Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
venerdì, 29 giugno 2007
Grindhouse: a prova di noia
Tra i registi d’oggi, Quentin Tarantino (nato a Knoxville, in Tennessee, nel 1963) è uno tra quelli che più stimo. Perciò, con dolore ammetto che Grindhouse – A prova di morte è un totale fallimento. Piangiamo noi che amiamo Tarantino e più di noi ha pianto il botteghino soprattutto americano. A furia d’inseguire il B movie, ha fatto un film di serie C. Per le tante piccanti curiosità su questo film, un esaustivo racconto QUI. Per Il trailer: CLIC.
Interessanti sono gli effetti speciali. Li ha prodotti la nota società di San Francisco The Orphanage. Lì molto hanno lavorato sull’effetto d’invecchiamento della pellicola per far assomigliare il film quanto più possibile a quelli degli anni ’70. La pellicola, infatti, è intenzionalmente danneggiata in modo da avvicinarsi al cattivo stato in cui erano ridotte quelle degli “exploitation films” proiettati un tempo in moltissimi cinema; inoltre un massiccio uso della computer graphics è stato fatto per la realizzazione delle scene splatter. La colonna sonora è costituita da continue citazioni tratte da colonne di altri film scelte tra rarità degli anni '60 e '70, come, ad esempio, ‘Baby It's You’, una cover dei Shirelles (scritta da Burt Bacharach) riportata al successo nel 1969 dai blues rockers Smith. Concludendo, e nel confermare sulla fiducia la stima a Tarantino, un esempio dei rischi che sta correndo lo si può notare nel pessimo Hostel II da lui prodotto ch'è in circuito da pochi giorni in Italia. Il claim pubblicitario recita: “Hai ancora tempo per evitarlo”. E’ quello che dico anche a voi se non ci siete già cascati. In questo film, torna sullo schermo (per non più di 2 minuti 2) la mitica Edwige Fenech, attrice nata in Algeria in una cittadina che si chiama… quando si dice il destino… Bona.
giovedì, 28 giugno 2007
Un compleanno di cellulosa
La Biblioteca S. Giovanni di Pesaro - diretta da Antonella Agnoli - da pochi giorni ha celebrato 5 anni di attività. E' un'esperienza unica in Italia, perché è messa su in un modo in cui dalle nostre parti non siamo troppo abituati a conoscere. Postazioni internet e una per non vedenti, una radio interna (come nei college americani), video ingranditore per libri e giornali, connessioni wireless, quotidiani e periodici per chi vuole leggere in altre lingue, grande facilità nel prendere a prestito libri, film e audiolibri, ed è aperta anche la domenica…sì, avete letto bene anche la domenica. A farla breve, sono venuti bibliotecari perfino dalla Scandinavia, a studiare il modello di gestione pesarese. Si trova in pieno centro storico, lungo quella via Passeri che porta diritto al Teatro Rossini, proprio davanti all’ex ospedale psichiatrico San Benedetto (lì è in corso un’interessante videoinstallazione di cui ho qui scritto giorni fa), che Cesare Lombroso diresse sperimentandovi un giornale fatto dai matti o presunti tali, a pochi metri in linea d’aria dallo spazio dove sorgeva il parchetto dei Duchi della Rovere e dove Torquato Tasso cominciò a poetare e a perdere il senno. Ex convento di frati, la San Giovanni è un edificio imponente di 2050 mq che il restauro degli architetti Danilo Guerri e Massimo Carmassi, patrocinato dalla Fondazione Scavolini, ha reso leggero, quasi aereo; luogo di legno e di vetro, dove il verde che è fuori entra dentro arredando spazi. Insomma, un posto pochissimo somigliante al luogo sacro e silente da percorrere in apnea e a passi felpati, sotto gli occhi torvi di tipi, come accade spessissimo in altre Biblioteche, che sembrano più secondini che assistenti ai lettori. Tante le iniziative promosse. Quindici giorni fa, tanto per fare un esempio, la Consulta Studentesca Provinciale ha organizzato laboratori plurimediali, ed era possibile vedere un centinaio di ragazzi accucciati a sentire Cisco, ex leader dei Modena City Ramblers, parlare del G8. Dice la direttrice Antonella Agnoli: Abbiamo voluto prima di tutto abbattere le barriere psicologiche che troppo spesso circondano l’istituzione della Biblioteca. Ad esempio, c’è la giornata di studi sherlockiana con interventi di giornalisti della Bbc, mostre di foto, serate di cortometraggi, cacce letterarie al tesoro, e l’annuale cena di strada cui partecipano gli abitanti e i negozianti del quartiere Giorni fa, a festeggiare il compleanno della S. Giovanni c’era tantissima gente, special guest Marino Sinibaldi, ideatore e voce di Fahrenheit su Radiorai (una delle pochissime trasmissioni ancora ascoltabili della nostra disastrata radio pubblica); al centro della festa troneggiava una torta gigante con 5 candeline. Buon compleanno anche da Cosmotaxi.
mercoledì, 27 giugno 2007
Gli avverbi di Handler
Thomas S. Eliot ci fa sapere che lui la vita l’ha misurata “a cucchiaini di caffè”, ai nostri giorni c’è un altro scrittore americano che forse la misura con gli avverbi. Si tratta di Daniel Handler che dice “Il miracolo sono gli avverbi, il modo in cui si fanno le cose”. Fedele a tale convincimento ha pubblicato Avverbi, romanzo che vede tutti i suoi capitoli titolati: immediatamente, ovviamente, probabilmente, etc. Il libro è pubblicato da Alet, una giovane casa editrice con sede a Padova. Per conoscere il suo progetto editoriale, cliccate QUI. Già annovera tra i suoi successi il premio opera prima al Campiello ottenuto da Paolo Colagrande con Fìdeg. Torniamo ad Handler. E’ nato a S. Francisco nel 1970, è anche sceneggiatore e ha collaborato, come fisarmonicista, all’album “69 Love Songs” del gruppo Magnetic Fields. Lo leggiamo in italiano grazie ad una delle migliori firme tra le nostre traduttrici: Anna Mioni. Avverbi è un romanzo costruito attraverso scene che in apparenza banali descrivono percorsi della vita che accadono, e spesso cadono, in una metropoli che vive come i personaggi che l’abitano: tra caso e indifferenza, dove l’intensità del vivere è dato dalla sua volatilità. Ci s’incontra, ci si lascia, ci si incontra di nuovo, ci si ama e il suo contrario, tutto come pattinando sul ghiaccio di cuori freddi e visceri ardenti. Per chi ama il romanzo (io non sono fra quelli), è un boccone ghiotto. A Anna Mioni, ho chiesto: qual è la particolarità stilistica di Handler nel panorama della narrativa statunitense oggi?
Handler (famoso per la serie per ragazzi scritta con lo pseudonimo di Lemony Snicket) si può far rientrare nel filone post-moderno. È tra i collaboratori delle apprezzatissime riviste d’avanguardia McSweeney's e The Believer, fondate dall’acclamato Dave Eggers. Come molti di quel gruppo, Handler insegue un ‘divertissement’ intellettuale riconducendo lo stile a una spontaneità apparente dove, in realtà, nulla o quasi è lasciato al caso. Si impernia su dialoghi talmente quotidiani da sembrare a volte artificiosi, e utilizza iterazioni di frasi o argomenti per creare legami tra varie parti e personaggi del libro. Nella tua nota sulla traduzione che accompagna il testo, spieghi, precisandole, le tante difficoltà che hai dovuto affrontare in varie pagine. Quale, aldilà delle singole occasioni linguistiche, la difficoltà di fondo nel tradurre Handler? È stato difficile rendere fedelmente certi suoi stilemi, come quello di forzare la lingua verso il registro tipico del parlato (con la sua sciattezza voluta); o l'ironia basata sui doppi sensi e sugli slittamenti semantici (un umorismo più anglosassone che mediterraneo); il senso del grottesco suggerito da certi intercalari, che abbassano il tono dal sublime letterario al "terra terra" quotidiano, come se l'autore prendesse poco sul serio i suoi personaggi, e di riflesso anche se stesso. Insomma, caratteristiche che cozzano in parte con l'idea di letteratura "alta", in cui si riconosce però un trait d'union stilistico dei 30-40enni americani post-moderni. È difficile riprodurle in italiano senza il rischio di far sembrare la lingua poco curata. Ho cercato di far capire al lettore il lavorio mentale che sottende scelte solo in apparenza semplici. Daniel Handler “Avverbi” Traduzione di Anna Mioni Pagine 284; Euro 14:00 Edizioni Alet
martedì, 26 giugno 2007
Scritture della Catastrofe
Fu Tommaso Moro a coniare il termine utopia, con cui chiamò un'immaginaria isola dotata d’una società ideale, descrivendone il sistema politico nella sua opera più famosa: “Utopia”, pubblicata nel 1516. Moro ha fatto derivare il termine dal greco antico, e significa, letteralmente "luogo inesistente", oppure "luogo bellissimo", a seconda che si faccia risalire la sua etimologia da ou-topos (nessun luogo) o da eu-topos (buon luogo). Intorno a questa parola – assai scritta, e spesso generosamente sottoscritta – ne danzano altre due: distopia ed estropia. La prima, indica un luogo del tutto indesiderabile dove tendenze sociali, o scoperte scientifiche, oppure incontri con mondi alieni portano a scenari apocalittici: “… la distopia è una ‘dimostrazione per assurdo’, in cui la premessa negativa, di cui si vuole dimostrare la fallacità, è portata avanti fino al compimento, a confutare se stessa con l’assurdità evidente del mondo cui ha dato origine”, così Daniela Guardamagna in “Analisi dell’incubo” (Bulzoni, 1980). L’estropia, invece, discendendo dalle teorie transumaniste sostiene una vitale visione del futuro, prevedendo i considerevoli progressi nella capacità computazionale, nelle nanotecnologie, nel prolungamento della vita. Della distopia in letteratura, si occupa un importante volume di recente in libreria: Scritture della catastrofe di cui è autore Francesco Muzzioli. Insegna Teoria della letteratura all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha pubblicato numerosi libri di critica su autori novecenteschi. Con Marcello Carlino, “La letteratura italiana del primo Novecento” (1986); è autore inoltre di: “Le teorie della critica letteraria” (1994), “Teorie letterarie contemporanee” (2000), “L’alternativa letteraria” (2001), “Le strategie del testo” (2004). Nel tracciare la differenza fra utopia e distopia, Francesco Muzzioli così scrive: Mentre l'utopia preferisce costruire il suo mondo ideale spostandosi di "luogo" (lo dice il nome stesso), la distopia ama piuttosto l'avanzamento temporale, tanto che si dovrebbe, a rigore, chiamare "discronia". Scritture della catastrofe arriva in un momento in cui gli scenari apocalittici, oltre alla previsione di alcuni fra antropologi e scienziati, investono campi espressivi non solo letterari, ma sono rappresentati al cinema, in serie tv, nei videogiochi, nei fumetti, in molto rock (e non solo heavy metal), nella quasi totalità dell’area performativa fra teatro e arti visive dei nostri giorni. Il romanzo distopico ha un significativo passaggio tra la fine del XIX secolo e l’inizio di quello scorso in due libri: “I 500 milioni della Bégum”, di Jules Verne (1879), in cui vengono presentate contemporaneamente due città, l'utopica France-Ville e la distopica e militarizzata Stahlstadt. E “L’altra parte” (1909) di Alfred Kubin, che descrive l'utopia della libertà totale che precipita nella perversione e nell'autodistruzione. Seguiranno molti titoli sui quali indaga il libro di Muzzioli che ha costruito una bussola necessaria per ripercorrere il significato critico di testi, soprattutto dei più recenti anni, attraverso una descrizione e una divisione tipologica della distopia, una mappatura di un immaginario che, in questo volume, va da “Grimus” di Salman Rushdie (1975) fino a “Oryx and Crake” di Margaret Atwood (2003), passando per “Galápagos” di Kurt Vonnegut (1985) e “Ensaio sobre a Cegueira” di José Saramago (1995).
