Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
venerdì, 30 gennaio 2009
Generazioni
Molto originale la formula della collettiva che inaugura domani a Ferrara. Favorita da una circostanza che non è frutto del caso, ma dimostrazione storica del valore dell’insegnamento che da decenni svolge l’Istituto d’Arte “Dosso Dossi”. La mostra, infatti, s’intitola Generazioni perché offre una rassegna d’opere d’ex-allievi che hanno sviluppato una carriera artistica professionale. L’occasione è data dal ritorno dell’Istituto, dopo molti anni di restauri, nella sede storica di via de’ Romei. Prendendo spunto dalle cinque generazioni di studenti che si sono succedute nell’ultimo cinquantennio, venticinque artisti, cinque per ogni decade di nascita, sono stati invitati a presentare un’opera appositamente pensata per questa mostra. N’è curatore Maurizio Camerani (in foto una sua opera: “Corpi gemelli”) che del “Dossi” è stato allievo divenendo dagli anni ’80 una delle figure, già dai suoi primi passi professionali, più impegnata nell’esplorazione di nuovi linguaggi visivi e che ricordo fondatore dello storico gruppo ferrarese “Intermedia”.
Per l’occasione verrà realizzato un catalogo (fotografie di Marco Caselli Nirmal) con tutte le opere esposte e corredato dai testi di cinque critici ferraresi che affronteranno un decennio ciascuno. Il catalogo avrà al suo interno anche una breve introduzione storico-artistica sul restauro di Palazzo Cavalieri e sull’evoluzione della scuola dal suo nascere. Artisti partecipanti: anni ‘40: Paola Bonora, Maurizio Bonora, Gianfranco Goberti, Gianni Guidi, Sergio Zanni; anni ‘50: Riccardo Biavati, Maurizio Camerani, Giorgio Cattani, Maurizio Cosua, Ketty Tagliatti; anni ‘60: Amae (Paolo Mascolini e Ivan Lupi) , Nedda Bonini, Giuseppe Cestari, Giuliana Grande, Gabriella Soavi, Nadia Fanzaga; anni ‘70: Riccardo Catozzi, Sara Dell’Onze, Andrea Forlani, Costanza Minelli, Alessandra Vecchietti; anni ‘80: Antonella Guidi, Elisa Leonini, Denis Riva, Silvia Sartori; Testi critici: Angelo Andreotti, Marialivia Brunelli, Massimo Marchetti, Gilberto Pellizzola, MariaLuisa Pacelli. Testi storici: Paola Mambriani, Berenice Giovannucci Generazioni Palazzo Cavalieri Via de’ Romei,5 - Ferrara Info: 0532 – 20 74 16 Fino al 21 febbraio ‘09 Tutti i giorni 17-19
Ex-stasi
La dimensione dell’ ‘’ex-stasi’’ è il tema affrontato da Marco Abbamondi attraverso una serie di lavori esposti in una mostra, proprio Ex-stasi intitolata, in cui il segno è, riferisco dal comunicato stampa, “al servizio dei movimenti fluidi caotici solo all’apparenza perché in realtà dotati di una loro intrinseca e profonda logica. Le linee si sciolgono in un magma di stati d’animo primordiali. Il cosmos lascia il posto al chaos, lo spirito dionisiaco prende il sopravvento sull’apollineo”.
Marco Abbamondi è nato a Napoli il 7 giugno 1974. Ha cominciato la sua attività artistica nel ’99 con lavori su legno che interpretavano con tratti iperrealisti monumenti di Napoli. Successivamente, passando anche attraverso una rivisitazione postmoderna dell’arte presepiale, ha condotto esperienze sulla plastica; da lì è partita una ricerca su tecniche e materie (ferro, piombo, stucco, cemento, terracotta, vetro) sempre nuove. In tempi più recenti, ha allargato i propri orizzonti, operando su progetti scenografici e spaziando dalla tradizione all’arte contemporanea con soluzioni espressive a più codici. Da qui la proposta di modulazioni stilistiche applicate su oggetti e creazioni di spazi con l’utilizzo di segni linguistici innervati su vari materiali, tracce sonore ed effetti luministici. Sito web: QUI. Marco Abbamonmdi “Ex-stasi” Sabina Albano Modart Gallery Vico del Vasto a Chiaia 52, Napoli Infoline: 081 – 42 17 16 Fino al 19 Febbraio
giovedì, 29 gennaio 2009
Uqbar in Extrart
Su queste pagine, ho già presentato un articolato progetto dal borgesiano nome: Uqbar; conviene leggere quella mia nota per meglio capire origini e struttura di quel luogo dell’immaginario lì illustrato in sintesi dall’architetto Paolo Valente che, con Rosanna Galvani, fondatrice del Museo del Metaverso, n’è l’ideatore. Uqbar si muove agendo mondi espressivi fra second life, web e real life, usando plurali modalità in plurali contenitori con l’apporto d’artisti italiani e stranieri. N’è un esempio Arena call for artist che, tra i rilanci proposti da Sl alla Rete, ne ha visto anche uno su questo sito con la presentazione del gruppo Second Front: QUI.
Un’ulteriore dimostrazione della versatilità di Uqbar nel muoversi fra più codici, è data dalla sua presenza anche sulla carta stampata, difatti è apparso come inserto nella rivista Extrart diretta da Mario Savini; diecimila copie in free press distribuite presso Gallerie, Centri culturali, Università, Fiere d’arte come quelle di Bologna, Genova, Cremona. L'inserto – a cura di Paolo Valente – ragiona sui principali temi proposti da Uqbar in questi mesi. Ad esempio: l’influenza della globalizzazione sull’arte e sulle rappresentazioni del mondo; la valutazione qualitativa che la Global Art (definizione ipotizzata da Derrick De Kerckhove come prossima fase della Net Art) sta producendo attraverso i networks e il suo rapportarsi all’arte Glocal; il genere di cambiamento percettivo e cognitivo originato da questa tipologia artistica sullo spettatore e sull’autore i cui ruoli sono da ridefinire. Al fascicolo hanno collaborato Rosanna Galvani, Giuseppe Stampone, Alessandro Tartaglia, MillaMilla Noel, Fabio Fornasari. Paolo Valente (conduce in Rete Temperatura 2.0) così presenta in un suo editoriale l’inserto Uqbar. Il rapido sviluppo che i nuovi media e l’era del web 2.0 stanno portando nel mondo della comunicazione, lascia intravedere possibilità del tutto nuove, come alcune interessanti forme espressive, dove l’interazione tra forma e contenuti raggiunge standard molto alti e sorprendentemente “adatti” al nostro vivere contemporaneo. L'occasione data dalla particolare capacità interattiva di second life, intesa come piattaforma mediatica con un alto standard comunicativo, è un ottimo terreno su cui la sperimentazione artistica si sta cimentando. I meccanismi che strutturano second life: il business ed il gioco, permettono e non impediscono alla espressività dei singoli di potersi liberare, all’interno di una esperienza sociale globale. L’arte in genere sembra interpretare per prima questo nuovo punto di vista del mondo, “L’arte globale esprime una sensibilità nuova in cui identità, intelligenze e presenze di spirito sono interconnesse, distribuite e multiple” cosi ci dice Derrick De Kerckhove a proposito della discussione sull’arte globale ponendoci opportunamente alcuni interrogativi.
Disastri in corso
La scuola italiana, dopo i disastri apportati un tempo da Giovanni Gentile, si rinnova. Voglio dire che rinnova i disastri. Competentemente si dedica a questa non facile impresa la signora Gelmini, una che – nel corso di un articolato consiglio che le rivolge Nico Valerio nel suo blog – non porta abbastanza bene i pantaloni e, oso dedurne – ma per carità, absit iniuria verbis, lo dico da gentleman – anche i collant . A lei è rivolto un video (per vederlo CLIC) girato dai genitori di una scuola milanese. E’ atipico in queste note, ma una volta tanto si può fare.
mercoledì, 28 gennaio 2009
Pinocchio in camicia nera
Tanto, tanto tempo fa (… ultimi anni ’70? primi anni ’80?... vattelappesca), fui regista a RadioRai di un testo del mio amico Gigi Malerba che, proprio per il mezzo radiofonico, aveva scritto “Pinocchio con gli stivali”. Lì, il burattino (Dario Penne ne fu interprete alla radio) evade dal capitolo 36, l’ultimo del libro, perché non vuole diventare “un ragazzino perbene”, sono queste le ultime tre parole del capolavoro di Collodi. Ancora una volta, infrange le regole della buona creanza e da latitante cerca riparo in altre narrazioni (Cappuccetto rosso, Cenerentola, Il gatto con gli stivali), ma gli va male, non ha fatto i conti con il linguista Propp e le ferree strutture della fiaba tradizionale. Appresi allora da Gigi della tradizione delle “pinocchiate” pubblicate da autori che avevano trasformato quella birba in aviatore, in esploratore, in piccolo scienziato, e via pinocchiando. Figure improbabili che spesso tradivano lo spirito originario del personaggio forzandolo in nuove avventure.
