Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
martedì, 31 marzo 2009
Alla corte del Corto
Devo dire chi è il Corto?... no eh, si capisce subito… voglio dire che si capisce che è uno di bassa statura e, hai visto mai, anche di bassa moralità. Per capire, però, quale mestiere, e come, lo eserciti, bisogna leggere (e spero un giorno anche di vedere rappresentato in scena) un testo teatrale scritto da Francesco Muzzioli e intitolato come il titolo di questa nota: Alla corte del Corto ovvero: quello che i classici pensano del cattivo governo di Pitalia.
E’ stato pubblicato nelle edizioni Le impronte degli uccelli e si tratta di un raffinato lavoro di montaggio letterario che attraverso citazioni di classici – tutti appartenenti al paese Italia – concorrono a ragionare sul paese Pitalia immaginato da Muzzioli con sfrenata clownerie. Uno di quei lavori letterari che più mi piacciono perché scritti leggendo. Il Corto è visto in tutte le sue ribalderie tra Frode e Furore, Superbia e Vanagloria come i personaggi di Ambrogio Lorenzetti “Allegoria e effetti del cattivo governo” che si trova al Palazzo Pubblico di Siena e, non a caso, un particolare di quell’affresco – rielaborato da Tomaso Binga – è riprodotto sulla copertina del libro.
Muzzioli convocando un’assemblea di penne d’ogni età (da Dante a Volponi, dal Burchiello a Gaspara Stampa, dal Metastasio a Carlo Porta e a moltissimi altri) riesce a far elevare un coro intonatissimo nel sorprendersi delle astuzie e condannare l’infamia del Corto. Così accade che addosso a questi piombi da tutte quelle epoche e penne una sola, densissima, lava d’inchiostro nero che tutto lo ricopre e nel quale più di un lettore/spettatore spera che un giorno naufraghi. Francesco Muzzioli “Alla corte del Corto” Pagine 50, Euro 8:00 Le impronte degli uccelli
lunedì, 30 marzo 2009
Apti
Ricevo e volentieri rilancio un comunicato dell’ApTI acronimo di Associazione per il Teatro Italiano. Riguarda una manifestazione-spettacolo che l’Associazione ha organizzato per oggi.
Al nostro Requiem per la cultura e lo spettacolo italiani parteciperà il mondo del teatro e quello del cinema, della musica e della danza, del circo e del teatro di strada, della letteratura, della scuola e della ricerca. Solidali e uniti nel rivendicare ciò che in un qualsiasi altro Paese civile viene normalmente difeso: il diritto alla cultura! Per i governanti italiani il sostegno della cultura equivale ad un atto di assistenzialismo, mentre il contributo statale per la sostituzione di un elettrodomestico ancora nuovo è considerato un incentivo economico. I tagli drastici alla cultura non sono mai frutto di scelte casuali e chi li pratica conosce bene il rischio di dover governare un popolo colto. Un popolo che legge e che va al cinema e a teatro, che ascolta la musica, che studia e fa ricerca è un popolo che sa scegliere, che partecipa, che giudica, che non accetta di ridursi a una plebe passiva di consumatori. E' soprattutto un popolo che sa difendere, insieme con la cultura, la propria identità e la democrazia. Nei Paesi civili, qualunque sia il colore del governo e l’entità della crisi economica, nessuno si sognerebbe mai di penalizzare la cultura. Perché, nei Paesi civili, la cultura è considerata una priorità, un bene da difendere e incrementare, alla pari con la sanità, con i trasporti, la viabilità e tutto il resto. La Storia ci indica che solo i regimi antidemocratici temono e mortificano la cultura. Per parte nostra cercheremo di resistere e di fare tutto quanto sarà nelle nostre possibilità per non dover celebrare, dopo il Requiem per la Cultura italiana, anche il Requiem della Libertà. L'appuntamento è in piazza Farnese, a Roma, oggi 30 marzo, dalle 16 alle 19. La manifestazione sarà introdotta da Simona Marchini, vedrà l’intervento di Massimo Ghini e l’orazione funebre per la cultura italiana sarà pronunciata da Ascanio Celestini.