Francesco Muzzioli “Scritture della catastrofe” Pagine 287; Euro 21:50 Meltemi
lunedì, 25 giugno 2007
Luoghi alieni
Nell'àmbito della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, è stata inaugurata ieri una videoinstallazione che ha caratteristiche di docufiction. Il titolo, di lunghezza e stile settecentesco, è Il diario del San Benedetto/Babele ovvero Della Vocazione Letteraria e Artistica dell' Ospedale de' Dementi. Nella foto un frame. Protagoniste sono stanze e storie dell’ex manicomio pesarese che ha avuto tra i suoi direttori anche Cesare Lombroso. La videoinstallazione è di Roberto Vecchiarelli con la collaborazione all’ideazione-sceneggiatura di Silvia Veroli. E proprio a Sivia Veroli ho chiesto di parlarmi di questo lavoro.
Babele è esistita, e forse esiste, monumento del massimo genio architettonico. Così scriveva M. ricoverato al manicomio San Benedetto di Pesaro nella seconda metà del 1800. Che M. si riferisse o meno consapevolmente al ricovero che lo ospitava non è dato saperlo, il fatto certo è che l' istituto dei pazzi è somigliato a lungo anche a una Babele, linguistica, emotiva e olfattiva; un groviglio di sofferenze immani con un suono, un odore, una grammatura ben precisa. Il San Benedetto/Babele ha rappresentato una città nel cuore della città, un' anomalia cardiaca sorretta da un architettura geniale perché progettata col proposito di strappare gli infermi mentali dalle condizioni di cose abbandonate. Raccontare questo luogo - attraversato da Tasso a Perticari, da Genga a Lazzarini, da Lombroso a Giansanti – percorrendone non solo le stanze e i perimetri, ma tutti gli indizi, a volte corrotti e palpitanti (dai referti autoptici alle dichiarazioni dei ricoverati e del personale paramedico, dalle piante topografiche agli acquerelli dei medici assistenti) è stato un viaggio importante e necessario, un grande privilegio. “Il diario di San Benedetto/Babele” Palazzo Mazzolari Mosca Pesaro Fino al 1° luglio Ore 10.00 – 13.00 e 16.00 – 20.00
venerdì, 22 giugno 2007
Festival Asti Teatro
Cosmotaxi Special per Festival AstiTeatro
25 giugno - 11 luglio 2007
Asti Teatro: presentazione
Asti Teatro, diretto da Salvatore Leto, è giunto alla sua XXIX edizione. Pochi Festival in Italia possono vantare tanti anni di vita, e di successi. Asti Teatro è nato, nel 1979, cioè, in un tempo nel quale la società italiana era schiacciata fra il terrorismo da una parte e la corruzione politica dall’altra. Non è che oggi stiamo meglio messi in Italia, né Asti stessa gode di un momento felice, ma è tanto per ricordare il contesto in cui questo Festival vide la luce. Non a caso in una nota redazionale di AstiTeatro si legge che allora l’intento fu di “rivitalizzare il centro storico, restituire alla gente strade, piazze ed edifici, stimolando forme diverse di comunicazione, di conoscenza, di incontro”. Non solo, però, di questo s’è trattato, ma anche di una fiducia nelle risorse della scena italiana e straniera di sapere esprimere modi inediti di fare teatro. Ecco perché il Festival ha ospitato, ed ospita anche oggi, accanto al teatro di tradizione, numerose presenze di nuova drammaturgia, di lavoro innovativo proveniente dalla performance legata alle arti visive e sonore. Ed ecco che, grazie anche all’energia e all’acume del direttore Salvatore Leto, il Festival vive e conferma la sua presenza sul filo di una continuità caratterizzata da un intenso desiderio di ricerca, da una ben precisa vocazione non convenzionale e dall'ambizione di proporsi quale luogo di confronto delle ultime esperienze, delle innovazioni e delle tendenze della scena. Un Festival che mette a fuoco sperimentazioni di generi e linguaggi, portando alla luce una realtà poliedrica, problematica, ricca di risonanze, verità, implicazioni; intensa rilettura dell'epoca in cui viviamo, dei suoi mutamenti, delle sue inquietudini. Le proposte di Astiteatro 29, nel rafforzare l’impegno verso la drammaturgia contemporanea, tracciano ideali legami tra artisti di formazione diversa e autori di culture lontane, accomunati dalla ricerca di temi non banali e di un linguaggio vicino alla sensibilità contemporanea. Come nelle precedenti edizioni, ci sarà “Merenda a Teatro”, rassegna di teatro per ragazzi a cura del Progetto Teatro Ragazzi e Giovani Piemonte. Dal 27 giugno al 10 luglio con inzio alle 17.30 in Piazzetta Italia.
Per l’intero Programma, cliccare QUI. L’Ufficio Stampa è guidato da Simona Carlucci : 0765 – 42 33 64 e 335 – 59 52 789; carlucci.si@tiscali.it Ad Asti, in press office, agisce Anna Chiara Altieri: 0141 – 399 035 e 334 – 39 94 160; asti_teatro@yahoo.it
Asti Teatro: le note seguenti
Come si può vedere al link che ho dato prima al cartellone, il Festival s’avvale di spettacoli tutti di grande livello. Tra questi ne ho scelto, a mio tirannico giudizio, alcuni cui dedicherò qui di séguito particolare spazio, con interventi dei protagonisti, perché rispondono a caratteristiche che mi hanno segnatamente interessato o per modalità di linguaggio oppure per la tematica trattata. L’ordine seguito in queste presentazioni è quello dettato dalle date di programmazione.
Asti Teatro: La bottega del caffé
E’ l’evento conclusivo del laboratorio teatrale condotto da Tommaso Massimo Rotella nell'ambito della Residenza Multidisciplinare di Asti - “Scritture della scena – scritture per la scena”, I edizione. In scena: Annamaria Bassignano - Mariateresa Citino - Riccardo Colonna - Roberto Gallesio - Gloria Gianotti - Antonio Ingrosso - Walter Pasculli - Ida Preda - Antonella Saracco - Roberto Travasino. Passo la parola a Tommaso Rotella (qui in foto) che, in sintesi, illustra le atmosfere particolari di queste botteghe del caffè su testi selezionati e adattati da Ida Preda. Lo spettacolo è nato da un laboratorio che si è svolto ad Asti dal dicembre 2006 a giugno 2007 nell’ambito di un progetto teatrale sul territorio. La vicenda è stata trasposta sia nel tempo sia nello spazio, i personaggi invece che in una piazza, ossia un luogo pubblico, un caffé all’aperto, sono inseriti in una sala da ballo, non casualmente pubblico e soprattutto chiuso. Questo “nuovo” spazio sottolinea la natura claustrofobica dei personaggi, rinchiusi in amori, vizi e paradossi. Lo spettacolo è scandito da danze e musiche degli anni ’60. La ragione di questo cambio cronologico è stata dettata dall’esigenza di trovare una corrispondenza a quella sensazione di novità, mondanità e modernità creata da Goldoni attraverso il caffè. I “mitici” anni ’60 mi sono sembrati quelli più adatti a ricreare questa goldoniana atmosfera. Le botteghe del caffè, 26 giugno ore 21.30, Centro Giraudi
Asti Teatro: Seta e Barnum
Con la collaborazione del Teatro dell'Archivolto di Genova, torna Alessandro Baricco, che proprio in una passata edizione del Festival di Asti, debuttò come autore teatrale con “Novecento”. Due i titoli: Seta e Barnum. Il primo è una lettura scenica affidata alla voce di Claudio Bisio. I Barnum, scritti da Baricco per il quotidiano La Stampa dal 1993 in avanti, sono articoli/racconto che svelano l’immenso baraccone di portenti, mostri, fenomeni mediatici di quel grande circo paraspettacolare che è il mondo contemporaneo. Pezzi “d’autore” serviti al pubblico dentro un teatro/circo trasformato in ristorante, dove si degustano, assieme al cibo, schegge di mondo raccontate con divertita passione. Con Rosanna Naddeo - qui in una foto di Bepi Caroli – Giorgio Scaramuzzino, e i musicisti del Circolo Musicale Risorgimento. Di entrambi gli spettacoli, la regia è di Giorgio Gallione che così mi ha detto a proposito di questi suoi lavori.
Portare in teatro Alessandro Baricco è la naturale prosecuzione di un percorso drammaturgico iniziato con Italo Calvino e proseguito negli anni con Stefano Benni (Il bar sotto il mare, Pinocchia), Daniel Pennac (Monsieur Malaussene, Grazie), Ian McEwan, Michele Serra: autori contemporanei per un teatro che parla dell’oggi, ma soprattutto autori la cui scrittura sembra essere concepita proprio per essere letta ad alta voce. Nei loro stili, pur così diversi, ritrovo una straordinaria capacità affabulatoria, di evocare e raccontare. “Seta” è la splendida storia di un amore impossibile o forse dell’impossibilità dell’amore, in cui ciò che conta è la rappresentazione dei destini dei protagonisti, della natura a tratti misteriosa, a tratti beffarda dei loro desideri; la fantasia e l’innegabile maestria con cui Baricco esercita il mestiere di narratore costruiscono una vicenda in cui il protagonista, Hervé Joncour, un allevatore di bachi da seta, intreccia i suoi destini con quella di tre donne. Analogamente, in “Seta”, come spesso accade negli spettacoli dell’Archivolto, convivono e si intersecano musica, danza e letteratura. Claudio Bisio è infatti il protagonista di una lettura in cui sarà affiancato da tre danzatrici che rappresentano le altrettante donne incontrate nel corso del racconto: è il nostro modo di rispondere al desiderio e all’esigenza di trovare nuove sorgenti d’ispirazione, nuove forme per un teatro che non ha timore di rinnovarsi e continuare ad essere vivo. Gli articoli raccolti nei due “Barnum”, a dieci anni dalla loro pubblicazione, mantengono una straordinaria capacità di fotografare il presente in cui viviamo. Mi è sembrato interessante riproporli oggi, in una situazione para-teatrale, come quella che allestiremo, in cui un’orchestra accompagnerà sia la cena degli spettatori che la narrazione. Seta, 1 luglio ore 18, Teatro Alfieri Barnum, 2 luglio ore 21.30
Asti Teatro: I capitoli dell’infanzia
Uno dei più interessanti autori-attori del teatro di narrazione, Davide Enia, presenta la prima parte de “I capitoli dell’infanzia”. E’ un ciclo di storie che accompagnerà l’intero arco della vita di tre fratelli mentre in parallelo scorre la vita della città, una Palermo aspra e assolata in superficie, una Palermo dell’ombra che vive nel sottosuolo.
