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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Visioni e previsioni


In quali direzioni viaggeranno le arti visive contemporanee nel prossimo futuro?
E’ una domanda che si pongono artisti, cronisti, galleristi, appassionati della materia.
A tutti questi consiglio la lettura di un prezioso librino, I giovani curatori e l’arte contemporanea, che raccoglie storia e orientamenti di 26 critici, tutti under 35, provenienti da più continenti. Saranno loro, infatti, che, già oggi ai loro primi passi professionali, sempre più ordineranno mostre e rassegne proponendo scelte espressive e opzioni di mercato.
Il volume si deve alla preziosa Silvana Editoriale che non è soltanto ottima editrice di cataloghi per grandi mostre, ma pubblica importanti testi critici dall’antichità al contemporaneo, spaziando anche attraverso la documentazione di storici restauri e l’edizione di riviste, quale, ad esempio, “Janus”, vero punto di riferimento della nuova espressività dei nostri giorni.
Tornando a I giovani curatori e l’arte contemporanea, il testo raccoglie – attraverso l’efficace formula dell’intervista con le stesse domande rivolte a tutti – i frutti di un convegno ideato dalla GAMeC di Bergamo, associato al Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte, che volle mappare (e l’esperienza sarà replicata anche in futuro) le linee teorico-pratiche e le posizioni critico-curatoriali dei più giovani operatori del settore.
A riprova dell’importanza e della praticità di quell’incontro, in questi giorni, a Bergamo, è in corso una mostra Aesthtics/Dietetics curata proprio da uno dei 26 critici che ritroviamo nel libro: Mizuki Endo.
Gli italiani presenti nel volume sono: Cecilia Canziani, Giovanni Carmine, Luca Corizza, Francesco Manacorda, Andrea Viliani.
Qual è la differenza fra i giovani critici che entravano nell’area dei lavori anni fa e i nuovi? Due constatazioni risultano assai evidenti.
La prima: una volta in pochissimi provenivano dall’arte contemporanea perché avevano svolto studi sull’arte classica e solo successivamente s’erano applicati al contemporaneo.
La seconda: gli under 35 presenti nel libro, accanto a paludati corsi universitari (non da tutti, però, frequentati) si sono misurati con precoci attività operative, scrivendo su punkfanzine, lavorando per la tv, sulla Rete, o producendosi essi stessi come artisti.
Da queste esperienze non potrà che venire un nuovo modo di proporre e disporre arte.
Un rinnovamento con il quale tutte le figure del mondo delle arti visive contemporanee dovranno fare i conti.

“I giovani curatori e l’arte contemporanea”
Pagine 64, Euro 20:00
Silvana Editoriale


Costretti a sanguinare


Essere punk vuol dire essere un fottuto figlio di puttana, uno che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna della Monarchia, senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo.
Così Johnny Rotten.
Ci sono anche analisi lunghe e ragionate sul punk, una saggistica assai ampia, ma uno dei libri che più illumina quel fenomeno per quanto riguarda l’Italia, a mio avviso, è Costretti a sanguinare: Il romanzo del punk italiano 1977-1984.
Pubblicato per la prima volta nel 1997 racconta la giovinezza dell’autore e la stagione del “Virus”, antesignano dei centri sociali, quando Milano era una delle protagoniste del punk europeo.
Ma chi è l’autore?
E’ Marco Philopat (in realtà si chiama Marco Galliani), tra le penne più vissute dell'underground italiano; milanese, iniziò a pubblicare su punkzine fotocopiate. Dopo “Costretti a sanguinare”, uscì nel 2002, “La banda Bellini” (vendendo più di 10.000 copie nei primi sei mesi), e nel 2005 “I viaggi di Mel”, tutti i tre titoli per l’Editore Shake.
E’ anche autore di teatro con MIRaMilano e sceneggiatore per il cinema con Forza Cani.
Ora Einaudi Stile Libero, riedita quel primo libro, con una nuova prefazione dell’autore e illustrazioni di Stiv Rottame.
Quando Costretti a sanguinare uscì nel ’97 Marco Belpoliti così scrisse: "Costretti a sanguinare", racconta abolendo la punteggiatura e ricorrendo al trattino corto per separare periodi e frasi; l'effetto è quello di un ritmo jazz, tutto strappi e accelerazioni, assai gustoso ed efficace, un tono narrativo che si adatta perfettamente al protagonista e alla storia.
Per leggere l’inizio del libro, cliccate QUI.

Marco Philopat
“Costretti a sanguinare”
Pagine 248, Euro 13:50
Einaudi. Stile Libero



Per Filo e per Segno


ll Filo è quello del racconto, il Segno è quello teatrale.
Da qui il titolo Per Filo e per Segno, una rassegna – dedicata alla Favola in Commedia – che si svolgerà a Mogliano Veneto, a partire da domani, organizzata dall’Associazione “Attore… si nasce?” e dalla Città di Mogliano Veneto, in collaborazione con la Regione Veneto, la Provincia di Treviso, “L’Aprisogni” Compagnia di Teatro di Burattini e Figura, l’Associazione Culturale “Filanda Motta” ed il Centro Internazionale “Civiltà dell’Acqua” di Mogliano Veneto, perché è all’acqua che s’ispira questa VII edizione della rassegna.
Il tutto si svolgerà in un luogo della memoria, suggestivo e storico qual è la Filanda di Campocroce.
Come sanno i lettori di questo notiziario, sono lontano dal teatro di parola, preferendogli, per pratica personale e anche gusto di
spettatore, quello tecnologico e plurisensoriale, ma non sono settario fino al punto di non parlare di qualcosa, come questa che sto segnalando, che ha parecchi meriti sia d’ideazione e sia di risultati scenici con il ricorso spettacolare all’uso di trampoli, maschere, danze, canto, pantomima, improvvisazione.
La direzione organizzativa è di Marzia Bonaldo.
Quella artistica di Eleonora Fuser: attrice reduce da due anni di successo nella Compagnia di Giulio Bosetti con “Così è se vi pare”, e di tante altre imprese teatrali come la direzione di spettacoli negli Stati Uniti, Francia e Germania.
Per saperne di più sulla sua estesa biografia artistica, cliccate QUI.
E proprio a Eleonora Fuser ho chiesto qual è la particolarità espressiva di questa manifestazione e come si rapporta con la nuova scena.
Non c'è una presunzione di particolarità nella nostra rassegna ma la ricerca dell'utilizzo di un’antica, originaria, ancestrale vocazione scenica e di una sua inevitabile rivisitazione contemporanea. Una riscoperta e una pratica dei principi etici d'attore in un contesto ludico, come quello della Filanda Motta, che è la "Festa": dall'aperitivo a notte fonda.
Una proposta antropologica per grandi e per piccini dentro alla maschera della commedia dell'arte, dentro ai burattini, dentro alla "Favola" manipolata, elaborata, rivisitata come accade con "Fiabole" di Anna Meacci e la "Favola" della memoria "Il Maestro Magro" di Giannantonio Stella
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Programma
L’Ufficio Stampa è guidato da Micaela Scapin: 041 - 51 03 742; micaelasca@alice.it


