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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Azimut


Meno vanto d’essere stato fra i primi – almeno in Rete – ad essermi accorto dell’editrice Azimut presentandola in queste pagine web QUI.

Logo AzimutN’è passato del tempo e Guido Farneti non ha smentito le mie previsioni di allora.
Ora, avvicinandosi il periodo delle strenne, offre un ventaglio di nuove uscite.
Ne accenno con telegrafiche note.

Racconto di Natale, di Charles Dickens, in una nuova traduzione di Adriana Merola, dove la formidabile avarizia di Scrooge deve fare i conti con il gioco della festa e arrendersi ad essa.

Gli assediati, con le ombre gotiche di Margaret Oliphant carezzate dalla traduzione di Lorenzo Cioni.

Crisantemi con tutti i crismi, di Thomas Paris, piccolo capolavoro di humour nero veicolato dalla versione di Chiara Manfrinato.

Onde di rivolta, le rabbie dal ’77 agli anni ’90, le loro speranze, le loro musiche, in una corsa disperata di Ferdinando Menconi.

Facciamo silenzio, pagine di visionarietà proposte dal catanese Vladimir Di Prima.

Roma per le strade, antologia stradale di racconti ciascuno legato a quartieri o strade di Roma. Fra gli autori, Alessio Brandolini, Paolo Di Reda, Guido Farneti, Cristiana Lardo, Mario Lunetta, Monica Maggi, Danila Marsotto, Francesca Mazzucato, Fabrizio Patriarca, Fabio Pierangeli, Tiziana Privitera, Renzo Rosso, Cristiana Rumori.

Azimut: non perdetela di vista!


Il Terzo Paradiso


Da ateo, sono il meno competente a parlare di Paradisi.
E poi m’allarma il rivelatore anagramma della parola (paradiso = dio spara).
Sia come sia, m’accingo a dire di un avvenimento in corso non proprio dietro l’angolo (a Mosca) che di paradisi tratta.
Il National Centre for Contemporary Arts di Mosca, infatti, presenta Il Terzo Paradiso .
L’installazione audiovisiva coinvolge due protagonisti della cultura italiana: Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) e Gianna Nannini (Siena, 1956).
“Il Terzo Paradiso” ha conosciuto già diverse edizioni: alla Fondazione Orestiadi di Tunisi; a San Servolo, Venezia, durante l’edizione 2005 della Biennale a cura di Achille Bonito Oliva; a Milano presso BunkerArt a cura di Ram.
In questa nuova edizione, “Il Terzo Paradiso” si propone con un ampliamento rispetto alle precedenti. L'installazione parte dal Nuovo segno d’Infinito che si dimostra il centro concettuale della mostra e si dilata su tutto lo spazio espositivo su grandi lastre di alluminio che muovono quel segno in una ripetizione infinita.
Oltre alle opere specchianti, l’installazione comprende la ‘Orchestra di stracci’ di Pistoletto - che si richiama ad un’opera che l’artista ha realizzato nel 1968 -, e una “scultura vocale” di Gianna Nannini dal titolo ‘Mama’, collante sonoro di tutta l’installazione nel fondersi con i vapori dei bollitori proposti dall’Orchestra degli stracci, arricchendo espressivamente l’opera di valori simbolici.
Altra novità di questa edizione moscovita è nella presenza dei Testimoni: un numero di personalità della cultura, della scienza, dell’arte sono chiamati a fornire la loro adesione e a dilatare il cerchio della condivisione che scaturisce dalla vibrazione del Terzo Paradiso accentuandone l’eterodossia.
La mostra, realizzata dal National Centre for Contemporary Arts di Mosca e da RAM, Roma, è curata da Angelo Capasso per Radio Arte Mobile.
L’esposizione s’avvale del supporto dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca.
Per l’occasione il National Centre for Contemporary Arts di Mosca ha pubblicato un catalogo con i testi di: Leonid Bazhanov, Achille Bonito Oliva, Angelo Capasso, Margherita Hack, Boris Yuhananov, Alberto Di Mauro, Viktor Misiano, Gianna Nannini, Vitali Patsukov, Elena Petrovskaja, Bruno Racine.

“Il Terzo Paradiso”
National Centre for Contemporary Arts di Mosca
Fino al 16 dicembre


Tavole italiane: Menarosti


Non è raro che nelle città di mare sia difficile mangiare pesce dignitosamente trattato.
Trieste è fra quelle.
Un’eccezione che segnalo con gioia ai ghiottoni, c’è. E’ il Menarosti.
Sorto nel 1903, deve il suo nome probabilmente al fatto d’essere stato un fast food dell’epoca che provvedeva a rifocillare passanti e abitanti della zona in modo saporito ed economico.
Menarosti: un angolo del localeDal 1975, il locale è gestito dalla Famiglia Benussi ed è specializzato in tutto ciò che specie dall’Adriatico proviene, risparmiando solo pescatori, militari e gitanti.
In cucina, Fabio Benussi provvede ai trionfi marini che vi saranno portati in tavola, mentre in sala sarete assistiti in modo cordiale e competente, da Lilly coadiuvata dai figli Fulvio e Chiara.
L’ambiente è arredato con gusto squisito, deliziosamente rétro, e i tavoli pur non troppo distanziati sono giudiziosamente disposti in modo da assicurare buona riservatezza.
Un avvertimento: se siete come me curiosi d’esplorare la carta del locale dove vi trovate, raccomandatevi di avere in tavola porzioni che permettano di consumare più portate (e “Menarosti” merita plurali assaggi), perché lì hanno la tendenza a piatti di quantità parecchio generosa.
Buona la scelta dei vini (e relativi ricarichi) con un benvenuto occhio di riguardo a etichette del territorio.
Il rapporto qualità-prezzo, è assolutamente da elogiare.

Ristorante “Menarosti”
Via del Toro 12, Trieste
040 – 66 10 77
Chiuso domenica sera e lunedì


