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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Engramma


Diciamo la verità, non è una parola che scambiamo tutti i giorni. Eppure i neurologi, gli psichiatri e altri di quel campo scientifico è un termine che usano di frequente per indicare quella traccia che ciascuna esperienza lascia sulla corteccia cerebrale agendo su di essa.
Ed Engramma si chiama l'Associazione che a Venezia il 2 e il 3 febbraio ha organizzato un interessante convegno alla Fondazione Quercini Stampalia.
Ho appreso il tutto da Silvia Veroli , una giornalista che si ocupa d'interlinguaggio e di cui già tempo fa segnalai un tridimensionale ritratto che a lei dobbiamo di Gianni Sassi.
Davanti a un bicchiere di rosso in un'enoteca di Pesaro, l'ho invitata a parlare sinteticamente di quel convegno durante una corsa di questo Cosmotaxi.
Ed ecco quanto mi ha detto
Luminar è il nome del migliore attore non protagonista del romanzo visionario di Junger intitolato Eumeswil, uno schermo che prefigura la Rete e le sue smagliature.
Luminar è il nome del convegno che annualmente l'Associazione Engramma organizza sui temi al centro della sua appassionata ricerca: la cultura umanistica indagata attraverso le nuove tecnologie, e le nuove tecnologie umanisticamente considerate.
Negli anni scorsi Luminar si è occupato di Musei Web, Web Auctoritas e memoria, metodi della ricerca storico-umanistica e fonti on line.
L'edizione 2006 è dedicata alle riviste web, con presentazione e indagine di esperienze concrete (seppur virtuali) italiane e straniere, a partire da quella di Engramma che è anche una gustosa rivista web con english e latina versio.
Il convegno organizzato da Monica Centanni (che tra le altre cose traduce i classici greci per i Meridiani), si avvale anche del coordinamento di Antonella Sbrilli
.

Non mi resta d'aggiungere che maggiori informazioni le trovate QUI.


Memoria smemorata


“Le epoche di fervorose certezze eccellono in imprese sanguinarie”, diceva Elias Canetti.
E un’ondata di cruente certezze fu tra le cause dell’Olocausto.
Oggi, sessant’anni dopo, invece di consegnare alla storia universale dell’infamia quei tragici
avvenimenti, assistiamo da più parti all’avanzare di oscuri revisionismi oppure a stanche ritualità commemorative che di certo non aiutano a capire e interpretare quei fatti.
Per non dire che cosa succede nei nostri stadi, è roba accaduta ancora ieri, e non si capisce perché quella partita di calcio non sia stata sospesa dando la vittoria agli ospiti; è il solo modo, forse, per fermare quelle cose lì.
Ecco perché è necessario che dell’Olocausto si parli e se ne parli molto. E non tanto per interrogarsi sulle ragioni storiografiche dello sterminio (perché e come sia successo), quanto sugli effetti politici ed etici che la Shoah ha avuto sul nostro presente che è pieno d’altri genocidi.
Questo compito ben l’assolve un libro delle Edizioni Cronopio che vede tra i suoi fondatori Maurizio Zanardi.
Il volume è intitolato in modo non troppo originale: Shoah: percorsi della memoria, ma i suoi contenuti, invece, sono originali per il taglio con cui l’argomento è trattato.
E’ a cura di Clemens-Carl Härle con i contributi di Pierre Vidal-Naquet, Giorgio Agamben, Alon Altaras, Andrea Cavalletti, Esther Cohen-Dabas, Antonella Moscati, Federica Sossi, Enzo Traverso.
Attraverso la lettura di Arendt e di Foucault, di Levi e Klemperer, i saggi riuniti in questo volume resistono a quella che è stata chiamata la “saturazione della memoria”, con una ragionata tensione filosofica, politica e morale .
L’unico modo per evitare che l’Olocausto cada nell’oblio delle commemorazioni pubbliche e della retorica mediatica, decifrando quanto nel nostro presente nasce da esso.
Un libro che dovrebbe figurare per decreto legge nella biblioteche dei licei e delle università.
 
“Shoah: percorsi della memoria”
a cura di Clemens-Carl Härle
Edizioni Cronopio
pagine 150, euro 13:00


Festival Netmage '06

Cosmotaxi Special per il Festival Netmage

Bologna: 26 - 28 gennaio 2006


Netmage '06


Mi piace aprire questo Special ricordando quanto mi disse un giorno la Zarina patafisica Brunella Eruli:
Quando vedo lunghe code per entrare ad una mostra, sono assalita da due opposte reazioni: una che dice, beh, tutto sommato il gusto del pubblico é cambiato; ma l'altra mi dice: perché queste persone fanno la coda per vedere Picasso, ma non s'interessano ai Picasso di oggi, non sanno riconoscerli, non gliene importa niente. Vogliono il marchio di fabbrica, il bollo dei critici, il prezzo del mercato. La sicurezza dell'investimento del loro tempo.
Ho fatto questa citazione perché mi pare proietti bene un discorso su come il nuovo venga – e meglio: non venga – visto da molti.
C’è da sperare che a Bologna, tutto ciò sia smentito per quanto riguarda il Netmage perché è un Festival che merita l’attenzione del pubblico e dei media.
Netmage – diretto da Daniele Gasparinetti e Andrea Lissoni – è giunto alla sua sesta edizione, merito non da poco in quest’Italia che ha per Ministro ai Beni Culturali il pio Rocco Buttiglione, che di scuola e università si occupa una certa sciura Moratti e che ha un governo che falcia i fondi destinati alla cultura considerandola erbaccia.
Netmage è un festival internazionale dedicato alle arti elettroniche a cura di Xing - un network nazionale che progetta, organizza e sostiene eventi, produzioni e pubblicazioni contraddistinti da una particolare attenzione alle tendenze generazionali legate ai nuovi linguaggi - che si svolge a Bologna dal 26 al 28 gennaio 2006 negli spazi di Palazzo Re Enzo, in concomitanza con Arte Fiera.
L'ambiente principale - il Live-Media Floor - è il grande spazio di audio-visione che per tre giorni ritma il programma serale e notturno ospitando i live set selezionati tra i progetti pervenuti e alcune commissioni del festival ed i live degli ospiti speciali.
Netmage ’06 presenta in quest’edizione un programma di ricerca che offre uno spaccato della scena elettronica contemporanea con particolare attenzione al rapporto fra schermo, monitor, spazio e suono.
Sonorità e immagini si mescoleranno tra saloni e scaloni del palazzo-castello di Re Enzo, uno spazio capace di ospitare un insieme di eventi rispondenti alla molteplicità di pratiche ed estetiche che Netmage rappresenta: live-media, concerti, azioni performative e happening, ambienti, installazioni sonore e visive, con forum e presentazioni.
Da sottolineare la volontà produttiva (e, quindi, non solo espositiva) che Netmage ha voluto accelerare in questa sesta edizione, vale a dire una particolare attenzione alla scena italiana commissionando lavori a un nutrito gruppo di artisti visivi e musicisti, sulla base di potenziali affinità elettive, per sperimentare insieme ipotesi inedite.
Un’occasione insomma per verificare lo stato dell’ibridazione fra le arti, dell’interlinguaggio.
Un ragionato incontro che punta a lanciare lo sguardo nella nuova ottica dell’agire artistico oggi mosso da motivazioni e tecniche che sono vissute, e vanno fruite dal pubblico, con nuove modalità concettuali e nuovi traguardi espressivi.
Ho aperto questa nota con una citazione, la chiudo con un’altra. E’ di Marcel Duchamp e va anche oltre le arti visive: “Da quando i generali non muoiono più a cavallo, non vedo perché i pittori debbano morire davanti a un cavalletto”.

Per il programma del Festival, cliccate QUI.

