole, il suo capolavoro che è uno dei testi-manifesto della beat generation.
Una sorta di lungo assolo d’inchiostro che non voleva pause neppure per cambiare i fogli nel rullo della macchina per scrivere.
Non deve sorprendere, una volta Kerouac disse: “Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session d'una domenica pomeriggio”.
E del jazz Jack era appassionato, e, aldilà di metafore sul suo stile, ne fu anche scrittore ardente e critico insolente.
Dobbiamo alla casa editrice nuorese il Maestrale la raccolta in un prezioso librino di scritti di Kerouac, scritti che a quella musica si riferiscono direttamente: “L’ultima parola”, sottotitolo: ‘In viaggio. Nel jazz’.
A tradurlo è Alberto Masala, sardo nomade e artista ribelle. Chi ne volesse sapere di più su di lui, legga “Geometrie di libertà”, editrice Zona, dove espone la sua concezione dell’arte rispondendo a domande di Luca Panzavolta e di Antonio Barocci, due colloqui svolti a dieci anni di distanza l’uno dall’altro.
Molti degli scritti contenuti in “L’ultima parola” sono tradotti per la prima volta in Italia e sono un importante contributo alla conoscenza dello scrittore americano.
Scrive il musicista Paolo Fresu in post-fazione: Questa raccolta di scritti sul jazz (e non solo) aggiunge un tassello imponente alla storia di un’epoca dove il jazz, negli Stati Uniti, padroneggiava con il suo linguaggio rivoluzionario a cavallo degli anni Quaranta e Cinquanta. Pur trattandosi di scritti giovanili e nonostante siano semplici cronache di concerti o puntigliose critiche discografiche pubblicate in riviste specializzate, tali testi mostrano la straordinaria capacità di Kerouac nel cogliere la realtà (repentinamente flessa verso l’irreale) con un linguaggio aspro e veloce, vero ma allo stesso tempo volutamente distorto.

Jack Kerouac, “L’ultima parola”, 158 pagine, 10:00 euro, Edizioni Il Maestrale


Nato da Barbara


Fino al 9 aprile, alla Galleria d’arte Mascherino di Roma (Via del Mascherino 24, orari: 16.30 – 19. 30, escluso lunedì e festivi), espone Nato Frascà.
Nato Frascà – come scrive Barbara Martusciello, curatrice della mostra – è un protagonista tra i più significativi dell'arte contemporanea che negli anni Sessanta ha avuto a Roma un centro attivissimo della sperimentazione e del dibattuto culturale. L'estrema attualità del lavoro sperimentale di questa generazione si pone come imprescindibile radice visiva e culturale di fondamentale importanza per molte tendenze dell'arte di oggi. In questo decennio si è distinto un ampio nucleo di artisti che, volendosi allontanare dall’Informale, ha rinnovato i codici della pittura sia orientandosi verso l’immagine di tipo oggettuale (in questo ambito la Galleria Mascherino di recente ha proposto le esposizioni di Mario Schifano e di Renato Mambor), sia scegliendo l' ’aniconismo’, lavorando a un'essenzializzazione massima della forma con precise proposte di carattere costruttivo, ottico-percettivo e con un'attenzione diversamente praticata per le teorie gestaltiche. Di questa seconda area di ricerca fa parte Nato Frascà con il Gruppo 1, aggregazione di artisti fondata a Roma nell'ottobre del 1962 dallo stesso Frascà e da Gastone Biggi, Achille Pace, Pasquale (Ninì) Santoro, Giuseppe Uncini, ai quali si unirà subito (1963) Nicola Carrino.
La mostra espone il lavoro di Nato Frascà dal 1962 al 1967, breve ma intenso periodo dell'attività del Gruppo 1, analizzandolo per la prima volta in forma antologica e singolarmente poiché, per statuto, i componenti del gruppo, finché esso ha operato, hanno esposto solo in collettivo. La mostra vuole dunque proporsi come un approfondimento di questo periodo dell'artista che comprende anche la realizzazione di “Kappa”, esperimento filmico girato nel 1965 e ancora oggi innovativo, che si pone tra i più interessanti esempi di cinema d'avanguardia di quegli anni. Nel film, caratterizzato anche dalla presenza di attrici professioniste quali Dina Sassoli e Mariella Lotti, recita come attore protagonista il pittore Fabrizio Clerici che Frascà fa parlare fuori sincrono, ingegnoso effetto straniante largamente adoperato nel film
.
E , aggiungo io, abusato da Enrico Ghezzi nelle sue presentazioni tv. Ghezzi, al quale – va doverosamente detto – tanto dobbiamo per quanto valorosamente ha fatto e fa in televisione (ma anche in festival e rassegne da lui organizzati) per il cinema.
Solo che, se non si chiede troppo, gradiremmo in tanti un po’ di fuori sincrono in meno avendone già abbondantemente goduto.