Barbie deve morire


Che Barbie, la più venduta bambola al mondo, nata nel 1959 dalla fantasia di Barbara Millicent Roberts, fosse creatura fisicamente velenosa – aldilà delle significazioni metaforiche attribuitele in tal senso da vari sociologi e antropologi – l’abbiamo appreso dalla Mattel allorché poco tempo fa ammise la pericolosità di un certo modello che fu ritirato, infatti, dal mercato.
Pericolosa e venefica è anche la protagonista di Barbie deve morire romanzo pubblicato dalla Newton Compton.
N’è autrice Genea, nata nel 1983, fumettista, scrittrice e body painter. Fin da bambina disegna mostri, freak e drag queen in stile glamour/barocco. Ha pubblicato il romanzo “Diario di una ragazza schifata” e partecipato a diverse mostre dedicate all’illustrazione e al fumetto.
Barbie deve morire (non aspettatevi qui sunto di trama, m’interessa in un’opera il linguaggio non l’intreccio della storia) non è, a mio avviso, e lo scrivo volendone indicare un merito, strettamente rapportabile alla letteratura perché gli scenari linguistici d’origine vanno ricercati fuori della cellulosa, nella celluloide di certo cinema tarantiniano, nel fumetto, nella body art, nella pubblicità, nei videogames, nei segni della cultura hip-hop e nei montaggi ‘bootleg’.
Non è un caso, credo, che le parti più efficaci siano quelle affidate alla narrazione indiretta e non ai dialoghi che, talvolta, sono di claudicante misura (articolati in battute o troppo lunghe o troppo brevi) che aspirano tutti, invece, e lo si capisce benissimo, alla concisione delle “nuvolette”.
La brutale avventura della giovane protagonista (cattivissima, ma pur capace di grandi incanti e dolcezze, come nei manga) nella sua violenza, anche sessuale, niente ha a che fare con il posh porn alla Tracy Quan, Chelsea Handler, Tamara Berger e imitatrici nostrane. Sotto l’apparente disinvoltura della narrazione di storie estreme, svolge un discorso – meritoriamente sotteso alla narrazione, non esclamativo – sulla claustrofobica condizione psicologica di una generazione, sui nostri giorni che per meglio essere capiti, a differenza d’un tempo, reclamano più esplorazioni cutanee che ricognizioni abissali del corpo sociale.
A Genea, va riconosciuto il valore d’una indagine condotta sulla superficie (che è cosa lontana dalla superficialità) su molteplici segnali del nostro tempo che così rilevati la dicono più lunga di tanti discorsi che ci asfissiano da pagine e schermi tv.
Bel libro, lo consiglio.

Per una scheda sul volume: QUI.

Genea
“Barbie deve morire”
Pagine 165, Euro 9:90
Newton Compton


Pittura e Polaroid


Chi è il flâneur? Figura che ideata da Baudelaire trovò eco in Walter Benjamin?
Per un’esauriente spiegazione, cliccate QUI.
Questo “botanico del marciapiede' – per usare le parole di Baudelaire – ha ispirato una singolare operazione visiva condotta da Franco Hüller e Matteo Lavazza Seranto.
Cetosessanta polaroid scattate dal fotografo Matteo Lavazza Seranto, sui cui Franco Hüller ha apportato interventi pittorici, sancendo un lavoro a quattro mani con un artista-amico che ne ha seguito il percorso di ricerca.
Dopo Flâneur-Andata (svoltasi dal 27 ottobre 2006 al 27 giugno 2007), nella Galleria Modenese Cartiera 104 – indirizzo della Galleria stessa – è in corso Flâneur-Ritorno.

Dice Franco Hüller: Il passante ha deciso con il proprio voto che Polaroid fosse una delle tre installazioni da realizzare nel secondo anno di Flâneur, l'anno del ritorno.
A distanza di tre anni dalla realizzazione delle istantanee comparse nella vetrina di via Carteria per Flâneur-Andata, ho proposto a Matteo Lavazza Seranto un dialogo estetico a distanza per realizzare il secondo atto di Polaroid. Polaroid-Ritorno è una riflessione leggera, la testimonianza di una rassegna di istanti ai quali ho scelto di prendere parte attraverso la pittura
.

Matteo Lavazza Seranto aggiunge: L'idea di inventare materiale fotografico destinato a diventare base per la realizzazione di opere pittoriche era lontana dai miei orizzonti di ricerca. Quando però Franco mi ha proposto di collaborare al suo progetto artistico, ho pensato che questo era l'occasione per me di indagare il quotidiano in un modo del tutto inusuale: le polaroid sono quanto di più vicino alla pittura in ambito fotografico.

Per la stampa, le radio-tv, il web, ufficio stampa: Charta Bureau.
Giambattista Marchetto 348 – 5192852; Antonio Tosi 349.5384153
press@charta-bureau.com

Flâneur-Ritorno
Galleria Via Cartiera 105, Modena
Apertura ogni sabato dalle 17 alle 21.
Info, Tel: 339 – 1837760; Mail: info@flaneur-andata.com


Chopin in videogioco


I protagonisti sono Allegretto e Polka.
La Software house che lo ha ideato e prodotto è la giapponese Tri-Crescendo.

Narra delle ultime ore di vita del musicista polacco Fryderyk Chopin (Zelazowa Wola 1810 – Parigi 1849).
Il compositore dal suo letto di morte sogna di vivere in un mondo fantasy dove il malvagio conte Walzer trasforma le persone in suoi schiavi.
Un gruppo di adolescenti, durante i sette capitoli della narrazione, mette, però, le cose a posto.
Curioso, intrigante.
Peccato che fra i personaggi manchi la bellissima Contessa Potoka (che con involontaria malvagità pari però forse a quella del Conte Walzer) afflisse le ultime ore del musicista cantando in modo straziante (bella sì, ma come cantante era negata) un salmo penitenziale, dimostrando, visto il momento, anche una quanto mai incauta scelta di repertorio.

“Eternal Sonata”
Namco Bandai per Xbox 360
Euro 60:00


Io sono la prova


Borges ha detto che tutta la grande letteratura ha un debito con il giallo.
E citava Edipo e la Sfinge, angoli della Bibbia, le ‘Storie’ di Erodoto, le ‘Mille e una notte’.
E che dire poi del prototipo dell’investigatore moderno riconoscibile, secondo molti critici, nello ‘Zadig’ di Voltaire? E di altri predecessori che animano il romanzo gotico? Fino a quello ritenuto il fondatore del giallo moderno che è il grande Edgar Allan Poe?
Oggi c’è un nuovo giallo che meriterebbe di figurare in quei Libri Gialli cui dette vita Mondadori nel 1929: perché in Italia se ne scrivono tanti da qualche anno in qua?
Chi è il colpevole di quest’improvvisa inondazione che vede annegati critici, librai e lettori? E chi potrebbe essere il detective capace di risolvere quest’angoscioso mistero?
Ma, forse, più di un detective ci vorrebbe un sociologo.
Si sa, quegli autori fanno parte del folto gruppo che l’aspro Longanesi indicava dicendo: “In troppi rispondono all’appello dell’arte senza essere stati chiamati”.