Informazioni per il pubblico:
tel-fax: 051 – 35 23 30
E-mail: netmage@linkproject.org
Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web c’è un efficientissimo ufficio stampa guidato da Silvia Fanti, 335 – 5727161 con la collaborazione di Monica Baroni, 339 – 18 46 264
E-mail: pressoff@xing.it


Netmage: Daniele Gasparinetti


Come dicevo nella precedente nota, il Festival è diretto da Daniele Gasparinetti e Andrea Lissoni.
In quale scenario vive Netmage e in che cosa si distingue dagli altri Festival?
Daniele Gasparinetti mi ha così risposto.
Nei termini del quadro di osservazione sui fenomeni estetici trattati, il campo sul quale operiamo è mondiale; come mondiale è le scenario storico che investe il sistema culturale complessivo a tutti i livelli. Sul modo di trattarli si applica per certo un gusto; difficile dire se i gusti abbiano oggi ancora un sapore localistico (la cucina italiana vs quella francese), siamo tendenzialmente “fusion”, sempre volendo applicare una metafora gastronomica.
Ci collochiamo al di fuori di schemi precisi; ossia cerchiamo di applicare delle eco-logiche basate su co-implicazioni piuttosto che su gerarchie. Come tale pensiamo che Netmage sia a suo modo un organismo vivente con sue caratteristiche proprie, differenziato da altri organismi ed (eco)sistemi. Il riferimento vale per gli altri festival europei o americani che conosciamo e con i quali siamo in contatto. E’ interessante il panorama di differenziazione che caratterizza il mondo della ricerca sulle arti elettroniche, oggi. Per niente chiuso a un modello unitario. Esistono iniziative che si situano in molti punti differenti, privilegiando di volta in volta ragionamenti e pratiche differenti: da chi si muove sulle frontiere del clubbing e post-clubbing (come il Sonar, il Transmediale club, Mutek...); a chi opera con forte specializzazione all’interno delle strutture istituzionali legate alle arti visive più in generale (le varie iniziative del Kiasma o il programma di Spectacles Vivants del Pompidou); o ancora chi discende da una tradizione “hardware generation” ed è produttivamente legata a mondi propriamente ingegneristici e tecno-scientifici (come Ars Elettronica); infine l’ambito più prettamente artistico-visivo, che negli ultimi anni, con l’esplodere delle installazioni video e il ritorno della dimensione performativa, offre singolari e a volte feconde tangenze, che abbiamo seguito e anche incoraggiato per esempio nell’edizione 2006; per non citare la infinità di altre “contaminazioni” raccolte in contesti tradizionalmente cinematografici, teatrali, etc. etc.
In questo panorama molto frammentato si trovano singole punte (per esempio: è certo che il Sonar a Barcellona è un punto di riferimento imprescindibile per chi si occupa di dance elettronica innovativa, ma Barcellona non chiude certo il quadro sui fenomeni di musica elettronica che trovano viceversa molteplici altri punti di riferimento), ma non ve ne è una cumulativa.
E in questo panorama netmage ha sua identità precisa, abbastanza unica senz’altro sul panorama nazionale e probabilmente anche internazionale, determinata dall’equilibrio tra componente performativa e ambientale, e dal suo modo particolare di combinare elementi diversi di una cultura audio-visuale contemporanea affatto unitaria. A questo aggiungiamo naturalmente appunto un taste personale, come ovvio…


Sinistri++ e Donnacchie/Simionato


L'accostamento di due universi estetici contigui ma discordanti, è alla base dell'incontro tra Sinistri++ e il duo australiano Donnachie/Simionato.
The Single Unit of Beauty, presentato in prima assoluta al Festival bolognese, è composto in quattro parti. Sviluppa un doppio percorso narrativo, dove l’improvvisazione musicale di Sinistri++ è legata ai blocchi di immagini realizzati da Donnachie/Simionato che costruiscono un racconto da loro definito "horror-moralistico".
Sinistri++ è composto da: Manuele Giannini;guitar; Roberto Bertacchini, drums; Alessandro Bocci, electronics; Dino Bramanti realtime processing.
E’ un combo di musica sperimentale che esplora lo spazio tra la black music e la musica contemporanea. Ha inciso cinque LP come “Starfuckers” - tra i primi, dal punk in poi, a stabilire una relazione tra il rock e le avanguardie storiche del '900 -, mentre ‘Free Pulse’, per la svedese Hapna, è la prima pubblicazione con il nuovo nome.
Questo gruppo opera secondo le forme della musica intuitiva e utilizza esclusivamente modelli asincronici e ritmi non metrici. In un certo modo suona musica concreta, ma non usa i rumori o l'elettronica pura - cioè materiale "non musicale" - per fare musica, utilizza elementi, tecniche e strumenti della tradizione rock - cioè materiale pienamente musicale come cassetta degli attrezzi con cui suonare.
Per saperne di più su di loro e ascoltarne brani, cliccate sul loro sito.
I due artisti australiani Andy Simionato e Karen Ann Donnachie, residenti da alcuni anni a Milano, si distinguono nel panorama delle arti digitali per lo sviluppo di un singolare e articolatissimo progetto web.


Netmage: Simone Tosca


Simone Tosca, è un artista visivo che vive a Piacenza.
Tra il 1991 ed il 1998 è stato batterista in varie formazioni di musica punk, dal 2002 si dedica all’arte sonora digitale
Presenta al Netmage: Ear.
Così dice di questo lavoro.
L’idea di ‘Ear’ m’è arrivata mentre facevo snowboard ed ero sulla seggiovia, ho scoperto una cosa incredibile, di cui ogni bambino è probabilmente perfettamente consapevole: se chiudiamo gli occhi non smettiamo di vedere! Viceversa quello che vediamo va a comporre una struttura segnica molto complessa, costituita da una moltitudine di immagini luminose che si influenzano a vicenda; delle tracce percettive di ciò che abbiamo visto, ma che non c’è più, se non in una forma temporaneamente cicatrizzata nei nostri coni e bastoncelli, molto più che retinica, iperpittorica.
"Ear" vuole dare vita ad un contesto visivo dove gli elementi di base, uniti al disegno e al suono, prendono forma in un’installazione costituita da tre schermi di forma vagamente ovoidale (o palpebriforme) disposti a triangolo, sospesi al centro dello spazio, su cui vengono proiettate le immagini elaborate, la cui finalità è quella di conferire allo spazio stesso una forte connotazione aniconica, pur rimanendo attendibile quanto uno spazio reale
.
Con Ear, Netmage inaugura una collaborazione produttiva nata dall'incontro con un interessante esempio di nuovo "made-in-italy". Circolo virtuoso fra saperi e pratiche di ricerca produttiva (classicamente: arte e industria).
La performance, infatti, vede coinvolta in veste di partner committente e producer Viabizzuno, un’azienda emiliana di light-design.


Netmage: Andrea Dojmi


Andrea Dojmi è un'interessante figura artistica dello scenario multicodice italiano.
La sua ricerca, infatti, è caratterizzata dall’uso di più media: fotografia, film super8, video, musica, installazione, pittura.
Attento osservatore delle dinamiche fra spazio pubblico e privato, paesaggio naturale e architettura, è anche l’autore dell’immagine coordinata di Netmage ‘06.
A questo Festival è presente con “Education and protection of our children #2”
La parte musicale è stata progettata ad hoc da Port Royal a partire da sequenze del loro album ‘Flares’ e con altre tracce finora inedite.
I genovesi Port-Royal hanno pubblicato “Flares” con la label inglese ‘Resonant’ nel 2005, ottenendo ampi consensi a livello internazionale. Ne trovate assaggi cliccando sul loro sito web.
Le sonorità di Port Royal agiscono in una zona di confine fra ambient, post-rock ed elettronica.
Ho chiesto ad Andrea Dojmi di parlarmi di questo suo lavoro. Così ha risposto.
Sai, mi piace pensare a “Education and protection of our children #2”, come a un documentario, un tipo di film “difettoso”, come le pellicole cosiddette scolastico-educative in super 8 o 16mm che venivano proiettate a sorpresa a scuola, mi riferisco alla mia infanzia. Documentari sulla natura, sulla religione e lo sviluppo tecnologico, paurosi e affascinanti, instabili fin dall’inizio, fin dal primo montaggio. Il “difetto” di cui parlo è originato dalla sovrapposizione tra la realtà e il sensibile, quando questa sorta di eclissi viene a mancare, si ha il difetto, una vera rivelazione, una visione del sensibile, meno filtrata, più immediata e pura.
“Education and protection…” è la naturale conseguenza ed evoluzione di un lungo e unico processo di ricerca visiva inaugurato con la pubblicazione di Aimready con Booth-Clibborn editions, nella primavera del 2005, (e dei primi sette video ad esso correlati), e, come Aimready, è pervaso da una costante e “luminosa” paura, una serena inquietudine, in un equilibrio precario tra la felicità e il suo più totale opposto, la chiarezza e qualcosa di non identificato, scuro. Gli scoiattoli e gli uccellini sono familiari, ma ciechi, mutanti, i bambini sorridono sotto al sole e nascondono qualcosa che non è dato sapere. Un documentario che in realtà non documenta, ma riporta il “difetto”, un documentario sull’atto di percepire dell’infanzia, erroneamente ritenuta spensierata e priva di strumenti analitici e di traduzione del reale. Gli strumenti non erano necessari, così come non lo erano le traduzioni e i significati. Non uno sguardo ingenuo, spensierato, bensì una radiografia del reale, momento per momento, senza spiegazione alcuna, se non l’immagine. Un attimo prima dell’educazione, quando le cose non avevano distinzioni, definizione, ma venivano semplicemente guardate e assimilate.
La mia infanzia era spesso un incubo in piena luce, questa è l’innocenza di cui parlo
.