Morfino Suite


Non è cosa nuova: esistono figure poco note al grande pubblico che sono state all’origine di movimenti e di successi d’altri i quali, invece, sono molto conosciuti.
Arturo Morfino è una di quelle figure; musicista, napoletano, aveva 63 anni quando nel 2003 morì come i giusti: nel sonno.
Pochi giorni orsono ho ricevuto da un’affettuosa amica un suo libro intitolato: Pacifico.
Libro involontario, perché raccoglie scritti (raccolti e pubblicati dal figlio Giorgio) che mai furono concepiti per un’edizione unitaria, ma frutto di appunti e riflessioni fatti soprattutto durante i suoi numerosi viaggi in Oriente dove soggiornò lungamente.
Conobbi, e diventammo amici, Arturo Morfino perché mi fu presentato da Pinotto Fava (vero rabdomante di talenti, trascurando sempre il proprio) che lo invitò a lavorare per Radiorai come autore di programmi: “La giumenta di Artaud”, “Le stanze della memoria”, “Cucina elettrica economica”, “La radio è una musica da abitare”, “Raja Hotel”, e altre ancora.
Arturo, era stato negli anni ‘60 il creatore a Napoli di Playstudio, un Centro di ricerche audiovisive. Da lì mossero i primi passi Licia Maglietta e Laura Angiulli, lavorarono, allora appena emergenti, Pino Daniele, Francesco De Gregori, Hai Yamanouchi, Dodi Moscati, Franco Battiato, Mario Schiano, Bruno Tommaso, Carlo Siliotto, il Bread and Puppet Theatre.
Arturo collaborerà poi con tanti nomi della scena musicale internazionale: da Edoardo Bennato ad Allen Bryant, da Roberto De Simone a Don Cherry.
Negli ultimi anni alternò l’attività radiofonica (il suo ultimo impegno per “Due di Notte” guidato da Cinzia Bellumori) con lunghi viaggi, come s’è detto, in oriente.
Pacifico è un brogliaccio notturno, e anche un bell’imbrogliaccio di sogni e visioni, accompagnato da un Cd (ve ne darò prossimamente degli assaggi in questo sito nella sezione Nadir) in cui sono raccolti alcuni dei tanti brani da lui composti che vivono sul filo di parolibere lanciate su versi gioiosi e fescennini.
Arturo, come tutti quelli che conoscono autenticamente la disperazione dell’esistenza umana, infatti, mai fu elegiaco o, peggio, sentimentale, praticò il Gioco come sublime arte funeraria, ben sapendo di essere un giocatore giocato, che della morte non si sorprende, ne accetta in anticipo la smorfia e lo scacco e, pacificamente, la irride.

Arturo Morfino
“Pacifico”
Pagine 143 con Cd
Distribuito gratuitamente
Per ottenerlo, indirizzare a: giorgiomorfino@hotmail.com


Capsule del Tempo


Diceva Gesualdo Bufalino: “Come invecchiano presto gli oggetti, una Balilla è già come una colonna dorica”.
Probabilmente, nonostante l’estrema diversità fra i due personaggi, doveva pensarla così anche Andy Warhol (Pittsburg 1928 – New York 1987) con la sua operazione di custodire ogni oggetto, anche il più banale, come reperto archeologico per future ere.
Di tutto ciò se ne ha testimonianza in un’interessante mostra da poco aperta a Trieste intitolata Andy Warhol's Timeboxes esposizione progettata da Art Lab, a cura di Gianni Salvaterra.
Il visitatore potrà ammirare grandi contenitori il cui significato rimanda all'idea di costruzioni di tipo ancestrale o indefinibili cellule architettoniche. Cinque forme monocolore ampie, con aperture che permettono l'ingresso alle persone, e, all'interno di ciascuna costruzione, una stanza dalle pareti decorate con carte da parati di Warhol.
Scrive Luisa Maria Carretta: “Andy Warhol comincia a raccogliere fin da bambino, con ossessiva metodicità, in piccole scatole di cartone marrone tutte uguali - alla fine della sua vita supereranno le seicento unità - gli oggetti più disparati che gli passano per le mani (foto, ritagli, cartoline, articoli di giornale, manifesti, pezzi di pellicola, fatture), legati a momenti della sua esistenza in apparenza non necessariamente di particolare significato: egli chiama queste scatole ‘Time capsule’, a significare la volontà di custodire e preservare, intrappolandoli diligentemente entro le pareti di cartone, non tanto gli oggetti quanto il tempo stesso della loro esistenza, la durata di un effimero arco temporale, un attimo irripetibile bloccato e congelato in un insignificante frammento di materia”.
Per Andy Warhol, capace di trasformare una parrucca da dieci dollari in un’icona universalmente riconoscibile (a proposito, proprio ieri si è avuta notizia che quel famoso parrucchino argenteo è stato venduto all’asta da Christie’s a 10800 dollari, cioè circa 8700 euro), "infilare in scatole cianfrusaglie trovate in giro corrispondeva quasi ad un’azione solenne come la tumulazione di un Santo. Un pacco postale pieno di scarpe, pagine di giornale o bigiotteria non è il frutto del lavoro di una famiglia della middle class alle prese con un trasloco, ma una “Capsula del tempo”.
La mostra s’avvale di un catalogo di una delle migliori editrici d'arte in Italia, la Federico Motta Editore, realizzato in due versioni di cui una a tiratura limitata e numerata in 499 copie.

Trieste, Centro espositivo d’arte moderna e contemporanea
Fino al 22 ottobre
A cura di Gianni Salvaterra
Orari: dalle 10 alle 23


Adda venì Baffone


Chi tanto ingenuamente così diceva sperando che s’avverasse quell’augurio, per nostra fortuna (e anche sua) non ci ha preso.
A questo pensavo dopo la lettura di un prezioso volume mandato in libreria da Laterza: Italiani nei lager di Stalin, ne sono autrici Elena Dundovich e Francesca Gori.
Libro acuto e documentatissimo, doloroso e implacabile, di chiara qualità di scrittura, che non a caso è finalista all’edizione d’Acquistoria di quest’anno.
Allorché si riflette sulle atrocità e le illusioni, le bugie e le censure prodotte da un’ideologia avviene una cosa che separa nettamente la Destra dalla Sinistra. A Destra, infatti, si tentano da sempre giustificazioni o rivalutazioni giungendo perfino negli ultimi anni al negazionismo; a Sinistra, almeno da qualche tempo, accade, invece, come succede in questo libro, di guardare in faccia la realtà con coraggio, cercando di far conoscere ciò che è accaduto, il perché e il come. Sarà, forse, perché la Sinistra ha al suo interno più componenti della Destra e, quindi, plurali articolazioni che, talvolta, finiscono perfino nella pratica politica per rendere difficile l’unità. Sarà che la Sinistra, inoltre, non è più egemonizzata dal pensiero comunista, lo stesso Pci ha conosciuto le trasformazioni che sappiamo, e questo ha permesso maggiore libertà d’espressione.
A me, elettore della Sinistra, né cattolico né marxista, tengo a quella benvenuta libertà.
Italiani nei lager di Stalin è una dimostrazione di pensiero libero che s’avvale della straordinaria fatica e cospicua analisi delle autrici di cui prima dicevo: Elena Dundovich e Francesca Gori.
Nelle loro pagine sfilano storie agghiaccianti di nostri compatrioti comunisti, socialisti, anarchici che subiscono violenze, lager, fucilazioni. Ancora oggi il numero dei morti per stenti o per piombo non è possibile indicarlo con assoluta certezza.
E’ questo un volume col quale chi lavorerà su questa materia dovrà farci i conti anche negli anni futuri, volume che è un necessario strumento anche per capire gli errori della Sinistra italiana fino al Muro di Berlino (e per qualcuno anche oltre, purtroppo) con le conseguenze che ben sappiamo; per non ripeterli non soltanto sul piano della critica storica, ma anche dell’analisi laica – non religiosamente e perniciosamente ideologica – della contemporaneità.
Ho avvicinato Elena Dundovich e le ho chiesto: perché i due grandi totalitarismi occidentali del XX secolo, l'hitlerismo e lo stalinismo, hanno entrambi operato feroci repressioni anche tra le proprie file?
I due sistemi totalitari del Novecento, quello nazista e quello sovietico, si radicarono nel tessuto sociale dei due paesi attraverso l’uso sistematico della violenza e della repressione intese come quotidiano strumento di governo. In entrambi i due sistemi si verificò nel corso degli anni Trenta una capillare epurazione dei partiti che avevano appoggiato l’ascesa al potere dei due dittatori e che, proprio sull’onda del successo ottenuto, avevano conosciuto un notevole incremento del numero dei propri iscritti. Le epurazioni colpirono sia la base che soprattutto i vertici del partito nazionalsocialista tedesco e di quello bolscevico al fine di creare strutture il più fedeli possibile e di allontanare dai centri del potere personalità in vista che potessero offuscare con il proprio prestigio la fame e il potere dei due dittatori.