Ancora più improbabili le ‘pinocchiate’ scritte in epoca fascista dove il monello di legno lo troviamo squadrista, o balilla oppure mentre tira calci al Negus. Adesso, dobbiamo ad uno studioso italiano, coltissimo e birichino, l’avere tirato fuori dell’oblio proprio quel Pinocchio al servizio della propaganda di regime. Si tratta di Luciano Curreri che nelle Edizioni NerosuBianco ha curato la pubblicazione di Pinocchio in camicia nera, quattro novelle e un romanzo breve (usciti fra il 1923 e il 1944) corredando il libro con un suo saggio di grande interesse sia letterario sia sociopolitico. Perché l’autore non solo indica in modo scorrevolmente ben documentato i riferimenti alle storie (e alle illustrazioni) del Pinocchio postcollodiano preso in esame, ma, seguendo le evoluzioni e le involuzioni del personaggio, fa notare come esso rifletta vari momenti del fascismo, dai primi anni anarcoidi fino alla sussiegosità del Partito-Regime, alla disperata Rsi. Luciano Curreri (1966), ha studiato, insegnato e collaborato ad attività di ricerca in diverse università (Torino, Savoie, Grenoble, Piemonte orientale, Firenze). Dal 2002 è Professore di Lingua e letteratura italiana all'Université de Liège. Per una sua bibliografia: QUI. Proprio a Luciano Curreri ho chiesto: le pinocchiate fasciste quanto pescano nel monello ribelle che marina la scuola, è arrestato dai carabinieri, e quanto in quel 'ragazzino perbene' in cui si converte nell'ultima riga del libro di Collodi? Come tento di spiegare nella postfazione al volume, i Pinocchi in camicia nera non possono prescindere né dall’uno né dall’altro: riprendono il monello ribelle all’epoca delle spedizioni punitive, mentre tendono a diventare ragazzini perbene quando si ‘ravvedono’ ed entrano tra i Balilla, o anche quando in Cina corteggiano i missionari e frenano l’indole pestifera. Detto questo, in ciascun racconto proposto, in misure più o meno evidenti, si avverte un altalenante e mal conciliabile ‘sdoppiamento’ tra il burattino anarchico e giocoso e l’imbrigliato figlio del regime. Insomma, il tentativo di resettare lo spirito di Pinocchio a fini propagandistici non fa i conti con un simulacro svuotato e, riportando in vita il burattino, come ogni pinocchiata impone, rischia di far maggiormente apprezzare ai più o meno giovani lettori il lato libertario e stravagante di Pinocchio. Nel chiudere questa nota, un’angoscia m’assale. E se in una nuova pinocchiata ci tocca vedere il burattino iscritto a Forza Italia? No, mi raccomando, niente scherzi! A cura di Luciano Curreri “Pinocchio in camicia nera” Pagine 144, Euro 12:00 Edizioni NerosuBianco
lunedì, 26 gennaio 2009
Giornata della Memoria
Martedì 27: “Giornata della Memoria”. La data fu scelta per ricordare il 27 gennaio 1945, quando le truppe dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświecim (nota con il nome tedesco di Auschwitz), scoprendone l’atroce campo di concentramento e liberando i pochi superstiti. La scoperta d’Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista, della Shoah. Shoah, in ebraico significa “annientamento”; indica lo sterminio di oltre sei milioni d’ebrei ed è da preferire questo termine a “olocausto” per eliminare qualunque idea di perniciosa, e sviante, religiosità insita in quest’ultimo.
I nazisti non furono soli nel commettere quel crimine contro l’umanità, furono aiutati da molti governi collaborazionisti e, prima ancora, dal fascismo italiano che il 6 ottobre 1938 promulgando le leggi razziali determinò la perdita dei diritti civili per 58mila italiani, parte dei quali poi deportati in Germania e 8mila di loro morti nei lager. Infamia che discendeva dal ‘Manifesto della Razza’, pubblicato il 14 luglio dello stesso anno, firmato da 10 scienziati italiani, sorretti da altre 329 firme; per sapere chi erano e come agirono consiglio la lettura del libro I dieci di cui mi sono occupato tempo fa in queste pagine web. Ben vengano le numerose manifestazioni indette che, però, rischiano di diventare una Giornata, appunto, solo una Giornata. Consegnandosi così a ritualità che, come tutte le ritualità, spesso svuotano di significato ciò che si ricorda. Preferirei che invece di una Giornata con tante cose in cartello, la Shoah fosse ricordata, attraverso piccole, quotidiane cose. Perché tutti i giorni avvengono misfatti a sfondo razziale (con preoccupante crescita anche in Italia) che sono molto gravi e, spesso, trattati dai media con spazi inadeguati. Del resto, perché meravigliarsene? La data sarà ricordata da noi anche da personaggi che, smesso temporaneamente il fez, durante la manifestazione calzeranno la kippah; il nostro è un paese in cui il presidente del Consiglio dei Ministri ha sempre scrupolosamente evitato di partecipare il 25 aprile ai festeggiamenti per la ricorrenza della Liberazione e alla vigilia della Giornata della Memoria racconta barzellette sui lager. Circa le manifestazioni, una parte (piuttosto ridotta in verità perché si riferisce soltanto a quelle patrocinate dall’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia), le trovate QUI. Due occasioni sono dedicate a vittime della Shoah che s’accanì anche contro minoranze etniche e diversità di genere sessuale. Il Centro Audiodoc propone in catalogo Porrajmos. La persecuzione dei Rom e dei Sinti, mentre Vittorio Pavoncello, a Roma, è l’ideatore di “Il Giallo e il Rosa: Shoà e Homocaust, due genetiche per uno sterminio”; cliccare QUI per il programma.
venerdì, 23 gennaio 2009
Uscire dal gregge
Quanti greggi al mondo? Pochi. Quante le pecore? Tantissime. Questo anche in senso metaforico, perché nel gregge sono raccolti tutti quelli del pensiero unico, semmai suggerito da un unico libro. Ma il mondo è troppo complesso perché sia spiegato in un solo volume. Sicché le pecore rinunciano alla complessità, rifiutano la razionalità, si rifugiano nelle fedi, o nelle ideologie. Se per incoraggiare il sonno contassimo greggi invece delle pecore, Morfeo finirebbe in cassa integrazione. L’individuo che esce dal gregge è inseguito da cani (proseguendo nella metafora: sacerdoti, poliziotti di partito) che lo vogliono riportare nel gruppo, terrorizzandolo con i loro latrati perché terrorizzati da ciò che quell’individuo può combinare. E, infatti, le conquiste scientifiche, le pratiche della libertà, i progressi nelle società, sono stati realizzati da chi ha abbandonato greggi, resistendo a latrati e morsi. La religione cristiana, e cattolica in particolare, nei suoi testi è piena di greggi, pecorelle, pastori (più che da santi e profeti sembrano scritti da veterinari), ed ora disponiamo di un nuovo libro che illustra guasti e disastri combinati ieri e oggi da ottusi ovini e occhiuti guardiani. Lo dobbiamo all’editore Luca Sossella che ha pubblicato, con una bella copertina (da me maltrattata in riproduzione) dell’art director Alessandra Maiarelli, un magnifico lavoro di Raffaele Carcano e Adele Orioli intitolato Uscire dal gregge.