Da “Education and protection of our children #2”:

Da bambini filmammo dei bruchi verdi, incredibili, passavano il giorno intero a divorare foglie, in piena luce.
Due settimane interminabili.
Era durante una lunghissima assenza di mamma.
Quando tornò aveva la pelle chiarissima a causa degli antibiotici, era davvero bella, era trasparente, mi parlava ma non potevo sentire il suono delle parole, molto simile ad una proiezione. Credo fosse la troppa luce del sole a bruciare quell’immagine e a toglierle il suono. Io ero tutto intento a sperimentare incroci di pollini e contare aghi di pino in un angolo in luce del terrazzo. Quelle piccole maioliche blu-lucide mi hanno perseguitato per il resto della mia vita. Anche l’odore degli oleandri. Sono ancora lì che mi muovo lentamente, senza suoni. Anche adesso che le mattonelle sono state divelte. Continuo a guardarmi dal di fuori
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Netmage: Carola Spadoni


Carola Spadoni e Zu, presentano a Netmage 06 un’installazione inedita: Live Through This, dalla durata di 5’30” in loop.
Un’installazione per tre schermi.
La musica di Zu espande nello spazio il progetto su cui Carola Spadoni ha lavorato componendo le immagini in un’ipotesi di reinterpretazione personale dell’idea di liveness che mostra sequenze di spettatori di concerto sospesi fra l'estatico, il sorpreso ed il folgorato (esteticamente, s’intende) su due schermi. In parallelo, su di un terzo schermo, il rimontaggio della nota love scene del film “Zabriskie Point”.
Operando sul feedback fra pubblico, la sua sensazione percettiva dell’ambiente audiovisivo e contenuto della traccia sonora e visiva, si ha una realizzazione meta-live fra cinema, installazione e musica.
Carola Spadoni, filmmaker con incursioni nel mondo delle arti visive, si trasferisce da Roma a New York dove studia cinema al Brooklyn College e lavora in numerose produzioni indipendenti. Ha partecipato a vari festival internazionali, rassegne di cinema e video, mostre in gallerie e centri d'arte. Nel 2001 il lungometraggio “Giravolte” (trasmesso di recente su “La7”) è in competizione internazionale al festival di Torino Cinema Giovani, poi all’International Forum of New Cinema della 52a Berlinale e al Chicago Filmfestival. Vincitrice del Premio Giovane Arte Italiana 2003, espone alla 50a Biennale d’Arte di Venezia l’opera ‘Dio è morto’, mise en espace di cinema, che entra a far parte della collezione permanente del MAXXI Arte di Roma.
Ho chiesto a Carola Spadoni , alla quale mi lega il ricordo di un viaggio spaziale fatto insieme con lei, un breve commento al suo lavoro.
Così ha risposto.
E' un lavoro sull'intensità, ingrediente fondamentale per sentirsi vivi, ed anche una riflessione sul Live. Mettere in relazione una folla di spettatori ad un concerto e la folla di amanti della mitica scena nel deserto californiano di Zabriskie Point. Film ripreso dal vivo di una proiezione all’aperto.
Staying Alive come scambio di esperienze per concretizzare il desiderio e la sua condivisione in spazi pubblici. Ridefinire questa necessità attraverso persone e corpi appicciati, sorpresi, estatici, danzanti, sudati, felici, attenti, effervescenti, in libero sfogo e botox free.
Ricevuta l’esecuzione musicale degli Zu siamo intervenute con Rosella Mocci al montaggio ulteriormente sul montato per dare spazio alla musica sottraendo e riposizionando alcuni momenti visivi.
L'esperienza dell'installazione non mira ad una gratificazione visuale quanto al piacere visionario ed alla riflessione
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Per saperne di più su Zu, cliccate QUI


Netmage: Claudio Sinatti


Pierpaolo Leo e Claudio Sinatti presentano a questo Festival: Dandelion Key.
Pierpaolo Leo, inizia la sua attività di musicista elettronico nel '97 con il gruppo di rock-avanguardia “Les Enfantes Rouges" creando sonorità granulari e aritmiche per le loro esibizioni.
Per notizie sui concerti, bio, immagini e suoni, c’è il suo ottimo sito web.
Conosco e stimo da tempo il lavoro di Claudio Sinatti e, non a caso, l’invitai tempo fa nel mio webmagazine dove suoi lavori in loop li trovate nella sezione Nadir.
A Claudio ho chiesto di parlarmi di quest’operazione condotta con Pierpaolo al Netmage, performance che s’annuncia come una stretta interazione tra audio e video.
Sì Armando, sono quest'anno al Netmage a presentare un nuovo spettacolo progettato assieme al musicista Pierpaolo Leo dal titolo "Dandelion Key".
Lo spettacolo è la naturale evoluzione del nostro primo incontro che avvenne per volontà di questo stesso Festival alla precedente edizione.
In questo tempo ho svolto ricerche in nuove direzioni che, a distanza di un anno, trovano interessanti collegamenti con le sonorità e le strutture elaborate da Pierpaolo.
Rincontrandoci in questo ultimo periodo abbiamo trovato in maniera piuttosto automatica le relazioni tra il nostro lavoro ed è stato necessario semplicemente affinare le associazioni tecniche tra frequenze, livelli sonori, segnali midi e le varie proprietà nelle immagini.
C'è infatti una parte del montaggio video dello spettacolo programmata per reagire autonomamente alla musica.
Questo mi da la possibilità di orchestrare in tempo reale gli elementi che compongono l'immagine e calibrare ed indirizzare gli effetti che i suoni hanno sull'insieme.
La performance possiamo dire che segue una ricerca sulla frammentazione e ricomposizione del tempo e della profondità spaziale.
Il risultato di questo esasperato sgretolamento audiovisivo sono dei paesaggi astratti, ma di una complessità tale da guadagnare una propria concretezza e tangibilità
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Per il sito web di Sinatti, cliccate QUI.


Netmage: ZimmerFrei


ZimmerFrei è un gruppo formato nel 1999. Produce ambienti sonori, installazioni video, performances, spettacoli multimediali, collaborando con gallerie, teatri, festival di videoarte e anche luoghi non tradizionalmente di spettacolo.
A Netmage ’06 ZimmerFrei presenta “Study for a Portrait”.
Il progetto, commissionato, s’innesta nel Festival in forma di residenza con aperture pubbliche quotidiane. Verranno creati dei prototipi per il progetto nascente sul 'ritratto periodico' (com’è definito nel programma), incisioni visive di lunga durata cui si presteranno alcuni ospiti del Festival, stratificando il tempo della propria presenza.
Per capirci: immaginate delle icone frontali, realizzate con la tecnologia video e accompagnate da un analogo trattamento del sonoro.
I componenti del gruppo così dicono a proposito di questo lavoro.
L'intento è di testare il grado di permanenza di un corpo. Riuscire a visualizzarlo come un pulviscolo denso e vibrante di particelle dall’indole gregaria, all’interno del quale il movimento è costante. Il corpo nel momento del presente non sta fermo un attimo. Gli stretti legami elettrici che sottendono alla materia che lo definiscono come un'entità unica e singolare sono di natura dinamica. Ma se quest’abitudine al coagulo materico venisse meno? Se lo spazio che separa le particelle tra di loro aumentasse progressivamente fino ad invertire la proporzione tra pieni e vuoti?
In questo processo di fluidificazione il soggetto non tenta più di spiccare dallo sfondo. Piuttosto diventa plurale e si fonde con la superficie circostante, si confonde con l’architettura, riuscendo ad abitare alcuni precisi istanti di tempo con insistenza, mantenendo però una specifica luce, una profondità e un volume
.