Quali le responsabilità di Togliatti nella repressione della comunità italiana in Urss?
Tra il 1935 e il 1939 la comunità degli antifascisti italiani in Urss subì una dura epurazione nel contesto delle operazioni di repressione che il regime di Stalin attuò in quegli anni nel paese. L’identificazione da parte della polizia politica sovietica dei casi sospetti tra gli italiani fu agevolata dalla collaborazione dei dirigenti del Partito Comunista Italiano che in quegli anni vivevano a Mosca e che lavoravano nella Terza Internazionale di cui Togliatti era diventato uno dei segretari nel 1935. Benché non costantemente presente a Mosca, tra il 1936 e il 1939 quest’ultimo dette il suo avallo, come dimostra il materiale documentario rinvenuto negli archivi russi, alla repressione di molti italiani considerati sospetti per le proprie idee politiche. La sua firma è in calce a molti documenti in cui si segnalano negativamente i nomi di antifascisti italiani in Urss che moriranno poi nei lager di Stalin.

Elena Dundovich – Francesca Gori
“Italiani nei lager di Stalin”
Pagine 209, Euro 16:00
Editori Laterza


Cela la Stella


Presso la Galleria d'arte Stella, in Via di San Callisto 8 a Roma, personale di Gianni Cela.
La mostra è presentata dalla curatrice Barbara Martusciello e dal fumettista e autore satirico Stefano Disegni col quale ho fatto tempo fa un viaggio spaziale finito in tragedia.
Il foggiano Gianni Cela propone immagini che puntano all’immediatezza comunicativa del fumetto.
Non è un caso che abbia subìto la fascinazione dapprima di Topolino, Il Giornalino, Il Corriere dei Piccoli, e poi Linus, Il Male, Cannibale e Frigidaire con il quale ha anche collaborato.
L'accorgimento tecnico di cui prevalentemente s’avvale, consiste nel disegnare un particolare nucleo della figurazione - una donna, un paesaggio, una macchina - su un acetato trasparente che è incollato sulla composizione per poter essere alzato come un velario.
Le scene svelate richiamano le gelatine e il modo di lavorare delle animazioni.
Un certo debito queste opere lo hanno anche con l'immagine fotografica, re-inquadrata e usata nel quadro dopo ulteriore rielaborazione pittorica.
Nelle opere di Gianni Cela aleggia pure una particolare atmosfera cinematografica, tra noir e B movie, fantascienza e commedia sexy del decennio Sessanta, difatti, proprio quella cultura visiva riecheggia nelle sue composizioni giocando con tante delle sue declinazioni.

Gianni Cela
Fino al 5 agosto ‘06
Galleria d'Arte contemporanera Stella
Via di San Callisto 8, Roma
Da martedì a sabato, ore 16 - 20
Info: 06 – 58 33 41 58; galleriastella@hotmail.com


Mai stare tranquilli!


Quei pochi che leggono questo notiziario quotidiano sanno che mai mi occupo di poesia lineare.
Me ne faccio vanto.
Ospito, con parsimonia, soltanto notizie che riguardino la rock poetry e la poesia realizzata con tecniche audiovisuali elettroniche di nuovo stampo tecnologico.
Giorni fa, ho trovato nella cassetta (non casella) postale un libro di poesie e quell’oggetto stava per seguire la sorte dei tanti che l’hanno preceduto, e seguiranno. Cioè il più vicino cassonetto. Mentre m’accingevo a questo rito di pulizia letteraria e morale, m’accorgo dell’autore: Mimmo Grasso. Ho interrotto il rito e sono passato alla lettura.
Negli anni scorsi, infatti, ho ricevuto da lui roba di qualità. Anche stavolta. E ve lo segnalo non perché si tratti di poesie ma perché valica i confini di quel genere per porsi nel più vasto cielo della Scrittura.
Preciso che mai ho incontrato l’autore, non posso, quindi, dirmene amico, ma solo lettore.
Lettore appassionato di un ritmo che sa dare alla pagina, ricca di una musicalità particolare, povera d’effetti speciali, opulenta concettualmente.
Mimmo Grasso, è detto in una nota biografica, è nato a Catanzaro, abita a Monte di Procida, ha pubblicato saggi di critica letteraria e d’arte. Un calabrese, come un altro scrittore di quella terra: Lorenzo Calogero (1910 – 1961) che ritengo un protagonista della letteratura italiana del XX secolo e di cui spero che qualcuno s’occupi di un rilancio dopo il disvelamento operato molti anni fa da Leonardo Sinisgalli e Giuseppe Tedeschi.
Parlo qui di Mimmo Grasso perché il libro, intitolato (in modo poco affascinante) Volturnio ha diverse caratteristiche che ne profilano originalità.
E’ frutto, a sentire l’autore in prefazione, di un fortuito incontro con un pescatore palestinese – nome: Khaled, cioè “l’Immortale” – col quale i versi sarebbero stati scritti prima che Khaled annegasse nel mare davanti Procida. Khaled scrive in un alfabeto immaginario fra body e land art… mah!... diffido di questo racconto. Khaled, secondo me, è un Doppio di Grasso che usa quella figura come ammonitore, a tratti celeste a tratti sulfureo, della sua scrittura, un Virgilio che guida l’autore fra sirene e chimere.
Altra cosa: il libro è tradotto, verso per verso, in arabo, cosa questa che conferisce anche bellezza grafica al volume rendendolo un libro d’artista, nel senso che a questa definizione si rifanno le arti visive.
Una delle poesie è modulare, cioè scomponibile, alla maniera della corrente letteraria a me più cara, cioè l’Oulipo: potete disporne i 10 versi come vi pare ottenendone altrettante poesie. Gli effetti, nella traduzione araba, siamo tenuti a non conoscerli.
E ancora: il libro è scaricabile gratuitamente sul sito di un’istituzione (che, stavolta, non propone i soliti, spesso osceni, libretti turistici autopromozionali, ma… letteratura!) è il Comune di Marano (Napoli) grazie a Mauro Bertini che all’epoca della pubblicazione (maggio ’06) era sindaco. Lo so, dovrei nascondere questa notizia perché può indurre i sindaci a prenderne giudiziosa nota e non pubblicare sul sito del proprio Comune letteratura perché il rischio di una bocciatura elettorale si fa pressante. Ma no, sono sicuro che anche l’attuale sindaco di Marano saprà fare, come il suo predecessore, buon uso di letteratura sul web, ma con migliori fortune politiche.
Insomma, come vedete, aldilà della qualità prodotta da Mimmo Grasso, motivi particolari per occuparmi del suo Volturnio non mancano. E giustificano ai miei occhi l’interessamento pur negandolo di solito ai libri di poesia.
Poeti siete avvisati, nessun cedimento: qua non parlerò, quindi, in futuro di vostri libri.
E neppure di libri di poesia dello stesso Mimmo Grasso se replicherà, come gli auguro, prove in versi.

Mimmo Grasso
“Volturnio”
Traduzione in arabo di Aljaramneh Fares
Edizioni La Città del Sole
Scaricabile gratuitamente QUI


Minus Habens


Chiarisco subito che Il titolo di questa nota non si riferisce a italoforzuti o alleati nazionali che combattono contro la ricerca scientifica sulle staminali. Voglio parlare, invece, di un’etichetta discografica che proprio Minus Habens Records si chiama. Come accade sempre a chi ha il gusto e la forza di prendersi in giro, è per niente minus habens chi ha ideato, nel 1987, il progetto musicale e di mercato della Casa.
Si tratta del musicista Ivan Iusco, da sempre attento alle risorse estetiche e tecniche dei nuovi media come dimostra la fondazione, nel ’93, fatta insieme con Alessandro Ludovico, della rivista Neural.
Molto attivo anche nel cinema, sue le colonne sonore di "Lacapagira" diretto da Alessandro Piva, vincendo al festival di Valencia il premio 'miglior colonna sonora 2000'. Nel 2003 riceve la nomination 'miglior colonna sonora' ai Nastri D'Argento per le musiche del film "Mio Cognato" ancora di Piva. Collabora anche con Sergio Rubini, scrivendo il tema principale del film 'L'Anima Gemella' (2002) e la colonna sonora, con Pierluigi Ferrandini, de "L'Amore Ritorna" (2004). Oltre a scrivere musiche per il cinema, Ivan Iusco compone anche per la televisione, la pubblicità, la videoarte, e siti internet. Fino ad oggi la sua discografia include dodici album.
Negli ultimi anni, la Minus Habens da lui guidata è cresciuta considerevolmente, fratturando, sezionando e ricombinando in ambiente elettronico intuizioni, stili e approcci musicali eterogenei. Legata dal 2002 con la Emi Music Publishing Italia, la Minus Habens controlla cinque marchi: Minus Habens Records, Disturbance, Casaluna, Noseless e Minus Habens Soundtrack Collection, impegnati rispettivamente in ambito electro, nu-jazz, e-soul, house e cinematografico (Mio Cognato, Il Miracolo, Caterina Va In Citta, Evilenko, La Fiamma Sul Ghiaccio, Il Mio Miglior Nemico, The Punisher, ecc.). Nel dicembre del 2005 lancia un nuovo formato discografico che chiama Dak (Digital Audio Key), la prima compilation musicale al mondo in formato pendrive Usb.
La Minus Habens ha realizzato fino ad oggi oltre duecento pubblicazioni discografiche, coinvolgendo centinaia di musicisti da tutto il mondo tra i quali ricordo: Brian Eno, Depeche Mode, Angelo Badalamenti, William Orbit, Aphex Twin, Laurent Garnier, Cabaret Voltaire, Clock DVA, Thievery Corporation, James Hardway, Kevin Yost.