Il sottotitolo posto dagli autori – Storie di conversioni, battesimi, apostasie e sbattezzi – è francamente restrittivo rispetto al libro che, pur trattando quei temi, è un vero e proprio percorso storico e filosofico, che, in maniera scorrevolissima, divulgativa, spesso venata d’umorismo, attraversa epoche e idee delle religioni, ne indaga l’antropologia, ne connota la sociologia, ne rileva le finalità politiche ora occulte ora apparenti. Queste ultime, però, sempre al servizio di repressioni sanguinose, un tempo competentemente gestite da Papi e Cardinali, poi da puntuali beccai cui il Vaticano mai ha fatto mancare riconoscenza. Esempi recenti: quando Franco vinse la guerra civile, Papa Pio XII, s’affrettò ad inviargli un telegramma di plauso: “Levando il cuore a Dio ringraziamo Vostra Eccellenza per la vittoria della Spagna cattolica”. E Wojtyła che vola in Cile a stringere la mano a Pinochet dopo il golpe? Gli ayatollah, invece, ancora oggi, sgozzano in proprio, non delegano, ditta all’antica. “Uscire dal gregge” affronta, ovviamente, anche ciò che il sottotitolo da me criticato promette raccontando storie di grandi apostasie e documentando (attraverso il diritto internazionale e le leggi attuali in Italia) ciò che sta avvenendo da quando l’Uaar ha lanciato la campagna per lo sbattezzo sostenuta dai due autori in un modo che va oltre l’anticlericale, in nome della rivendicazione di un diritto […] quello di non essere costretti a far parte di un’organizzazione senza il proprio consenso. Eduardo, in “Gli esami non finiscono mai” opponendosi al battesimo del figlio appena nato, dice alla moglie beghina: “Lasciamo scegliere a lui che cosa vuol fare… Gesù Cristo s’è battezzato a trent’anni, nostro figlio non può aspettare ancora un po’ ”? Insomma, v’invito a leggere questo libro attualissimo. E lo è perché solleva temi che anche alla sinistra sono sgraditi. Ho prove recenti, lo dimostro. La rivista ”Micromega” – sia chiaro ha molti, tanti meriti – in un momento in cui la redazione aveva alzato il gomito (e in questo io sono solidale), ha ospitato un articolo di Pierfranco Pellizzetti che critica gli ateobus e lo sbattezzo. Il Dott. Ciccarelli di una pubblicità di tempo fa, direbbe di lui “Poveretto, come soffre!”, ma quella dura tempra di pensatore i duroni non ce li ha ai piedi ma dalla parte opposta in alto… nel cervello?... diciamo nella testa, per andare sul sicuro, nulla può per lui il Dott. Ciccarelli. Forse – ma sicuro non sono – potrebbe fargli bene la lettura di “Uscire dal gregge”. Apprenderebbe, ad esempio, di come un filosofo quale Aldo Capitini dello sbattezzo fu antesignano con ragionamenti e azioni. Il volume s’avvale in Rete di un suo blog: QUI. Per una scheda sul libro: CLIC! Raffaele Carcano – Adele Orioli “Uscire dal gregge” Pagine 320, Euro 14:00 Luca Sossella editore
giovedì, 22 gennaio 2009
Todomodo
E’ questo il nome di una nuova Agenzia letteraria nata dall’incontro tra figure professionali diverse e convergenti quali due scrittori, un critico e un editor. I nomi: Gaetano Carboni - Andrea Carraro - Filippo La Porta - Maria Cristina Olati. Per le loro biografie, cliccate QUI.
Todomodo per i loro fondatori vuole essere qualcosa di diverso dall’Agenzia letteraria, piuttosto uno Studio editoriale, un punto di riferimento sia per gli scrittori esordienti sia per gli editori, per tutti quelli che propongono e accolgono nuovi modelli di scrittura. A Filippo La Porta (mesi fa, qui a Cosmotaxi, ho presentato un suo recente libro: Maestri irregolari), ho rivolto la domanda che segue. Todomodo: Studio editoriale più che agenzia letteraria. In questa dizione da voi così precisata, quale particolarità di disegno espressivo e di mercato intendete? Non ci interessa tanto “rappresentare“ gli scrittori presso gli editori - non sappiamo quasi nulla di diritti, di contratti, di anticipi - quanto leggere con attenzione i dattiloscritti che ci arrivano, esaminarli, valutarli, capire se riescono a interpretare il mondo, se possiedono una loro “energia”, se ci danno qualche verità preziosa su di noi, sul nostro tempo, sulla nostra condizione. Non siamo nemici del mercato, e ci teniamo alla capacità comunicativa di un testo, ma certo in primo piano deve esserci la sua “urgenza”, espressiva e morale. Todomodo Per contatti: info@agenziatodomodo.com
mercoledì, 21 gennaio 2009
Quaderno rosso
Non credo d’essere il solo a sapere poco della letteratura basca perciò segnalo con piacere (nonostante questa rubrica dei romanzi se ne occupi poco) una prova narrativa che da quella regione proviene. Lo dobbiamo alle edizioni gran via (le iniziali minuscoli appartengono a loro, non ce le ho messe io), con sede a Milano guidate da Fabio Cremonesi che tempo fa in un’intervista a Cosmotaxi spiegò le sue scelte editoriali: QUI.
…sono vostra madre. tu, mirén, e tu, beñat, siete nati tredici e dieci anni fa. sono ormai sette anni che siete scomparsi, sequestrati da vostro padre. questa è la mia verità, questa e il fatto di non sapere ciò che vi avrà detto di me…. Ecco una parte dello scritto che un’avvocata reca a Caracas ai due ragazzi e, leggendolo, la indurrà a riflettere su se stessa. Un Quaderno rosso – questo il titolo del libro – che è ha il colore di passioni, confessioni, anni ardenti, un incrocio tra la lettera e il diario che testimonia il dramma di una donna separata con la forza dai figli. L’autrice è Arantxa Urretabizkaia che si autodefinisce “una giornalista-casalinga che scrive nei ritagli di tempo”. La traduzione dal basco è di Roberta Gozzi. Ad Arantxa, ho chiesto: se tu fossi invitata a classificare “Quaderno rosso” in un genere letterario, quale indicheresti e perché? Quando incominciai a scrivere “Quaderno rosso” non m’imposi di seguire le norme di alcun genere letterario. In passato l’avevo fatto. Per esempio un romanzo intitolato “Saturno” lo scrissi cercando di seguire i canoni dei romanzi rosa. Dico sempre che l’autore o l’autrice sa quello che voleva scrivere, ma quello che ha fatto lo sa solo chi legge il libro. Detto questo, penso che, in qualche modo, “Quaderno rosso” è un romanzo ibrido, perché una parte di questo è scritto in prima persona e l’altra è racconta attraverso un narratore onnisciente. Qual è la caratteristica che più differenzia la letteratura basca dalle altre europee? Non credo che ci sia, in questo momento, una differenza sostanziale tra la letteratura basca e qualsiasi altra letteratura europea. In passato non era così ma, negli ultimi decenni, penso che nella nostra letteratura siano emerse tutte le correnti che si possono osservare nelle letterature occidentali. Forse quello che fatichiamo di più ad incorporare è un riflesso della difficile situazione politica che stiamo vivendo, anche se ultimamente anche questa sta affiorando. Per una scheda sul libro: CLIC! Arantxa Urretabizkaia “Quaderno rosso” Traduzione di Roberta Gozzi Pagine 142, Euro 11:00 Gran Vía Edizioni
martedì, 20 gennaio 2009
Dizionario dei comici
Un lavoro monumentale, straordinario, necessario. Mancava dal 1901. Sì, da 110 anni. Ora, grazie a Giangilberto Monti disponiamo – edito da Garzanti – di un nuovo Dizionario dei comici e del cabaret: oltre 7000 titoli di spettacoli, film, trasmissioni radiotelevisive, dischi, libri; gli sketch, le battute famose, le gags, i teatri, le canzoni; più di 530 schede – corredate con estese note biografiche, infinità d’aneddoti, tante curiosità – di personaggi noti e meno noti, dai precursori fino alle nuove generazioni apparse in tv. Non si tratta soltanto di un catalogo (tipologia che Borges riteneva l’assoluto fra i generi editoriali), perché l’autore registrando le varie voci traccia una vera e propria storia della comicità italiana, elabora un profilo antropologico del nostro ridere. E anche della nostra incapacità di ridere perché nel libro sono documentate le tante censure che il potere politico, dal fascismo ai giorni bui che stiamo vivendo, ha imposto a tanti artisti di ieri e di oggi. A scriverlo non meraviglia che sia un artista quale Monti è (il suo sito web QUI) che ha studiato interpretazione vocale con Cathy Berberian, recitato con Franca Rame e Dario Fo, autore di radiodrammi, chansonnier, regista. Ha scritto un libro prezioso, inoltre, per le redazioni di giornali, periodici, delle radiotv, del web, perché accoglie immancabilmente ogni richiesta, soccorre su ogni incertezza, suggerisce pluralità di spunti. A titolo personale, poi, gli sono grato pure perché con questo suo Dizionario mi ha ricordato anche tante figure con le quali ho lavorato, da Pietro De Vico a Marcello Marchesi, da Raffaele Pisu a Leo Gullotta, da Lelio Luttazzi a Paolo Villaggio, a parecchi altri che i tanti (sigh!) miei anni Enpals hanno permesso.