Premessa per dire di uno scrittore che m’accingo a presentare e che nulla ha a che fare con quelli cui prima accennavo.
Il suo nome, noto alle platee cinematografiche, teatrali e radiotelevisive, è Biagio Proietti.
La sua biografia artistica parla chiaro e qui la riassumo.
Autore e regista, è nato a Roma. Fra le sue sceneggiature per il cinema, “Fai in fretta ad uccidermi... ho freddo”, “La morte risale a ieri sera (da I milanesi ammazzano il sabato di Giorgio Scerbanenco)”, “The Black Cat” di Lucio Fulci, e “Chewingum” e “Puro cashmere”, che ha anche diretto. Nel ’70 ha inaugurato la stagione dei grandi gialli televisivi Rai, scrivendo tra l’altro “Coralba”, “Lungo il fiume e sull’acqua”, “Un certo Harry Brent”, “Ho incontrato un’ombra”, “Philo Vance” e “Dov’è Anna?” (pubblicato anche come romanzo da Rizzoli), record d’ascolto nel ’76 con 28 milioni di spettatori nella puntata finale. Sempre per la tv ha adattato “Racconti fantastici da Edgar Allan Poe”, “Madame Bovary”, e due serie di racconti del mistero. Nell’80 esordisce nella regia con “Storia senza parole”, premiato in Festival da Praga a Locarno, da Nizza a Sorrento a Montreal. Da allora, Proietti è anche regista delle proprie opere, tra le quali “Sound”, con Peter Fonda. Per la radio ha scritto e diretto, fra l’altro, “Il lungo addio” e “Aspetterò” da Raymond Chandler e gli originali “Tua per sempre Claudia” e “Così è la vita” (coautrice la moglie, Diana Crispo). Per il teatro ha trasposto, tra l’altro, “L’ultimo incubo di Edgar di Allan Poe”, di cui ha curato anche la regia.
Nel 2005 è uscito il romanzo “Una vita sprecata” (Flaccovio editore) e nel 2007 un suo racconto è nell’antologia “Il ritorno del Duca” (Garzanti) dedicato al personaggio creato da Scerbanenco.

Come vedete, aldilà dell’eccellente qualità delle sue produzioni, non è uno che ha preso a scrivere gialli sotto l’urgenza di una moda che oggi vede molte, troppe, penne sporcare fogli più con l’inchiostro che con il sangue dei personaggi.
Di Biagio Proietti il più recente lavoro – pubblicato da Flaccovio – da poco nelle librerie, è intitolato Io sono la prova.
Specialmente di un giallo, non si racconta la trama, ma per una scheda sul libro che traccia l’origine dei personaggi e dell’ambiente in cui si muovono, cliccate Qui.
A Biagio Proietti, giallista vero, ho chiesto: sei stato un antesignano, e non solo su pagina, nel creare il giallo in Italia. Il tuo recente libro quale particolarità possiede che lo distingue in quel panorama letterario? Quali i traguardi di struttura, stile, linguaggio?

Ho cominciato a scrivere gialli per la Tv nel 1970 e credo di saperli costruire. Come ha scritto un critico, il mio è “un giallo in piena regola che non delude le aspettative e riesce sempre a tenere il lettore con il fiato sospeso fino all’inaspettato finale”. Ma ho cercato di andare oltre e mi rende felice che un altro recensore abbia scritto: “è particolarmente originale e ammirabile in questo libro il fatto che il delitto al centro della trama non viene trattato come una sorta di intricato rebus ma come un elemento drammatico grave, che travolge le vite di tutte le persone coinvolte, anche quelle che indagano.”
Per me un delitto è come uno specchio: costringe a guardarti dentro. A me interessano le vite di tutti i personaggi, protagonisti e non, e cerco di descriverli, di farli rivivere senza giudizi né pregiudizi. Uno di loro dice che “il dolore, quando non ti divora, ti unisce. Se non ti soffoca e ti lascia vivere, diventa un legame profondo. Più di qualunque altro sentimento.“ Il mio traguardo è questo: raccontare, con uno stile asciutto e essenziale, la vita – anche l’amaro sapore della vita, il suo lato scuro - attraverso i sentimenti, come l’amore e la morte. Che servono per conoscere meglio noi stessi e gli altri.
“Un libro spirituale” lo hanno definito, per la comprensione che mostro verso tutte le mie creature. Per un laico come me, il più bel riconoscimento
.
Io sono la prova che non si può e non si deve dire mai che qualcuno ha avuto Una vita sprecata. La soluzione, alla fine, c’è sempre.

Biagio Proietti
“Io sono la prova”
Pagine 288, Euro 13:50
Flaccovio


Arte e Mondi Virtuali


Sono tornato tempo fa da una visita alla recente, mediocre, edizione della Biennale di Venezia.
Lì, solo due occasioni ho trovato bellissime: Prenez soin de vous della straordinaria Sophie Calle e Last Riot del magnifico gruppo AES+F.
Il resto… boh! O roba vecchia oppure robe bruttine.
Quello, però, che più mi ha sorpreso tra le scelte poco encomiabili del curatore Ronald Storr è stata l’assenza dell’arte che si va producendo su Second Life e altri mondi virtuali.
Alla faccia della modernità, Mister Storr!
Tutto ciò fa da prologo a una cosa che intendo dire in questa nota.
Mario GerosaAllorquando, piuttosto raramente, si fa riferimento a ciò che accade nell’arte di quei mondi, noto un approccio del tutto inadeguato.
Si usano, cioè, strumenti critici inadatti per affrontare i temi e i problemi di linguaggio che pongono quelle nuove strutture espressive.
C’è chi di recente ha posto questo problema in termini chiarissimi.
Si tratta di Mario Gerosa, nella foto.
Studioso che molto stimo e, non a caso, invitai mesi fa - in occasione dell'uscita del suo libro "Second Life" pubblicato da Meltemi - nella mia taverna spaziale posta sull’Enterprise dove, volando nello Spazio, chiacchierammo di mondi virtuali.

Non solo perché sono un noto scansafatiche, ma perché Mario meglio di quanto potrei dire io ha detto cose sagge sull'argomento cui ho accennato, v’invito a leggere le sue riflessioni, brevi e lucidissime.
Cliccate sul suo blog Played in Italy e le troverete.


Le voci di dentro


Ricevo da Luca Dentini dell’Ufficio Stampa di Indisciplinarte un’informazione che volentieri rilancio.

La petizione indirizzata al Ministro Rutelli ai fini di un'urgente modifica al Decreto Ministeriale (sta per entrare in vigore) per regolamentare il teatro, dopo dieci giorni ha già raggiunto la considerevole cifra di oltre 1000 adesioni da parte di attori, registi, danzatori, coreografi, musicisti, compositori, artisti mediali, direttori di teatri, festival, rassegne, organizzatori, tecnici, studiosi, pubblici funzionari.
Fra essi molti dei nomi più significativi dello spettacolo contemporaneo. E' in assoluto la prima volta che la vasta, frammentata ed articolatissima area delle arti performative contemporanee si unisce per un obiettivo comune ed è rilevante constatare che ciò avviene per affermare un principio: la libera circolazione delle opere nei luoghi di spettacolo.

La petizione è disponibile on line QUI.