Voci aliene


Trascorrendo nello Spazio, Cosmotaxi (che mai ha aderito allo sciopero dei taxi del pianeta Terra) capta, è una sua specialità, voci aliene.
Oggi ne segnalo una, è di Francesco Muzzioli che proprio così, cioè Voce Aliena, firma un suo intervento nel libro Edoardo Sanguineti e Gaetano delli Santi: due generazioni di Avanguardia a confronto.
Il volume è a cura di Marisa Napoli con un saggio introduttivo di Paola Scotti la quale scrive: Il libro che state sfogliando racconta di due scrittori, due autentici purosangue dell’Avanguardia letteraria contemporanea. Difficile raccontare ciò che per definizione sfugge alle regole e alle definizioni. Ma è quello che ci siamo prefissi ritagliandoci ciascuno un ruolo complementare per affermare come sia fondamentale scoprire rive sconosciute (…) che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione (per dirla con le parole di Henri Laborit ne ‘Elogio della fuga’).
Ma se è aliena la voce di Francesco Muzzioli, non lo è da meno quella dell’editore Fabio D’Ambrosio al quale ho chiesto di parlare delle mete espressive che si propone. Così ha risposto.
Tutta la nostra produzione editoriale è dedicata all'Avanguardia ed in particolare agli aspetti estetico-linguistici in aperta contrapposizione al linguaggio dominante.
Tale scelta viene espressa non soltanto nei titoli del catalogo ma anche nelle modalità realizzative dei volumi.
Al rigore e alla coerenza affianchiamo l'aspetto interdisciplinare (tipica caratteristica dinamica dell'Avanguardia) in modo che il risultato sia migliore della somma delle competenze di coloro i quali hanno collaborato alla realizzazione di ciascuna opera.
La meta che ci proponiamo è di fornire strumenti per non subire acriticamente un manifesto pubblicitario o una trasmissione televisiva...
Proponendo la veste grafica come il primissimo elemento di contenuto, adottiamo le modalità operative messe a disposizione delle nuove tecnologie così da avvicinarci ancor di più in modo dinamico e non didascalico alle tematiche.
Tale approccio ci permette di proporci ad un mercato non esclusivamente di intellettuali o di addetti ai lavori.
A titolo di esempio, in “Sanguineti e delli Santi due generazioni di Avanguardia a confronto” per 'spiegare' l'Avanguardia proponiamo, tra un capitolo critico e l'altro, la voce di un osservatore esterno, un vero e proprio alieno, che in modo quasi infantile, spiega cosa lo spinga in giro per l'universo alla ricerca di segni di Avanguardia
.

“Sanguineti e delli Santi due generazioni di Avanguardia a confronto”
Pagine 208, Euro 27:00 (spedizione inclusa)
D’Ambrosio Editore


Tra Agalma e Polemos


Nello scrivere questa nota, lo confesso, me la sono vista brutta.
Come dirò appresso si tratta di una mostra, organizzata da… Agalma… uhm!... Agalma? E che vorrà dire mai?... E’ il nome di una donna, di un piatto, di un’arma?...
Per risolvere le mie angosce mi sono rivolto speranzoso ad una frequentatrice di un bar notturno dove vado spesso e costei bevendo un gin fizz (con molto gin e niente fizz), mi ha illuminato dicendomi: Agalma è parola della lingua greca antica che significa immagine, rappresentazione, simbolo . Ah, vabbè. Tutto risolto?... seeeh!... la mostra si chiama… Polemos… ma ce l’hanno con me? Io mica a scuola ho studiato il tedesco… come dite… non è tedesco?... insomma a scuola andavo male, ecco. Stavolta, però, mi faccio spiegare la parola Polemos da Daniela Cristadoro che sta all’origine di tutto quanto, miei guai linguistici compresi.
Daniela è stata, tra I fondatori di “Sixto Notes”, un centro sperimentale che a Milano, alla fine degli anni ’70, ha operato nella direzione della contaminazione dei linguaggi dell’arte - performance, videoarte, installazioni ambientali – favorendo l’incontro e lo scambio tra artisti italiani e stranieri. Ha collaborato a diverse riviste tra cui N.A.C. e Koinè. Attualmente è presidente dell’Associazione Culturale Agalma, costituitasi per realizzare progetti propri o altrui nell’ambito dell’arte contemporanea.
Come questo al forte di Gavi: Polemos L’opera d’arte fra conflitto e superamento. Ideata da Daniela Cristadoro, la mostra è stata curata dalla critica e storica dell’arte Angela Madesani.
Alla mostra partecipano 22 artisti, da Ferruccio Ascari a Christian Boltanski, da Federico De Leonardis a Pinot Gallizio, da Shirin Neshat a Elisabeth Scherffig; per gli altri nomi consultate il sito Agalma.
Il catalogo è della Silvana Editoriale.
A Daniela Cristadoro ho chiesto di spiegare la parola “Polemos” e perché la mostra è intitolata così. Ecco la sua risposta.
Polemos è parola greca che si traduce con ‘guerra’, ‘conflitto’. Diceva Eraclito: “Di tutte le cose Polemos è padre”.
La mostra Polemos si snoda attraverso un percorso che vede accostate opere che sono l’esito delle diverse scelte linguistiche di ogni artista: dalla scultura al video, dall’ installazione alla fotografia. Ciascuno degli artisti presenti ha declinato il tema della mostra, che è quello del conflitto, a partire dalla specificità della propria ricerca, ma tenendo sempre conto delle caretterische del luogo, che è un forte militare. Molti di loro hanno realizzato opere ‘site specific’.
Nella costruzione di questa mostra si è guardato all’opera d’arte come ad un processo mai in quiete e mai in equilibrio. Come a qualcosa che ha il carattere del paradosso e dell’enigma. Nell’idea di conflitto, la mostra individua il suo tema di fondo: da quello tra l’individuo e la realtà che lo circonda, ai conflitti che si manifestano nella storia, ai quali l’arte non è mai estranea, a quelli di natura linguistica che riguardano lo statuto dell’arte stessa
.