A Giangilberto Monti ho chiesto: che cosa ti ha più motivato in questo lavoro? Credo che la spinta principale sia stata la voglia di raccontare un mondo che ho amato e vissuto da artista e da spettatore: dall'autunno del 1986 all'estate del 1995 ho passato quasi tutte le sere al primo Zelig, quello per intenderci con un palchetto-pedana per i comici di due metri x quattro, un protocamerino che serviva più che altro da magazzino bibite e una vista sul maleodorante Naviglio della Martesana, zanzare e nebbia comprese, a seconda della stagione. Dopodiché il resto l'ha fatto la mia naturale curiosità e la scoperta che nessuno aveva mai tentato di catalogare in modo esauriente questo straordinario mondo fatto di grandi nomi e umili mestieranti. Io ci ho provato.. E ci sei riuscito, aggiungo io. Monti sarà prossimamente ospite della mia taverna spaziale sull’Enterprise e lì, fra un bicchiere e l’altro, parleremo ancora del suo Dizionario e dei temi che propone. Giangilberto Monti "Dizionario dei comici e del cabaret" Pagine 620, Euro 25:50 Garzanti
lunedì, 19 gennaio 2009
L'elefante e la farfalla
Se giunto all’ultima pagina di un libro, perfino se ti sia piaciuto, a nulla ti fa pensare, può essere perfino un bel libro, ma prima ancora è un libro inutile. Questo rischio è presente soprattutto nei romanzi che usano trame e personaggi d’invenzione come se di quella produzione fossimo sprovvisti, come se quella forma mai avesse subìto lo sberleffo degli ‘Esercizi di stile’ di Queneau, come se non esistesse oggi il web che offre nuove soluzioni di linguaggio metanarrativo attraverso i wiki, cioè una vera e propria cyberscrittura, una scrittura mutante. Ecco perché il termine “romanziere”, da molti anni lo uso come un insulto. Esistono, invece, narrazioni che sono affidate ad altri strumenti e m’interessano. Sono quelle che si muovono sul confine tra racconto e testimonianza riuscendo (non tutte ci riescono, è chiaro) a proiettare nel lettore le derive magnetiche di un’esperienza, inducono a pensare su se stessi e sulla relazione col mondo, siano rappresentazioni narrative delle dinamiche della psiche umana. Ci riesce Dolorose considerazioni del cuore (il titolo è tratto Evgenija Ginzburg), di Sandra Petrignani, scrittrice che è – come lei stessa si definì in una conversazione che avemmo tempo fa (ci crediate o no, durante un volo spaziale) – “una navigatrice solitaria”. Della Petrignani, Cosmotaxi si è già occupato in occasione di sue pubblicazioni: Care presenze e Ultima India. In questo volume, edito da nottetempo, da pochi giorni in libreria, è una vera e proprio psiconauta che dalla casuale riappacificazione con un’amica trae lo spunto per rivisitare anni ora vicini ora lontani, interrogare miti e oracoli dell’infanzia, amori trascorsi, un presente plumbeo, il suo rapporto col prossimo. Si sente elefante ed è stata vista come farfalla, “quando ero piccola io, la parola borderline non esisteva ancora” – scrive – “Prima domanda ero già ‘border’? Seconda domanda: uno può essere qualcosa di cui non esiste la parola? Risposta: sì, in un caso e nell’altro”. Normalità della pazzia e pazzia della normalità. Tema psichico di tanti nostri giorni. Lei offre il suo vulnerabile tallone attraverso vissuti che replicano se stessi ora in forma infantile ora senili. “Che cos’è un eroe” – si chiede in una pagina – “se non chi celebra, ogni volta, il rito della sua possibile distruzione? ‘Cantami, o diva, del Pelide Achille’. Salvami, o diva, dal Pelide Achille”. Non se se quella diva poi canti, di sicuro non salva nessuno. A Sandra Petrignani ho chiesto: il tuo libro a quali lettori lo consiglieresti e a quali, invece, lo sconsiglieresti?
Lo consiglierei a chi ha un rapporto difficile con sua madre. Ai giovani che vivono nell’incertezza di una identità di difficile costruzione. A chi ha paura di amare o non si sente all’altezza del compito. A quelli della mia generazione (cinquantenni) che si ritrovano il peso di genitori dall’interminabile, dolorosa vecchiaia. Un’esperienza che questa generazione vive sulla sua pelle per la prima volta nella storia in tutta la sua brutale evidenza. Lo sconsiglierei ai partigiani della cosiddetta New Epic, ai lettori ideologizzati che non privilegiano lo stile e il linguaggio, che cercano storie chiassose e violente per non guardare in faccia la brutale, asciutta realtà, devastante anche quando non gronda sangue, quando resta implosa. E a quelli che non vogliono guardarsi dentro. Per una scheda sul libro, cliccare su "novità" QUI. Sandra Petrignani “Dolorose considerazioni del cuore” Pagine 181, Euro 14:00 Edizioni Nottetempo
venerdì, 16 gennaio 2009
Un massacro di tempo fa
Fra le cose imperdonabili prodotte dall’editoria spiccano per bassezza gli episodi storici e le biografie rese in forma romanzata; la trovo cosa atroce. Arbitrarie ricostruzioni d’ambienti, dialoghi inventati, addirittura personaggi mai esistiti che intervengono nel racconto, robe che risentono del peggio della fiction tv. Il lettore ha diritto d’apprendere, invece, sui fatti storicamente accaduti esattezze di date, citazioni di documenti, particolari riferiti da testimoni (e conoscerne attraverso l’autore la valutazione della loro attendibilità), eccetera. Testo, quindi, difficile da scrivere perché richiede una gran fatica (conoscere bene i luoghi dove si svolsero gli avvenimenti, intervistare persone, recarsi in biblioteche, tribunali, consultare eventuali referti medici presso ospedali), mica starsene a fissare il soffitto e, poi, ispirato da qualche ragnatela, imbrattare fogli.
Un libro che soddisfa pienamente i requisiti appena citati è Morte agli italiani!, Edizioni Infinito, che fa uscire dall’oblio una strage dimenticata avvenuta oltre un secolo fa. Accadde a Aigues-Mortes il 17 agosto 1893. Certo, nome del posto e data nulla annunciavano di buono. Costò la vita a nove lavoratori italiani, ci furono anche decine di feriti e più di un disperso. Una guerra tra poveri: operai francesi che vedevano come nemici gli italiani emigrati per trovare lavoro alle saline. Libro, quindi, di grande attualità in più parti del mondo, Italia compresa. Le pagine raccontano – con una puntualissima documentazione su nomi, orari, articoli di giornali dell’epoca, testimonianze scritte da chi visse quel terribile giorno – con un ritmo serratissmo il linciaggio avvenuto e il processo farsa che ne seguì con gli imputati tutti assolti. C’è di più, tra gli imputati fu messo anche una vittima dell’aggressione, un italiano, giusto per fare apparire il tutto come una gigantesca rissa e non una preordinata strage dettata dalla xenofobia. L’autore del volume è Enzo Barnabà. Nato nel 1944, ha insegnato lingua e letteratura francese in vari licei del Veneto e della Liguria. A Ventimiglia ha fondato il Circolo “Pier Paolo Pasolini”. E’ stato lettore di lingua e letteratura italiana presso le Università d’Aix-en-Provence e insegnante-addetto culturale ad Abidjan (Costa d’Avorio), Scutari (Albania) e Niksic (Montenegro). Per leggere un’intervista da lui rilasciata: CLIC! Enzo Barnabà “Morte agli italiani!” Prefazione di Gian Antonio Stella Introduzione di Alessandro Natta Pagine 120, Euro 12:00 Infinito Edizioni
giovedì, 15 gennaio 2009
Storie del cinema italiano
Va riconosciuto alla Silvana Editoriale il merito d’avere prodotto un’opera che è un importante punto di riferimento per studiosi e cinephiles: Storie del cinema italiano.