Ancora dalla parte delle bambine


Secondo una tradizione stregonesca, di cui ignoro le origini, pare che i nomi i quali abbiano le stesse iniziale dei cognomi portino fortuna a chi li indossa e a chi li incontra.
Ne sono lieto per me che rientro nella categoria. Se poi uno incontra un’altra persona che ha lo stesso destino onomastico che succede? La fortuna si raddoppia? Lo penso spesso, e lo pensai ovviamente anche quando incontrai Loredana Lipperini. Sia come sia, di sicuro è una fortuna (e non soltanto per chi ha le stesse iniziali apposte al nome e al cognome) leggere i suoi libri, ascoltare i suoi tanti interventi che ne hanno resa una voce storica di Radio Tre – in tempi in cui esprimeva una grande cifra culturale, non certo adesso dove sono pochissimi gli angoli di palinsesto degni d’ascolto –, averla come ghiotta preda per gli organizzatori di convegni e festival, conoscere uno dei migliori blog letterari della Rete da lei condotto dal 2004: Lipperatura.
Chi è Loredana? Una giornalista… sì, lo è. Uno dei nostri migliori critici letterari… anche. Eppure sono dizioni che non esprimono appieno la sua figura che preferisco indicare, invece, come quella di una storica della cultura.
Questo perché sia che affronti grandi temi, sia che s’applichi su piccole occasioni di costume, conferisce profondità d’analisi ai primi e alle seconde dissodando linguaggi, contestualizzando significati, creando parallelismi fra ieri e oggi, profetizzando sviluppi.
Per una rapida bio: collabora da molti anni con le pagine culturali del quotidiano “Repubblica” e del supplemento “Il Venerdì” dello stesso giornale. Ha pubblicato: “Guida all’ascolto di Bach” (Mursia 1984); “Don Giovanni” (Editori Riuniti 1987, Castelvecchi 2006); “Mozart in rock” (Sansoni 1990; il Saggiatore 2006); “Generazione Pokémon” (Castelvecchi 2000); “La notte dei blogger” (Einaudi Stile Libero 2004).
Se poi volete sapere che cosa ci dicemmo durante un ardimentoso viaggio spaziale e come andò a finire, cliccate QUI.

Mark Ryden, Saint Barbie, 1994Pubblicato dalla Feltrinelli, è da poco in libreria il suo più recente lavoro in volume: Ancora dalla parte delle bambine.
Il libro, a trent’anni di distanza, volutamente riprende il titolo famoso di Elena Gianini Belotti che così scrive nell’introduzione non a caso intitolata: ‘Passaggio di testimone’: “Agli strumenti concreti in uso trent’anni fa per modellare le menti delle bambine, tutti sopravvissuti – letteratura per l’infanzia, libri scolastici, giornali, fumetti, pubblicità, tv – l’autrice aggiunge l’analisi minuziosa della rete Internet a quel tempo non esistente: i blog, i forum, le chat, i siti, i videogiochi, i personaggi virtuali”.

Ancora dalla parte delle bambine, s’avvale di una scrittura che, pur ampiamente riflessiva, è veloce, nulla avendo del torpido procedere di tanta saggistica accademica e lo scatto giornalistico è ispessito da una sostanza culturale d’alto profilo. Non rinunciando (è una specialità di Loredana) di fondere la cosiddetta cultura alta con la cosiddetta cultura popolare ricavandone preziose epifanie.
Le ho chiesto: quale la principale motivazione che ti ha spinto a riprendere, anni dopo l’uscita del libro della Gianini Belotti, il tema delle bambine nella società d’oggi?

Mi sembrava, semplicemente, che le cose non fossero davvero cambiate: nonostante tutto. Mi sembrava inoltre che il femminismo storico si dedicasse spesso e volentieri a discussioni pur importantissime ed elevate, ma squisitamente teoriche, tralasciando quel che avviene nel mondo reale. E quel che avviene è semplice: disparità assoluta nel lavoro, nella cura della casa e della famiglia, moltiplicazione – anzi, ostentazione – di modelli femminili svestitissimi e muti. Inoltre, quel che avviene nel mondo adulto ha un corrispettivo immediato e più pesante nel mondo dell’infanzia. Ho deciso di ricominciare indagando allora proprio nell’immaginario delle bambine e dei bambini: del resto, la splendida indagine di Elena Gianini Belotti ebbe un effetto dirompente e salutare, trent’anni fa. Spero che il mio lavoro possa costituire almeno un elemento di discussione.

Chi saranno, che ne sarà, delle bambine dei nostri giorni quando saranno vecchie?

Difficile prevederlo: se qualcuno avesse detto a noi, ragazze e ragazzine negli anni Settanta e Ottanta, che il mondo del futuro sarebbe stato popolato da trasmissioni televisive dove divette seminude ancheggiano su un surf rosso davanti ad una platea di minorenni, da libri dove giovani scrittrici sognano nostalgicamente un macho che ‘le sdrai’ (e magari se le sposi), da testi scolastici dove le madri stirano e i padri vanno in ufficio….beh, gli avremmo riso in faccia. Invece questo è il nostro presente. Sostituisco alla previsione l’augurio: che si realizzi, cioè, quel che scriveva in un altro secolo Simone De Beauvoir. Che ne ‘Il secondo sesso’ dice: “La disputa continuerà finché gli uomini e le donne non si riconosceranno come simili”. Spero che questo riconoscimento, infine, si realizzi: per il bene degli uomini e delle donne.

Per una scheda sul libro: QUI.

Loredana Lipperini
“Ancora dalla parte delle bambine”
Prefazione di Elena Gianini Belotti
Pagine 288, Euro 15:00
Feltrinelli


Stato matto


Dall’estero non mancano critiche al funzionamento del nostro Paese, molte di loro però si fermano sulla soglia dello stupore (e vagli a dare torto!) per tante delle nostre leggi incerte, per l’arretrata burocrazia, per conflitti d’interesse inimmaginabili altrove.
Illustrazioni critiche dei nostri plurali malesseri n’esistono anche all’interno dei nostri confini, ma, spesso, sono inficiate da tesi ideologiche o religiose che provengono da età che sembrano trascorse invano tanto sono arretrate di fronte ai tempi che viviamo.
E li viviamo, noi italiani, in uno Stato che sembra patire tutte le malattie mentali di cui può soffrire un organismo umano; credo che se un convegno di psichiatri si riunisse per analizzarle, finirebbero per unificarsi anche scuole scientifiche opposte fra loro, si troverebbero d’accordo, almeno nelle diagnosi se non sulle terapie, perfino organicisti e cognitivisti.