venerdì, 27 marzo 2009
Caos
Il 28 marzo 2009 lo scenario culturale italiano si arricchisce di un nuovissimo spazio: Caos Centro per le Arti Opificio Siri a Terni, città che sta affrontando un importante processo di sviluppo urbano basato sulla cultura e sull'innovazione. “Caos” (in foto un angolo dell'area) occupa uno spazio di 6000 metri quadri – nato dalla riconversione dell'antica fabbrica chimica ex Siri – e ospiterà esposizioni temporanee nazionali ed internazionali, laboratori creativi, il Museo d'arte Moderna e Contemporanea De Felice, il museo archeologico cittadino, un teatro da 300 posti ed un cafè bookshop di nuova generazione; rappresentando in tal modo un momento essenziale nel processo di ridefinizione della città di Terni sotto il segno della contemporaneità. Questa realizzazione nasce dal lavoro svolto per anni da Indisciplinarte attraverso una costante attenzione allo sviluppo culturale del territorio allestendo in continuità programmi (da convegni a mostre, da concerti a festival) con il coinvolgimento delle energie artistiche locali affiancate da proposte d’artisti stranieri. Lavoro che è stato sempre sostenuto dalla Regione Umbria, dal Comune di Terni e da altre forze istituzionali e politiche che oggi vedono premiata la loro lungimiranza. Per l'occasione Terni sarà la seconda città europea e la terza nel mondo, dopo Birmingham e Pechino, ad ospitare l'esposizione di arte e architettura contemporanea Map Games: Dynamics of Ch’ange che avvia un percorso di ricerca intorno ai temi della contemporaneità nell'arte e nell'architettura a partire da una riflessione sulle dinamiche di cambiamento delle città. Ventiquattro artisti ed architetti cinesi e di altri paesi esplorano tali processi evolutivi e, grazie ad interpretazioni multidimensionali, ridisegnano la geografia di Pechino passata, presente e futura. “Map games” nasce da una collaborazione tra il curatore indipendente Feng Boyi, Monica Piccioni e Rosario Scarpato (cofondatori dello spazio artistico offiCina Beijing) e l'artista Varvara Shavrova; offiCina è un progetto italiano di pratica curatoriale che si focalizza sull'arte contemporanea cinese e internazionale e agisce anche uno spazio espositivo con sede all'interno della Factory 798 di Pechino. L'esposizione è una delle poche presentate in Italia che mette insieme opere d’artisti ed architetti sia occidentali sia cinesi. Molte di queste sono state commissionate per l'occasione con l'intento di esplorare il ruolo della Mappa all'interno di una metropoli che si espande e cambia rapidamente come Pechino. Tutte le informazioni sul sito offiCina.
Con questa prima esposizione, Caos avvia la propria attività proponendosi come Polo della contemporaneità nella regione Umbria con le caratteristiche di un centro d’esposizione e produzione artistica nella migliore tradizione europea. Ufficio stampa: Luca Dentini: stampa@indisciplinarte.it - +39 0744.461619 Barbara Izzo: izzo@civita.it - +39 0744. 461619 Arianna Diana: diana@civita.it - +39 06 69 2050258 Caos Dal 28 marzo sabato 28 Marzo 2009, ore 17.00 Lunedì chiuso Martedì, mercoledì e giovedì dalle 10.00 alle 19.00 Venerdì e sabato dalle 10.00 alle 24.00 Domenica dalle 10.00 alle 20.00 Terni Info tel: +39 0744.461619
mercoledì, 25 marzo 2009
La vicevita
Quando ricevo un libro come La vicevita Treni e viaggi in treno, sorge di nuovo in me la speranza che non tutto è precipitato verso il romanzo o, peggio ancora, i romanzi della New Italian Epic… quanti romanzi In Italia, oggi!... il numero dei romanzieri credo superi quello degli evasori fiscali.