Viaggio nella Multimedialità


Multimedialità, ecco un termine che ha avuto tanto successo da provocarne un uso spesso dissennato. Ben venga chi di quella parola ne rintracci i significati autentici e le vere proiezioni espressive. Benvenuto, quindi, a Lorenzo Taiuti che in “Multimedialità. L’incrocio dei linguaggi comunicativi”, indaga l’essenza e le implicazioni di quel termine nell’area della comunicazione e dell’arte.
La pubblicazione si deve a Meltemi, casa editrice diventata una protagonista della scena editoriale italiana con l’attenta proposta di saggi specialistici sui campi della sociologia, antropologia, semiologia, comunicazione, arti elettroniche. Saggi tutti tenuti sul filo di una linea editoriale che, pur rivolgendosi agli specialisti, richiede agli autori di usare esposizioni delle materie con tecnica di scrittura che non escluda i cosiddetti "non addetti ai lavori". A proposito, fanno bene la Meltemi e i suoi autori a fare così perché spesso i "non addetti" - oltre ad essere ovviamente numerosi - si rivelano più "addetti" di quanto si pensi.
Taiuti, insegna Mass Media presso l’Accademia di Belle Arti di Milano e storia dell’Arte Contemporanea alla Facoltà d’Architettura dell’Università “La Sapienza” di Roma.
E’ autore di video, installazioni audiovisive, websites; collabora con musicisti sperimentali, musei, gallerie d’arte. Prima di “Multimedialità”, ha pubblicato: “Arte e Media. Avanguardie e Comunicazioni di Massa” (Costa & Nolan, 1996) e “Corpi sognanti. L’Arte nell’epoca delle tecnologie digitali” (Feltrinelli, 2001).
Questo suo più recente titolo, è per gli addetti ai lavori - e, come prima dicevo, anche non strettamente addetti - un libro necessario per le riflessioni che contiene, i tracciati futuribili che proietta, la documentazione che offre. Ed è volume utilissimo anche, ad esempio, per quanti nella famiglia, nella scuola si trovano a contatto con i ragazzi e ad essere da loro spiazzati (il libro s’avvale pure di un quanto mai opportuno glossario) su molte cose di cui quelli sono ghiotti (videogames, cinema d’animazione, technosuoni, videoclip), ne parlano e ne vorrebbero sapere sempre di più. Non trovando spesso risposte perfino presso chi insegna storia dell’arte... insegnanti di storia dell'arte, correte in libreria a comprare "Multimedialità", è un mio consiglio per il vostro bene. Né, quei ragazzi ai quali prima accennavo, possono sperare aiuti dalla sciura Moratti che, tra i suoi più recenti impegni d’avanguardia, ha auspicato il ritorno alla costruzione del presepe nelle scuole. Vabbè, torniamo a parlare di cose serie. Del libro di Taiuti. Testo sul “come” e sul “perché” delle trasformazioni che gli stessi concetti d’arte, di comunicazione, stanno avendo nell’era digitale corredando il discorso con lampi di storia su movimenti e gruppi testimoniati da un imponente materiale iconografico e da un prezioso Dvd accluso.
Ho chiesto all’autore di parlarmi del suo libro da pochi giorni in libreria. Così mi ha risposto:
Come hai ricordato, ho pubblicato il primo libro che si occupava dei rapporti fra Arte e Tecnologie nel 1996. In quegli anni se si parlava di multimedialità era all’interno di pubblicazioni di “Cyber-Ideologia” che focalizzavano soprattutto l’esperienza della rete e dell’attivismo cyberpunk.
Ma a parte i cataloghi di qualche mostra, soprattutto di Ars-Lab a Torino, tutti sembravano dimentichi della rivoluzione digitale che stava cambiando l’universo percettivo.
Dopo “Corpi Sognanti”, l’altro mio titolo da te citato, che aveva ancora un carattere di “Manifesto”, si è creato un movimento di assestamento dei tanti mutamenti avvenuti e un bisogno di maggiore riflessione sui fenomeni creati dal digitale.
Il libro “Multimedia - L’incrocio dei linguaggi comunicativi”, nasce da questo bisogno, per me centrato sulla parola-feticcio “multimedia” che è entrata nel lessico quotidiano ma senza una vera analisi del senso complesso del termine.
Nel libro sviluppo punti di vista e scelte interpretative già presenti, anche se sinteticamente, nei testi precedenti.
Nello stesso tempo cerco di aprire un “caso” Multimedia, di tracciare una mappa degli incroci dei linguaggi, che, senza essere sempre totalmente nuovi, hanno oggi una dimensione completamente nuova data dalla inedita possibilità di fondersi nel supporto digitale.
Una grosso lavoro è stato poi aggiungere al testo cartaceo un dvd con decine di videoclip, fotografie e testi, schede e liste di websites, tutti elementi necessari a creare una informazione ricca e innovativa sul campo multimediale.
In questo momento è l’unico testo con Dvd-Rom presente in libreria nel campo della saggistica d’arte digitale.
E, mentre do spazio importante alle applicazioni industriali proprio del digitale, ripropongo un mio irrinunciabile punto di vista: il primato esplorativo delle correnti dell’arte moderna nelle dimensioni innovative della percezione come nelle scoperte creative nei linguaggi tecnologici
.

Lorenzo Taiuti, “Multimedia”, 191 pagine + Dvd, 23:00 euro, Meltemi Editore


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