Si tratta di una trilogia, iniziata del 2005, con un volume dedicato alla figura dell’attore: galleria di personaggi e di aneddoti, il fenomeno del divismo italiano, il modo in cui i registi hanno usato figure celebri e meno note costruendo i personaggi dei loro film, come s’è affermato e modificato il modello della star visto fra analogie e differenze con quella hollywoodiana. Nel 2007, un secondo volume (“Interno/Esterno”): il racconto di come il paesaggio italiano è stato utilizzato nel nostro cinema – attraverso la ricerca dei luoghi originari, la ricostruzione di certi scorci, la rievocazione della sfarzosa grandiosità o dell’imbarazzante povertà di certe scenografie – documentando, anche attraverso un ampio repertorio fotografico, le diverse fasi ottiche e sociali del nostro paesaggio. Alla fine del 2008, è uscito il terzo libro (“Censure”) scandito in tre macro capitoli: la storia, i protagonisti e i meccanismi della censura cinematografica in Italia. Curatore della serie: Enzo Sallustro che s’è avvalso delle firme di Alberto Farina, Massimo Galimberti, Carlo Modesti Pauer, Leopoldo Santovincenzo. A proposito della censura, scrive Carlo Modesti Pauer: C’è un concetto che appartiene alla cultura della Grecia antica, espresso con la parola “parresia”, attraverso il quale è possibile introdurre un discorso sulla censura nel cinema. In italiano ’parresia’ si traduce letteralmente con ‘parlar chiaro’, ovvero dire la verità. Il saggio prosegue analizzando poi varie forme di censure, dalla militare all’ideologica, dalla sociale alla devozionale. Tutte censure che s’oppongono alla “parresia”, cioè al parlar chiaro. Storie del cinema italiano: censure Pagine: 288, Euro 40:00 Con 40 illustrazioni a colori e 160 in b/n Silvana Editoriale
mercoledì, 14 gennaio 2009
Arte e Scienza
Dal 9 gennaio è in corso all’Acquario Civico di Milano una mostra di Davide Silipo intitolata "Odùsseia viaggio e approdo di arte e scienza in una terra comune". La curatrice Cristina Muccioli (di Silipo, curerà nel 2009 anche “mutation in revolt” allo Spazio Cinema Anteo di Milano) così scrive.
Nei primi anni del XIX secolo nacque in Francia la teratologia, con il naturalista Etienne Geoffroy Saint-Hilaire, una vera e propria disciplina scientifica preposta allo studio della mostruosità come ricchissima prospettiva euristica ed epistemologica. Erano anche gli anni in cui si veniva consolidando la biologia come scienza. Proprio nello studio dell’anomalia anatomica, dell’eccezione conclamata, entrambi gli ambiti cercavano di dimostrare una regolarità costante nelle leggi di natura. Questo farsi carico anche della parte più spaventevole e minacciosa della realtà, della vita, delle sue incompiutezze, del grottesco, degli scarti di natura è lo spirito che ha animato questa mostra dedicata segnatamente all’Acquario Civico di Milano: non una galleria d’arte, ma un luogo dove la scienza comunica con il pubblico, espone gli esemplari che studia. Siamo particolarmente grati al Direttore di questa istituzione, il Dottor Mauro Mariani, per aver permesso la realizzazione di questa collezione di sculture che non espone il vero, né il verosimile, ma la più libera e fantastica interpretazione del processo metamorfico in cui natura e arte, arte e scienza, dialogano con grande suggestione. Sito in Rete di Silipo: QUI. Davide Silipo “Odùsseia” Acquario Civico Viale Gadio 2, Milano Info: 02 – 88 46 57 50
martedì, 13 gennaio 2009
Amorosi assassini
E’ stato pubblicato un libro importante che attraverso cronache e saggi documenta e ragiona su circa trecento casi di violenza inflitta a donne da mano maschile, avvenuti in Italia nel corso di un anno. Si tratta di Amorosi assassini, Editori Laterza. Le autrici fanno parte di Controparola e sono: Marina Addis Saba, Cristiana di San Marzano, Elena Doni, Paola Gaglianone, Claudia Galimberti, Elena Gianini Belotti, Lia Levi, Dacia Maraini, Maria Serena Palieri, Francesca Sancin, Mirella Serri, Simona Tagliaventi, Chiara Valentini
A Mirella Serri ho chiesto: esiste un motivo più diffuso per cui scatta la violenza sulle donne: aggressione sessuale? motivi economici? gelosia? razzismo? I motivi per cui si mette in moto il meccanismo che porta ad usare violenza sulle donne sono molti. Vanno da quelli da te elencati ma anche a un esteso conflitto tra i generi che si è andato acutizzando negli ultimi anni. L'incremento è dovuto alla raggiunta indipendenza delle donne rispetto agli uomini. Tanto per fare un esempio concreto dei motivi economici che possono scatenare l'aggressività sessuale: nel caso di cui io stessa mi sono occupata nel libro "Amorosi assassini" due figli uccidono la madre dopo un diverbio sulla proprietà della casa. Ma i due ragazzi erano stati educati alla violenza dal padre. Non ne tolleravano la libertà e l'autonomia nella famiglia. Avevano visto più volte il padre malmenare la madre. Loro stessi ripetevano così comportamenti già ampiamente praticati in famiglia. Si ha la netta sensazione che i casi di maltrattamento fino a quelli più gravi di omicidio, siano aumentati in questi ultimi anni. E’ così? Oppure la violenza c'è sempre stata ed ora ci appare più frequente soltanto per una diversa percezione dovuta al moltiplicarsi dei mezzi d’informazione? Sicuramente è in atto un'escalation dovuta ai nuovi ruoli sociali che la donna si è conquistata. Ma c'è anche una sensibilità più diffusa verso questo tipo di tematiche. Nella documentazione resa dal libro "Amorosi assassini" emerge solo la punta di un iceberg. Noi abbiamo censito i casi del 2006, circa 300. Sono state 112 le donne uccise da partner, mariti, fidanzati, amanti, comunque vittime di un 'amore criminale'. Il ministero degli Interni ha censito 4.500 denunce per violenze e abusi sporte da donne. Il 91,6% degli stupri non viene denunciato - secondo una ricerca Istat dello stesso anno - mentre la percentuale dei casi non denunciati arriva al 96% se si tratta di aggressioni non sessuali. A questo si possono aggiungere le molestie sessuali nei luogo di lavoro, lo stalking, ovvero la persecuzione ossessiva e così via. Insomma il numero delle donne vittima di violenza ammonta a 1 milione e 500 mila. Una cifra altissima. Scheda sul libro e Indice: QUI. AA.VV. “Amorosi assassini” Pagine 263, Euro 16:00 Editori Laterza
lunedì, 12 gennaio 2009
Homo unico sapiens?
La collana Chiavi di lettura – diretta da Lisa Vozza e Federico Tibone recentemente varata da Zanichelli, presenta plurali occasioni d’informazione su vari campi del sapere con libri veloci e ricchi al tempo stesso. Libri difficili da fare, e finora tutti riusciti, perché usare un linguaggio a tutti comprensibile su materie che vanno dalla chimica alla psicologia, dall’energia all’etologia, ad altro ancora, è un’impresa di comunicazione non da poco. N’è cospicuo esempio questo Le culture degli altri animali, un appassionante viaggio attraverso corpi, comportamenti e residenze delle specie animali. Nelle pagine sono illustrate e interpretate molte capacità: dalla risorsa di fabbricazione d’utensili all'uso e modalità dei messaggi scambiati all’interno dei gruppi. Lettura che serve a meglio capire anche la nostra cultura in questo 2009, anno darwiniano.
All’autore Michelangelo Bisconti ho chiesto: qual è la principale differenza fra la cultura dell'animale uomo e quella degli altri animali? Se confrontiamo i raggiungimenti teorici e pratici della miriade di culture umane che si sono succedute nel corso dei millenni con i segni di cultura manifestati dagli animali non umani, certamente è facile individuare enormi differenze. Tuttavia, se potessimo ripercorrere il percorso a ritroso fino a due milioni e mezzo di anni fa vedremmo queste differenze assottigliarsi progressivamente fino a sparire del tutto. A mio avviso, ciò che differenzia realmente le modalità di trasmissione culturale di informazioni degli esseri umani rispetto agli altri animali è la possibilità di insegnare agli altri individui del proprio gruppo comportamenti, idee, concetti attraverso un linguaggio sofisticato. Nulla di paragonabile alle lingue umane è stato finora scoperto negli altri animali ed è probabile che sia proprio questa la caratteristica che ha permesso la rapida e dirompente evoluzione culturale della nostra specie. La visione antropocentrica tanto diffusa sul nostro pianeta, quale più significativo guasto ha prodotto? Il concepire l’uomo come misura di tutte le cose, ha permesso di attribuire a tutto ciò che non è umano (si tratti di altri organismi o di interi ambienti) un grado di importanza molto basso. Questo ha consentito lo sviluppo di quella noncuranza con la quale molti esseri umani trattano gli altri esseri viventi e il proprio pianeta. Se da una parte questa noncuranza trascende nella crudeltà dall’altra essa apre le porte ad un processo di modificazione del pianeta così radicale da escludere gli altri esseri viventi. Si può sostenere che da un punto di vista economico questo sia ragionevole ma da un punto di vista etico certamente non lo è. Per una scheda sul libro, la bio dell’autore e leggere il primo capitolo: QUI. Michelangelo Bisconti “Le culture degli altri animali” Pagine 207, Euro 9:80 Zanichelli
Il cinema di Eustache
Anche una delle arti più giovani, qual è quella cinematografica, poco più di un secolo di vita, conta molti nomi che, pur avendo prodotto opere rilevanti, sono poco noti. Oggi voglio ricordare uno di loro, un francese: Jean Eustache. Me ne fornisce lo spunto l’Accademia di Francia che presenta, in collaborazione con la Cineteca di Bologna, da martedì 13 a domenica 18 gennaio ‘09, la filmografia completa di questo regista. Morì suicida a Parigi il 3 novembre 1981, era nato il 30 novembre 1938 a Pessac. Verso la fine degli anni ‘50 si trasferì nella capitale francese, entrò nel circolo dei Cahiers du cinéma, strinse amicizia con François Truffaut ed Eric Rohmer, debuttò nel 1963 con “Les mauvaises fréquentations”. Il film più apprezzato, sarà “La maman et la putain”, girato nel 1972, presentato l’anno successivo a Cannes, dov’ebbe una menzione speciale e divise il pubblico.