“La vicevita” lo dobbiamo ad uno scrittore vero, Valerio Magrelli, che ci regala pagine fatte di luce d’intelligenza, un lussuoso esercizio letterario sull’ansimante viaggio in una carrozza ferroviaria, una volta raccolto scompartimento e ora sperduto corridoio, tragitto pendolare e oscillante verso mete tanto necessarie quanto interrogative; il percorso di questo viaggiatore è quello di uno psiconauta, tragitto su binari da un punto del giorno fino al termine della notte. Magrelli – mio compagno in un volo spaziale - riesce con eleganza di pensiero e di scrittura a visitare tutti gli angoli di una ferrovia senza prezzo e senza pace, indagando viaggiatori e cartelli, attese e trepidazioni, passaggi a livello e abissi dell’avello. Perché proprio qui stanno trappole e giochi che tende sapientemente Magrelli (in primis, a sé stesso) nel condurre una festa di pagina perfino sulla lacrima dei giorni, un rappresentare il viaggio ferroviario come realismo della cronaca e metafora della vita. Questo viaggiatore sembra salutarci da lontane stazioni dell’esistenza, abbandonate da ogni orario. Libro da leggere, credetemi, ve lo consiglio.
Per una scheda sul libro QUI. Valerio Magrelli “La vicevita” Pagine 105, Euro 9:00 Editori Laterza
lunedì, 23 marzo 2009
Scrivere cinema
Cesare Zavattini usava dire che scrivere per il cinema “è come fare la corte ad una donna, mandare fiori, invitarla a cena, convincerla, poi arriva il regista e conclude lui”. Aldilà di questo colorito parallelo, sta di fatto che spesso chi scrive per il cinema, se poi non è anche regista della sceneggiatura, si trova nella condizione di non governare tutta la materia espressiva ideata perché la parola ultima spetta ad altri. Curioso mestiere che ha un’aneddotica ricca d’episodi che vanno dal buffo al dramma. Una panoramica sullo scrivere per lo schermo, su problemi di linguaggio e condotte stilistiche, lo offre un bel libro a cura di Kevin Conroy Scott, pubblicato da ISBN, intitolato Scrivere cinema. L’autore è uno del mestiere, lavora a Londra come agente letterario e collabora con alcune testate scrivendo di cinema. E' stato script editor per la New Line Cinema ed è autore di due cortometraggi. Attraverso quattordici interviste con sceneggiatori, registi, scrittori, s’è cimentato in un’esplorazione della stanza in cui nascono le idee, prendono forma i personaggi e punti di vista sul mondo, il luogo in cui – tutt’altro che magicamente – dalla mente di una persona prende vita un mondo tridimensionale fatto di suoni, volti, colori. Un libro che non è solo per addetti ai lavori, ma per tutti quelli che amano – non solo al cinema – capire come un’idea sia fatta al tempo stesso d’ispirazione ed officina. Una saggia abitudine dell’Editrice Isbn, riserva, per i libri d’autori stranieri, l’ultima pagina a chi ha tradotto. Qui è di scena Elena Aime che nel parlare del suo lavoro (egregiamente svolto) illumina bene il valore particolare di questo volume: Come traduttrice e appassionata di cinema, la traduzione di questo libro si è rilevata un’esperienza avvincente e formativa […] La risoluzione dei problemi lessicali e contenutistici incontrati mi ha condotta a una appassionante ricerca che mi ha fatto addentrare nel mondo della sceneggiatura e delle sue metodologie. Inoltre è stata l’occasione per guardare e, in molti casi, di rivedere i film da un diverso punto d’osservazione e con un occhio critico completamente nuovo.