Davide Enia, a proposito di questo suo lavoro, così mi ha detto: Il primo dei 'I capitoli dell’infanzia' cui hai fatto riferimento, si chiama "Antonuccio si masturba". Antonuccio è il secondo di tre fratelli, ha 13 anni e si sta per innamorare. Suo fratello grande è Angelino, 14 anni ed ha un modo guerriero di affrontare il mondo. Il piccolo è l'undicenne Asparino, ed osserva il reale in maniera obliqua, ed ha chiavi laddove noi abbiamo occhi. Il primo capitolo narra la prima parte della loro infanzia, tra masturbazioni, sogni e primi giudizi sulla vita che i nostri sensi attraversano. La storia non chiude, ma apre di continuo ad altri intarsi, ad altri personaggi, come in un puzzle inesausto e continuo. Tanto, alla fine, ogni essere umano è una tessera di un puzzle, ed il disegno finale non potrà mai esser conosciuto, né in fondo importa conoscerlo. 3 luglio ore 23.00, Centro Giraudi
Asti Teatro: Bambinacci
Un collegio-orfanotrofio-riformatorio per bambini che non hanno famiglia, bambini difficili, estremi, bambini sbagliati. Una storia che è anche un ballata sull’eterno confronto adulti-bambini, sulla linea d’ombra che li divide. A presentarla ad Asti è Duccio Camerini che ne è autore, regista e protagonista. Nella foto di Ewelina Spasowicz: Beatrice Orlandini, Amanda Sandrelli, Daniele Russo, Angela Sajeva, Duccio Camerini. Duccio Camerini nel 1997 ha fondato la compagnia La casa dei racconti producendo spettacoli che girano l’Italia e tanti paesi esteri. Dal 2001, con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, è direttore artistico de “La Festa dei Racconti”, festival unico nel suo genere in Italia sulla narrativa orale.
A Duccio Camerini ho chiesto: come si pone questo spettacolo nella tua teatrografia? Che cosa continua o che cosa inaugura? ”Bambinacci” è il mio primo spettacolo non narrato dopo una decina d’anni di lavoro della compagnia sul ‘teatroinascolto’, la nostra modalità di racconto. Perché questa scelta? Come tutte le mie scelte di scrittura, è stata una scelta ‘di pancia’. Il racconto qui mi sembrava una scorciatoia, volevo che questi personaggi, bambini prigionieri di uno sperduto orfanotrofio, non fossero liberi di esprimersi, e incontrassero molti impedimenti sul loro cammino per liberarsi della loro infanzia, volenti o nolenti che fossero. Bambini in contrasto con un mondo intero, che cospira per non essere capito. Ho cominciato a scrivere pensando ad una storia di bambini emarginati, che poi vuol dire emarginati al quadrato, perché ogni bambino in fondo lo è. Ma oggi credo che si tratti della cronaca della scoperta, e della salvaguardia, di quella corda ‘pura’ e sacra dentro di noi, senza la quale è impossibile vivere in modo decente. “Bambinacci” rielabora una storia per metà vera e per metà leggendaria, e inaugura il progetto “Mitofficina” della “Casa dei racconti”, uno studio sull’elaborazione di nuovi miti. 7 luglio 0re 21.30, Centro Giraudi
Asti Teatro: Scaramouche
"Scaramouche” – testo e regìa di Luciano Nattino – è uno spettacolo storico del Magopovero (oggi Casa degli Alfieri), creato nel 1983, e debuttò allora ad Asti Teatro effettuando successivamente una lunga tournée nazionale ed internazionale. Quest'edizione è prodotta in collaborazione con il Teatro degli Acerbi. Musiche originali di Paolo Conte. Scenografia di Eugenio Guglielminetti. Con gli attori/cantanti/danzatori: Massimo Barbero – Patrizia Camatel – Fabio Fassio – Chiara Magliano – Carlo Nigra . In questo “Scaramouche”, c’è, soprattutto, un riferimento preciso a quello “Scaramouche” di Tiberio Fiorilli, maestro di Molière, “mimo grandissimo”, capocomico di una troupe dell’Arte che tanta fortuna ebbe in Francia e alla corte di Luigi XIV. La storia si svolge intorno agli anni ’40 del secolo scorso ed è quella di una compagnia di teatro da cortile e da «recita per le truppe» (in cui Totò e i Fratellini avrebbero trovato posto), con i conflitti interni, gli sconvolgimenti derivanti da nuovi arrivi, gli intrecci tra vita e teatro, le delusioni e le speranze. Un gruppo di guitti con tutto il bagaglio della tradizione, guidati da un dissacrante attore/regista, dal nome d’arte ‘Scaramouche’, costruttore di maschere e ideatore di numeri teatrali, con il sogno di un grande varietà da realizzare ma costantemente alle prese con i problemi dei soldi, dell'amore, dell’arte comica e quella di arrangiarsi, così tanto molièriano da ricordarci Arpagone, Alceste, Sganarello. A Luciano Nattino, ho chiesto una riflessione su questo suo spettacolo. “Scaramouche” è un omaggio al teatro d’arte, al teatro “necessario”, al teatro da cortile. Ancora oggi ne scopro la necessità più nei piccoli centri che nelle grandi città. Il teatro in quei luoghi continua a diventare l’occasione per un incontro, per un incanto. “Scaramouche” è una specie di “bignami” in cui convergono molti pezzi del teatro del novecento intrecciati con la vita dei protagonisti. E’ un “divertissement” continuo che vive anche delle improvvisazioni che, durante le prove, gli attori propongono. Per me è un ritorno al mio primo teatro, a quello “povero”, fatto di stracci ma di tanta poesia. Un teatro con il quale ho conosciuto Paolo Conte, suo fratello Giorgio, Eugenio Guglielminetti e i miei compagni teatranti di allora. 10 luglio ore 21.30 - 11 luglio ore 23.00, Centro Giraudi
Asti Teatro
Cosmotaxi Special per Festival AstiTeatro 25 giugno - 11 luglio 2007
FINE
giovedì, 21 giugno 2007
Con la mitica ds
Il titolo non tragga in inganno, non si tratta di nuove intercettazioni telefoniche che riguardano i Ds. Anche se da consorte (con la “c” minuscola, cioè una moglie) il nuovo romanzo di Gaetano Cappelli prende le mosse per raccontare le avventure di Riccardo Fusco oppresso dal successo della sua sposa regista che lo ha ridotto al ruolo di baby-sitter delle quattro figlie, tradendolo inoltre col primo attore di passaggio. La Citroën è, però, protagonista delle pagine perché spesso a bordo di quell’auto si costeggia una storia dal complesso intreccio che ha un titolo di lunghezza, e bellezza, settecentesca: Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo. L’autore è nato a Potenza nel 1954. Ha pubblicato: “Floppy disk” (Marsilio 1988); “Febbre” (Mondadori 1989); “Mestieri sentimentali” (Frassinelli 1991); “I due fratelli” (De Agostini 1994); “Volare basso” (Frassinelli 1994); “Errori” (Mondadori 1996) e “Parenti lontani” – giudicato da Bookcrossing uno dei migliori cinque romanzi usciti dal 2000 – (Mondadori 1996 e 2000), e “Il primo” (Marsilio 2005). Per saperne di più su di lui, c’è un suo sito in Rete. Sul ‘Corriere della sera’, Antonio D’Orrico ha scritto: “Il nuovo romanzo di Gaetano Cappelli rappresenta per il meridione quello che Piperno rappresenta per la borghesia ebraica romana”. A Gaetano Cappelli ho rivolto qualche domanda.
Nel tuo libro si parla anche di successo e d’insuccesso. Esiste una caratteristica sociale e culturale che lo connota nella società di oggi rispetto al passato? Mah, direi che oggi il successo è più di massa. Più diffuso. Warhol, con la sua famosa profezia sui 15 minuti di celebrità per ognuno, aveva colto nel segno. successo è apparire in tv sfoggiando un capo di lusso, magari falso: chi se ne accorge? basta questo per accontentare il desiderio di mettersi in mostra. basta poco, come dice vasco rossi, basta andare in televisione. ottimisticamente, perché poi andarci, in televisione, non è che sia così facile! direi comunque che il successo è da sempre la chimera che l'uomo insegue: una sorta di assaggio d'immortalità sulla terra. distinguersi dagli altri. Le divinità del pantheon cosa sono se non una memoria mitica di personaggi di successo di epoche remote? Il tuo lavoro, anche in questo recente titolo, è puntato non solo sul linguaggio, ma anche sulla storia avvalendosi di un’elaborata trama. Insomma appartiene pienamente al romanzo, genere dal quale sono lontano. Non solo dopo Rabelais, Cervantes, Sterne, dopo Celine, Joyce, Queneau, e dopo l’avvento dell’ipertesto, qual è il senso di scrivere oggi ancora romanzi? Ma è la nostra vita stessa ad essere avvertita come una narrazione. se incontro un amico dopo anni gli chiedo ehi che fine hai fatto. raccontami tutto. abbiamo bisogno di narrazioni e il romanzo è solo una delle fonti di soddisfazione di questo bisogno. e mi pare che stiamo vivendo una buona stagione. rispetto al buio degli anni 70 per esempio. non capisco quelli che ne hanno nostalgia. eravamo circondati da talebani. stessa concezione della vita. stesso fanatismo. quelli che parlano di creatività in quegli anni mi fanno venire il latte alle ginocchia. per dirne una, dal 74 in italia non c'è stato più un concerto. l'ultimo, mi pare fu quello di lou reed. Salito sul palco si prese una tale paura che se ne tornò a new york di corsa. e per spaventare uno come lui ce ne vuole, eh. oggi le librerie sono piene di ogni genere di prodotto dell'intelletto, come dicono alla siae. così le sale da concerto e le gallerie d'arte. chi non trova quello che fa al caso suo è probabilmente uno che non sa quello che vuole. Ci sono i romanzi. ci sono le opere sperimentali. c'è tutto. basta cercare. Gaetano Cappelli “Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo” Pagine 192; Euro 15:00 Marsilio
mercoledì, 20 giugno 2007
Chiara e l'immaginario
Scriveva William Hazlitt: “La moda nell’abbigliamento è la raffinatezza che corre davanti alla volgarità e teme d’essere sorpassata”. Non ha quest’angoscia, però, se a ideare linee, colori e forme è Chiara Boni. Donna di grande fascino intellettuale, e non solo intellettuale, è una delle protagoniste del rinnovamento della moda italiana facendo confluire nel suo lavoro non solo gli elementi della più avanzata fashion theory ma anche altri spunti che provengono da un’attenta osservazione di quanto va accadendo nel mondo delle arti visive e dei performing media. Non a caso, nel maggio 2000, le venne affidato l'incarico di Assessore per l'immagine e la comunicazione con particolare riferimento allo sviluppo delle nuove tecnologie informative per la Regione Toscana. Per conoscere più estesi cenni biografici e brevi note sul suo profilo di stilista, cliccate QUI.