Netmage: altri eventi


Fin qui alcuni miei approfondimenti.
Ma c’è dell’altro. Di valore.
Ecco delle performances che tirannicamente scelgo da tutto il programma completo che può essere visto cliccando QUI.
Fra gli eventi speciali ospitati da Netmage ’06, c’è la presenza del sound-artist Carsten Nicolai (alias Alva Noto) che presenta un live retrospettivo costituito da sperimentazioni degli anni '90 raffrontate ai più recenti sviluppi della sua ricerca sonora.
Arto Lindsay suona dal vivo sulle immagini del film digitale “Ipanema Théories” girato dall'artista visiva Dominique Gonzalez-Foerster nel '99.
L'ecclettico duo Cineplexx + aBe (Sebastian Litmanovich, musicista, graphic designer argentino e Alex Beltran, regista spagnolo) presenta “La danza Sincronizada de los Cacahuetes Magnéticos”, ironico documentario sul fenomeno del magnetismo delle noccioline, prodotto dal magazine spagnolo ‘Rojo’.
I fratelli Boris e Brecht Debackere, da Rotterdam, esibiranno “Rotor” un progetto di live-cinema che è stato definito da più critici come uno dei migliori esempi di ricerca sulla interazione tra fonti analogiche ed eleborazione in diretta digitale.
Il dj e musicista inglese Ministry of Defiance (David Handford) presenta dal vivo il suo più recente lavoro: “Chapel Couture”, elettronica low-fi e atmosfere rarefatte su visual immersivi, realizzati con la tecnica del found footage a partire da frammenti di film in super-8.


Festival Netmage


Cosmotaxi Special per il Festival Netmage

Bologna: 26 - 28 gennaio 2006


FINE


Uve e Forme


La romana Via Padova è ricordata dai cinéphiles per una commedia cinematografica girata da Giorgio Bianchi nel 1953 con interpreti famosi quali Peppino De Filippo, Alberto Sordi, Giulietta Masina. Scommetto che in futuro sarà ricordata anche dai gourmets (cinéphiles e gourmets vanno spesso d’accordo) anche per un’altra storia: la presenza in quella strada di Uve e Forme.
Si tratta di un delizioso locale, enoteca bistrot, dall’elegante architettura minimalista che rappresenta uno dei pochi squilli nel monotono panorama enogastronomico di Roma, città che a parte qualche raro vertice, per fare un nome solo: Heinz Beck – se volete leggere quattro chiacchiere che scambiai con lui tempo fa, cliccate QUI – non conosce vette e peggio sta messa nei locali cosiddetti medi.
Di Uve e Forme mi ha interessato l’ampia scelta di vini in una lista che, accanto a grandi bottiglie, presenta pure etichette molto interessanti con attenzione a prodotti autoctoni; una lista fatta solo di maiuscole bottiglie sappiamo farla tutti, ma allestirla con ricerca di quelle buone ma meno note è gran merito.
Altro elogio lo merita il menu (ce n’è uno di degustazione a 35 euro, ma se prendete un piatto e un bicchiere soltanto – non è il caso mio, purtroppo – contenete la spesa entro i 15 euro) che è molto curato da un giovane chef, Marco Tombolini, uno al quale, se non si monta la testa, predico un gran futuro.
Ho parlato con uno dei tre conduttori, Pietro Scheri (gli altri due sono Francesca Memeo e Giuseppe Pulcini) col quale è piacevole conversare perché competentissimo sia sul piano enogastronomico sia sulla cultura d’impresa del settore.
Il locale dispone di un banco di mescita, qualora vorreste soltanto bere un bicchiere con rustici accompagnamenti, guidato dalla grazia e dalla perizia della sommellier Sabrina Iasillo.
Solo applausi? Siccome io se non trovo qualcosa da ridire mi sento male, credo sia da rivedere il loro sito web che è assai scarso di contenuti, e assenza di prezzi praticati; quel locale meriterebbe una migliore presenza in Rete.
Concludendo, se abitate a Roma o vi trovate lì di passaggio per affari, turismo, sesso, vi consiglio di visitarlo. Mi ringrazierete. E’ facile da raggiungere anche con bus e metro perché si trova a 2 passi 2 da Piazza Bologna.

Uve e Forme
Via Padova 6
Tel. 06 – 44 23 68 01
Orario continuato dalle 12:30 alle 00,30
Il lunedì dalle 18:00
Chiuso la domenica


La foto della dolce crisi


Il Centro d’Arte Contemporanea di Villa Manin – sta a Passariano (Udine), nel comune di Codroipo – si caratterizza per una programmazione annuale che alterna mostre tematiche con artisti provenienti da tutto il mondo a collaborazioni con importanti musei internazionali, da progetti di scultura nel parco della villa ad esposizioni dedicate ad artisti del territorio ed eventi collaterali.
Attualmente è in corso la mostra La dolce crisi: Fotografia contemporanea in Italia.
L’esposizione si propone di guardare all'uso della fotografia nell'arte. Una visione che – come affermano i curatori Francesco Bonami e Sarah Cosulich Canarutto – vuole capovolgere stereotipi a favore di un'interpretazione nuova di approcci e immagini. E' per questo che tra gli artisti invitati ci sono sia importanti nomi della fotografia “classica” sia artisti che utilizzano la fotografia come uno dei loro molteplici mezzi espressivi. Dalla scomposizione del paesaggio
all'accumulazione della periferia urbana, dall'ambiguità del ritratto alla complessità dell'universo visivo della rete alla pittorica manipolazione digitale alla cruda semplicità del reale, la mostra si snoda attraverso un eterogeneo percorso tra le sale espositive della settecentesca Villa Manin.
Gli artisti in mostra: Andreoni-Fortugno, Stefano Arienti, Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Letizia Battaglia, Vincenzo Castella, Paola De Pietri, Paola Di Bello, Giuseppe Gabellone, Massimo Grimaldi, Luisa Lambri, Armin Linke, Marcello Maloberti, Tancredi Mangano, Walter Niedermayr, Diego Perrone, Francesco Raffaelli, Lorenzo Scotto di Luzio, Toni Thorimbert, Massimo Vitali.

La dolce crisi
Villa Manin, Passariano
Fino al 5 marzo 2005
Martedì - Venerdì 9.30 / 12.30 - 14.30 / 18
Sabato e Domenica 10 / 18.30
Chiuso il Lunedì


Fronde d'alloro sulla Net Art


Su Cosmotaxi mi piace talvolta segnalare alcune lauree ottenute sulle arti elettroniche.
Ho letto di recente una tesi veramente straordinaria sulla Net Art e ve la segnalo perché è possibile conoscerla cliccando sul sito di Repubblica (è, infatti, stata la tesi vincitrice nel settembre ’05 del concorso “Io mi laureo con Internet”) oppure sul sito http://www.japperu.it/lucia/TesiMariani.pdf (metto per intero il link perché mentre scrivo non riesco ad accedervi, spero che abbiate migliore fortuna voi.
La laureata è Lucia Mariani che all’Università di Perugia – città dove Lucia è nata 25 anni fa – controrelatore Giovan Battista Fidanza, ha beccato la squillante e meritatissima votazione di 110 e lode per il suo lavoro intitolato Arte e Rete: net.art/art on the net.
Lucia è attiva nell’organizzazione culturale occupandosi di rock per l’Associazione Jap-Perù che diffonde la cultura musicale tra i giovani attraverso la gestione di uno spazio affidatogli dal Comune di Perugia; ha esposto anche suoi lavori d’arte visiva.
Torno alla sua tesi di laurea. Le avanguardie storiche, e poi le neoavanguardie della seconda metà del secolo scorso che a quelle assai spesso si riferivano, hanno proposto l'ibridazione dei generi, l'intercodice, facendo agire le loro realizzazioni anche in luoghi fisici non tradizionali, fuori delle gallerie, dei teatri, etc.
A Lucia Mariani ho chiesto: qual è il principale elemento di linguaggio che connota la Net Art rispetto alle esperienze cui mi sono riferito prima? Ecco la sua risposta.
L’elemento caratterizzante della net.art è, ovviamente, la Rete. Internet ne rappresenta contemporaneamente sia il mezzo di produzione, sia il veicolo di diffusione, sia il tramite per la fruizione e, a volte, anche la tematica stessa. In questo modo l’arte viaggia sulla rete libera dai legami spazio-temporali, si apre all’interazione col pubblico, supera i confini tracciati dall’happening perché si pone come “azione” rivolta ad ogni utente connesso, indipendentemente dal luogo in cui si trova e riproponibile “live” in ogni momento. L’arte diventa anche condivisione libera di cultura nei progetti open source e strumento “politico” per tutta quella parte della net.culture che utilizza la net.art come mezzo di risveglio critico nei confronti della società contemporanea.