Un volume riflette con eccezionale potenza analitica su quelle infermità capaci di fondere, in una sola patologia, schizofrenia e paranoia. E' stato mandato di recente in libreria da Garzanti con una copertina dovuta alla matita di Vauro: Stato matto L’Italia che non funziona (e alcuni modesti suggerimenti per rimetterla in moto).
Lo ha scritto Michele Ainis. Insegna Istituzioni di diritto pubblico nell’università di Teramo. Collabora alle principali riviste giuridiche italiane ed è editorialista della “Stampa”. Fra i suoi libri di maggiore successo: ’La legge oscura’ (Laterza 1997); ‘Se 50.000 leggi vi sembran poche’ (con i disegni di Vincino, Mondadori 1999); ‘Le libertà negate’ (Rizzoli 2004); ‘Vita e morte di una Costituzione’ (Laterza 2006).
Libro straordinario, imperdibile per gli addetti ai lavori (politici e giornalisti in primo luogo), ma altrettanto imperdibile per noi tutti che quotidianamente di quegli “addetti” e di quei “lavori” (detesto le virgolette, ma stavolta sono d’obbligo) soffriamo le tante loro infelici performances.
Perché? Mi verrebbe da dire perché il Male ha un’infinita fantasia.
La paralisi della giustizia, le assurdità surreali dell’amministrazione pubblica, la voragine informativa della Rai, disuguaglianze, divieti, corruzione, carceri, censura, Michele Ainis fotografa in 3D nella forma del dizionario i 100 fondamentali affanni e malanni della democrazia italiana: a cominciare da una legge finanziaria con circa 600 commi (compreso quello che istituisce un ‘Commissario straordinario per la vigilanza sul comma’!).

A Michele Ainis ho chiesto: riflettendo sui tanti mali del nostro Stato, qual è il ritratto dell'italiano che vi abita?

E' un italiano malato di cinismo, e di questo cinismo è colpevole anche il nostro Stato. Perché uno Stato matto, uno Stato che non si sa che cosa vuole, genera indifferenza: non lo capisci, e allora giri le spalle, e pensi ai fatti tuoi. Ma in questo modo giri le spalle anche al tuo prossimo, dato che lo Stato siamo tutti noi. Da qui l'indifferenza, che è cosa ben diversa dall'antipolitica, la quale viceversa reclama un diverso rapporto fra lo Stato e i cittadini. Da qui il cinismo, che per l'appunto si risolve in un atteggiamento di sostanziale disprezzo verso gli altri. Succede quando ciascuno mette in porto la propria imbarcazione, senza curarsi dell'onda che sommerge la barca del vicino. Ma il cinismo nasce inoltre da una speranza delusa, da un ideale frustrato; e infatti sono cinici molti di coloro che da giovani avevano sperimentato il Sessantotto. Quanto a me, preferisco l'ironia. Se guardo il mondo con atteggiamento ironico, significa che il mondo mi sta a cuore, e che mi stanno a cuore gli altri, tutti gli altri. Non foss'altro perché è difficile ridere da soli.

Per una scheda sul libro: QUI.

Michele Ainis
“Stato matto”
Pagine 270; Euro 15:50
Garzanti


Arte come Architettura


Questo il titolo di una mostra in corso alla Galleria milanese Fonte d'Abisso.
La pratica italiana dell’arte del XX secolo, così come dell’architettura, è fortemente influenzata dalle febbrili affermazioni dell’avanguardia futurista, non tanto nel senso formale e letterale, quanto piuttosto in senso attitudinale.
Il tema dell’architettura e soprattutto della città – soggetto privilegiato del Futurismo – pervade sensibilmente tutta la cultura artistica italiana, che almeno sino a tutti gli anni Sessanta vive problematicamente il passaggio da una società rurale a una società proiettata in avanti, cittadina, industriale, “futurista”.
Per questo, basandosi su questo soggetto e su questa ipotesi, la mostra confronta artisti dichiaratamente futuristi, della prima metà del XX secolo, con artisti operativi negli anni cinquanta/sessanta: i primi rappresentano la città così come la immaginano, i secondi “sentono” la città – attraverso i materiali, le forme, i frammenti, le sensazioni – e ne restituiscono gli umori, in una società solo apparentemente conciliata col suo nuovo status industriale e metropolitano.

PrampoliniLa rassegna - curata da Marco Meneguzzo e Danna Battaglia Olgiati – comprende opere che hanno come rimando tematico e ideale la città, in un percorso non tanto linearmente cronologico, ma fatto piuttosto di intrecci e di relazioni trasversali, in una rete di riferimenti che mira a evidenziare l’attualità del soggetto, anche a distanza di decenni dalla sua prima intuizione e formulazione: così il visitatore si troverà di fronte grandi opere di Fortunato Depero e di Fausto Melotti, disegni inediti di Mario Chiattone e “macchine” cittadine di Piero Fogliati, straordinarie opere di Virgilio Marchi e progetti utopici (ma non troppo) di Pietro Consagra, le intuizioni formali di Enrico Prampolini e i “gesti futuristi” di Lucio Fontana, così come tanti altri lavori, tra cui opere di Antonio Sant’Elia, Nicola Carrino, Mario Merz, Giuseppe Uncini, Francesco Lo Savio.

Il catalogo, firmato dai curatori della mostra con un contributo di Piero Sartogo, è edito da Silvana Editoriale.

“Arte come Architettura”
Una lettura futurista
Galleria Fonte d’Abisso
Via del Carmine 7, Milano
Fino al 22 dicembre ‘07
Chiusura lunedì e festivi


Compleanno di una Bibbia


E’ la Bibbia dei cinefili quella cui mi riferisco, cioè il Morandini che nel 2008 compie 10 anni e li ha celebrati in anteprima con una presentazione a Roma in occasione della Festa del Cinema.
Mentre leggete questa nota, il volume è in tutte le librerie d’Italia.

Giusto vanto della Casa Editrice Zanichelli, il Morandini 2008 si presenta con un imponente corredo di documentazione dai Lumière ai giorni nostri, confermandosi indispensabile strumento per tutti quelli che lavorano nel cinema o del cinema sono appassionati spettatori, e ovviamente delle redazioni della carta stampata, delle radio-tv, del web.
Quello che particolarmente colpisce in questa meritatamente fortunata pubblicazione – uscì per la prima volta nel 1999 – è come in pochissime righe, accanto ai dati filmografici (titolo originale, nazionalità, anno di uscita, regista, principali interpreti, durata, sintesi della trama), sia tracciato un coinciso, ma non per questo meno articolato, giudizio critico di sapiente spessore. E, inoltre, si trovi spazio anche per riferire di interessanti, e talvolta divertenti, lampi aneddotici.
Tutto questo è frutto di un paziente lavoro, culturalmente ben attrezzato, come si può notare in questa conversazione con Morando Morandini che ebbi tempo fa a bordo dell’astronave Enterprise.