“Polemos”
Forte di Gavi (Alessandria)
Fino al 1 ottobre ‘06


1 sipario per 4 storie


Dopo “Il miele del Luxenbourg” (ospitato dal Festival di Annecy e unico corto italiano scelto dal Ficep, Federation Institut Culturels Étrangers Paris, nella rassegna ’05 dedicata ai registi emergenti), Ottavio Cirio Zanetti sta ultimando il montaggio della suo nuovo lavoro: Sipario prodotto da Orlando 22.
Per vedere il trailer de “Il miele del Luxembourg” (un thriller), conoscere biografia e proponimenti espressivi di Cirio Zanetti, cliccate QUI
E se nella precedente produzione, tra i protagonisti, figurava Umberto Eco, anche stavolta nei titoli di testa scorrono nomi eccellenti.
Ottavio Cirio Zanetti, infatti, ha diretto un cast stellare.
In ordine alfabetico: Alfredo Arias, Adriana Asti, Francesca Benedetti, Annalisa Di Nola, Gianni Garko, Anna Nogara, Luciano Roman, Luca Ronconi, Silvia Siravo, Viviana Toniolo e con la partecipazione straordinaria di Valentina Cortese.
Musiche di Nicola Piovani; direttore della fotografia Bruno Cascio; montaggio di Pierluigi Leonardi.
A Ottavio Cirio Zanetti, ho rivolto qualche domanda circa Sipario.
Anche ne “Il miele del Luxenbourg”, usavi cadenze da thriller. Che cosa t’affascina di quel genere, e qual è la differenza delle finalità espressive fra quel lavoro e questo che hai appena terminato?
Fin da ragazzo ho avuto una passione per i gialli, da Agatha Christie a Simenon, se si aggiunge quella per i film di Hitchcock… Mi piacciono molto anche i Maigret televisivi interpretati da quel grande attore che è Bruno Cremer, ricostruzione d’ambiente meticolose, la provincia francese in tutte le sue sfumature. Sapere o non sapere fin dall’inizio come sono andati i fatti non è importante. L’interessante è l’intreccio, la ricostruzione dei fatti, la complessità di rapporti e sentimenti umani. Quanto ai miei due piccoli film, nel primo, ambientato tra passato remoto (l’epoca dei tre moschettieri) passato prossimo (l’infanzia del protagonista) e presente (quello del protagonista adulto) è proprio la visione di un presunto cadavere tra i cespugli di un parco (omaggio ad Antonioni) a legare le varie epoche: tra letture, ricordi e presente un po’ nostalgico, thriller proustiano insomma .
In “Sipario”, un sipario si vede solo un attimo perché in realtà tutto il film (durata: trenta minuti) racconta piuttosto quel che avviene dietro il sipario o per colpa di esso, cioè dei rapporti di chi fa teatro (ma probabilmente vale per il mondo dello spettacolo in generale).
Le quattro attrici protagoniste ciascuna di un episodio, esasperate ognuna da una diversa situazione, compiono o desiderano o immaginano di compiere dei delitti teatrali per vendicarsi. Il senso del film sta in quello che dice Valentina Cortese, gentile ed etereo Deus ex machina del film, quando esorta i litiganti a fare pace e a mettere più amore nel lavoro che hanno il privilegio di fare, “Noi che abbiamo avuto il privilegio di questa vocazione”, dice proprio così, “Dobbiamo amarci” e, ovviamente , amare il nostro mestiere
.
“Sipario”, come ho anticipato in apertura, è centrato sulla figura di quattro attrici.
Un discorso sull’attore, i suoi problemi professionali, psicologici, il rapporto che ha con gli altri e se stesso.
Maurizio Grande in un suo intervento di anni fa si chiese: “Ma chi è l’attore: un corpo promosso a figura? Una maschera promossa a persona? Un sostituto promosso a originale?” Tu come risponderesti a tali domande?
Risponderei con un bellissimo brano di Fellini (in “Il mestiere di regista”, Garzanti 1994) che raccontava di essere in grado di riconoscere in una folla di mille volti anonimi chi di loro fosse un attore, chi di loro avesse fatto per anni quel mestiere difficile e bellissimo che ogni sera li svuota e li riempie di vite altrui, ad ogni spettacolo, ad ogni film.
Come si fa a non provare un po’ di tenerezza per loro?


Ciao Adriano


Oggi saluterò per l’ultima volta Adriano Tirelli.
Un amico, un grande, che non vedrò più.
E’ morto a Giove, un paese dal nome stellare.
Aveva 54 anni; era docente al Conservatorio di Roma, ha composto musiche per colonne sonore quali, ad esempio, quelle di numerosi sceneggiati radiofonici per la Rai e del film Roma, Paris, Barcelona.
Ma è stato anche autore di grandi amicizie e di generose solidarietà.
E’ roba che non viene ricordata in nessuna antologia, ma sarebbe bello che esistesse un libro in cui fossero elencati tali autori, perché di veri e propri autori si tratta.
Un’amicizia è sempre firmata. E la firma è di quello che l’ha creata.
Adriano Tirelli ne ha create molte.
Quel libro, se fosse dato alle stampe, vedrebbe il nome di Adriano Tirelli con caratteri maiuscoli.
Noi suoi amici lo saluteremo oggi ricordando il suo pensiero elegante, la sua allegria che ha allietato tante e tante serate trascorse insieme fino alle ore piccolissime, e mai gli perdoneremo la “sòla” che ci ha fatto nel lasciarci più soli… che te pòzzino Adrià!
Ci mancherai molto. Moltissimo.


Aimez-vous Ratzinger?


Quanto a me non ho problemi. Sono ateo. La domanda non mi riguarda.
Riguarda, però, milioni e milioni di cattolici e fra loro, non sembri strano, ci sono anche brave persone.
Una di queste è Leonardo Boff.
Nato nel 1938, brasiliano, figlio di emigrati veneti, tredici anni fa, dopo un ennesimo richiamo della ‘Congregazione per la Dottrina della Fede’, ha abbandonato il sacerdozio. Ha insegnato etica e filosofia della religione all’Università di Rio de Janeiro e oggi vive nel Jardin Araras con una compagna e sei figli adottivi.
Boff è uno che conosce bene l’attuale papa perché lo ebbe come proprio inquisitore per via delle attività svolte e di un libro – “Igreja, carisma e poder” – scritto in difesa dei poveri, degli sfruttati, della cosiddetta teologia della liberazione.
Fu Ratzinger a interrogarlo e, infine, a condannarlo. Fortuna per l’inquisito che la cosa sia avvenuta alla fine del secolo scorso, ancora un passettino indietro nel tempo e Boff sarebbe finito rosolato in qualche piazza.
Tutto questo è raccontato in Un papa difficile da amare, pubblicato dall’Editrice Datanews, volume che raccoglie scritti di Leonardo Boff e interviste che gli hanno fatto giornalisti italiani e stranieri.
Un libro dai molteplici meriti: storici, politici, morali.
L’autore non manifesta rancore verso Ratzinger che, tra i tanti pensierini gentili ch’ebbe per lui, lo privò pure della docenza; dalle sue pagine si ricava una grande serenità verso i suoi persecutori, ma ne viene fuori anche il ritratto di un’istituzione (il Vaticano) e dei suoi capi (cardinali alla guida d’organismi giudiziari interni) che è ancora oggi avvolta dalle tenebre della Storia.
Boff siederà sulla stessa sedia dove furono fatti accomodare Galileo Galilei e Giordano Bruno. Belle, anche da un punto di vista della scrittura, le pagine in cui viene descritto il percorso fatto fare all’imputato per raggiungere quella sedia e i riti dell’interrogatorio, terribili tecniche di pressione psicologica roba che al confronto sembrano lieti giochi di società le atmosfere ideate negli interrogatori dalla Gestapo o dal Kgb.
Una sola cosa non condivido del pensiero di Boff. Allorché, condannando il fondamentalismo che lui indica nella globalizzazione, nel terrorismo islamico e nell’imperialismo nordamericano, non cita tra questi anche il cristianesimo.
Scrive Boff: “Il fondamentalismo non è una dottrina ma una maniera escludente ed esclusiva di vedere la dottrina. Il fondamentalista è assolutamente convinto che la sua dottrina è l’unica vera, mentre tutte le altre sono false. Perciò per esse non c’è spazio, possono e debbono essere combattute”.
Già, ma il cristianesimo s’ispira a un tale ch’ebbe a dire: “Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me”.