Digichannel


Il Digichannel – diretto da Federico Panero – oltre a presentare una rassegna annuale on line, dispone di un webmagazine che propone videointerviste e lavori d’artisti che operano nel mondo digitale.
Digifestival nasce col patrocinio della Regione Toscana e del Cantiere d'arte virtuale TRA ART, rete regionale per l’arte contemporanea e s'avvale anche di altri partners elencati sul sito del Festival.
Apprendo da Maria Novella Gai, che cura con deliziosa competenza l’ufficio stampa, di alcune novità dal gruppo fiorentino messe in Rete.
Ce ne sono alquante, ma tirannicamente ne scelgo solo due.
Piano Sfera, di Jerry King Musser che racconta in un video le avventure di una palla di acrilico che rimbalza sulle corde di un pianoforte.
Romeo and Juliet, di Gianni Poggi, un’animazione che si svolge sulle note del balletto omonimo composto fra il 1935 e il 1938 da Prokofiev.
Ad entrambi i lavori, a mio avviso, avrebbe giovato una decisa scorciata in montaggio, ma proprio di quel minutaggio li hanno voluti gli autori e sia così.


Lo scomodo letto di Procuste


Una delle caratteristiche di Giuseppe Neri è, sia nelle sue opere di narrativa sia in quelle documentaristiche, quella di rintracciare fili della memoria per riannodarne chiavi di lettura del presente.
Giornalista e scrittore, è stato direttore dei programmi culturali a Radiorai (… sì, ci crediate o no, una volta Radiorai produceva programmi culturali), finalista al Premio Viareggio per la poesia e vincitore del Premio Selezione “Piero Chiara”.
Ha scritto: “L’uccello di Chagall” (Bastogi, 1983), “L’ultima dogana” (Sansoni, 1990), “Bolero”
(Marsilio, 1999), “Il sole dell’avvenire” (Manni, 2003).
Ora è in libreria – edito da Manni e Rai-Eri – Il letto di Procuste (sottotitolo: Interviste del secondo Novecento), venticinque interviste con protagonisti dello scenario culturale italiano del secolo breve. Ricordo che nel 1987, edito da Rusconi, già pubblicò un libro d’interviste a filosofi e scienziati, intitolato “Verso il terzo millennio”, libro di vaticinii che, come ogni vino buono, negli anni va acquistando valore e che ora, con Il letto di Procuste forma un dittico che testimonia su tendenze e contraddizioni, speranze e percorsi del pensiero contemporaneo.
E, se già oggi si propone d’estremo interesse questo scomodo letto su cui sono distesi gli intervistati, acquisterà pregi e importanza anche in futuro, destinandosi a impreziosirsi nel tempo per capire le linee di pensiero che hanno attraversato in Italia il secondo Novecento dalla letteratura alla sociologia, dal teatro alle arti visive, dal cinema ai nuovi media.
A Giuseppe Neri, di cui vanto un’antica amicizia sostanziata da ragionata stima per il suo lavoro intellettuale (ma ben prima di me se n’accorse Pannunzio invitandolo a collaborare al mitico “Il Mondo” quando, Peppino per gli amici, era giovanissimo), ho chiesto un flash per Cosmotaxi su questa sua più recente pubblicazione. Così mi ha risposto.
Si tratta di venticinque ritratti critici in forma d’intervista ad altrettanti protagonisti della cultura italiana del secondo Novecento: questo, in sintesi, è “Il letto di Procuste”. Si comincia con Alberto Arbasino e si finisce con Federico Zeri, passando per Giovanni Arpino, Giorgio Bassani, Carmelo Bene, Carlo Bernari, Enzo Bettiza, Achille Bonito Oliva, Camilla Cederna, Piero Chiara, Natalia Ginzburg, Renato Guttuso, Raffaele La Capria, Carlo Levi, Luigi Malerba, Giacomo Manzù, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Nanni Moretti, Goffredo Parise, Edoardo Sanguineti, Giovanni Testori, Giulio Turcato, Paolo Volponi, e Cesare Zavattini. Sono interviste scomode, irriverenti, a volte persino polemiche. Perché? Perché sono convinto che solo attraverso un dialogo franco e aperto, si può cogliere il vero profilo di uno scrittore o di un artista. Devo solo aggiungere che avvicinai questi personaggi senza preconcetti, ma anche senza piaggeria, animato solo da spirito critico e dal desiderio di scoprire qualcosa in più rispetto alla vulgata della loro immagine.

Giuseppe Neri
“Il letto di Procuste”
pagine.160, euro.15:00
Editori Manni – Rai Eri


Future Film Festival


Il Future Film Festival, diretto da Giulietta Fara e Oscar Cosulich, per l’ottavo anno consecutivo si svolge a Bologna con un’edizione ricca di novità ed eventi speciali.
Dal Giappone alla Danimarca, dagli Stati Uniti alla Francia, il FFF 2006 presenta il meglio della produzione internazionale del mondo della produzione cinematografica digitale.
Tra le tante occasioni proposte, fra proiezioni e tavole rotonde con gli operatori del mondo digitale, scelgo tre avvenimenti.

Un Incontro con Kyle Cooper, fondatore della Prologue Films e Imaginary Forces, che presenterà i suoi famosi titoli di testa per film quali Seven, Spider Man, Mission Impossible, Mimic, Men in Black, The Legend of Zorro, Donnie Brasco, Spawn.
I titoli: qualcosa di più di un paratesto, la cui importanza si è via via sempre più imposta alle produzioni e che merita, come propone il FFF, d’essere evidenziata.

“Storie di fantasmi giapponesi”, a cura di Luca Della Casa e Carlo Tagliazucca, una retrospettiva mai realizzata in Italia su questo particolare cinema che la Shin Vision offrirà in questa rara occasione.
Saranno proiettati in anteprima tutta la serie Haibane Renmei - Ali Grigie ed episodi inediti di Dokkoider, Godannar, Texhnolyze.
Una vera leccornia per gli appassionati. Da non mancare.

“Macchine del tempo”. Un omaggio ai film che hanno interpretato nelle maniere più originali l’affascinante tema del viaggio nel tempo. La retrospettiva sarà completata da una tavola rotonda intorno al tema del viaggio nel tempo nella letteratura di fantascienza. Parteciperanno Darko Suvin, professore emerito alla Mc Gill University, Carlo Pagetti, ordinario di letteratura inglese all'Università di Milano e Franco La Polla, ordinario di Letteratura Angloamericana all'Università di Bologna, curatore della rassegna.
E proprio a Franco La Polla (cui mi lega il ricordo di un viaggio spaziale fatto con lui), uno dei migliori studiosi italiani, e non solo fra gli italiani, del fantastico nella letteratura e nel cinema, autore di libri memorabili su Star Trek, indagatore acutissimo dei rapporti fra pagina e schermo, ho chiesto un flash sulla sezione “Macchine del Tempo” da lui guidata. Così ha risposto.
La breve retrospettiva di quest'anno ha a suo tema il viaggio nel tempo, un argomento che ha affascinato il mito prima ancora che la fantascienza, ma che in quest'ultima ha per ovvie ragioni trovato il suo terreno più fertile e promettente. Già il padre moderno del genere, H. G. Wells, ne era stato affascinato, influenzando in seguito non poco, oltre alla letteratura, il cinema, che lo ripagò con più riduzioni da quella sua famosa opera, "La macchina del tempo". Il tema, tuttavia, da argomento di meraviglia avrebbe in anni a noi più vicini trovato ulteriori ragioni di proposta e trattazione grazie a una nuova episteme tenuta a battesimo dall'epoca cosiddetta postmoderna: alla diversa concezione del corpo da questa inaugurata, seguì necessariamente una diversa idea di spazio (che qui riassumiamo rozzamente nell'attributo di "virtuale"), e a quest'ultima, altrettanto necessariamente, un'idea di tempo ben più elastica di quella cui eravamo abitati. Il gran sacerdote del cambiamento fu, come al solito, Philip K. Dick. Sotto la sua ideale egida nasce in pratica l'intera cinematografia fantascientifica incentrata su un tempo percorribile alla stessa stregua dello spazio. La nostra retrospettiva è un invito a compiere insieme quel percorso.