A cura di Kevin Conroy Scott “Scrivere cinema” Traduzione di Elena Aime Pagine 256, Euro 29:00 Isbn Edizioni
venerdì, 20 marzo 2009
Crionica
Storia e antropologia, sociologia e psicanalisi si sono interrogate sul significato della morte e su come influenza e segna il percorso della vita; le risposte, ovviamente, non sono unanimi. Sta di fatto che nel corso del tempo, sempre più, anche se con momentanei arretramenti, quel passaggio fatale sta, fortunatamente, sottraendosi alle religioni e al loro modo minatorio di usarlo. Ci sono, infatti, dibattiti in corso che soltanto poche decine d’anni fa sarebbero stati inimmaginabili. A questo indubbiamente ha contribuito il progresso scientifico e la filosofia che l’accompagna e, più spesso, lo precede. E’, ad esempio, il caso del transumanesimo – in Italia s’avvale di un suo network che vi consiglio di visitare – che vede ai nostri giorni inverarsi molte delle sue teorie e, ancora di più. altre se ne profilano. E’ di poche settimane fa, tanto per dirne una, la notizia della nascita della Singularity University di cui ho riferito QUI. In questi cambiamenti concettualmente vertiginosi, non poteva mancare anche un nuovo modo di considerare la morte e operare su di essa. Nessuna sorpresa dovrebbe suscitare la cosa perché anche la nascita avviene oggi non sempre con l’accoppiamento tradizionale. Sicché nel panorama delle idee che circolano sul mondo c’è anche l’ibernazione umana cui oggi Cosmotaxi dedica questo servizio. In verità, pur essendo un tecnofilo e vicino a posizioni tecnotransumaniste, è questo un tema che mi vede piuttosto fred… no, meglio dire, visto l’argomento, piuttosto lontano. Seneca gridò “Meglio mai essere nati!”, sono d’accordo con lui. Ma se poi la cosa è accaduta, francamente, gradirei assenza di repliche, sia nel prossimo futuro sia in lontane epoche e civiltà.
L’ospite che ci parlerà oggi di crionica è Bruno Lenzi (in foto) che guida l'Associazione Italiana Crionica fondata nel giugno dell’anno scorso. Di recente, è apparso anche nella trasmissione tv Tatami: QUI. Passo a lui la parola per una sintetica traccia storica di questa tecnica e le ragioni che muovono verso quella che è interpretata come estensione della vita.
Il 12 gennaio 1967 a Los Angeles, California, il primo "paziente" veniva trattato con speciali agenti protettivi e congelato immediatamente dopo la morte, nella speranza che future tecnologie ne permettessero il ritorno in vita ed il ringiovanimento. Tale procedura è detta crionica (a volte chiamata ibernazione, ibernazione umana, criopreservazione, biostasi o sospensione crionica). Sin dai Neanderthaliani è nota la pratica della sepoltura rituale come tentativo di sottrarre il corpo ad un naturale scempio corporeo ed oblio come individuo. Gli Egizi, così come altri popoli, attuavano l'imbalsamazione per lo stesso motivo. Più recentemente un ardito inventore, Benjamin Franklin, ebbe l'idea di farsi conservare post-mortem in una botte d'alcool, sicuro di un futuro risveglio grazie al progresso tecnologico. Bisogna arrivare al 1962 perché un professore di Fisica, Robert Ettinger, stili un vero e proprio "progetto crionico" volto alla salvazione dall'oblio dell'intera umanità, e non dei soli "Grandi Personaggi", come all'epoca degli egizi; la sua era un'aspettativa e non, si noti bene, una certezza, ma comunque basata su rigorose ipotesi razionali e successi sperimentali. L'interesse per la Crionica ha attirato altri studiosi e scenziati: dal genio di Robert Freitas, progettista di nanomacchine, fino alle acute speculazione teoriche di Ralph Merkle sul rapporto tra Identità/Mente/Struttura cerebrale. Se gli egizi utilizzavano le loro modestissime nozioni tecniche per togliere i defunti dallo scempio e dall'oblio, non dovremmo oggi noi, incomparabilmente più "avanzati", perseguire lo stesso fine? Ci vestiamo forse oggi come i neanderthaliani, con pelli grezze di animali scuoiati? Ci spostiamo forse su carri come gli antichi Egizi? E allora perché dovremmo - ora che la tecnologia ci offre possibili alternative - riservare ai nostri Morti un trattamento uguale, anzi addirittura "più primitivo" di quell'arcaica umanità?