Da oggi a Firenze presenta Io invece sono immaginaria, fotografie di Francesca Lotti. Fino al 25 giugno ‘07 Dalle ore 19:00 Piazza della Passera Firenze Info: stampa.italia@pittimmagine.com
martedì, 19 giugno 2007
Itali@rte 2007
Diceva lo scrittore spagnolo Jardiel Porcela: “Il teatro di danza è un mezzo efficacissimo per educare il pubblico; però chi fa un teatro educativo può ritrovarsi senza un pubblico da educare”. Ecco un rischio che non corre la rassegna romana Itali@rte perché s’avvale di un cartellone che punta ad avvicinare nuovo pubblico alla danza attraverso spettacoli di grande fascino visivo anche in virtù di avanzate tecnologie al servizio della scena. Nella foto un’immagine da Bolero, spettacolo della Compagnia Nazionale del Balletto che inaugura questo Festival giunto alla sua quarta edizione. Itali@rte è promossa da MediascenaEuropa, Ente che da anni lavora su più cursori, infatti, accanto alla presentazione di compagnie e singoli artisti, ne assiste il ruolo professionale sia con un’attività culturale d’aggiornamento (convegni, pubblicazioni, seminari, archivi video) sia con informazioni sulle normative che governano questo lavoro.
A Danilo Esposito, Presidente di MediscenaEuropa, ho chiesto un flash sulla manifestazione. Come in uno specchio, nel prestigioso sito aventiniano dove ormai si è consolidato per il IV anno l’appuntamento con la danza italiana, Itali@rte riflette le numerose forme di espressione che l’arte coreutica può proporre al pubblico. Come in uno specchio che consente di esplorare sé stessi, è la danza che fa da ponte tra il gesto e la musica, l’universo circostante, il movimento del corpo e le emozioni. Gioco di specchi che consente una riproduzione multiforme della realtà circostante, talvolta anche deforme, ma sempre frutto di un rimbalzo di luce. Pensiamo di aver dato spazio a ciascuna immagine che la danza è in grado di proiettare con il movimento, immagine di un’arte che dinamicamente riproduce la realtà. Per il programma, cliccate QUI. Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, l’Ufficio stampa è curato da Valeria Bochicchio: Mail: info@mediascena.it ; Tel. 348 - 82 15 906 Itali@rte Piazza Cavalieri di Malta, 2 Roma 20 – 29 giugno ‘07
Arte e Scienza
Indisciplina®te in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni continua a sperimentare le vocazioni del centro per le arti contemporanee Ex Siri Terni ospitando Ombre di luce. E’ una personale di Ariela Böhm, interessante figura del campo artistico internazionale (in foto: Percorsi VI, Delta del Gange, 2006, terracotta a tecnica Raku e smalto su legno.
Scrive Francesco Santaniello curatore della mostra: Anche per Ariela Böhm fare arte significa indagare le leggi che regolano l’universo: sia il macrocosmo galattico sia il microcosmo dell’essere umano. La serie “Ombre di luce” costituisce una sorta di sperimentazione in vitro per visualizzare un paradosso, ovvero la profondità della trasparenza e la relativa possibilità di generare immagini con essa. In queste opere è come se Ariela avesse ingigantito quei vetrini tante volte osservati sotto le lenti dei microscopi quando era una ricercatrice biologa dell’equipe di Rita Levi Montalcini. Sotto le diafane lastre di vetro, se adeguatamente illuminate, si formano le sottili trame filiformi delle connessioni neuronali (trine arabescate per i profani di scienze) o si visualizzano gli attimi iniziali del concepimento di una vita umana . Ufficio stampa Indisciplina®te: Luca Dentini, stampa@indisciplinarte.it Tel: +39 0744 – 28 46 79: +39 328 – 90 39 552 Ariela Böhm “Ombre di luce” Ex Siri, Centro Arti Contemporanee Terni dal lunedì al sabato dalle 12.00 alle 00.00; domenica dalle 15.00 alle 00.00 Fino al 7 luglio ‘07 Ingresso: gratuito
lunedì, 18 giugno 2007
Aspettando Godot
In quel capolavoro del 1952 di Samuel Beckett, Vladimir ed Estragon aspettano un certo Godot che fa annunciare il suo ritardo rimandando a domani l’arrivo, ma quando cala il sipario s’avverte che l’attesa sarà vana l’indomani e sarà vana per sempre. Così sta accadendo al popolo del teatro italiano che, oggi, dopo 60 anni di attesa, aspetta ancora una legge che affronti la crisi del teatro e dello spettacolo italiano. Una politica per lo spettacolo non lo spettacolo per la politica è questo l’azzeccato slogan che il Gruppo Teatro 5 Giugno lancia attraverso le voci di Attilio Corsini e Mimmo Del Prete, un tandem che sul teatro la sa lunga perché dalla scena teatrale viene e non da segreterie politiche. Il vero nodo da sciogliere, infatti, è quello del ripristino della distanza critica tra cultura e politica. Il Gruppo Teatro 5 Giugno nasce in séguito ad un’assemblea di cui ho dato notizia QUI Attilio Corsini e Mimmo Del Prete così dicono in un comunicato, di cui riprendo i punti più roventi, da loro firmato.
“... La politica non si cura di investire sulla ricerca, sulla promozione, sulla formazione, sul lavoro professionale, costante e quotidiano del teatro, ma continua a puntare sugli eventi che la ripagano con una visibilità facile ed immediata. Eventi che, molto spesso, insieme alla cattiva televisione, hanno contribuito a deformare il gusto e la capacità di attenzione del pubblico e ad abbassarne il livello culturale e la sensibilità. Riteniamo inoltre che un nuovo sistema ed una nuova legge non potranno non contenere elementi normativi relativi al mondo della comunicazione. I giornali finanziati dallo Stato non possono cancellare il teatro dalle loro pagine e lo stesso non può fare la televisione pubblica. Chiediamo che coloro che ricoprono incarichi di carattere politico e/o istituzionale siano incompatibili con lo svolgimento di compiti a carattere dirigenziale, o di legale rappresentante, componente del cda, direttore artistico ecc., nell’ambito degli organismi teatrali e di spettacolo, destinatari di sovvenzioni o contributi finanziari pubblici a qualsiasi livello. Proponiamo alla gente di teatro di provata professionalità di costituire un ‘tavolo di volenterosi’ formato dalle diverse categorie del teatro italiano che siano disposti a ridisegnare completamente l’ipotesi di un sistema teatrale adeguato alla società contemporanea, non preoccupandosi solo di difendere le posizioni acquisite. Se aderisci a questo documento metti la tua firma e, se vuoi, dai anche la tua disponibilità per partecipare al tavolo di lavoro". Si può inviare la propria adesione via internet al Teatro Vittoria. Allo stesso indirizzo per richiesta d’informazioni. Il resto è silenzio.
sabato, 16 giugno 2007
Lune di primavera
Giunge alla 17° edizione Lune di Primavera, manifestazione multiculturale delle donne, promossa dal Comitato Internazionale 8 marzo. Per notizie su questo Comitato, c’è un sito in Rete.
Nel quadro della manifestazione, nasce il “Premio d’arte per artiste emergenti” a cura di Barbara Martusciello. Per informazioni su questa mostra e il nutrito programma della rassegna tutta, cliccate QUI. L’iniziativa ha avuto il Patrocinio del Comune di Perugia e s’avvale della collaborazione di: Regione dell’Umbria e Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Perugia. Orari mostre: tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 (chiuso lunedì mattina). Info: Marcella Bravetti, cell. 349 - 2328009; donnemondo1@interfree.it Lune di Primavera Rocca Paolina di Perugia Fino al 23 giugno ‘07
venerdì, 15 giugno 2007
A Gallarate c'è Via Paal
E' in corso di svolgimento a Gallarate il festival Via Paal. Lo spettacolo dei bambini organizzato dalla Fondazione Culturale 1860 Gallarate Città. Ospite d'onore, Peter Schumann, fondatore del Bread and Puppet Theatre, presente al festival accanto a molte altre compagnie nazionali. Il Bread and Puppet Theatre, con Peter Schumann, sta tenendo tra l'altro in questi giorni a Gallarate un laboratorio, al quale partecipano oltre cinquanta operatori, sul tema dell'infanzia come "born to buy". La manifestazione del teatro ragazzi "Via Paal" a Gallarate è giunta alla sua seconda edizione e offre al pubblico un ricco cartellone di eventi, con anche una decina di prime nazionali firmate da alcune delle migliori compagnie di teatro ragazzi, tra cui Teatro delle Briciole, Teatro Pirata, Coltelleria Einstein, Teatro Invito. Per la prima volta sarà anche rappresentato "Il ragazzo degli aquiloni", spettacolo coprodotto dalla Fondazione Culturale di Gallarate e ispirato al romanzo Il cacciatore di aquiloni di Hosseini Khaled. Fino al 17 giugno sarà anche possibile visitare al teatro del Popolo di via Palestro 5 la mostra "Bread and Puppet. L'insurrezione del cuore" che raccoglie immagini, manifesti e pupazzi dei Bread and Puppet (installazione a cura del Teatro del Corvo). L'altra mostra ospitata al teatro del Popolo dal 14 al 22 giugno è "Il mare nel cassetto. Idee dall'Odissea" di Marco Muzzolon. Alla manifestazione prendono parte oltre cento operatori del settore provenienti da tutta Italia. Da segnalare, all’interno della programmazione, anche l’incontro – che segue spettacolo teatrale – con Dario Moretti il 15 giugno alle 15.15 al teatro Nuovo di via Leopardi 4 e quello con Paolo Landi, il 16 giugno alle 18 al teatro Condominio Vittorio Gassman, sui bambini e la televisione.
Per informazioni al pubblico: da lunedì a venerdì dalle 11 alle 14 e dalle 17 alle 19, Teatro del Popolo di via Palestro (telefono 0331 784140).