Per una biografia dettagliata QUI. Per la filmografia completa: CLIC. In Italia, all’Università di Torino, s’è avuta anche una tesi di laurea sul suo lavoro scritta da Stefano Trinchero. Scrive Yannick Haenel: “Eustache compare subito dopo la “Nouvelle Vague”, dopo François Truffaut e Jean-Luc Godard. Eredita le loro esigenze, ma inventa nuove forme di narrazione. Con lui, le frontiere fra fiction e documentario si dissolvono, come anche i formati: gira dei film che sfuggono alle regole di mercato. Uno dura cinquanta minuti, l'altro tre ore e quaranta. E non importa la lunghezza, ciò che salta agli occhi, oggi, è la limpida bellezza, l’intelligenza, la comicità, la libertà”. E Vittoria Matarrese: “Nulla è più importante per Jean Eustache, quanto il lavoro sulla permeabilità tra la realtà e la finzione. Confessione, e al tempo stesso tentativo di esorcizzare, di superare ciò che è prestabilito, il suo cinema è ricerca ma anche rivelazione”.
sabato, 10 gennaio 2009
Le figlie di Lilith
Chi era Lilith? E perché parlano tanto male di lei? Era (per alcuni uomini pii forse lo è ancora) un demone femminile capace di rapinose fascinazioni, lussuriose stregonerie, adultera full time. Un mito che rientra nella mitologia ebraico-cristiana che di cose abominevoli ne ha dette parecchie. Ha tanta cattiva fama ‘sta povera creatura che allorché il femminismo tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 compì i primi significativi passi, i richiami a Lilith, da parte dei conservatori e dei baciapile, si sprecarono. Preambolo per dire di un libro che molto m’è piaciuto:Le figlie di Lilith Vipere, dive, dark ladies e femmes fatales. L’altra ribellione femminile. N’è autrice Valeria Palumbo della quale stimo da tempo la scrittura impegnata in un originale percorso di visitazione della storia delle donne, originale perché lontana da ipoteche ideologiche e astratti furori. E non solo. Perché nel proporre una visione storica del femminile, lo fa proiettandola attraverso esemplificazioni spesso scomode e proprio per questo più efficaci nella rappresentazione di ciò che è stato ed è la positiva figura della donna dall’antichità ad oggi. Ne sono cospicui esempi suoi precedenti libri di cui Cosmotaxi s’è occupato: La perfidia delle donne e Svestite da uomo. Valeria Palumbo, caporedattrice centrale del periodico L’’Europeo, fa parte della Società Italiana delle Storiche. Oltre ai volumi appena citati, ha pubblicato: “Prestami il volto”, premio ‘Il Paese delle donne’, “Lo sguardo di Matidia”, entrambi per Selene; “Le Donne di Alessandro Magno”, “Donne di Piacere”, titoli per Sonzogno.
Quella che andiamo a raccontare - è detto nell’introduzione - è una seconda via all’emancipazione femminile, che, tra metà Ottocento e primi anni del Novecento, cambiò il destino del mondo occidentale […] mentre le “suffragette” o femministe, sempre minoritarie, ma via via più numerose e meglio organizzate, si battevano per i diritti politici e sociali delle donne, negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi europei un nutrito drappello di signore, che procedevano invece in ordine sparso, rompevano tabù, abitudini, rituali e limiti che da sempre venivano imposti al loro genere […] spesso si sarebbero dichiarate ostili al femminismo, nella realtà ne avrebbero preceduto, o realizzato con molto anticipo, le istanze, a cominciare dalla libertà sessuale e dall’autonomia economica. Una videointervista (con un inedito cyberautografo finale), per BooksWebTv, è stata realizzata con l’autrice dal mio amico Antonio Zoppetti – in arte Zop – e la trovate QUI. Le figlie di Lilith è un libro di cui consiglio la lettura perché, com’è nello stile della Palumbo, informa, testimonia, denuncia e, merito non da poco, spesso diverte con sapide riflessioni attraversando storie femminili che occupano pagine delle arti visive, della letteratura, del cinema. Ah… che distratto!... dimenticavo: lo consiglio a tutti tranne che alla senatrice Binetti e a quanti si riconoscono nel suo pensier… pardon… nelle sue parole. Valeria Palumbo “Le figlie di Lilith” Pagine 180, Euro 16:00 Odradek Edizioni
venerdì, 9 gennaio 2009
Il barbiere di Stalin
Tra i difetti degli italiani primeggia l’attitudine di dire male ad alta voce di cose che poi praticano in silenzio. Una buona dimostrazione è data, ad esempio, da quel diffuso elogio dell’onestà, della dirittura morale, per poi riscontrare come una robusta maggioranza, una volta alle urne, voti per chi ha liste imbottite di pregiudicati, il giorno prima ha lodato un mafioso omicida definendolo “un eroe”, ha fatto (e fa, e farà ancora) leggi che impediscano d’indagare sui corrotti. Eppure nessuno di quegli elettori si sente corresponsabile di quanto ha combinato; in bar, salotti, strade e piazze, continuerà ad elevare la sua voce indignata. Il barbiere di Stalin, georgiano come il dittatore, pur servendolo fedelmente, non si sentiva complice dei crimini, pur conoscendoli, del suo boss. Il libro che presento oggi proprio così è intitolato: Il barbiere di Stalin critica del lavoro (ir)responsabile – pubblicato da Università Bocconi Editore – e ragiona sull’irresponsabilità sociale che trionfa nel mondo del lavoro dove s’assiste alla drammatica differenza esistente fra lavoratori protetti e quelli, invece, esposti alla concorrenza. Quei lavoratori protetti, assai spesso, sono gli stessi che predicano bene e razzolano malissimo. Da impiegato alle poste criticherà i comportamenti di un ospedaliere che fa le stesse cose che lui pratica in PT, e viceversa, e così via, categoria per categoria, di protezione in protezione, appigliandosi anche a cavilli d’incerta forma sindacale. Circa la concorrenza è fin troppo ansiogena, aggiungo io. Perché mi pare che da noi la concorrenza non sia quella praticata altrove, ma inquinata da un potere politico, di ieri e di oggi, che ne falsa molti degli aspetti autenticamente competitivi, primo fra tutti quello centrato sulla competenza. Ma da noi i competenti spesso fanno una brutta fine: Ambrosoli, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino… C’è, poi, chi, invece, nulla rischia: Brunetta, Gelmini, Sacconi… per non dire della cosiddetta opposizione: Veltroni, D’Alema, Rutelli… l’incompetenza li protegge. Le righe d'apertura e queste ultime appartengono a miei giudizi e non al valoroso autore del libro. Firma “Il barbiere d Stalin” Paolo D’Anselmi, analista di politiche pubbliche, ingegnere elettronico, ha lavorato per Datamat, CNR e McKinsey
A lui ho chiesto: qual è il lavoro (ir)responsabile? Il lavoro (ir)responsabile è il lavoro non soggetto a valutazione. Il lavoro soggetto a valutazione per eccellenza è il lavoro soggetto a concorrenza: il cappuccino al bar è l’esempio paradigmatico: se il cappuccino non ti piace, cambi bar; se il cappuccino ti avvelena, arrivano i NAS dei carabinieri. Per contro, il tipico lavoro non soggetto a valutazione è il lavoro pubblico: non sappiamo come è fatto un bravo presidente di Asl, un bravo direttore di carcere né un bravo prefetto, visto che a Palermo i prefetti non si sa cosa vadano a farci, visto che ci passano un annetto in media, solo per prendere il bollino e fare carriera, come quando per vincere al Monopoli è bene passare da Parco della Vittoria. Non deve necessariamente essere così. Da quel tipo di lavoro, in Italia ne usciremo mai? Se sì o se no, perché? Non c’è speranza di uscirne nell’arco della vita naturale di chi legge. Perché oltre 6 dei 23 milioni di lavoratori vive di lavoro (ir)responsabile e gli altri 17 milioni lasciano correre: siamo tanti barbieri di Stalin: flirtiamo con il male e non lo riconosciamo. Il problema è così diffuso che è culturale; per una volta non è politico: ci vuole qualche generazione. Sono almeno sette secoli che noi italiani valutiamo l’Italia come un ‘bordello’ e la vorremmo la ‘donna di province’, governante di popoli, che non è. A me questo dice che il bordello è sostenibile, che non c’è la catastrofe dietro l’angolo, che non c’è una deriva perché non abbiamo una rotta da smarrire. Ciò non vuol dire che non c’è niente da fare: ciascuno di noi fa un buon ‘affare’, come dice Simona Argentieri, se abbandona l’idea fantastica della ‘donna di province’ e si preoccupa di migliorare l’angolo di mondo nel quale vive e sul quale ha un grosso potere. Il problema è che non ne abbiamo consapevolezza e non lo esercitiamo, quel potere, perché esercitarlo vorrebbe dire mettere troppo in discussione noi stessi. Il libro s’avvale in Rete di un suo blog. Paolo D’Anselmi “Il barbiere di Stalin” Prefazione di Aldo Bonomi Postfazionedi Toni Muzi Falcone Pagine 305, Euro 16:00 Università Bocconi Editore
giovedì, 8 gennaio 2009
Fantasmi da scacciare
Questo il titolo della mostra con circa 80 opere di Jean-Michel Basquiat in corso a Roma alla Fondazione Memmo. Ordinatore dell’esposizione è Olivier Berggruen, curatore associato della Schirn Kunsthalle di Francoforte.