mercoledì, 18 marzo 2009
Riff
Riff è un acronimo che sta per Roma Independent Film Festival (in foto il logo). Da domani, a Roma, prende il via l’ottava edizione. Tra le sue sezioni, il Riff ospita anche “corti” ai quali Cosmotaxi ha da sempre riservato attenzione. Perciò è oggi ospite il Direttore artistico del Riff Fabrizio Ferrari al quale ho rivolto alcune domande.
Qual è la caratteristica principale che differenzia Riff dagli altri Festival che agiscono nello scenario dei “corti”? Nella selezione dei corti si cerca di favorire le anteprime italiane, in concorso e fuori concorso, e i progetti che hanno partecipato e ricevuto numerosi riconoscimenti ad altri festival. Oltre a questo, con l’aiuto e il sostegno di partner internazionali, l’obiettivo è quello di promuovere i progetti più meritevoli non solo sul territorio italiano ma anche al di fuori dei confini nazionali. Un altro punto fondamentale del festival è quello di riuscire ad attivare un circuito di distribuzione sempre più ampio per far conoscere al pubblico cortometraggi di qualità che altrimenti rimarrebbero in ombra. I canali utilizzati per distribuire le opere selezionate appartengono soprattutto all’ambito della tv e del web, strumenti fondamentali per una conoscenza immediata e di facile accesso. Circa le possibilità di circuito dei corti, credi che la telefonia mobile possa essere una nuova, concreta, occasione – soprattutto per i ‘cortissimi’? Il mercato dei corti non gode ancora di un’adeguata risonanza e deve cercare di utilizzare strumenti innovativi per arrivare a tutte le fasce di pubblico. Per questo ritengo che il mercato della telefonia sia un canale all’avanguardia da poter sfruttare nel modo più proficuo. In tal senso, il Riff si è impegnato a raggiungere accordi con gli operatori della telefonia mobile, vendendo un pacchetto di 200 cortometraggi da poter fruire attraverso lo schermo del proprio cellulare. Sempre in riferimento ai “corti”, Second Life è soltanto una nuova opportunità promozionale o ci vedi anche occasioni di commerciabilità? Sicuramente Second Life rappresenta uno strumento fondamentale per attivare uno scambio di opinioni e conoscenze tra gli utenti di tutto il mondo. Per questo motivo è sicuramente uno strumento di promozione efficace ed immediato, tuttavia le possibilità di commercializzazione del prodotto sono ancora molto limitate. Cliccare QUI per il programma del Festival.
lunedì, 16 marzo 2009
Al rogo! Al rogo!
…io ho conosciuti e sentiti grandissimi filosofi peripatetici sconsigliar suoi discepoli dallo studio delle matematiche, come quelle che rendono l'intelletto cavilloso ed inabile al ben filosofare.