Per informazioni alla Stampa: Sara Magnoli, ufficio stampa Fondazione Culturale “1860 Gallarate Città” telefono 0331 - 75 44 44; e-mail: stampa@comune.gallarate.it
giovedì, 14 giugno 2007
Officine Abso
Le Officine Abso aperte dagli artisti Marco ABbamondi e Attilio SOmmella (nella grafia usata nello scrivere i loro cognomi c’è la chiave per capire perché le Officine si chiamano proprio così), nonostante abbiano aperto da poco a Napoli, registrano già al loro attivo, mostre, concerti, performances, come si può notare dal loro sito. Hanno, cioè, mantenuto le promesse dichiarate nella dichiarazione iniziale del programma di lavoro. E così la sede delle Officine è stata scelta dall’Associazione Culturale Ischia Prospettiva Arte per inaugurare la terza edizione della rassegna d’arte contemporanea Colori, Luci, Musica. La manifestazione, nata nel 2005, presieduta da Ciro Prota, con il patrocinio della Regione Campania, della Provincia di Napoli e dei Comuni di Napoli e di Barano d’Ischia, proseguirà fino alla fine del 2007 e attraverserà molteplici scenari partenopei ed ischitani. Il rosso e il blu: rosso fuoco vulcanico, blu mare napoletano è la traccia che quest’anno sarà seguita da italiani e stranieri invitati a prendere parte alle mostre collettive e personali della rassegna. Giovedì 14 giugno, alle ore 17.00 presso le Officine Abso verrà presentato in conferenza stampa il programma completo della rassegna ed in prosieguo, alle ore 19.00, verrà apertà ufficialmente la rassegna con la mostra collettiva di arti visive cui parteciperanno gli artisti Giovanni Abbamondi - Enrico Bacci - Valentina Balsamo - Daniela Billi - Giuseppe Ciccia - Antonio Conte - Mara Corfini - Ciro Palumbo - Alfredo Pini. Né mancherà un’opera appositamente prodotta per la rassegna dal duo Abso. La mostra proseguirà sino all’8 luglio e successivamente verrà allestita a Barano d’Ischia, dal 2 agosto sino al 9 settembre. Info: “Ischia Prospettiva Arte” Via Miguel de Cervantes, 55/27 - 80133 Napoli Tel. 081/4971300 - Fax 081/551349 e-mail: ischiaprospettivaarte@jumpy.it
Officine Abso Napoli, Salita Betlemme 18 (adiacenze via dei Mille) 14 giugno, ore 17.00: Conferenza stampa Ore 19:00, inaugurazione mostra Fino al 28 luglio ‘07
mercoledì, 13 giugno 2007
I fotografi Tommasoli
“Forse discende dal linguaggio di Internet l’idea che un deposito archivistico non deva per forza essere una semplice schedatura, una pura catalogazione di dati che vengono dal passato, ma la conservazione di un tempo non ancora finito, anzi in-finito, in continua crescita. Così l’archivio dello Studio Tommasoli (che presenta tre generazioni di fotografi) assorbendo ed emanando dati (intesi come stampe originali e ristampe da lastre, che prendono l’avvio dal 1906), li fa crescere su se stessi e oltre se stessi, attraverso dinamiche di ricerca e selezioni sempre più audaci”.
Si apre così il bel saggio introduttivo di Luigi Meneghelli al catalogo in italiano e inglese – Edizioni Anterem – che accompagna una splendida mostra veronese intitolata: Oltre l’argento. Lo studio Tommasoli conserva le immagini di tre generazioni di fotografi che attraversano il Novecento e aprono al nuovo secolo: Silvio (1878-1943), Filippo (1910-1985), Fausto (1912-1971), Sirio (1947) e Alessandra (1961). Dalle prime stampe ai sali d’argento alle platinocromie a ristampe su carta di cotone con viraggi in oro in verde in seppia, sfilano capolavori che restituiscono cipria del tempo e sentimento della vita. Né mancano audaci sperimentazioni di ieri e nuove, preziose, ricerche di oggi che sono condotte da Sirio Tommasoli in frequente collaborazione con la moglie Alessandra Salardi. A Sirio Tommasoli, laureato in sociologia nel 1970, ho chiesto un suo pensiero sull’ingresso del digitale nel mondo della fotografia. Così mi ha risposto. La fotografia è un ritaglio ottico, realistico e ambiguo, che trasferisce nel tempo e luogo della lettura una così ampia varietà di dettagli di tempo e luogo di un altrove, da mutarne definitivamente il senso, comprimendolo su una linea di lettura percorribile nei due versi con la velocità di uno sguardo. Se fotografare è decontestualizzare, la fotografia digitale è soprattutto strumento di ricerca e invenzione di realtà che si sovrappongono nel continuo fluire sincronico della percezione, sfumando la nitidezza dei confini del mondo in un’attività visionaria sempre più lontana dalle certezze di quel disegno automatico e oggettivo che era fra i primi obiettivi dell’ottocentesca ”immagine fotogenica”, contraddicendo la risposta del dizionario alla sua voce figurata: raffigurazione o descrizione fedele. Da documento si è trasformata in proposta, da copia fedele in azione infedele. La fotografia ha definitivamente dilatato l’attimo dello still-life, sospingendolo verso l’infinito presente dell’arte, espressione della trasparenza creatrice del pensiero nell’ombra che vela il disegno delle cose. In conclusione, mi piace ricordare che questo servizio è stato reso possibile dalla puntuale efficienza dell’Ufficio Stampa guidato da Caterina Spillari. “Oltre l’argento” I Tommasoli fotografi dal 1906 Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri Verona Fino al 23 settembre ‘07
martedì, 12 giugno 2007
Bookever (1)
Credo che una delle collane di punta degli Editori Riuniti sia Bookever che presenta classici e novità della letteratura latino-americana e ispanica che ha caratteristiche sia tematiche sia stilistiche da renderla tra le più appetibili per lettori dal palato fine. Il perché lo spiega bene Paolo Valentini - direttore della collana Bookever - in un'ntervista flash che tempo fa rilasciò a Cosmotaxi. La collana s’avvale anche di un proprio blog: El Charco.
Proseguendo nelle sue pubblicazioni, accolte con favore di critica e di pubblico, manda ora in libreria due volumi, un giallo e una raccolta di noir cubani, che qui presento. Morte di un violinista lo ha scritto José Luis Correa, nato nel 1962 a Las Palmas di Gran Canaria dove insegna all’Università. Questo ora edito da Bookever è il primo romanzo tradotto in italiano – sapientemente da Fiammetta Biancatelli – dei tre centrati sul personaggio di Ricardo Blanco. Ho chiesto a Paolo Valentini qual è il fascino di quelle pagine che lo hanno convinto a pubblicare. Così ha risposto. E’ un giallo d'autore che ricorda le atmosfere di Pepe Carvalho di Vasquez Montalban, ma anche i misteri siciliani di Camilleri. “Morte di un violinista” dello scrittore canario José Luis Correa è la prima serie di una trilogia ambientata nelle Canarie, luogo di villeggianti che nasconde però trame e storie nere che il detective Blanco dovrà risolvere. Il primo violino dell'orchestra filarmonica di New York, in tournée a LasPalmas, viene trovato morto. Ricardo Blanco, figlio del whisky e della luna, detective riciclato, amante del jazz e delle donne, dovrà risolvere un caso che sembra essere un assassinio. I sospetti si concentrano su uno degli elementi nuovi dell'orchestra, la violista canadese juliette Legrand, da cui il detective Blanco si sente fortemente attratto. Nella postfazione si trova una divertente lettera immaginaria che Ricardo Blanco scrive al defunto Pepe Carvalho. Un'arguta e commovente riflessione sul mestiere del detective veramente da non perdere! José Luis Correa “Morte di un violinista” Traduzione di Fiammetta Biancatelli Pagine 272; Euro 14:00 Editori Riuniti
Bookever (2)
Altra pubblicazione di Bookever, come dicevo nella precedente nota, è una raccolta di racconti virati in noir, diciassette autori riuniti sotto il titolo: Nero e Avana. Esce a cura di Giuliana Della Valle con un prologo di Danilo Manera che scrive: “Questi racconti ruotano come mulinelli attorno a un baricentro inquietante: un incubo, un suicidio, un’indemoniata, un linciaggio, una sicaria, una lugubre trappola, un gorgo d’odio, una violenza sessuale, uno spettacolo proibito, uno squartatore ucciso da un folle. E nel vortice di caligine si cela il profilo cangiante e incomprensibile, aggressivo e imputridito del male”. A Giuliana Della Valle (che ricordo come già curatrice di un’antologia di poesia cubana) ho chiesto se c’è e, se sì, qual è la particolarità del noir cubano rispetto alle produzioni in altri paesi di quel genere letterario.
La particolarità ovviamente c’è, deriva dall’unicità che ha l’isola nella sua ‘weltanschauung’ e come modello sociale nel mondo. Il noir cubano nasce nella contraddizione esistente tra l’utopia che cerca l’emancipazione totale dell’uomo e una realtà il più delle volte miserevole; nasce come reazione di fronte al silenzio roseo e trionfale dei mass media. Mentre sopravvive il sogno americano e quello europeo, forse ogni giorno più vicini, quello cubano, di natura ben diversa, è stato abolito; così, nel noir cubano, la scenografia nella quale si sviluppano le storie: la corruzione, i privilegi sociali, la decadenza spirituale, la delusione schizzata di umore e cinismo, diventano alla fine i veri protagonisti. A cura di Giuliana Della Valle “Nero e Avana” Pagine 239; Euro 14:00 Bookever - Editori Riuniti
lunedì, 11 giugno 2007
Il corpo mutante
In un momento in cui vanno diffondendosi le teorie filosofiche transumaniste, più fitte si profilano le tematiche sul gender, in Second Life è possibile scegliere identità le più diverse dal proprio corpo d’origine, e la chirurgia estetica va trasformando il suo còmpito d’un tempo passando sempre più da un ruolo riparatore a uno creatore, esce con grande tempestività un libro – edito da Meltemi – straordinariamente ben fatto che riflette su come è vissuto oggi il corpo e come ne amministriamo immagine e destini. Mi pare che i primi segnali di una trasformazione del corpo in icona autodiretta, siano apparsi nella Body Art che oggi conosce nuovi orizzonti nelle performances di artisti quali Marcel.Li Roca Antunez che contamina la carne con l’automazione robotica, Stelarc con le sue protesi cyborg, Orlan che scrive il manifesto della ‘Carnal Art’ e muta il suo corpo, in diretta planetaria tramite internet, sottoponendosi a plurimi e paradossali interventi di chirurgia plastica. In epoca più recente, va ricordato Dale Hoyt fra gli artisti biopunk che considerano le biotecnologie una, estrema, forma di Body Art. Né vanno dimenticati due corpi che del trattamento chirurgico e chimico ne fanno maiuscola testimonianza d’esistenza: l’attrice Cher e il cantante Michael Jackson. A ideare il volume (che reca nell’azzecata copertina un’opera dell’artista ceco Michal Macku), e coordinare i saggi contenuti nel libro di cui oggi mi occupo, intitolato Texture Manipolazioni corporee tra chirurgia e digitale, è Emanuela Ciuffoli. Dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e Scienze dello Spettacolo, collabora con l’Università di Urbino. Si occupa di corpo, di genere e della loro rappresentazione mediale. Oltre a saggi in opere collettanee, ha pubblicato per Costa & Nolan, nel 2006, XXX. Corpo, porno, web; qui un estratto. E’ anche autrice di un vertiginoso saggio – ‘Dall’imeneplastica alla chirurgia della lussuria: l’estetica dell’intimo’ che è fra quelli, tutti encomiabili, presenti nel volume. Gli autori: Monica Baroni – Erika D’Amico – Elena Giliberti – Massimiliano Mandi – Daniela Ranieri – Piero Ricci – Francesco Warbear Macarone Palmieri. Il libro si segnala anche per un’imponente bibliografia e una documentata webgrafia. Rivergination, creme per cinesizzare il proprio incarnato, impianti di vibrisse sul labbro superiore di moda tra le teenagers giapponesi, trapianti di volto, e altro ancora, sono tutte tecniche studiate nella loro valenza psicoestetica e simbolica; viene lanciato un inedito sguardo su come è cambiato il rapporto fra natura e corpo, identità e rappresentazione, fisionomia e figura tra media e società. Texture è una lettura imperdibile per capire come noi umani entrati nel nuovo millennio ci stiamo rendendo protagonisti del nostro corpo.