Per il programma del festival, cliccare QUI

Future Film Festival
Bologna, 18-22 gennaio ‘06


Com'è lontana Bahia


Tempo d’acronimi, tempo di migrare.
Sto per dirvi di una sigla e di una migrazione.
La sigla è Icbie, la migrazione - meglio: il migrante – è Pietro Gallina.
Icbie sta per Istituto di Cultura Brasile Italia Europa, non sta proprio dietro l’angolo (anche se poi si tratta di vedere da dove ci si trova mentre si guarda l’angolo), sta a Bahia, ma ha sede anche a Roma.
Com’è lontana Bahia, cantava Sergio Endrigo. Ma ci si può andare. E vedere cos’è l’Icbie.
Offre insegnamenti di musica, teatro, lingue straniere (italiano in primo luogo), musica e informatica a giovani e adulti desiderosi di imparare o di approfondire i propri studi, e che non siano in grado di affrontare il pagamento delle rette degli istituti scolastici brasiliani, in gran parte privati… come dite?… no, la sciura Moratti non è arrivata fin là. Ci hanno pensato i brasiliani… ricordate come si dice?... Ministri e buoi dei paesi tuoi.
E il migrante? E’ Pietro Gallina.
E’ un nomade di lusso. Ci ho passato più di qualche memorabile serata insieme ricevendone
illuminazioni con toni elegantemente sommessi modulate da contenuti squillanti.
Nato a Roma nel 1948, ha studiato Storia della Musica con Fedele D’Amico e si è laureato con Mario Bortolotto all’Università “La Sapienza” di Roma in Lingue e Letterature Straniere ottenendo la lode con una tesi di musica-poesia-teatro su John Cage; al Conservatorio di S. Cecilia ha studiato Didattica della Composizione con Boris Porena, e Musica Elettronica con Franco Evangelisti; all’Arcadia ha frequentato un corso con Aldo Clementi e alla Saffa Palatino con Karlheinz Stockhausen; ha svolto attività di insegnamento di teatro musicale e collaborato con quotidiani e riviste quale critico musicale e musicologo; tanti i programmi realizzati in vent’anni per Radiorai. Ha, inoltre, scritto i testi di 40 puntate del programma televisivo “Opera Club” condotto da Simona Marchini. E’ autore di musiche concertistiche e di scena; ha firmato numerosi programmi di sala per i Concerti dell’Orchestra Scarlatti di Napoli, per l’Opera di Roma, per le stagioni Concertistiche dell’Euterpe.
Che ve ne pare?... Puo bastare? Direi di sì. Ah!... dimenticavo: è un eccellente cuoco.
Poi un giorno ha detto che dell’Italia non ne poteva più e se n’è andato fra le macumbere.
Ed eccolo fondare l’Icbie che inaugura la sua attività mercoledì 18, l’ora è inutile che ve la dico, anche perché dovrei fare il conto del fuso orario, sono uno scansafatiche e me la risparmio.
Per saperne di più, e fare la conoscenza anche con uno strano tipo che si chiama Ele D’Artagnan (ma se siete cinefili, sapete già di lui), cliccate con fiducia a ritmo di samba su questo musicale link: Icbie.
Tempo d’acronimi, tempo di migrare… Ah! Perché non son io laggiù a Bahia!

ICBIE, Istituto di Cultura Brasile Italia Europa
Direttore artistico: Pietro Gallina


Cin Cin!


Quando sento che una fabbrica di buoni alcolici sta per chiudere, mi cruccio parecchio.
Tempo fa, durante una corsa di questo Cosmotaxi, mi occupai degli stabilimenti della Birreria Pedavena (una birra straordinaria!) che correvano il rischio di chiudere per sempre e da allora, a sostegno dell’azione sindacale dei lavoratori della Pedavena, mi sono astenuto (e con me altri amici) di bere birre della multinazionale Heineken, responsabile di tale decisione.
Ora, sia chiaro, non certo per merito di quel mio personale boicottaggio – anche se i soliti maligni pur d’accusarmi di ‘mbriachezza sostengono che ho dato a quella multinazionale una bella botta – apprendo dalle sezioni sindacali del birrificio che la vertenza s’è felicemente conclusa.
Lo stabilimento, infatti, è stato ceduto alla Castello e quest’azienda di San Giorgio di Nogaro, vicino Udine, subentrerà agli olandesi della Heineken dal prossimo primo marzo. Garantirà da subito un posto a venti degli attuali settanta dipendenti, agli altri quaranta entro la fine dell'anno.
Torneremo, quindi, a bere quella blasonata birra Pedavena, prodotta esclusivamente nel centenario stabilimento che si trova in provincia di Belluno.
Cin Cin!


Singing In The Rain


Le Edizioni Spartaco, annunciano le prossime novità e noto con gioia che è vicina l’uscita d’un libro di Maria Turchetto, già precedentemente in catalogo con l’Editrice; me ne sono occupato tempo fa in questa stessa sezione. Per saperne, cliccate QUI e
QUA.
Manca QUO, ma presto sarà fra noi e allora vi parlerò di questa nuova pubblicazione della Turchetto, in arte il Turco.
Oggi segnalo di Spartaco: Il diluvio. N’è autrice Maggie Gee, nata nel 1948, segnalata da ‘Granta’ nel 1982 tra i migliori venti scrittori inglesi, finalista nel 2002 dell’Orange Prize.
La storia raccontata occhieggia alla fantascienza con una metropoli che dopo settimane d’acquazzoni è travolta da una sorta di tzunami. Gli abitanti si trovano proiettati in un aldilà dove… no, mi fermo qui perché se vi racconto la storia quelli di Spartaco, giustamente, s’incazzano.
Mi piace solo riportare due giudizi.
“E’ un libro” – ha scritto Luigi Sampietro su Il Sole24Ore – “allegorico e profetico, come ‘The Pilgrim’s Progress’ (1678) di John Bunyan, che fu il primo scrittore proletario inglese”.
E Liz Jensen su The Independent: “Il lettore gusta l’armonia tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, tra i personaggi più disparati e i loro mondi sociali... I temi della narrazione si fanno via via più frammentati e indefiniti. Il romanzo si trasforma in un violento attacco contro l’ingiustizia della società e contro la vanità delle classi più elevate”.
Aggiungo solo che nel descrivere un’apocalittica avventura – con molti trasparenti riferimenti ai nostri giorni – il libro è anche divertente, e dalle pagine partono frecce avvelenate contro il tartufismo religioso e il razzismo.
Circa il Diluvio, Dio non c’entra. Stavolta è innocente.

Maggie Gee
“Il diluvio” ,
Traduzione di Giovanni Giri
Pagine 322, euro 16:00
Edizioni Spartaco


Ultimo domicilio conosciuto


No, non sto per parlare di quell’omonimo film poliziesco (bellissimo, 1969) di José Giovanni con uno strepitoso Lino Ventura, ma di un altro indirizzo dove tanti postini non trovano da tempo il recapito: quello della mail art.
La mail art, secondo Piermario Ciani, uno dei suoi fondatori in Italia, è stata uccisa dalla posta elettronica; secondo Franco Fontana “… oggi è solo un meraviglioso graffito delle neoavanguardie, ma le tags metropolitane segnate con lo spray sui muri, la street art, adesso, dicono di più”.
Sia come sia, di mail art c’è ancora chi se ne occupa e crede nel suo ruolo espressivo e sovversivo.
E’ il caso di Luigi Starace - studioso di neuroscienze, fotografo, performer – che m’informa di una sua iniziativa imperniata proprio sulla mail art con a tema lo stigma che è per gli esperti di salute mentale, il termine indicante la discriminazione basata sul pregiudizio nei confronti del malato.
Per saperne di più, partecipare al suo progetto, cliccate QUI.


I nomi della polvere


Un libro che su di una storia nelle prime tre righe esprime una certezza e nelle ultime tre un dubbio, è già un libro che mi è amico.
S’aggiunga che certezze e dubbi (tante maliziose certezze da diventare dubbi e viceversa) riflettono il protagonista del romanzo e, come se non bastasse, questo stesso personaggio è assente dalle pagine; ditemi voi se non è da leggere di corsa una cosa così, perciò v’invito a farlo e, scommetto, mi ringrazierete.
Sto parlando della più recente prova narrativa di Mario Lunetta, autore tra i più intensi del nostro scenario letterario, che è in libreria con il titolo I nomi della polvere, edito da Manni.
Lunetta (cui mi lega anche il ricordo di un viaggio spaziale fatto con lui), è protagonista da anni di una straordinaria avventura intellettuale che lo vede narratore, saggista, poeta, drammaturgo.
Per documentarvi cliccate QUI dove accanto alla sua bibliografia, troverete anche dichiarazioni e testi tratti da Catastrofette.
In questo recente libro dimostra ancora una volta la sua diabolica capacità di fare implodere ogni plot costruendo un personaggio che più che apparire, scompare nei racconti di altri. Di lui, infatti, pagina per pagina, allorché sembra d’afferrarne il profilo nello specchio, ecco che lo specchio si frantuma e l’immagine diventa specchio d’altri specchi in una pluralità infinita e infinibile.
Dedalo in un labirinto, il racconto si dipana lungo sentieri che si biforcano, la cui mappa fisica è fatta sparire per accrescerne i significati dell’immaginazione.
E’ l’occasione per l’autore di tracciare non solo un personaggio ma pure il fondale di un’epoca, quasi a verificarne la sua cruenza che s’alterna all’immaterialità di cui è fatta. Anche qui, come in altre pagine di Lunetta, non manca uno sguardo sul sociale, e più precisamente sul politico, ma lo sguardo si fa, e si dà, ragione di uno smarrimento. Libro di smarrimenti e deliri, dunque, in cui sembra lampeggiare quel sorriso allegramente feroce che ha Mario quando ti racconta qualcosa che ha provocato la sua proverbiale indignatio. Sì, perché ne I nomi della polvere si fa anche slapstick della tragedia.
Libro da non perdere, da godere dalla prima all’ultima pagina, anche se è un libro la cui prima pagina e l’ultima sono inafferrabili: comincia seguitando, termina senza finire.