Così parla Simplicio, uno dei protagonisti del galileiano ‘Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo’, libro che stava per costare caro allo scienziato. Simplicio è un perfetto esempio del timore per le scienze che da sempre ha contrassegnato la cultura cristiana e d’altre religioni monoteiste. E’ da poco in libreria un prezioso libro Perché gli scienziati non sono pericolosi scienza, etica e politica edito da Longanesi che, con particolari riferimenti al caso italiano, illumina temi e problemi dell’ostracismo verso gli scienziati. Il volume – firmato da Gilberto Corbellini, professore ordinario di Storia della medicina e docente di Bioetica presso la Sapienza a Roma – partendo da un’analisi su com’è percepita la ricerca scientifica dall’opinione pubblica, evidenzia come questa risponda a sondaggi senza che sia stata chiaramente informata sulle domande che le sono rivolte; in pratica vengono dapprima sparsi allarmi e terrori e poi condotte le inchieste. Inoltre, illustra come, ad esempio, la bioetica è perversamente profilata come nata “per proteggere l’uomo dalla scienza. Posizione apertamente sostenuta dai principali esponenti della bioetica cattolica, i quali la definiscono una disciplina ‘difensiva’, che avrebbe appunto il compito di salvaguardare l’uomo e la sua dignità contro gli abusi delle nuove tecnologie biogenetiche”. Drammatico è poi il capitolo dal titolo “La scienza e gli scienziati umiliati dalla politica” dove sono ricordate anche grottesche insipienze e malaffare propagandistico del mondo laico: dall’agghiacciante caso Di Bella alla dissennata politica antiogm portata avanti da Pecorario Scanio prima e Gianni Alemanno poi, con l'appoggio di Mario Capanna, fino al licenziamento del genetista Lucio Luzzatto dall’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro a Genova. E poi le manovre vaticane con l’incoraggiamento all’astensionismo al referendum sull’abrogazione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita. A Gilberto Corbellini ho chiesto: La svolta oscurantista del Concilio di Trento è all'origine di quanto accade ancora nella politica vaticana? Anche se sono trascorsi quasi cinquecento anni dal Concilio di Trento, è stato verosimilmente in quel frangente che la Chiesa cattolica ha scommesso, non sono in grado di dire quanto consapevolmente, sul successo del proprio futuro come istituzione politica, vincolandolo a una difesa formalmente integralista e settaria dei dogmi religiosi, e consentendo nel contempo ai suoi esponenti di manovrare ipocritamente nelle contingenze. E’ difficile negare che, sconfitte le istanze del Concilio Vaticano II che stavano indebolendo l’influenza e l’efficacia della Chiesa cattolica per esempio nella politica italiana, l’impostazione ‘tridentina’ ispiri ancor oggi la politica vaticana. Come peraltro ci ricorda ripetutamente un teologo esperto in materia come Hans Küng. Qual è il peggiore difetto che riscontri nella divulgazione scientifica praticata dai media, anche quelli di matrice laica, oggi? Quello di trattare la scienza come qualcosa di estraneo alla cultura, cioè come un’attività umana di carattere pratico, che in qualche modo fa parte dell’arredo in una società moderna. Un simile atteggiamento è fuorviante e pericoloso. Fuorviante perché non valorizza la dimensione culturale e civile dell’impresa scientifica: la scienza è fatta da persone che per ottenere dei risultati si devono impadronire di strumenti concettuali e applicare metodologie che non sono qualitativamente inferiori a qualunque altra attività culturale umana. Anzi: il modo di ragionare che si apprende praticando la scienza aiuterebbe di molto a far funzionare meglio anche la società. Il pericolo che si corre nel divulgare la scienza in modo banale è di far ritenere la sua presenza qualcosa di scontato, mentre invece la scienza ha bisogno di particolari condizioni per funzionare. E la sua sopravvivenza è a rischio in paesi come l’Italia, dove la maggioranza degli intellettuali e degli uomini politici considera gli scienziati un pericolo per la democrazia. Perché gli scienziati non sono pericolosi è un libro imperdibile per le informazioni che contiene e per l’analisi delle conseguenze immediate e future derivanti dall’atteggiamento antiscientifico sia delle gerarchie religiose e sia di tanta scriteriata politica dei laici. Per una biografia dell’autore: QUI Per una scheda sul libro: CLIC! Gilberto Corbellini “Perché gli scienziati non sono pericolosi” Pagine 240, Euro 16:00 Longanesi
giovedì, 12 marzo 2009
Special: Scriverne di tutti i Colori
Cosmotaxi Special per “Scriverne di tutti i colori” Roma, 19 febbraio – 19 marzo 2009
Scrivere di tutti i colori
La parola è un'ala del silenzio.