A Emanuela Ciuffoli, ho chiesto: quale rapporto noti tra chirurgia, mezzi di comunicazione e genere sessuale? La cultura del “quick-change”, della trasformazione estetica rapida e destinata ad un pubblico di massa, apre a traiettorie che intersecano i generi, maschile e femminile, fino ad arrivare al loro cortocircuito. Mentre le statistiche (con buona spinta degli strateghi del marketing) descrivono un aumento considerevole dell’uso della chirurgia plastica/estetica da parte del pubblico maschile e le narrazioni mass-mediatiche (soprattutto a livello visivo) insistono invece sul corpo femminile, come corpo da modellare, liposcolpire, conciare, è la rete ad offrire corpi che performano identità inedite ed inaudite (www.buckangel.com -- www.nofauxx.com). Da un lato, quindi, la volontà di ricondurre la manipolazione a ri-definizione del genere (ad esempio, attraverso la Designer laser falloplastica o il laser per il ringiovanimento vaginale), dall’altro la tensione irredenta verso trasformazioni ambigue, di soglia, fluide. In comune la propensione a mettere in (s)cena il proprio corpo-boccone, ad imbandire le superfici digitali offrendo un desiderio somatizzato tra pelle e pixel: www.truelifebarbie.com Per l’indice del libro e l’introduzione, cliccate QUI. A cura di Daniela Ciuffoli “Texture” Pagine 187; Euro 17:00 Meltemi
sabato, 9 giugno 2007
Un grande Luna-Pac
Settimane fa, su queste pagine web di Cosmotaxi, in una precedente nota ho parlato della mostra Luna-Pac Serafini del pictor optimus Luigi Serafini. S'avvicina la data di chiusura e, per chi non l'avesse ancora vista, mancano ancora pochi giorni per visitare quest'imperdibile mostra che è in corso al Pac, Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano . Mi piace ricordare anche che l'eccellente catalogo è pubblicato dalle Edizioni Motta.
Oggi, Cosmotaxi ospita proprio Luigi Serafini che fa il resoconto di una sua vertiginosa visita a Luigi Serafini. Dopo Sabato 2 giugno, Festa della Repubblica, è arrivata Domenica 3 giugno che non è stata una domenica qualsiasi per me, ma una specie di Dimanche de la Vie. Sono arrivato al Luna Pac di Via Palestro verso le 17 per incontrare degli amici e ho trovato una fila inattesa di visitatori che stava aspettando pazientemente di entrare. Invece di utilizzare un ingresso laterale ho seguito un altro impulso, quello di mettermi anch’io in coda per andare a vedere la mostra di Luigi Serafini. 'Moi, je suis un autre', forse, pensavo tra me e me, dato che in conferenza stampa Sgarbi per sottolineare la mia difficile relazione col Sistema dell’Arte aveva riportato una mia battuta : “Anche lo stesso Serafini non aveva ancora visto a 57 anni una vera mostra di Serafini “. E così, protetto dal mio anonimato, sono entrato dentro un PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) pieno come un uovo: 1.450 biglietti staccati dalle 9,30 alle 18,30. Tutti potranno facilmente pensare che lì io mi stavo godendo narcisisticamente il successo e invece posso tranquillamente rispondere a tutti che lì stavo soddisfacendo una curiosità che credo sia dei più: quella di vedere il proprio funerale, o meglio di vedersi da un 'altrove', di sentire i commenti di parenti di amici e anche di estranei, e pensare: “senti un po’ quello, mi sembrava tanto un amico e invece ora parla solo male di me…” oppure “Incredibile, proprio lei che mi aveva sempre rifiutato, ora si è commossa fino alle lacrime…” ecc . E questo è stato il Luna Pac per me: un luogo, o meglio una stazione ferroviaria dove si arriva nell’ 'Aprés-Midi' soleggiato, e si aspetta il sontuoso Orient Express che ci condurrà alla meta finale: il Teatro Naturale di Oklahoma (Naturtheater von Oklahoma), dove tutti gli artisti troveranno il loro posto, forse… 'Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos'. Luigi Serafini “Luna – Pac Serafini” Padiglione d’Arte Contemporanea Via Palestro 14, Milano Info, lunedì – venerdì: 02 – 76 00 90 85 sabato e domenica: 02 – 76 02 04 00 Fino al 17 giugno ‘07
venerdì, 8 giugno 2007
Da spettatore a spett-attore
Alla Tv vanno addossate molte colpe, dal favorire un’omologazione del pensiero al promuovere una sudditanza al potere, fino ad un degrado dei costumi, all’allontanamento da fonti dei sapere come, ad esempio, la lettura. Anche, sia pure con diversi punti di vista fra loro, Pasolini e Popper hanno visto nella Tv un temibile mezzo dei nostri tempi. Francamente, non condivido tanto catastrofismo. Mentre s’affettavano corpi nella notte degli Ugonotti non trasmettevano nessuna delle pur pessime soap opera, né durante i giorni di Auschwitz andava in onda il Grande Fratello; quanto alla lettura, sono d’accordo con Beniamino Placido quando scrive “non credo che se non ci fosse la tv, in tanti sarebbero intenti alla lettura delle Critica della Ragion pura di Kant o dell’Ulisse di Joyce”. Di sicuro c’è che la Tv ha cambiato molte delle regole dell’informazione, ma ciò non è possibile analizzarlo soltanto attraverso il mezzo televisivo, ma va visto nella complessità dell’intero sistema mediatico della nostra epoca. Non a caso un ottimo libro – mandato in libreria dall’editore Luca Sossella – parte proprio da un’analisi storica del rapporto tra media e società per arrivare a conclusioni antagoniste operative. L’autore, infatti, non è solo uno studioso dei mezzi di comunicazione ma un operatore dei nuovi strumenti comunicativi: Bruno Pellegrini, vlogger, già fondatore di “Nessuno Tv”, ed ora Ceo di TheBlogTv la prima televisione italiana fatta dagli utenti. Il libro è intitolato Io? come diventare videoblogger e non morire da spettatore, un autentico manuale di sopravvivenza in cui si spiega come non perdere l'occasione del Web 2.0. Espressione coniata nel 2005 dall’editore statunitense Tim O’ Really che elenca una serie di caratteristiche di questa nuova fase del Web che possiamo sinteticamente definire ‘partecipativa’, dove gli utenti sono anche autori.
Il libro – nella sua introduzione s’avvale anche della collaborazione di Ilaria Nicosia – svolge in modo sincrono un discorso sia tecnico sia sociologico su come diventare videoblogger presentando cioè il “come” insieme con il “perché”. Nel volume, sono ospitate interviste assai ben condotte a Franco Berardi ‘Bifo’ – Derrick de Kerckove – Giorgio Gori – Gabriele Gresta . A Bruno Pellegrini ho chiesto: qual è la prima cosa che deve fare il videoblogger? E quale quella che deve evitare? Come insegno a lezione e ho scritto nel libro, la prima cosa che bisogna fare per cominciare a vloggare è curare la fase di pre-produzione: finché non si acquisisce esperienza e naturalezza consiglio a tutti di prepararsi bene prima di aprire un vlog e anche realizzare un singolo video. Scrivere e riscrivere il concept del proprio vlog, identificare e conoscere il target, realizzare qualche numero zero, rivedere le scalette e eventualmente gli storyboard, buttare giù un piano dei lavori; dotarsi di un metodo insomma è per me fondamentale. In secondo luogo non bisogna scoraggiarsi se il vlog stenta a crescere in termini di traffico: la teoria della long tail ci insegna che c’è sempre un pubblico, va però identificato e quindi ricercato in rete per metterlo a conocenza del proprio progetto e coinvolgerlo nello sviluppo. Con l’aumento del numero delle persone che fanno comunicazione in rete, la fase di marketing del proprio vlog può fare la differenza. Parlami della tua più recente creazione: TheBlogTV. TheBlogTV sta crescendo e lo sta facendo assieme ad un numero sempre maggiore di vloggers e di altri portatori di interessi. E’ un progetto affascinante proprio perché è partito da zero, non è uno spinoff di qualche grande canale ma si è sviluppato aggiungendo nuove risorse giorno dopo giorno. Mi piace pensare che TheBlogTV non sia più il mio progetto ma sia quello delle migliaia di persone che in vari modi vi hanno aderito e hanno creduto in un diverso modello di comunicazione, alternativo a quello verticale e tradizionale dei grandi network. Stiamo uscendo dalla prima fase, quello dello start up da garage (e chi ci lavora sa quanto è vera questa affermazione) e abbiamo trovato le risorse che ci permetteranno da settembre di proporre una televisione, la prima in assoluto, realmente costruita dal pubblico e di farlo valicando i confini nazionali. Nei prossimi mesi infatti lavoreremo per portare TheBlogTV all’estero e confrontarci con mercati molto più veloci e innovativi di quello domestico. Bruno Pellegrini “Io?” Pagine 180; Euro 12:00 Luca Sossella Editore
giovedì, 7 giugno 2007
Creativa
A Rignano sull’Arno si svolgerà una nuova edizione di Creativa, Festival che presenta arte digitale, mostre, performances, video, mail art, dibattiti sui temi dell’arte contemporanea specie quella che è esclusa, o per scelta si esclude, dai grandi circuiti. A ideare Creativa, nel 2000, è stato Franco Piri Focardi (nella foto una sua opera).