Mario Lunetta
“I nomi della polvere”
262 pagine, 18:00
Manni


I sogni sogni sono


“La vita è sogno e i sogni sogni sono” dice Calderón de la Barca.
Ma non solo la vita è sogno (ammesso che lo sia), esiste anche una tradizione che dalle ombre oniriche fa nascere opere d’arte: dal famoso sogno di Coleridge al Trillo del Diavolo di Tartini, all’Olalla di Stevenson. Borges, naturalmente, se la spassa tra questi racconti sul confine fra finzioni e verità, e c’informa anche del clamoroso sogno che Beda il Venerabile attribuisce a Caedmon.
Da un sogno è nato anche Ritratto di Sarah Malcom di una delle nostre più raffinate scrittrici: Ginevra Bompiani cui mi lega anche il ricordo di un vertiginoso viaggio spaziale fatto con lei.
Attraverso un suo sogno che poi si ripeterà negli anni, sfiorando la cosiddetta “nevrosi coatta” degli psicanalisti, quest’autrice s’è imbattuta nella vicenda, tuttora misteriosa, di Sarah Malcolm che, nel 1733, fu accusata di aver assassinato la sua vecchia padrona e due altre donne.
Da qui è nato il “racconto poetico di un destino enigmatico”, come ha scritto Le Monde.
Ginevra Bompiani ha splendidi occhi di ghiaccio e sguardo appassionato, un’espressione rara, e pare trasmettere questo stesso fascino alle pagine finissime che da anni ci offre (a partire dallo splendido “Le specie del sonno” accolto con entusiasmo da Calvino) sapientemente scritte sul limitare tra àlgida chimica e sensuale meccano, fra sole e luna.
E c’è molta notte in questo Ritratto di Sarah Malcom, edito da Neri Pozza: notte di delitti e notte d’anima, notte di misteri, notte giudiziaria, e, naturalmente, notti visitate da quel sogno inquieto che ha ispirato il libro.
Il tutto è condotto sul filo di una scrittura scattante che va per tratti brevi, con la secchezza della cronaca perché di veri documenti la storia è intessuta, ma pure sembra tutta reinventata fra ombre di dubbi e lucori d’indagine.
Mi piacerebbe che un giorno la Bompiani scrivesse su quella forte e immateriale forma che è l’ombra.
Sarah Malcom, certamente complice (forse involontaria) di tre delitti ma (probabilmente) non assassina, è ritratta con pennellate corte e vertiginose apparendo come una donna dura e smarrita, capace d’astuzie e ingenuità, che costruisce tra fatalità e tradimenti le cadute del suo destino.
Su questa creatura si fissa la Bompiani, interrogando e interrogandosi, rendendoci felici suoi lettori.

Ginevra Bompiani
“Ritratto di Sarah Malcom”
123 pagine, euro 14:50
Neri Pozza Editore


Sfogliando la Margherita


La matematica, che mi piaceva, era insegnata da un tipo insopportabile, sospettoso, sempre a pensare che lo volessimo fregare.
Un giorno, feci finta di leggere qualcosa sotto il banco.
Frugò nella mia cartella e trovò il giornale con la partita della Fiorentina:
“Hack!” – mi squadrò con i suoi occhietti sadici – “me lo dia subito!”
Per questo scherzetto venni rimandata in matematica

E’ uno dei tanti episodi della vita di Margherita Hack, la più grande astrofisica italiana che, con la collaborazione di Simona Cerrato si racconta in una saporosa biografia destinata ai più giovani, libro in questi giorni mandato in libreria dalla casa editrice triestina Editoriale Scienza, titolo: L’universo di Margherita.
Pagine nelle quali la spontaneità, la passione e l’impegno che hanno caratterizzato tutte le scelte di questa scienziata sono rivissute con brio di scrittura: l’educazione aperta e tollerante ricevuta dai genitori, i successi sportivi, gli affetti, le prime ricerche, l’affermazione internazionale, l’impegno civile e politico.
Il volume si conclude con un’intervista di Sylvie Coyaud (alla quale mi lega il ricordo di un volo spaziale fatto con lei), la nota giornalista di rubriche scientifiche che, accanto alle pubblicazioni sulla stampa quotidiana e periodica, conduce, ogni sabato alle 14.00, su Radio24 la trasmissione Il volo delle oche.
L’universo di Margherita, libro destinato ai ragazzi sui 10 anni d’età, ha però pure il pregio di farsi leggere con piacere anche dagli adulti.

Margherita Hack – Simona Cerrato
“L’universo di Margherita”
Pagine 96, euro 13:90
Editoriale Scienza


Fronde d'alloro sulla radio


All’Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Fabio Falaguasta si è laureato in Scienze della Comunicazione, relatore il Prof Bruno Voglino, con una tesi intitolata: “L’offerta musicale odierna di Radiotre Rai”.
All’originalità del tema prescelto, s’accoppia il merito di non essere il solito lavoro compilatorio, bensì una raffinata analisi sul segno sonoro di quell’antenna pubblica.
Il tutto preceduto da una ricostruzione storica, quanto mai funzionale per capire l’oggi, dai gloriosi anni ‘50 in cui Radiotre nacque come “Terzo Programma” fino ai giorni nostri decisamente meno gloriosi.
Con gli strumenti della storiografia commentata, e non solo trascritta, viene fuori il ritratto di un’azienda pubblica italiana (la Rai) con i suoi condizionamenti, le sue contraddizioni, le politiche editoriali succedutesi nei decenni; gli strumenti, poi, della sociologia della comunicazione e della musicologia sono sapientemente usati per capire la sostanza di quanto viene offerto (e più spesso inflitto) oggi da Radiorai 3 agli ascoltatori.
Fabio Falaguasta, infatti, non si limita ad analizzare quanto avviene fra le mura delle redazioni della Rai, ma va ad indagare anche presso chi svolge una preziosa funzione di controllo critico sui programmi. Si pensi al gruppo “Amici di Radiotre” che negli anni è diventato (unico caso in Italia e non solo in Italia) un vero e proprio osservatorio sulla radiofonia pubblica.
La tesi si conclude con una trentina d’interviste a dirigenti di ieri e di oggi, collaboratori, critici musicali.
A Falaguasta ho chiesto: dalla tua esperienza di studi, qual è il ruolo che la musica recita prevalentemente a radio3 oggi in Italia? E quale la principale differenza rispetto ad ieri?
Così ha risposto.
Analizzando la situazione di Radio3 oggi, c’è una strana commistione tra musica intesa come prodotto artistico da analizzare e conoscere (e parlo dell’offerta dal vivo), e musica intesa come accompagnamento di sottofondo, come una sorta di Tafelmusik – musica da tavola - adatta a fornire un tappeto sonoro medio da ascoltare mentre si fanno altre attività (e mi riferisco all’offerta da disco). La principale differenza rispetto a ieri, è che chi si occupa di quest’ultimo aspetto lo fa con competenze lontanissime dallo spirito di una radio culturale come Radio3, privilegiando la medietà dell’offerta (e rendendo l’emittente simile in questo a una web radio) piuttosto che l’analisi, il commento critico e la ricerca del nuovo. Se cose nuove ci sono, sono però frammentarie e casuali e non risultato di una proposta o di una ricerca originale. Pecca soprattutto la sostanziale mancanza di commento, e l’assoluta assenza di criterio logico nella successione dei brani nella scaletta musicale (fatta gestire, male, da un software). Sapendo di non riuscire a perseguire totalmente il nuovo, come vorrebbero, producono così una sorta di ibrido, dove all’interno di programmi storici vengono inseriti brani selezionati coi criteri suddetti, con la motivazione di creare affezione negli ascoltatori. Riuscendoci, purtroppo, pochissimo.