Leonardo Boff
“Un papa difficile da amare”
Traduzione di Manuela Palermi
Pagine 141, Euro 14:50
Datanews


Potenza si anima


Un nuovo acronimo compare nello scenario dei Festival: Piaff e sta per Potenza Internazional Animation Film Festival.
In seguito ad un accordo tra l’Associazione Cortitalia e la Provincia di Potenza, finalizzato a promuovere la diffusione del cinema di animazione nel Meridione, è nato questo Festival diretto da Alessandro d’Urso.
Il Piaff si terrà a Potenza dal 25 al 28 ottobre.
Per la Provincia di Potenza – dice il presidente Sabino Altobelloil Piaff vuole rappresentare un’esperienza avanzata all’interno di quella che ormai abbiamo fatto conoscere come la Rete della Cultura, intesa come unica maniera per uscire dalle piccole dimensioni di un territorio come il nostro. “Rete”, per noi vuol dire integrazione di linguaggi, di saperi, di aree geografiche e di generazioni, con l’obiettivo di offrire soprattutto ai giovani nuove opportunità e di valorizzare al meglio le risorse della nostra provincia .
Questa prima edizione propone anche un versante di solidarietà, infatti, la manifestazione metterà a disposizione di Telethon una serie di iniziative di sensibilizzazione e di raccolta.
Le categorie in concorso sono cinque:

• Video-Clip
• Cortometraggio Italiano da 1 a 20 minuti
• Cortometraggio Internazionale da 4 a 20 minuti
• Cortometraggio Internazionale da 1 a 4 minuti
• Cortometraggio in Flash

Deadline per la presentazione di lavori: 15 settembre ’06.
Per informazioni:
Cortitalia: tel. 06-45436533- fax 06-5346609; redazione: Antonella Catanese, redazione@piaff.it
Ufficio Stampa: Francesca Bellino, 338 – 27 91 296; fbellino@aliceposta.it

Festival di cinema d’animazione di Potenza
1° edizione
25-28 ottobre 2006
Cinema Due Torri – Potenza
e a Lavello, Venosa, Villa D'Agri, Rionero in Vulture, Maratea



Millesuoni


A due protagonisti dello scenario intellettuale del XX secolo, Gilles Deleuze (nato nel 1925 a Parigi e lì morto suicida nel 1995) e Felix Guattari (Villeneuve-les-Sablons, 1930 – Parigi, 1992) è dedicato un volume che la casa editrice Cronopio manda in libreria in questi giorni: Millesuoni: Deleuze, Guattari e la musica elettronica.
Libro – a cura di Roberto Paci D’Alò e Emanuele Quinz – che attraverso una serie di saggi indaga sul rapporto avuto dai due pensatori col mondo musicale, rapporto che partendo dalla musica s’allarga a tutta l’estetica contemporanea.
“Le tecnologie elettroniche e digitali” – è detto, infatti, nella prefazione – “hanno contribuito ad una mutazione profonda delle modalità produttive della musica e della sua diffusione. All’interno della ‘Meccanosfera’, per utilizzare il termine di Deleuze e Guattari, emergono nuovi processi compositivi. Il campionamento, il sequencing, l’editing, il cut, il loop, il copy & paste o ancora il mix e il remix, non sono solo tecniche, ma fondano una vera estetica della molteplicità”.
Deleuze partecipa nel 1972 alla registrazione del disco Electronique Guerrilla del gruppo rock sperimentale “Heldon”, prestando la sua voce a un frammento di ‘Umano, troppo umano’ di Nietzsche, da lì nasce l’interesse del filosofo per un mondo che si rivelerà ricco d’epifanie teoretiche musicali e non solo musicali.
Millesuoni, s’avvale di scritti di Christoph Cox – Timothy S. Murphy – Philippe Franck – Achim Szepanski – Guy-Marc Hinant – Emanuele Quinz – Carlo Simula e si conclude con immagini di Roberto Paci D'Alò.
Tutti interventi di qualità che muovendosi da terreni teorici diversi fra loro, compongono un efficace ritratto del tema.
In particolare mi ha interessato un’intervista ben condotta da Carlo Simula a Paul D. Miller, alias Dj Spooky, nella quale sono affrontati i connotati filosofico-musicali di Deleuze e Guattari con l’universo della produzione musicale non solo di Spooky.
Il libro è corredato da un’accurata bibliografia sia per documentarsi sul pensiero dei due filosofi francesi, sia per sapere di testi che s’occupano della musica pop ed elettronica; né manca una ragionata discografia.
A proposito di suoni, sul sito dell’editrice è possibile ascoltare contributi audio on-line

“Millesuoni”
A cura di Roberto Paci D’Alò ed Emanuele Quinz
Pagine 179, Euro 14:50
Edizioni Cronopio


Il perturbante specchio dell'io


Da Platone a Freud a Baudrillard, il Doppio esercita un inquieto fascino sul nostro immaginario.
Il teatro, sul registro prevalente della commedia, è folto di figure doppie. Sono di solito gemelli che danno spunto a comici equivoci fino all’agnizione: dai “Menecmi” di Plauto a “La Calandria” di Bernardo Dovizi da Bibbiena, dai “Simillimi” di Trissino a quelli shakespeariani de “La commedia degli equivoci” e “La dodicesima notte”, da “I due gemelli veneziani” di Goldoni fino “Mon double et ma moitié” di Sacha Guitry; più rara la tragedia qual è “Zwillinge” di Friedrich Klinger o musical quale “The Boys from Syracuse” di Abbott.
Pure Il cinema, oltre a trasposizioni di opere letterarie, ci ha presentato enigmatiche doppie figure da “L’uomo orchestra” (1900) di Méliès con un’intera orchestra di uguali fino all’agente Smith di Matrix che a furia di sdoppiarsi diventa una folla.
Nella fotografia, Stefano Cerio, fornisce cospicui esempi di duplicità dell'essere nel suo "Codice Multiplo".
La psicanalisi ha prodotto riflessioni sul Doppio spesso prendendo spunto proprio dalla letteratura; ricordo, aldilà degli studi di Freud e Jung, per andare su pubblicazioni italiane, ad esempio, un bel libro di Enzo Funari pubblicato da Cortina qualche anno fa: “La Chimera e il Buon Compagno: storie e rappresentazioni del Doppio”.
E nuove forme del Doppio s’affacciano all’orizzonte: presto l’Avatar, clone elettronico tridimensionale di noi stessi, agirà in ambienti anche lontanissimi da dove ci troveremo.
Nella narrativa la figura del Doppio ha conosciuto altissime pagine e, a differenza del teatro, spesso splendidamente cupe.
Alcuni di questi capolavori ce li ricorda Guido Davico Bonino che per la casa editrice Einaudi pubblica Essere Due una raccolta di sei grandi testi, un vertiginoso viaggio fra Identità e Differenza.
Autori e titoli: Chamisso (La prodigiosa storia di Peter Schlemihl) – Hoffmann (La principessa Brambilla) – Dostoevskij (Il sosia) – Stevenson (Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde) – Wilde (Il ritratto di Dorian Gray) – Kafka (La metamorfosi).
Il volume si apre con un saggio di Guido Davico Bonino (nato a Torino nel 1938, professore ordinario di Storia del teatro presso l’Università della sua città) che poi fa precedere ognuno dei sei testi da un suo articolato intervento che contiene una biografia dell’autore, una sintesi della trama, e una poderosa analisi critica dell’opera.
Prossimamente, allorché dopo le vacanze estive la mia Enterprise riprenderà a volare nei cieli del Web, sarà proprio Guido Davico Bonino uno dei primi ospiti a bordo e con lui parlerò più diffusamente di questa sua pubblicazione sull’enigmatica figura del Doppio.
Concludo ricordando una frase di James Hogg (1770-1835), tratta da “Confessioni di un peccatore”: Se lungo un sentiero un viandante incontra un altro del tutto simile a lui per aspetto, cadenza del passo, sguardo, foggia degli abiti, è chiaro che uno dei due è il diavolo… ma chi dei due?