Per conoscere i partecipanti a quest’edizione, cliccate QUI A < b>Franco Piri Focardi ho chiesto un profilo del Festival. Così ha risposto. Possiamo definire Creativa “una comunità libera di artisti e di pubblico che cerca di scoprire insieme nuove possibili vie per attraversare il caotico ed asfissiante mondo in cui siamo immersi”. A Rignano sull’Arno, ove ha trovato un ambiente congeniale per confrontarsi, mostrarsi e discutere con tranquillità dei problemi della cultura contemporanea e degli obbiettivi sociali e vitali desiderati. C’è una volontà da parte dell’artista, che accetta di venire a Creativa, di vivere e condividere col pubblico momenti intensi di emozione in totale libertà e sembra che qui essi abbiano trovato un luogo di realizzazione. Nonostante, ma forse proprio per questo, la situazione atipica, perché qui non si fanno gare né si danno premi, non si fanno classifiche e tutte le forme d’arte sono allo stesso livello, gli artisti continuano a venire e a passare la parola ad altri. Così Creativa continua la sua esistenza e la sua mutazione grazie agli artisti, perché senza di loro nulla sarebbe possibile. Per conoscere che cosa accadrà a Rignano sull’Arno: CLIC “Creativa” Rignano sull’Arno Dall’8 al 10 giugno ‘07
mercoledì, 6 giugno 2007
Tatiana vola e va
Qualche tempo fa ebbi ospite nella mia taverna spaziale Tatiana Bazzichelli, una tipa con i fiocchi: leggere per credere. Apprendo con piacere che il suo progetto AHA, acronimo che sta per Activism-Hacking-Artivism s’è aggiudicato l'Honorary Mention, per la categoria Digital Communities, al prossimo Festival Ars Electronica che si svolgerà a Linz dal 5 all'11 settembre ’07.
La giuria ha selezionato Aha come vincitore dell'Honorary Mention riconoscendolo come progetto di networking, Rete che ha coinvolto e coinvolge in plurali occasioni molteplici soggetti e gruppi, in Italia e da qualche anno anche all'estero, in particolare a Berlino dove Tatiana vive dal 2003. Per vedere tutti i premi per le Honorary Mentions, QUI.
martedì, 5 giugno 2007
CyBorg Film Festival
L’ era del Cyborg è sempre più vicina, come avvertono le teorie filosofiche transumaniste ben spiegate da Riccardo Campa.
Il Festival cinematografico che comincia domani ad Anghiari (nella foto, il logo che rimanda alle astronavi Borg a forma di cubo qche si vedono in Star Trek) gioca il suo nome proprio sul significato di cyborg, alludendo ai cattivissimi Borg il cui motto è: “Noi siamo i Borg. Voi sarete assimilati. La resistenza è inutile”. Immagino, però, che si riferisca anche a quel modello umanoide più amico degli umani ch’è simbolo dell’evoluzione scientifica dei nostri tempi. Il termine cyborg, infatti, nasce dalla contrazione dell'inglese cybernetic organism, organismo cibernetico, che spesso viene usato per rappresentare il futuro con le sue tematiche, le sue incognite, le sue speranze. Il CyBorg Film Festival è ideato e diretto da Luisella Chiribini; lecito pensare che, come nella famosa saga tv di ST, sia l'unico Borg in grado di provare pensieri indipendenti dal terribile Alveare struttura collettiva cui è collegata la mente dei Borg. Ma sarà altrettanto cattiva di quella Regina dello Spazio? Sembrerebbe – è bene essere prudenti e ripetere: sembrerebbe – di no. Richiesta di un’essenziale bio, Luisella Chiribini mi ha inviato questo suo autoscatto: “Sono nata nel 1969 Anghiari. Persona comune predestinata a credere nella cultura… Dopo varie esperienze “dietro le quinte”, nel campo del teatro e del cinema, per scelta emozionale ritorna al paesello e fonda CyBorg Produzioni e per rimanere legata alle sue passioni mette in piedi il CyBorg Film Festival. Ogni giorno pensa: la resistenza è inutile? Ogni giorno il dubbio: verrà assimilata?...” E, visto che l’autoironia non le manca (e questo segno d’intelligenza è), le ho chiesto anche di parlare del CyBorg Film Festival. Così mi ha risposto. Questo Festival nasce come progetto in progress che si propone l’obiettivo di promuovere, informare, divulgare ed educare all’immagine cinematografica creando una vetrina di scambio e confronto sulle diversità creative e produttive dei linguaggi audiovisivi. Cyborg come impresa produttrice di cultura. La progettualità proposta è dedicata al mondo dell’arte e della comunicazione. La coesistenza e fusione tra uomo e macchina, tra digitale e analogico, tra teatro e cinema, tra vecchi e nuovi codici di scrittura, di divulgazione e linguaggio sono i punti d’incontro dei territori che esplora. Tali mezzi di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale, costituiscono la bottega di idee del CyBorg. La struttura del festival mantiene una dualità degna dei cyborg, mostrando una parte riservata al “concorso” di cortometraggi e una riservata ai “nuovi territori”, una sorta di vetrina promozionale per indagare su i nuovi processi di evoluzione nel campo della cultura. La frase “logo” presa in omaggio a Star Trek “Noi siamo i Borg. La resistenza è inutile. Voi sarete assimilati!”, non è per voler essere cattivi come i Borg della famosa saga, ma un incentivo a credere nella cultura, nella creatività e nella passione di chi con grande coraggio si ‘mette in gioco’. Il tema dominante del festival: la fantascienza, è stata una scelta dovuta ad un innamoramento adolescenziale, per la scienza e per l’uomo. La fantascienza molto spesso ha illuminato la strada alla scienza, così come la scienza ha dato ispirazione alla fantascienza. Quella sete di conoscenza, quel voler credere che la ‘psicostoria’ poteva cambiare le cose. …CyBorg è un voler seguire le “cose” mentre queste cambiano, e le cose stanno cambiando! Per il nutritissimo programma, cliccate QUI. Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web: Stefano Limoni: +39 328 9226333 CyBorg Festival Anghiari (Arezzo) Dal 6 al 10 giugno ‘07 info@cyborgproduzioni.it
lunedì, 4 giugno 2007
Sans papier
Mettere (e cambiare) le carte in tavola, la tigre di carta, a carte quarantotto, fare un castello di carta, giocare l’ultima carta… quanti modi di dire intorno alla cellulosa. Fino a quello che recita “avere carta bianca” che indica il vantaggio di poter fare quello che si vuole, ma se, per esempio, quella carta è di un documento che s’è scolorito, non è più valido, ecco che ci troviamo in un bel guaio. Di guai dei documenti, da quelli di carta fino a quelli elettronici si occupa Maurizio Ferraris in un originale saggio, edito da Castelvecchi, dal titolo: Sans Papier Ontologia dell’attualità. Tutto il volume ruota e riflette sull’importanza d’avere carte o essere sans papier, sulla produzione di circuiti informativi prodotti dalla globalizzazione, sulle tracce che lasciano i nuovi documenti elettronici che rivelano vizi e virtù di ciascuno di noi intercettati dalle agenzie di spionaggio ma anche dai supermercati. A Maurizio Ferraris, recente ospite di un mio viaggio spaziale, ho chiesto: quale differenza vedi tra la memoria cartacea e quella elettronica? Franco Fortini è morto nel 1994, agli albori dell'età sans papier. Prima di morire, aveva riversato tutte le sue carte e tutti i suoi scritti sull'hard disk di un computer. Ci aveva messo un paio d'anni, all'epoca non c'erano scanner, ed era stato un pazientissimo lavoro da amanuense. Prima di morire, se ne avrò il tempo, la voglia e il modo, farò il contrario: stamperò tutti i contenuti del mio hard disk. Ci vorrà molto meno tempo, ma ovviamente sarà necessario tantissimo spazio per contenere tutta quella carta. Comunque, nello stampare opererò una robusta selezione, per evitare che la facciano (o, peggio ancora, non la facciano) i miei eredi. La mia non sarà una nuova lungimiranza rispetto a Fortini, sarà solo un po' più di pratica derivante da tutti gli anni passati nel mondo del sans papier. Ai tempi di Fortini, il sans papier sembrava garanzia di eternità (perché la carta è acida, la carta si deteriora, la carta ingombra), adesso incomincia a profilarsi il contrario: con tutti i limiti che ha, la carta dura. Durano le cinquecentine, benissimo. Durano, molto meno, le edizioni del secondo dopoguerra, quei libri di Sartre che se li tocchi si sbriciolano. Ma casomai quelle cattive edizioni puoi ristamparle. E i cassetti rigurgitano di carte, proprio nel momento in cui si potrebbe fare a meno della carta .