Jean-Michel Basquiat (nato a New York il 22 dicembre 1960 e in quella città morto per overdose il 12 agosto 1988), di origine caraibica, crebbe in un ambiente familiare difficile, lasciò presto la scuola, dal 1977 cominciò a dipingere sui vagoni della metropolitana e in alcune zone di Soho; usava lo pseudonimo SAMO, acronimo per “same old shit” (“solita vecchia merda”), con cui firmava tags e graffiti. Decisivo l’incontro con Andy Warhol che lo accolse nella sua Factory e lo fece conoscere nel mondo. Divenne con Keith Haring un protagonista in quella comunità artistica della New York tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ‘80, conosciuta con il nome di "Downtown Scene" di cui abbiamo testimonianza anche in molti splendidi scatti di Edo Bertoglio. Di questo grande fotografo, segnalo un'intervista condotta da Tiziana Lo Porto che è anche la traduttrice d’uno dei migliori libri su Basquiat di cui disponiamo nella nostra lingua: Vita lucente e breve di un genio dell'arte. Proprio da quel volume traggo un flash che mi pare ritragga bene l’essenza dell’opera di Basquiat: Il suo lavoro era basato più sull’appropriazione che sull’elaborazione originale. A differenza della maggioranza dei suoi contemporanei, le immagini di cui s’appropriava – che fossero prese dalla Bibbia o da un libro di Chimica – divenivano parte del suo originale vocabolario, lettere d’un alfabeto inventato, come note di un riff di jazz, o fonemi di una canzone scat. La mostra in corso – accompagnata da un catalogo illustrato con saggi di Olivier Berggruen e Francesco Pellizzi – n’è una felice testimonianza. Ufficio Stampa: 06-6874704; ufficiostampa@fondazionememmo.it Jean-Michel Basquiat “Fantasmi da scacciare” Fondazione Memmo Info: 06 – 68 74 704 info@fondazionememmo.it Via del Corso 418, Roma Fino all’1 Febbraio ‘09
mercoledì, 7 gennaio 2009
Galassie dell'immaginario
In questa nostra epoca che De Kerckhove ha definito “l’era delle psico-tecnologie”, reti e flussi avvolgono corpi e menti proiettandoci in un nuovo universo di segni e sensorialità. Siamo alle soglie di un Rinascimento Virtuale (per citare il titolo di una recente mostra-convegno) e questi nostri anni mi pare abbiano molti paralleli con il Rinascimento di secoli fa. Allora s’ebbero viaggi che scoprirono nuove terre e più accurate cartografie dei territori allora noti, oggi viaggi nello Spazio e viaggi dentro il corpo con la scoperta del Dna e la sua decrittazione; ieri con la stampa a caratteri mobili avanzò una nuova età nella comunicazione, oggi con internet una forse ancora più decisiva svolta nella trasmissione del pensiero tra gli umani. La condizione che viviamo ai nostri giorni, non è interpretabile con gli strumenti d’un tempo, vanno usati nuovi utensili psichici e filosofici per affrontare plurali, interconnessi, campi: dalla scienza alla tecnica, dall’estetica all’etica, dalla finanza al sociale. Temi che in forma verbovisiva sono affrontati in modo riflessivo e creativo in un imperdibile titolo: Ricreazioni galassie dell’immaginario postmoderno pubblicato dall’Editore Bevivino. Libro godibilissimo per l’intelligenza con cui è interpretato il confine magnetico tra mondo fisico e universo virtuale, volume che è gioia dell’occhio perché s’avvale di una particolare grafica che non è illustrativa o decorativa ma ricreazione ottica delle idee contenute nelle pagine. Gli autori sono: Claire Bardainne e Vincenzo Susca. Per le loro biografie: CLIC! Nella presentazione affermano: “Questo non è un saggio. Questo non è un libro d’arte”. Già - rispondo io - è, infatti, sia l’uno sia l’altro. E si presenta aprendosi con un’elettrica dichiarazione e ardenti domande: Vibrazioni, tribù, estasi, passioni, giochi, feste, sovversioni, idolatrie, diaspore, barbarie… Come interpretare i fermenti che scuotono l’ordine delle nostre società? Quali sono i totem della cultura contemporanea? Cosa si cela dietro le creazioni, le celebrazioni e le comunicazioni dall’apparenza più frivola che marcano lo scenario sociale?
Alla domanda che segue, sentirete Claire e Vincenzo rispondere con una voce sola: prodigi della tecnologia di cui a bordo dispone Cosmotaxi. Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli…quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi? L’ibridazione tra uomo e tecnologia ritma in modo sempre più intenso le trame della nostra vita quotidiana, accostandosi in modo curioso al ritorno di pulsioni e sensibilità a lungo trascurate: l’animalità, le passioni sfrenate, gli eccessi di ordine dionisiaco, la sacralità selvaggia… Si tratta di una serie di indici che testimoniano una mutazione antropologica in grado di alterare le cornici dell’umano così come le abbiamo sinora conosciute, facendo implodere il suo cardine moderno: l’individuo borghese. Proponiamo di descrivere il processo come “ricreazione del mondo” perché la sinergia tra tecnologie e vita quotidiana accoglie l’avvento di un’estetizzazione dell’esistenza basata sulla rivalutazione del ludico, dell’onirico e dell’immaginario. Uno scenario in cui al divertimento, quindi all’appagamento di un piacere edonistico, corrisponde un inedito paradigma di creazione incentrato sui cardini del gioco e della festa. Qui i fantasmi che abitano l’immaginario collettivo invadono la realtà e la plasmano a propria immagine e somiglianza, in una dinamica tesa a vivere intensamente il presente, a “ricrearlo” a partire dai suoi elementi di base tramite una fine elaborazione collettiva. Per una scheda sul libro QUI. Claire Bardainne –Vincenzo Susca “Ricreazioni” Prefazione di Michel Maffesoli Pagine 155, Euro 18:00 Bevivino Editore
domenica, 4 gennaio 2009
Buon 2009: anno darwiniano
Mentre in molti smaniano e strombettano sull’incombente centenario del Futurismo che c’imporrà non poche sofferenze (delle quali riferisco nella newsletter di questo mese), mi piace ricordare che quest’anno si celebra il bicentenario della nascita di Darwin la cui figura da qualche tempo è al centro di nuove tenebrose attenzioni del Vaticano. Ne profilò bene il perché Daniel Kevles, storico della Yale University, a Spoleto-Scienza: Nel seicento la Chiesa teme Copernico che rimuove la Terra dal centro del sistema solare minando l'autorità dei teologi…poi perseguiterà Darwin che ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione… continuerà a combattere sempre i nuovi filoni della ricerca scientifica.