Napoli siamo noi


Ho avuto la fortuna di leggere in bozze il libro di Giorgio Bocca, a giorni in libreria, intitolato Napoli siamo noi; leggere ‘in bozze’ è lettura privilegiata e scomoda: privilegiata perché leggi prima che il volume sia noto, scomoda perché non hai punti di riferimento con altri lettori e, soprattutto, le pagine, essendo non rilegate, scivolano via dalle mani come anguille e sei costretto a raccoglierle dal pavimento sacramentando.
Libro amaro, amarissimo, questo di Bocca che esamina in modo perfetto e impietoso la Napoli d’oggi.
Sono nato lì e ne sono fuggito nel ’68, ma quella data epocale non c’entra, fu impura coincidenza.
Non sono amato da molti miei concittadini e io non amo tanti di loro. Da tempo. Non da ieri. Perché i guai di Napoli, checché ne balbetti Raffaele La Capria, sono legati proprio a quella ‘napoletanità’ che ho sempre detestato e di cui lui si fa infausto difensore.
Un modo d’interpretare la vita sposandone i lati più bassi: dall’opportunismo alla furberia.
Una vita senza dignità.
Perché è una città priva di popolo ma piena di plebe, con una borghesia arrogante e truffaldina, con aristocratici ancora legati al passato borbonico.
Dickens, nel 1845, già largamente popolare in patria, visitando Napoli, la definì: “un paradiso abitato da diavoli”, Leopardi non ci andrà più leggero in molti giudizi sulla città.
Guai di oggi a Napoli che partono da ieri, da episodi, ad esempio, del maggio 1799 allorché un sanguinario quale fu il cardinale Fabrizio Ruffo, cui era stata affidata l'azione repressiva borbonica contro la Repubblica Partenopea, guidando l’ "Armata Cristiana della Santa Fede", composta da pendagli da forca, riconsegnò la città nelle mani dei Borboni.
E, in epoca più vicina, al “laurismo” cioè alla guida della città affidata al sindaco Achille Lauro – un rozzo Berlusconi ante litteram – che comprava i voti regalando pacchi di maccheroni e acquistando a prezzi astronomici giocatori di calcio per la squadra locale.
C’è stato qualche allarme, basti pensare a “Le mani sulla città” di Rosi, ma caduti nel vuoto di una società che non vuol saperne d’illuminarsi col fuoco della critica che preferisce detenere il record per feriti da fuochi artificiali a capodanno.
E per fuochi d’arma: 140 omicidi in due anni! Nel frattempo, in Canada, soltanto 2.
Nessun stupore, quindi, su ciò che succede oggi laggiù, succede da tempo.
E lassù? Lassù ci ha pensato la Lega a fare dell’egoismo sociale un’ideologia, un tempo in quelle terre celavano come colpa le loro rabbie socialxenofobe, mo’ le ostentano come meriti e hanno accolto la malavita organizzata del sud e quella delle banche del nord.
Bocca non risparmia neppure – e fa benissimo – i governanti d’oggi del centrosinistra; Bassolino, uomo onesto sì, ma vorace di potere: come può accettare la carica di Ministro del Lavoro (in Italia!) mentre è sindaco di una città (a Napoli!)?
Libro questo Napoli siamo noi (sì, perché Berlusconi è riuscita a fare dell’Italia una grande Napoli) che vorrei leggessero molti miei amici di sinistra. Perché proprio loro? Perché sono stufo d’ascoltare proprio da loro l’elogio di Napoli come città che è simpatica perché si ribella ad ogni potere, insomma ch'è quasi quasi anarchica. No amici cari, Napoli è disordinata nella vita d’ogni giorno ma ordinata e ossequiosissima rispetto al potere, nessuna pernacchia gli rivolge se non nella fantasia di qualche teatrante. Al contrario, gli sberleffi li riserva a quelli che non ce l’hanno fatta. Nessuna pietà per costoro. Ecco amici cari, se vi soffermate qualche settimana a Napoli, lo capirete. E se continuerete a tifare per quel modo di vivere, beh, è il caso di ripensare alla nostra amicizia.

Giorgio Bocca
“Napoli siamo noi”
140 pagine, 14:00 euro
Feltrinelli


Sempre così carine


Il nome della commediografa e attrice inglese Claire Dowie non è notissimo in Italia, ma in questi ultimi tempi si sta facendo conoscere anche da noi.
A Napoli, ad esempio, la scorsa estate è stata rappresentato, interpretato da Carmen Luongo, un suo lavoro dal titolo “Perché Orietta Berti non porta i pantaloni“ sintesi di due testi: “Perché John Lennon porta la gonna?“ e “Death and Dancing”.
Inoltre, Valter Malosti ha tradotto per l’editore Gremese proprio “Death and Dancing” e altri titoli.
Al Vascello di Roma, s’annunciano ora due occasioni per saperne di più su Claire Dowie e il suo teatro incentrato sulla tematica omosessuale da lei affrontata al tempo stesso in modo spigoloso e spumeggiante come s’addice ad una delle maggiori rappresentanti del movimento stand-up comedy.
Il primo appuntamento è con Sempre così carine con Sabrina Venezia (che è anche traduttrice del testo) e Francesca Fava, per la regìa di Giancarlo Nanni.
Si tratta di una divertente scrittura che tende a svelare i tabù su bellezza, sesso, e amore, sia esso sorellanza o passione. Due amiche d'infanzia si rincontrano dopo vent'anni: le scelte della giovinezza sono cambiate, ma per tutte e due è una situazione di sconfitta, una lotta feroce fra loro rende possibile, forse, ancora, l'amore.
Il secondo incontro – in collaborazione con il British Council – vede in scena la stessa Dowie in “H to He - I`m turning into a man” (Sto diventando un uomo).
Liberamente ispirato alle Metamorfosi di Franz Kafka, è l'avventura di una donna che si sveglia un mattino e scopre che sta diventando un maschio; lo spettacolo è in inglese con sottotitoli in italiano.
“I suoi testi” – è stato scritto – sono scanditi da una raffinatissima analisi critica dei meccanismi di coercizione e sopraffazione nei modi di espressione quotidiani e allo stesso tempo sono ritmati come un rap da sapienti ripetizioni e variazioni”.

Claire Dowie
“Sempre così carine”
Dal 10 gennaio al 12 febbraio

“H to He - I`m turning into a man”
14-19 febbraio
Teatro Vascello, Roma


Inciucio


Mi piace dedicare questa prima nota del 2006 a un libro uscito il mese scorso: Inciucio, ne sono autori Marco Travaglio e Peter Gomez.
Di “inciucio”, Il primo a parlarne fu Massimo D’Alema, nel 1995... ma tu guarda! Poi, in sei anni di governo, il centrosinistra evitò di risolvere il conflitto d’interessi e di liberalizzare il mercato televisivo. Risultato: informazione taroccata e niente satira politica.
Nelle tante, documentatissime, pagine del volume scorrono casi clamorosi accanto a quelli meno noti in cui è possibile capire come la politica, a dir poco cieca se non peggio, della sinistra ha permesso quello che sappiamo nel campo dell’informazione audiovisiva e stampata.
Inevitabile protagonista della maggior parte delle vicende è uno skipper di Gallipoli che quando si parla di guai toccati alla sinistra spuntano sempre le sue vele perché ha avuto un ruolo di primissimo piano nella guida del governo prima e dell’opposizione poi.
Ed ecco riepilogate, con particolari inediti, le vicende di Biagi, Santoro, Luttazzi, Freccero, Sabina e Corrado Guzzanti, Grillo, Paolo Rossi, Massimo Fini, Beha e tanti altri ancora; e gli attacchi a Report, Fo, Hendel, XII Round e così via, fino a Celentano & C.
Senza dimenticare i giornali: la guerra della dirigenza Ds a “L’Unità” di Furio Colombo e gli assalti estivi dei “furbetti del quartierino” al “Corriere della Sera”, con l’appoggio della finanza bianca,
azzurra e rossa.
Il libro s'avvale di una sferzante introduzione di Giorgio Bocca.
Libro prezioso che servirà soprattutto domani allorché – se vincerà il centrosinistra – si evitino gli errori finora fatti. Una delle prime condizioni è allontanare le persone che quegli errori hanno commesso… e poi raccoglimi pure accanto a quell’anima benedetta.

Marco Travaglio – Peter Gomez
“Inciucio”
602 pagine, 11:20 euro
Bur


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