La memoria cartacea è, quindi, duratura nel tempo ma localizzata nello spazio? Già, scrivi su un pezzo di carta, e resta lì, magari per secoli, incurante dei cambi tecnologici, dei black out, delle rottamazioni, e sensibile solo ad alluvioni e a incendi. Poi, decenni o secoli dopo, riappare, lo leggi a occhio nudo, e tutto quello che ti occorre è conoscere la lingua in cui è scritto. E' in questo modo che ci sono arrivati i poemi egizi, la Bibbia, le opere esoteriche di Aristotele, che sono rimaste per due secoli buoni in un cassone. Ecco: se fossero state su dischetto, le avremmo perse perché tra due secoli chissà che programmi useranno; così come si perderanno tutti i nostri archivi privati, quelli che stanno nei nostri computer. Non possiamo certo obbligare i nostri figli, nipoti, pronipoti a tradurli in sistemi di scrittura più avanzati, a parte che poi i pronipoti, affettivamente distantissimi da noi, si troveranno sulle spalle anche le memorie dei padri e dei nonni, dunque è certo che anche il più devoto dei pronipoti ci lascerà sprofondare nell'oblio. I nostri padri, nonni, bisnonni, sono molto più discreti. Le loro carte stanno in cassetti, le loro lettere in scatole da scarpe. Se vogliamo buttarle via, possiamo farlo, ma se vogliamo conservarle non ci costa niente, solo un po' di spazio. Se poi gli antenati sono famosi, i pronipoti (e, diciamola tutta, anche i figli e congiunti) meno affettuosi possono lucrarci un po', mentre vendere un hard disk a un antiquario o a una biblioteca non sembra una grande idea. La memoria elettronica come la memoria di una ameba…
Senza coscienza di essere memoria, con mille localizzazioni, estremamente labile e insieme estremamente invadente. Non è cosciente di essere memoria perché nella stragrande maggioranza dei casi non c'è qualcuno che dice "adesso prendo nota". Semplicemente, chiami qualcuno sul telefonino senza trovarlo e resta l'avviso, prendi i soldi al bancomat e resta traccia anche se non hai chiesto lo scontrino, visiti un sito e rimane la memoria, compri qualcosa al supermercato e anche lì c'è traccia nelle carte fedeltà, per esempio; un enorme archivio, non solo invisibile, ma per l'appunto (ed è secondo me la cosa più interessante) incosciente. Poi, dicevo, con mille localizzazioni. Per esempio su internet: schiacci google, fai una richiesta, e compare vita, morte e miracoli di qualcuno, cose che una volta avresti dovuto cercare per anni e anni vagando attraverso il mondo e invece adesso sono "là", in quel posto che non sappiamo bene dove sia, tanto è vero che anche se leggiamo una notizia falsa su di noi (che so, che siamo nati ad Addis Abeba nel 1714), non c'è verso di correggerla: a chi lo diciamo? a chi scriviamo? Infine, è estremamente labile. Vorrei concludere salomonicamente: la carta è come la monarchia e il sans papier come la repubblica; la monarchia ha i suoi vantaggi, ma la repubblica alla fine è meglio, tanto è vero che, malgrado tutte le fisime sulla sopravvivenza post mortem delle mie sudate e poco interessanti carte, ti sto rispondendo sans papier. Se l'umanità volesse dotarsi di una nuova Magna Charta, in quel documento, cartaceo o elettronico, che cosa ti piacerebbe vedere scritto al primo rigo? ”Ricordati di santificare le feste". Più che la Magna Charta è da Dieci comandamenti, ma è vitale: uno degli effetti del sans papier è che si intrufola in telefonini, blackberry, computer, e sei sempre lì che lavori. Maurizio Ferraris “Sans Papier” Pagine 231: Euro 14:00 Castelvecchi
sabato, 2 giugno 2007
Di quella pira l'orrendo foco
“Veglieremo le ceneri del Signor Teatro, spargendone in platea gli ultimi residui”. Con questo tenebroso dire, Attilio Corsini, una delle più deliziose birbe del teatro italiano, invita ad un convegno promosso dall'ApTI (Associazione per il Teatro Italiano) che rifletterà martedì 5 giugno, alle 19, al Teatro Vittoria di Roma, con operatori del settore e politici sullo stato della cremazione in corso. Stavolta sul rogo non c’è Azucena, cui si riferisce il titolo di questa nota citando la cabaletta di Manrico nel Trovatore (… a proposito, immaginate come allora Leonora stava incazzata con la suocera che, spingendo Manrico a liberarla, le manda a monte il matrimonio là là per celebrarsi!), ma stride la vampa ardendo il corpo della scena italiana. E Corsini, più incazzato di Leonora, così giustamente dice: La politica s’interessa solo al Teatro Pubblico, perché lo può governare. Il teatro di prosa privato, invece, è trascurato. In attesa di una legge sempre promessa il teatro ha navigato senza una vera rotta con regole e regolette dettate da un apparato burocratico poco competente che ne ha condizionato la libertà artistica ed imprenditoriale non salvaguardando il patrimonio storico e non favorendo le nuove iniziative e la crescita di nuovi talenti. La nuova bozza di legge che demanda il teatro alle Regioni, Province e Comuni, assolutamente non preparati a svolgere questo ruolo, è delirante. Di solito, in questa rubrica non trasmetto appelli. Stavolta faccio un’eccezione, copiando e incollando il documento presentato dall’attrice Benedetta Buccellato che si occupa della Segreteria dell’ApTI.
Questi che seguono sono i punti proposti. Lo so, la lettura è lunga e può annoiare i non addetti ai lavori, ma un discorso di Rutelli , credetemi, è peggio. 1) La Repubblica ha il compito di promuovere, finanziare e regolare il Teatro. Il progressivo venir meno della spesa per la cultura va invertito e il Fus spinto oltre i 516 milioni di euro (quanto era nel 2001), fino a ritrovare una soglia corrispondente a un nuovo e diverso impegno finanziario del Governo, fino all’1% del PIL, come indicato nel programma elettorale del centro-sinistra per la cultura. La Finanziaria 2007 non va certamente nella direzione promessa. 2) Va promossa un’azione risanatrice a largo raggio per combattere la piaga diffusissima del lavoro nero, dell’elusione e dell’evasione contributiva. I diritti tutelati dai contratti nazionali vanno affermati e difesi in ogni luogo di lavoro, pubblico e privato. In relazione al comma 188 del maxiemendamento alla Finanziaria 2007, il Governo dovrebbe impegnarsi ad abrogare, con decreto ad hoc, una norma dagli effetti devastanti per tutto lo spettacolo dal vivo. 3 Occorre destinare maggiori risorse pubbliche al settore, riportando i fondi per lo spettacolo dal vivo a livello di decente confronto con i paesi europei più significativi. Le imprese italiane (pubbliche e soprattutto private) non possono far altro, nelle presenti condizioni, che eludere i contratti nazionali di lavoro. Il ministero dei Beni e delle Attività Culturali, che concede sovvenzioni a pioggia, anche per cifre irrisorie, non può fingere di non conoscere la situazione. 4) Nella delicata fase di trasferimento alle Regioni di competenze relative allo Stato centrale, con attribuzione di poteri decisivi alla conferenza unificata Stato-Regioni, occorre salvaguardare sia la progettazione e l’ideazione dello spettacolo, in quanto opere dell’ingegno, sia la produzione, considerandole materia di competenza della Repubblica. 5) Vanno difese, restituite all’operatività e adeguatamente valorizzate le istituzioni pubbliche di formazione e di aggiornamento degli artisti e operatori, garantendo l’indipendenza della ricerca e la competenza dei docenti. Occorre promuovere inoltre un Ente che operi per la diffusione e la valorizzazione della drammaturgia nazionale, consentendogli di agire in Italia e all’estero con adeguati contributi; occorre incentivare l’editoria specializzata che promuove la fruizione teatrale, musicale e della danza e ne diffonde l’informazione e l’aggiornamento. 6) Occorre creare meccanismi di controllo per arginare la decadenza e il malcostume dilaganti nei teatri pubblici, ormai luoghi di scorribande d’affari e di lottizzazioni più o meno scandalose. Alcuni meccanismi potrebbero essere: a) la nomina alla direzione di un teatro stabile dovrebbe avvenire sulla base di un pubblico concorso di idee, di progetti, controllabile e valutabile pubblicamente; b) la durata di una permanenza alla direzione di un teatro stabile pubblico non dovrebbe eccedere un certo numero di anni (per esempio, non più di due mandati); c) le incompatibilità con altri incarichi dovrebbero finalmente essere fatte rispettare: il conflitto di interessi non può essere aggirato; d) l’eccesso di ricorso alle coproduzioni va limitato: si assiste spesso a ridicole ammucchiate tra organismi pubblici e privati per frantumare le spese e consentire di evitare il pagamento delle diarie agli scritturati (le imprese non le pagano nella sede della produzione e, se la produzione cambia ogni mese, non le pagano mai). 7) Si potrebbero predisporre strumenti legislativi (vedi la legge 122/98 per cinema e fiction) per incoraggiare le emittenze televisive a trasmettere e coprodurre teatro e danza. Più teatro a orari possibili e una campagna informativa e di sensibilizzazione presso il pubblico televisivo. 8) Il sistema della distribuzione va riformato: è da troppo tempo bloccato dalla politica degli scambi, che spesso penalizza la qualità indipendente per far circolare gli spettacoli prodotti dai teatri a lunga genitura. In particolare occorre: difendere le piccole e medie sale a garanzia della libertà d’espressione, risollevare l’autonomia delle scelte di cartellone, far rispettare rigorosamente l’incompatibilità tra gli incarichi nella distribuzione e incarichi nella produzione. 9) E’ auspicabile una riforma del Fus che preveda almeno tre fondi di finanziamento, vista la profonda diversità dei problemi di ciascun settore. E’ inutile chiedere il rifinanziamento del Fondo attuale se quasi il 50% di esso viene ogni volta assorbito dalle esigenze, sempre crescenti, dei 13 enti lirici italiani. Proponiamo che cinema, spettacolo dal vivo e musica abbiano tre specifici strumenti di finanziamento. 10) Le commissioni ministeriali vanno riformate applicando, in modo rigoroso, i criteri dell’incompatibilità e del conflitto di interessi. Bisogna inoltre invertire la radicata abitudine di convocarle per le assegnazioni a fine luglio, cioè quando tutte le imprese hanno già alle spalle la maggior parte dell’attività dell’anno solare e hanno concluso la stagione. In anni recenti questa è stata una delle cause di decimazione di numerose piccole imprese.
venerdì, 1 giugno 2007
Cuori di pietra
Non sapevo che Annamaria Testa facesse collezione di sassi a forma di cuore, e chissà se colleziona pure cuori a forma e sostanza di sasso che, forse, ora sono in mostra, umiliati e catturati, in qualche àlgida teca in casa della fascinosa Testa. Qualcosa mi fa sospettare di sì. In breve: un giorno mentre Annamaria passeggia con la giornalista e scrittrice Elena Mora (il suo più recente libro è “Le bugie hanno le gambe lunghe”, Sperling & Kupfer, 2006), chiacchierando chiacchierando, e cercando sassi in forma cardiaca a beneficio della collezionista di cui dicevo in apertura, è sorta l’idea di fare un’antologia di racconti. Racconti – come dice la Mora – che avessero due solo costanti: che fossero tutti scritti da donne e che, all’interno, ci fosse un personaggio completamente insensibile, totalmente anaffettivo, un vero “cuore di pietra”. E poi, per contrasto, perché non finanziare con i diritti di questo libro un progetto a favore delle donne? Detto fatto, le due si sono messe al lavoro e praticando il “passaparola” (tecnica che quando c’è la Testa di mezzo è collaudatissima, visto ch’è un famoso claim pubblicitario da lei creato) hanno raggiunto scrittrici, giornaliste, attrici, invitandole a misurarsi sul tema. N’è venuto fuori Cuori di pietra racconti di donne sul disamore, antologia di 23 racconti brevi. Il ricavato delle vendite verrà devoluto all’Unicef per finanziare un programma di prevenzione della trasmissione dell’Hiv da madre a figlio in Malawi. Le autrici, bravissime nel centrare il dettato editoriale, sono: Maria Pia Ammirati, Alessandra Appiano, Stefania Bertola, Anna Carugati, Luisa Ciuni, Maria Corbi, Geppi Cucciari, Donatella Diamanti, Tiziana Ferrario, Barbara Garlaschelli, Laura Laurenzi, Lorenza Lei, Loredana Lipperini, Elena Mora, Gabriella Piroli, Emanuela Rosa Clot, Nicoletta Sipos, Rosa Merluzzi, Annamaria Testa, Laura Toscano, Silvia Vaccarezza, Nicoletta Vallorani, Mariolina Venezia.
AA. VV. “Cuori di pietra” Pagine 307; Euro 9:00 Oscar Mondadori
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