“Essere Due”
Sei romanzi sul Doppio
A cura di Guido Davico Bonino
Pagine 922, Euro 18:00
Einaudi


Game Over


Giorni fa ci lasciati Piermario Ciani, aveva 56 anni. Tutti ben spesi.
Lo conobbi un quarto di secolo fa circa, anno più anno meno, allorché lo invitai a produrre una sua audioperformance nella serie “Fonosfera” a Radiorai. Mi colpì allora il suo modo intendere l’arte in modo complesso e mai complicato, l’intuizione (ed Internet allora non esisteva) che tutta l’arte e la comunicazione sempre più sarebbero state agìte su di un nuovo network che avrebbe riassunto e miscelato stimoli e linguaggi, discipline e indiscipline; una visione politica dell’arte e artistica della politica.
Piermario è stato fotografo, mailartist, grafico, fantamusicista, organizzatore culturale e anche editore allorché fondò con Vittore Baroni le Edizioni AAA.
Figura nota in Italia e all’estero, era meno noto proprio dalle sue parti, il Friuli (Piermario è nato a Bertiolo vicino Udine) che pure gli deve parecchio, infatti, durante la devastazione che il leghismo produceva, fra le poche cose di rilevo lassù ci sono state mostre e rassegne fatte proprio da lui.
Per saperne di più, vi segnalo un’ottima trasmissione, a cura di Paolo Cantarutti, su Radio Onde Furlane, con interviste telefoniche a Vittore Baroni, alla critica d'arte Paola Bristot, a Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti e a Wu Ming 1.
Cantarutti conduce in friulano, ma, don’t panic please, per soli pochi minuti all'inizio poi le interviste sono tutte in italiano.
Per ascoltare questo ben riuscito ritratto radiofonico, cliccate QUI.
Per leggere tre interviste con Piermario Ciani, cliccare su ics su ipsilon e zeta


Primo Piano a Prato


Il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, a seguito del recente ingresso nella sua collezione permanente di oltre 200 opere donate dal collezionista pratese Carlo Palli, ha elaborato un progetto espositivo per approfondire quei movimenti artistici nati negli anni Sessanta e Settanta che si sono caratterizzati per la loro radicalità.
La mostra – intitolata Primo Piano – s’avvale d’oltre 400 opere di autori italiani e stranieri, articolandosi in un percorso espositivo – ideato da Marco Bazzini e Stefano Pezzato – che è arricchito da un cospicuo repertorio storico: edizioni, riviste, documenti, filmati d'epoca.
Tanti gli autori presenti da rendere dissuasiva ogni elencazione per nomi o per correnti, ne indicherò uno solo per tutti: Lamberto Pignotti.
E questo perché è un artista che, specie in Europa, ha sperimentato molte soluzioni espressive puntando sulla convergenza delle diverse discipline artistiche per ampliare le tradizionali modalità del fare arte facendo confluire nelle sue opere più codici.
Famose le sue performances e le “poesie in azione” di questo poeta visivo, artista multimediale e teorico delle espressioni sinestetiche che coinvolgono attivamente lo spettatore in maniera pluri-sensoriale.
Al senso del gusto sono state ad esempio dedicate le sue Ostie commestibili su cui egli scrive in varie lingue la parola “Poesia”; i Chewingpoem: gomme di poesia da masticare; i Sweetpoem che il pubblico può gustare in varie versioni.
Alcune varianti più spettacolari si possono ottenere con particolari Tele- banchetti, usando come superficie grandi televisori accesi posti come tavole su cui vengono imbanditi tramezzini, salatini, pizzette, dolcetti e altro ancora.
Al tatto sono dedicati i Touchpoein, palloncini con la scritta “Poem” che riempiono un ambiente – stanza, corridoio, ascensore, cabina telefonica, tram, e altri luoghi – che lo spettatore deve attraversare toccando, strofinando (ed eventualmente anche rompendo...) quelle poesie.
Al senso dell’olfatto sono dedicati Parfum Poem, performances agìte con petali di fiori odorosi, e Happy end in cui, alla fine di una serie di “azioni” viene per cosi dire “depurata” l’aria con degli spray profumati.
Per stimolare l’udito Pignotti si avvale di filastrocche, interiezioni, onomatopee, non sense, espressioni sibilline, parole in libertà, prelevate da famosi autori.
Il senso della vista, che naturalmente è coinvolto anche nelle performances sopra tratteggiate, è esplicitamente richiamato nell’azione – egocentricamente e iperbolicamente intitolata Lamberto Pignotti scrive versi immortali – in cui l’artista scrive su un pannello (oppure su un monitor con immagini fisse o in movimento) con spray di vari colori versi fra i più orecchiati in varie lingue.

“Primo Piano”
Curatori: Marco Bazzini – Stefano Pezzato
Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci
Prato
Fino al 18 settembre 2006
Ufficio Stampa: Tel. 0574 – 5318 28 - fax 0574 – 53 19 00
press@centroartepecci.prato.it


Nero veneziano


Cosmotaxi non aderisce allo sciopero dei tassisti perché vola alto, mentre i tassisti volano basso. Ecco perché talvolta si trovano sostenuti dalla sciura Moratti, da Storace, da Alemanno che di voli bassi se n’intendono.
Cosmotaxi, anche oggi, quindi, è in servizio. Di solito, si dice “regolarmente in servizio”. Chissà perché “regolarmente”, avverbio che mi piace né punto né poco.
Vabbè, via con la nota di oggi.
Debbo a Irina Freguia – patronne del Vecio Fritolin e, di recente, anche alla guida della caffetteria-ristorante di Palazzo Grassi – la conoscenza del lavoro letterario di Alberto Toso Fei; per saperne di più su di lui, c’è in Rete il suo sito web.
Giorni fa, m’è pervenuta dalla raffinata casa editrice Elzeviro, diretta da Alessandro Tusset, una recente pubblicazione di Toso Fei: Misteri della laguna e racconti di streghe, volume che s’avvale delle immagini in b/n del fotografo Manfredi Bellati.
Si tratta di un viaggio fra le tenebre di storie e leggende nate sulla laguna, una sorta di attraversamento gotico di Venezia fra quei taccuini di pietra - come scrive in prefazione lo stesso Toso Fei - su cui il tempo ha sedimentato le memorie dell’acqua, così da racchiudere in ciascun manufatto un segno del fantastico che si cela tra le onde.
Pietre che, indagate dal colto Ruskin e scenografia del delirante Baron Corvo nel suo splendido ‘Desiderio e ricerca del tutto’ proprio a Venezia ambientato, sono testimonianze mute di torbide avventure, segreti indicibili, e atroci burle.
Alberto Toso Fei, ci fa conoscere angoli nascosti d’antiche vergogne, solleva pesanti tendaggi calati su scene efferate, smaschera arcani, senza rinunciare nel raccontare a tratti di penna venati da umorismo. Umorismo nero. Naturalmente.

Alberto Toso Fei
“Misteri della laguna e racconti di streghe”
Pagine 198, Euro 15:00
Edizioni Elzeviro


Jennifer Gentle


La musica (leggera, pesante, leggerissima e pesantissima) ha problemi non solo espressivi, ma anche di mercato, e il rapporto arte-mercato è cosa che molto m’interessa.
Segnalo perciò un ottimo intervento su questo tema, in area musicale, di Sergio Messina che potete leggere QUI.
A proposito delle novità e delle difficoltà di gruppi musicali italiani succede che alcune di queste formazioni siano talvolta più note all’estero che da noi. Vecchia storia.
Accade anche ad autori di letteratura, arti visive, e d’altri campi. Ricordo, ad esempio, il clamoroso caso di Andrea Maiolo che in Italia nessuno voleva, fu costretto ad andarsene dal nostro paese e Lucas lo assunse dopo averci parlato per pochi minuti.
Il latinista Cesare Marchi, chiosando il famoso motto Nemo propheta in patria, fa anche una riflessione psicologica: “Il successo di uno che non conosciamo non ci disturba; quello del signore che abita nella casa di fronte ci appare come una provocazione”.
Più noti all’estero che in Italia sono i Jennifer Gentle.
Jennifer Gentle non è una ragazza bensì una band formata da: Marco Fasolo voce e chitarra, e Alessio Gastaldello batteria.
Vengono da Padova, nascono agli inizi del 2000 proponendo la loro ricetta di psychedelia: “Syd Barret”, “13th Floor Elevators”.
Emittenti radiofoniche, da New York a Parigi a Belgrado programmano i loro brani.
La band comincia, quindi, ad avere affezionati sostenitori, soprattutto in Usa e Australia, dove la loro musica incontra le simpatie del pubblico e riceve apprezzamenti da artisti quali Oneida, Acid Mothers Temple, Sun City Girls, Chris Robinson dei Black Crowes. In seguito girano in tour con il chitarrista degli Acid Mothers Temple, il giapponese Makoto Kawabata.
Nel febbraio 2004 Jennifer Gentle diviene la prima band italiana ad aver firmato un contratto con l'americana Sub Pop Records.
“Valende” è il loro terzo lavoro in studio, dove suonano e cantano senza il supporto di altri musicisti usando bowed guitars, un vecchio organo Bontempi, strumenti giocattolo, flauti di plastica, catene e marchingegni vari.
Esce adesso Sacramento Session / 5 of 3: non è il nuovo studio album dei Jennifer Gentle, bensì un combinazione tra una jam session ed una manipolazione in studio.
La confezione è realizzata in una lucida copertina plastificata. Vinile rosso solido. Le prime 100 copie in vinile pesante nero.
Il gruppo ha in Rete un suo sito web