Dieci anni di successi che si rinnoveranno con questo volume che comprende film usciti sul mercato italiano dal 1902 all’estate 2007 (comprese le opere presentate all’ultima Mostra del cinema di Venezia), e adesso conta oltre 22.500 schede, 300 nuovi titoli da “Pirati dei Carabi” a “Cento Chiodi”.
Un aggiornamento operato con una selezione delle migliori pellicole prodotte al mondo con attenzione anche (unica Guida a farlo) a quel cinema italiano che - fenomeno nuovo nel nostro mercato - si è affidato a sistemi di autodistribuzione, ad esempio:”Le ferie di Licu”, “Rosso come il cielo”, “Il vento fa il suo giro”.
Largo spazio è dato anche all’’exploit dei film d’animazione. Dalla saga di Shrek all’Era Glaciale, questo è un genere non più prodotto solo per ragazzi, ma rivolto anche ai grandi per effetto dei dialoghi e delle ambientazioni; un successo se si pensa che nel 2001 nelle sale i cartoon erano 15 e nell’ultima stagione ben 25.
Da notare anche l’aumento di documentari. Nell’edizione 2008 ne sono stati schedati 45, cifra mai raggiunta in passato e doppia rispetto a quella della stagione precedente.

Di ogni film, il Morandini 2008 dà anche indicazione grafica sul giudizio della critica (da 1 a 5 stellette) e, unico nel suo genere, sul successo di pubblico (da 1 a 5 pallini). Nelle Appendici, tutti i Premi Oscar, i migliori film (con giudizio critico di 4 o 5 stellette o maggior successo di pubblico) e i principali siti internet dedicati al cinema.
Il Morandini 2008 è anche in Cd-Rom. Il disco consente la lettura a video di ciascuna delle oltre 22.500 schede del dizionario, la visione delle oltre 6500 immagini di fotogrammi e locandine e la ricerca a tutto testo di parole e combinazioni di parole.
La copertina del Dizionario è dedicata, come tutti gli anni, a un fotogramma estratto da un film dell’anno precedente di un regista italiano che stavolta è Daniele Luchetti, con “Mio fratello è figlio unico”.

IL MORANDINI 2008
Dizionario dei film
di Laura, Luisa e Morando Morandini
2048 pagine, solo volume Euro 27:20
volume con cd-rom Euro 34:40
in cd-rom con Guida all’uso, Euro 15:20
Zanichelli


Ciuf Ciuf Hwang Hwang


Oltre “Il treno di Cage” – happening organizzato da Tito Gotti nel ’78 a Bologna – esiste un altro treno cageano, immaginario, con alla guida il grande John, ideato dall’artista e studiosa coreana Inkyung Hwang. Attraversa il territorio delle arti contemporanee, è un treno di carta (perché è un libro) che, puntualissimo, si ferma in tutte le stazioni dell’espressività intercodice partendo dall’antinaturalistica città chiamata Kandinsky per raggiungere la dodecafonica Schönberg, toccare la concettuale Duchamp, correre a fianco del fiume Fluxus per raggiungere Nam June Paik dove nasce la videoart; senza trascurare tante altre località dai nomi noti e meno noti.
Copertina di Inkyung HwangIl volume è intitolato Il lungo treno di John Cage, contiene una vasta documentazione fotografica e s’avvale della prefazione di Tommaso Trini e di uno scritto di Riccardo Notte.
E’ pubblicato dall'Editrice O barra O impegnata nell’apportare contributi alla cultura del 2000 nei campi delle scienze umane e delle arti, nonché gettare ponti tra mondi opposti e complementari (Oriente-Occidente, da qui: O O).
Esplorando le sinergie tra arti visive e musica, l’autrice disegna con sguardo minimalista, in linea con i principi di Fluxus, attraverso gli incontri e le amicizie tra i vari autori citati, il ritratto critico di un’epoca e dei suoi protagonisti.
Inkyung Hwang, nata a Seoul, vive e lavora a Milano. Laureata in Letteratura italiana all’Università di Firenze, si è diplomata in Scultura all’Accademia di Brera dove si è anche specializzata in arte multimediale. Collabora a progetti televisivi e scrive per la stampa coreana. Ha esposto sue sculture e installazioni in musei e gallerie d’arte in Italia e in Europa; più recentemente si è dedicata a opere video e, fino al 19 novembre, è possibili vedere sue realizzazioni allo “Spazio Milano” presso Unicredit in Piazza Cordusio.
A lei ho chiesto: nell'arte dei nostri giorni, quale ritieni che sia la principale traccia derivante da Fluxus?

Nell'era postmoderna (termine d'uso comune dal '79 grazie a Lyotard) e specialmente dopo il crollo del muro di Berlino ('89) quindi dopo la fine delle ideologie, penso che anche l'arte abbia perso la necessità di essere d'avanguardia. Infatti, negli ultimi 20 anni non è più nata nessuna corrente artistica ed è difficile che nasca un movimento nell'epoca postmoderna che legittimi in pieno le differenze. Da una parte ritengo che sia un bene, e dall'altra è un peccato perchè, mancando un epicentro, non ci sono più delle grandi esplosioni di energie, come una volta. Nell'arte dei nostri giorni, magari la rete stessa potrebbe essere considerata un'arte e "concettualmente" una continuazione dello spirito Fluxus. I materiali digitali scambiati continuamente come un flusso senza racchiudere in una forma ben definita creano un flusso di vita e di informazioni, è questo una qualcosa di immateriale "in fieri", libero e fluttuante, esattamente come Fluxus.

Inkyung Hwang
“Il lungo treno di John Cage”
Pagine 160, Euro 12:00
O barra O Edizioni


Facile da usare


La casa editrice Apogeo accanto alle sue principali aree dedicate ai libri sulle discipline aziendali, statistica, informatica, scienze umane, coltiva anche dei giardini segreti come ad esempio la collana “Giochi di parole” e proprio ad un volume lì edito dedico questa nota.
Il libro è di Gideon Burrows – scrittore che si occupa di politica, etica e ambiente – ed è dedicata ad un’arma talmente famosa che una vodka è stata chiamata con il suo nome che è poi il nome dell’inventore di quello strumento di morte: il russo Mikhail Kalashnikov che l’ideò nel 1944 e realizzò nel ‘47 il suo poco pacifico progetto.
Non ha guadagnato un solo rublo per quella sua invenzione, ma è stato insignito delle più alte onorificenze militari e civili dell’Unione Sovietica con tutti i vantaggi derivanti da quei prestigiosi riconoscimenti.
TronoKalashnikov, il titolo del libro che non si limita a raccontare la vita dell’inventore, le origini e le prove superate da quell’arma (ne esistono oggi in circolazione dai 70 ai 100 milioni d’esemplari), ma ne studia i riflessi iconici che ha avuto nel mondo tanto d’apparire su t-schirt, in videogiochi, canzoni dei rapper, pubblicità spericolate, e perfino in molte creazioni artistiche che, però, ne connotano ironicamente la figura. Nella foto, ad esempio, è raffigurato un “Trono”, non so quanto comodo, fatta con pezzi di Kalashnikov da Cristòvão Etsavão Canhavato.
In molti hanno poi elogiato il design dell’Avtomat Kalashnikov (AK, per gli amici) che fra le caratteristiche cantate dall’inventore è detto “facile da usare”, tanto che spesso vediamo fotografati bambini-soldato che lo imbracciano.
L’estrema funzionalità dell’oggetto e la sua “bellezza” di icona dei nostri tempi, suscita un tema semiologico di complessa articolazione che non riguarda solo il rapporto etica-estetica, ma investe navigazioni e derive del linguaggio.
Gli intenti morali, pacifisti, del libro sono fin troppo evidenti e tutti elogiabili, ma ancora elogiabile è la riflessione sull’ambiguità del “troppo bello” applicato al “troppo brutto”, che affascina lo sguardo e fa riflettere su quei temi linguistici trattati da Immanuel Kant fino a uno studioso dei nostri giorni qual è Vittorio Hösle
Un aneddoto. Nel 1993, gli Emirati Arabi hanno ospitato la prima edizione dell’Idex (International Defence Exibition), una grande fiera di armi. Mentre passava la dogana, Mikhail Kalashnikov fu fermato dagli agenti di Abu Dhabi perché avevano scoperto nella sua valigia due bottiglie di vodka che furono confiscate e distrutte perché “immorali”. Dopo l’inventore fu fatto entrare nel paese dove andò a promuovere e vendere il suo fucile mitragliatore.