E’ quanto mai opportuno, quindi, occuparsi di Charles e difenderne la barba da chi vuole a tutti i costi darle fuoco su nuovi roghi eretti oggi sui giornali, le radio, le televisioni, e i siti web asserviti ai baciapile. Cosmotaxi quest’anno si occuperà molto spesso di Darwin e comincio oggi con l’ospitare un intervento di Maria Turchetto, epistemologa, docente all’Università di Venezia, direttrice della rivista “L’Ateo”. Tra i suoi tanti lavori, ha curato anche una valorosa raccolta di saggi – “Darwin fra Natura e Storia – sul percorso scientifico e le implicazioni filosofiche delle teorie del grande scienziato britannico pubblicata dai Quaderni Materialisti. Conduce in Rete un suo frizzante sito web. Passo a lei la parola nella prossima nota.
Maria Turchetto sull'anno darwiniano
Nel 2009 cadono due importanti ricorrenze. Si celebra il bicentenario della nascita di Charles Darwin e ricorre il quarto centenario delle prime osservazioni astronomiche di Galileo Galilei. Darwin e Galileo… personaggi che le gerarchie ecclesiastiche non hanno mai digerito, personaggi scomodi, personaggi che storicamente sono diventati simboli del pensiero ateo, agnostico, razionalista e memento dell'oscurantismo delle chiese.
I preti abbozzano, cercano di prenderla con disinvoltura, ma l'imbarazzo è tanto. Prendi papa Ratzinger: lui Galileo non l'ha mai potuto soffrire. Vi ricordate? Lo sbeffeggiò in un discorso del 1990, quand'era ancora cardinale. Scomodò l'incolpevole Feyerabend - filosofo forse un tantino strampalato, ma tutt'altro che devoto - per ribadire che "il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto". Una delle ragioni per cui non lo vollero all'inaugurazione dell'anno accademico alla Sapienza di Roma. E ora come la mettiamo, con l'anno galileiano? Circa Darwin, in questi ultimi anni se ne parla molto, e a tanti livelli. Non si tratta solo di una moda culturale, né semplicemente di una reazione agli oscurantismi di ritorno. C'è ben altro dietro questa “Darwin Renaissance”. Le scienze della vita stanno attraversando un periodo di profonda revisione e proficua riflessione, dopo che recenti acquisizioni nei campi della genetica, della genomica, dell'embriologia hanno profondamente scosso il paradigma della cosiddetta Sintesi Moderna, oggi accusato di eccessivo determinismo e riduzionismo. Non stupisce, dunque, che venga di nuovo interrogato uno dei padri fondatori e che si scopra nella sua opera una ricchezza che i processi della normalizzazione scientifica avevano in parte occultato. La biologia è attualmente impegnata non soltanto a vagliare nuove tecniche sperimentali e nuove linee di ricerca, ma anche a rivedere il proprio apparato concettuale e i propri strumenti metodologici. Dunque non pone semplicemente ‘problemi scientifici’, ma ‘questioni filosofiche’. Chi cerca filosofia, intesa sia nel senso stretto e pregnante di teoria della conoscenza sia in quello più lato e labile di visione del mondo, può trovarla oggi soprattutto nelle elaborazioni e nelle interrogazioni proposte dalle scienze della vita. Per i preti, con Darwin l'imbarazzo è grande. E quale chiesa lo sopporta? La Chiesa d'Inghilterra, comunque, ha provato a chiedere scusa, per bocca del Reverendo Malcolm Brown. Già qualcosa. Da noi Monsignor Ravasi fa spallucce: noi a Darwin non abbiamo mai torto un capello! Già, nel 1859 l'Inquisizione non era più quella di una volta, vero Eminenza? Ma che peccato! Ma non basta, il Pontificio Rivoltatore di Frittate vuole sdoganare alla grande il naturalista inglese, sentite qua: "non c'è incompatibilità a priori fra le teorie dell'evoluzionismo e il messaggio della Bibbia". Sia serio, Eminenza: c'è incompatibilità eccome. Nella teoria di Darwin non c'è posto né per la creazione né per la divina provvidenza, c'è poco da fare. Tant'è, Darwin non vi va proprio giù, nemmeno col bicarbonato. E infatti non passa un giorno dalla coraggiosa uscita di Monsignor Ravasi che il quotidiano l'Avvenire titola (19 ottobre 2008): "Darwin cattivo maestro". E sai perché? Perché - secondo l'estensore dell'articolo, il teologo protestante Jürgen Moltmann, che confonde senza ritegno Charles Darwin con suo cugino Francis Galton - Darwin sarebbe stato ‘razzista’. Questa è una balla davvero! Razzista Darwin? Darwin che condannava lo schiavismo, Darwin che fin dal viaggio sul Beagle denuncia aspramente la "guerra di sterminio" (sono parole sue) condotta in Argentina contro gli indios e in Australia contro gli aborigeni! Darwin che vede il progresso della civiltà nell'allargarsi dei sentimenti di solidarietà e simpatia - oltre i confini delle tribù, delle razze, delle nazioni e perfino della specie umana! Darwin monogenetista, per profonda convinzione scientifica ma anche in diretta polemica contro il poligenetismo (teoria che negava alle razze "inferiori" l'appartenenza alla stessa specie dell'uomo bianco), diffusissimo all'epoca. Darwin che proprio perché mette al centro del proprio pensiero il concetto di ‘variazione’ - inaugurando l'approccio "popolazionista" - espunge il concetto di "razza" dalla teoria dell'evoluzione.Via, signor Moltmann!
venerdì, 2 gennaio 2009
Autoritratto di una ribelle
E’ tradizione di Cosmotaxi aprire le note dell’anno nuovo dedicando spazio ad una donna che lavora nelle arti visive, o in letteratura, oppure nello spettacolo e così via. L’artista di cui mi occupo in questo 2 gennaio 2009 è Carol Rama. L’occasione m’è data da una sua mostra, intitolata Self-portrait - in corso al Castello di Legnano - ideata da Flavio Arensi, direttore degli spazi espositivi legnanesi, e Alexandra Wetzel, un omaggio ai novant’anni di una grande protagonista del Novecento. Scrive Flavio Arensi: Immagino questa mostra dedicata a Carol Rama come un proseguimento “sentimentale” della monografica di Kathe Kollwitz, del 2006. La città aveva allora preparato un omaggio al carattere forte di questa straordinaria artista tedesca, alle sue battaglie di civiltà. Oggi, presentare Carol Rama significa riprendere da dove avevamo lasciato, imparando da un’autrice che ha pagato a caro prezzo la libertà del suo gesto creativo, senza mai essere banale, anzi raccontando e raccontandosi con profonda verità. Due donne che hanno aperto e chiuso il Novecento con un coraggio quasi profetico e che in un certo senso segnano simbolicamente la strada culturale della mia collaborazione con la città di Legnano iniziata nel 2003.
Nella foto: Carol Rama: “Venezie”, 1985. Tempo fa, su questo sito, in occasione di un’altra mostra di Carol Rama, chiesi un giudizio sulla vita e l’opera di quest’artista a Barbara Martusciello che della Rama s’è assai spesso occupata. Così mi fu risposto. Nei suoi olii, nelle tempere, nelle incisioni sperimenta linguaggi artistici e vi porta aspetti traumatici della vita, focalizzando la sua attenzione sui rapporti tra corpo, sessualità e identità femminile. In quegli anni Trenta e Quaranta, certi approfondimenti sono malvisti perché ritenuti assolutamente tabù, anche se sono trattati con toni grotteschi e con una naturalezza rara; la sua ricerca incappa quindi nelle maglie di una censura ottusa e coercitiva: nel 1945 le istituzioni fanno chiudere la sua prima personale e sequestrare le sue opere rendendola, agli occhi della collettività torinese, un personaggio scomodo. Questo non scoraggia Carolina. Dopo una parentesi astratta nel Movimento Arte Concreta torinese, riafferma un proprio linguaggio visivo basato sulle immagini: corpi femminili smembrati, mani, piedi, scarpe, letti, pròtesi, dentiere, volti inquieti, sedie a rotelle, animali e soprattutto organi sessuali prendono vita senza falsi pudori rincorrendosi e ripetendosi negli anni in un turbinio perturbante, sempre in bilico tra angoscia e ironia, cruda realtà, per quanto stravolta, e fiaba. Il catalogo, edito da Umberto Allemandi & C., in edizione bilingue italiano/inglese, presenta due testi introduttivi di Giacinto Di Pietrantonio, direttore della Gamec di Bergamo, e Flavio Arensi. Ufficio Stampa: Elisabetta Benetti, Tel. 0331 – 47 12 44; comunicazioni@legnano.org Carol Rama “Self-portrait” Legnano, Castello di Legnano, via Toselli Fino all’1 febbraio 2009
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