Jennifer Gentle
"Sacramento session/5 of 3"
Label: A Silent Place
Format: LP
Euro: 16:00


Ominazione


L’ominazione è un termine intorno al quale sono sorti studi, controversie e dibattiti scientifici e umanistici.
“Si pensi al film di Kubrick, ‘2001: Odissea nello spazio’. Scena finale: l’uomo anziano disteso sul letto ha di fronte a sé l’immagine ingigantita di un feto. Questa scena sintetizza bene l’ipotesi dell’anatomista-filosofo Louis Bolk sulla formazione della nostra specie: l’Homo sapiens è un animale potenziale perché non si libera mai del tutto dalla condizione infantile, dalla sua tipica incompiutezza e plasticità”.
Così Rossella Bonito Oliva presenta Il problema dell’ominazione del danese Louis Bolk (1886-1930) recentemente mandato in libreria da Derive Approdi.
Si tratta di un testo redatto nel 1926, in occasione della 25° assemblea della Società di Anatomia di Friburgo.
“Il Novecento” – ancora Rossella Bonito Oliva – “ripropone con forza la questione antropologica da varie prospettive – scientifiche, biologiche, filosofiche, psicologiche – tutte impegnate a rompere la dicotomia corpo-psiche, natura-spirito, al cui interno l’interrogativo si è riproposto nella cultura occidentale”.
All'antropologa Paola De Sanctis Ricciardone, Ordinario al Dipartimento Archeologia e Storia delle Arti dell’Università della Calabria, ho chiesto: in quel dibattito qual è l’utilità oggi di conoscere le teorie di Bolk?
Comprendere a fondo e in forma disseminata che la ‘vera’ natura umana risiede proprio nella sua incompiutezza ed indeterminazione, aiuterebbe molto, e proprio nella temperie contemporanea, a fronteggiare la recrudescenza di razzismi, essenzialismi, etnicismi esasperati, fondamentalismi religiosi, culturali, regionali e via dicendo. E questo nonostante la professione di razzismo che Luis Bolk - in qualche modo contraddittoriamente con la sua tesi di fondo - dichiara. Clifford Geertz, il guru dell’antropologia interpretativa, diceva che l’uomo con la U maiuscola è ben poca cosa: in buona sostanza quando hai detto che è una sorta di primate bipede, che non ha piacere di morire troppo presto, che ha necessità di fronteggiare fame, sete, pulsioni sessuali, e che, se opportunamente addestrato, sa comunicare molto bene tutto quello che gli passa per la testa, non puoi aggiungere nulla di più. Già, perché se dici ancora mezza cosa esci dal fantasma dell’uomo universale ed entri nel regno concreto degli uomini, tanti, diversi, che vivono in contesti differenti, che sviluppano forme di vita, culture, spesso incommensurabili tra di loro. Il problema (o la fortuna) è che queste complicate forme di vita, dovute proprio alla pochezza specifica del famoso “Uomo-con-la-u-maiuscola” (praticamente una larva, un feto che raggiunge la maturità sessuale per Bolk), tendono a divenire potenti protesi biomeccaniche delle sue mancanze. Le righe che mi hai dato, caro Armando sono poche, e per concludere voglio sintetizzare: insomma qualcuno prima o poi lo doverebbe dire - chessò a Bush o a Bin Laden e a tutti quelli che si sentono per diritto ‘naturale’ signori delle vite altrui - che se le loro sante mammine o tate non avessero insegnato loro a camminare su due gambe con tanta pazienza, non avrebbero nemmeno acquisito la tanto magnificata stazione eretta.

Louis Bolk
“Il problema dell’ominazione”
Traduzione di Santo Esposito
Pagine 93, Euro 12:00
Derive Approdi


Il gabbiano del 2026


Pur essendo io alla guida di un Cosmotaxi, mi occupo pochissimo di fantascienza deludendo alquanti autori (e qui l’occasione m’è propizia per scusarmi con loro) che inviano libri di science fiction credendo questo taxi spaziale luogo che faccia al caso loro per una recensione.
E oggi, presentando Il gabbiano nero di Renzo Rosso mandato in libreria da Azimut Libri, non mi smentisco anche se il libro adotta nelle sue pagine scene e contenuti fantascientifici. Già, perché il libro – se non ho preso una cantonata nel leggerlo – è fino a un certo punto ascrivibile a quel genere letterario, a meno che non si consideri di fantascienza anche, ad esempio, “1984” di George Orwell, “Farheneit 451” di Ray Bradbury, o “Cancroregina” di Tommaso Landolfi. Sì, certo, è fantascienza, però…
Della fantascienza, Il gabbiano nero, ambientato nel 2026, ha soltanto, come gli altri titoli prima citati, “la funzione allegorica ed educativa spesso tipica” – come ha scritto Umberto Eco – “di quel reparto di letteratura”.
Il resto, per scelta dell’autore, è assente, cioè avventurosi voli verso nuovi universi, arrivi sul nostro mondo di aggressori spaziali, creature aliene, mali misteriosi. Al contrario, i mostri e le creature aliene siamo noi umani, i mali non sono misteriosi ma necessari dèmoni che appartengono alla nostra natura predatoria e totalitaria.
Renzo Rosso nella narrazione ricorre ad un personaggio appartenente ad una potente organizzazione di sicurezza americana che, novello Teseo sconfitto però dal Minotauro, comunica, con linguaggio web, ad una misteriosa entità, chiamata Arianna, quanto ha appreso. Il gabbiano nero, grande macchina supertecnologica, sta tentando un’impresa ai confini della realtà: portare fra gli umani la convivenza secondo giustizia.
A questo libro potrebbero ancora applicarsi parte delle parole di Italo Calvino allorché recensendo “Gli uomini chiari” (Einaudi, 1974), scrisse: Renzo Rosso per dire ciò che gli sta a cuore prende la massima distanza, esce da se stesso, si situa nel punto più remoto, come tempo storico e come prospettiva gnoseologica (…) Il punto che prende di mira è il cuore incandescente del nostro "qui e ora", là dove la vita è insostenibile.
A Renzo Rosso ho chiesto: perché tra i vari generi letterari che avevi a disposizione hai scelto proprio la fantascienza per raccontare la storia del tuo libro?
Così mi ha risposto.
Il termine ‘fantascienza’ trascina nel proprio imbuto semantico immagini collaudate in una presenza, tecnica e fisica, o di macchine avveniristiche guidate da umani e lanciate in esplorazioni per lo più esterne al sistema solare, o di macchine galattiche di origini incerte contenenti quasi sempre esseri mostruosi e avidi volti alla distruzione del nostro pianeta. La base di partenza del Gabbiano Nero è invece proprio la ‘terra’, e la sua demoniaca Storia. I nostri studi in merito non trascurano le guerre, le dominazioni, le ingordigie avventurose, le estinzioni, cioè tutti i fattori del sangue versato, ma essi vengono quasi sempre illanguiditi dalle cronache delle ‘civiltà’, delle ‘rivelazioni divine’ con le loro annesse preghiere e ingenuità narrative (il Dio della Genesi descritto nella sua possente creazione come se uno scriba vi avesse assistito), delle ‘culture’ e delle ‘arti’. Senonché questo quadro strapieno di colori, figure di ogni tipo, prospettive adeguate ai trionfi o alle sconfitte, a ben guardare risulta alterato grossolanamente perché la realtà di anni, secoli e millenni ha un solo elemento: l’ininterrotto filo dei massacri.
E’ stato questo ‘spettacolo’ non eliminabile a nutrire la vicenda del ‘Gabbiano Nero’
.

Renzo Rosso
“Il gabbiano nero”
Pagine 201, Euro 13:00
Azimut Libri


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