Gideon Burrows
“Kalashnikov”
Pagine 86, Euro 8:0
Apogeo


Luminose creazioni


Stimo molto il lavoro di Claudio Sinatti perciò lo invitai tempo fa su questo sito.
Potete, infatti, vedere suoi inquieti loups e leggere una dichiarazione d’intenti poetici cliccando QUI .

Nella foto l’immagine di un suo lavoro del 2006.

Altre sue idee sono esposte in una conversazione con Marco Altavilla.

Nato a Milano nel 1972, ha diretto videoclips per artisti come 99 Posse, Neffa, Carmen Consoli, Articolo 31, Alex Britti, Alexia, Eiffel 65, Sarah Jane Morris, Africa Unite.
Ha fondato collettivi di sperimentazione audiovisiva, band audio-video, si produce in performances mixmediali, installazioni e film sperimentali con un interesse costante all’interazione con la musica.

V’invito ora a vedere sue recenti imprese con un CLIC e un RICLIC.

In Rete conduce un proprio sito web.


New York, ore 8.45


“Centotré minuti. E’ esattamente questo il tempo che ha separato l’impatto del primo aereo contro il World Trade Center dal collasso della seconda torre […] Se bastano centotré minuti a trasformare un politico illetterato e inadeguato (George W. Bush) nel presidente del destino, allora è certo che un secolo di giornalismo indipendente è andato a farsi benedire”:
Così scrive Andrea Purgatori nella prefazione a New York, ore 8.45 La tragedia delle Torri Gemelle raccontata dai premi Pulitzer.
Questo il titolo di un libro pubblicato da minimum fax nella 'serie pulitzer' che fa conoscere le migliori firme del giornalismo mondiale impegnate a riflettere sui grandi avvenimenti della nostra epoca.
A dirigere ottimamente la collana è Simone Barillari (1971), critico letterario, editor, traduttore, ha firmato curatele per alcune delle principali case editrici italiane. Dirige, inoltre, per Nutrimenti, la collana di narrativa angloamericana Greenwich. E' stato direttore editoriale di Alet.
Nelle edizioni minimum fax ha già curato Col pianoforte ero un disastro, La fine della strada, Sette pezzi d'America, Omicidi americani, Catastrofi.
A Simone Barillari di cui sono fra i tanti lettori che apprezzano i suoi puntualissimi interventi sul supplemento ‘Alias’ del Manifesto e sulle pagine di ‘Nuovi argomenti’, ho chiesto un flash sul significato e l’eco nell’arte che ha prodotto l’11 settembre.

È propria delle nazioni più giovani la capacità di attingere alla storia più immediatamente accaduta per trasformarla in narrazione, e questa capacità appartiene all’America più che a chiunque altro. Essendo sorta tardi, ma provenendo al tempo stesso dalle secolari civiltà europee, l’America ha sempre sentito il bisogno di trasfigurare la storia in mito nel momento stesso in cui stava accadendo, senza attendere di raccontarla da una prudente distanza di tempo. Il western e la gangster story, rispettivamente la forma americana dell’epica e della tragedia classica, sono diventati generi letterari mentre i fatti da cui traevano ispirazione erano ancora in corso. Oggi una delle più notevoli caratteristiche dell’11 settembre rispetto ad altri tragici eventi che hanno avuto proporzioni simili o maggiori è la sua potenza mitopoietica, l’ininterrotta replicazione di sé in romanzi, film, quadri, fumetti, che non ha paragoni non solo per la quantità ma anche per la velocità con cui è avvenuta: meno di una settimana dopo l’11 settembre una puntata del telefilm West Wing aveva come scenario l’attacco alle Torri. E questa immediatezza è anche urgenza: l’urgenza di dare forma all'inspiegabile, di curare la ferita facendone al più presto racconto, essendo ogni narrazione una cicatrice che si forma sul dolore.

Per una scheda sul libro e recensioni ottenute: CLIC

Per le biografie dei giornalisti: RICLIC.

Per un assaggio del libro: QUI.

Aa. Vv.
“New York, ore 8.45”
a cura di Simone Barillari
prefazione: Andrea Purgatori
Pagine 150, Euro 13:00
Minimum Fax


Il geografo amoroso


Esistono autori di cinema che sono ignoti al grande pubblico, ma ben apprezzati dai critici e dai cinéphiles, uno di questi è Jean-Claude Rousseau.
“Di anno in anno” – scriveva Erwan Higuinen nel 2000 sui Cahiers du Cinéma - “la voce correva sempre più insistente. coloro che avevano potuto vedere i suoi film in qualche proiezione speciale nelle cineteche, diffondevano la notizia: dall’inizio degli anni ’80 un cineasta francese quasi sconosciuto realizza dei film di incredibile bellezza”.
Ora dobbiamo all’appassionata opera di Lili Hinstin che a Roma, a Villa Medici svolge da tempo un raffinato programma di proiezioni, la presentazione, alla presenza del regista, di una retrospettiva integrale del cineasta francese.
Jean-Claude Rousseau nasce a Parigi nel 1946. A New York scopre il cinema d’avanguardia. Robert Bresson, è il cineasta che insieme con il pittore olandese Jean Vermeer ispira il suo procedere estetico. Nel 1983 realizza il suo primo film in Super8: il mediometraggio “Jeune Femme à sa fenêtre lisant une lettre”; nel 2007 presenta il suo più recente film “De son appartement” al Festival del documentario di Marsiglia; la giuria, di cui fa parte Enrico Ghezzi, gli attribuisce il primo premio.

Roberto Turigliatto così scrive su Rousseau: La topografia è il punto di partenza di tutto il cinema di Rousseau. Anche se si tratta di una visione paradossale del luogo – l’assenza di una presenza o la presenza di un’assenza - enunciata dal titolo stesso (“Venise n’existe pas”) o dalla citazione di Joachim du Bellay posta all’inizio di “Les Antiquités de Rome”: Nouveau venu qui cherches Rome en Rome / Et rien de Rome en Rome n’aperçois […] E’ ormai noto il dispositivo del tutto personale, di estrema sobrietà e delicatezza, elaborato con pazienza e perseveranza dal regista per realizzare i suoi film. I motivi della camera d’albergo e dell’appartamento, come territorio primo del suo cinema, dello specchio, della finestra, del paesaggio che vi traspare, dello sdoppiamento tra “cineasta” e “modello” sono altrettante modalità in cui si attua per Rousseau la possibilità di realizzare i suoi film completamente da solo, in un rapporto sempre più complesso tra interno e esterno, tra io e mondo in cui si declinano le figure dell’assenza, dello scarto, della mancanza, o come è stato detto, della “déconvenue” […] Viaggiatore solitario dedito ad accogliere e raccogliere la suspense, l’attesa e la sorpresa dell’incontro (l'istante e il suo inevitabile “différé” filmico), Rousseau pratica infatti il precetto bressoniano di “trovare senza cercare” obbedendo non al progetto e all'intenzione ma al desiderio veggente del cieco.

Jean-Claude Rousseau
“Il geografo amoroso”
Retrospettiva integrale
6 -10 novembre 2007
Cineteca Nazionale – Sala Trevi
Académie de France à Rome – Villa Medici


Ultimi vennero i Giganti


A settant’anni dalla sua prima rappresentazione, va in scena una nuova edizione dell’ultimo, incompiuto, testo di Luigi Pirandello (Agrigento, 1867 – Roma, 1936): I giganti della montagna

Luigi PirandelloE’ il suo dramma più arcaico: misteriosi elementi fantastici si intrecciano a caratteri di fiaba; elementi della vita si trasfigurano nel ritmo teatrale delle visioni, fino a spingere i protagonisti a chiedersi dove sia la verità. “È nella magia del teatro” risponde il mago Cotrone; “È in noi e nella nostra struttura interiore” risponde misticamente la Contessa.

Federico Tiezzi - regista dello spettacolo, con la collaborazione drammaturgica di Sandro Lombardi - così dice:

Mettere in scena questo testo oggi significa soprattutto legarlo alla contemporaneità, alla società attuale, alla nostra storia. E alla storia martoriata di una terra come la Sicilia. Non tanto per 'rivitalizzarlo', quanto per misurare la distanza che ci separa da un testo che è già un 'classico' e da un mondo definitivamente perduto. Significa anche non dimenticare che, pur trattandosi di un ‘Mito’, i “Giganti della montagna” raccontano delle concrete storie di esseri umani

Lo spettacolo della Compagnia Lombardi-Tiezzi restituisce la magia e l’attualità di questo testo utilizzando una fusione di linguaggi: recitazione, musica, arte visiva, cinema, danza sono gli elementi intorno ai quali ruota il lavoro degli attori e del regista.

Ufficio Stampa: Simona Carlucci
Tel. 0765 – 42 33 64 e 335 – 59 52 789
Mail: carlucci.si@tiscali.it

I Giganti della montagna: all’Argentina di Roma da oggi al 25 novembre.
Poi in tournée, ecco piazze e date:

Dicembre

28/11-2/12 Prato
4-6/12 Bologna
7/12 Gallarate
8/12 Chiasso
11-16/12 Firenze
18/12 Cortona
19/12 Città di Castello
20-22/12 Fano

Gennaio

4-13/1/2008 Bergamo
14/1 Mantova
15/1 Mirano
17/1 Tortona
18/1 Legnano
20/1 San Casciano
22/1 Empoli
23/1 Rosignano
25-27/1 Cosenza


Un invito alla costanza


Ci sono due date in cui potevo scrivere questa nota: oggi o il primo aprile.
Oggi, perché parlo di una casa editrice che non c’è più (sì, esiste un aldilà di cellulosa).
Il primo aprile, perché si tratta di un tiro birbone alla letteratura (sì, esistono pesci d’aprile che nuotano nell’inchiostro).
Ci sono libri – di uno di quelli dirò tra breve – che, come discoli in fuga dalla scuola, zompano fuori della sede editoriale e pure della claustrofobia scrittoria, per disertare tediose lezioni sugli strumenti narrativi e, come un felice Pinocchio, si danno a malandrini attraversamenti di quella gioiosa terra chiamata Metaletteratura.
Oggi, poi, col web, è possibile sopravvivere alla fine di una casa editrice e al prosciugamento del calamaio, sicché certe pagine (ma non tutte, sia chiaro) possono marinare aule e farsi beffe dei professori critici scorazzando nella campagna elettronica, tirando calci ai frames e giocando a nascondino nell’hard disk.
Uno di questi libri è Gentile editore, io non demordo! di cui è autore uno dei più birichini blogger della Rete: Antonio Zoppetti detto Zop; uno che dietro lo scherzo apparente e la trovata burlesca, svolge un discorso serissimo su quella narrazione che sceglie di esistere fuori della pagina romanzesca.
Per leggere delle sue perverse intenzioni: CLIC!
Nel suo libro prima citato, un autore invia i propri scritti ad un editore che lo boccia ogni volta chiedendogli di misurarsi in nuove prove e sperando in cuor di così dissuadere l’importuno scrittore da nuovi invii.
Ma quell’editore non ha fatto i conti con chi l’assedia, uno che non demorde, e continua ogni volta con finta umiltà a proporgli nuove creazioni. Il refrain fra una prova e l’altra è Gentile editore…. Gentile autore, incipit dello scambio epistolare fra chi offre e chi rifiuta, dove dietro quei saluti si scorge l’appassionato odio che lega i due corrispondenti.
I racconti (ma sarebbe meglio chiamarli i bambulti - termine coniato da Giordano Falzoni per indicare birbonate patafisiche fatte da un bambino adulto) scorrono, spediti e respinti, volando e sciogliendosi come quelle parole gelate di rabelaisiana memoria.
Alla fine, la costanza è premiata. Già, l’editore cede pur di liberarsi dall’assiduo mittente, ma… ma non s’accorge di cadere in un ennesimo tranello tesogli. Pubblicherà, infatti, un lipogramma (componimento che scarta nella scrittura una determinata lettera dell’alfabeto), cioè un’ablazione. Segno castratorio della pagina che (lontano dagli eunuchi romanzi o racconti) è ben prolifico nel generare nuove vispe creature di carta.
Ve l’avevo detto o no che, dietro la burla letteraria Zop svolge un discorso serio?
Ma se il libro oggi non c’è perché la casa editrice più non esiste, e con essa anche la distribuzione, come fare a leggerlo?
Ed ecco il web che viene incontro soccorrevole.
Tutti quei bambulti è possibile leggerli cliccando QUI.


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