Pablo Neruda
Scriverne di tutti i Colori: chi, dove, quando, perché
Attualmente in Europa ci sono dodici Collegi, o Case del Traduttore, riuniti nella rete Recit. In Italia, negli anni Ottanta, era stata creata in Italia una Casa del Traduttore nell'isola di Procida, ma questa struttura è venuta a mancare con la scomparsa della sua fondatrice Annamaria Galli Zugaro. Ora, si sta cercando di fare nascere una struttura analoga a quelle di altri paesi europei. Indirizzandole a tale finalità le Biblioteteche di Roma, dirette da Alessandro Voglino, stanno realizzando una serie d’incontri su temi e problemi della traduzione. Primo partner di questo progetto è, per presenza storica e competenza espressiva, Biblit, il network dei traduttori italiani che conta oltre 2000 iscritti. Responsabile Progetto Casa delle Traduzioni è Simona Cives che, dopo due precedenti manifestazioni, ha ideato e promosso anche questo Scriverne di tutti i colori; potete ascoltarla mentre illustra risorse e potenzialità della Casa delle Traduzioni a Farenheit QUI. Nel quadro di queste attività, sono ora in corso a Roma una serie d’incontri – guidati da Marina Rullo, fondatrice di Biblit, e Vincenzo Barca – iniziati il 19 febbraio. Si discute sui confini e gli sconfinamenti della cosiddetta “letteratura di genere”: giallo, rosa, noir e fantasy. A presentare gli aspetti letterari di quelle tipologie letterarie e a dialogare con il pubblico saranno alcuni dei traduttori più apprezzati in ognuno dei generi trattati da editori e lettori. Dopo gli interventi a febbraio di Luca Conti sul ‘noir’ e di Paola Picasso sul ‘rosa’, sarà la volta oggi di Giovanni Zucca sul “giallo” e il 19 marzo di Maria Concetta Scotto Di Santillo sul ‘fantasy’.
Il tutto presso la Biblioteca “Enzo Tortora”, in via Zabaglia 27b, alle ore 18:30.
Scriverne di tutti i Colori
Le parole sono le mie puttane.
Denis Diderot
Scriverne di tutti i Colori: traducendo traducendo
Molto mi dispiace leggere, purtroppo spesso, segnalazioni di libri e, talvolta, perfino recensioni nelle quali chi ha tradotto il volume non è citato. Succede anche di peggio, accade, infatti, che talvolta neppure il comunicato stampa della casa editrice ne riporti il nome. Il traduttore, insomma, si ritrova non di rado in un inspiegabile cono d’ombra; eppure il suo ruolo è decisivo nel successo (e anche nell’insuccesso) di un’opera. Grazie al Sindacato Biblit le cose vanno meglio di un tempo, ma resta molto lavoro ancora da fare. Eppure, è bene ricordare che dietro ad ogni libro tradotto – vale a dire a più del 70% dei volumi pubblicati in Italia oggi – sta un professionista della traduzione il quale ha dedicato il suo tempo e il suo talento a volgere quel testo nella nostra lingua.
Ma come lavora? Chi è il traduttore? In questo special che dedico alla traduzione, mi piace ricordare una fenomenologia di John Dryden, riportata in uno studio di Cesare Segre che giustamente la considera tuttora esaustiva: Ogni traduzione, appartiene a tre categorie. La prima è la metafrasi, quando si ha una traduzione letterale, parola per parola. L’Arte Poetica di Orazio tradotta da Ben Jonson è pressappoco di questo tipo. La seconda è la parafrasi, che è una traduzione operante in uno spazio di significato meno ristretto; qui, pur mai perdendo di vista l’autore e tenendolo sempre accanto, non si segue tanto da vicino le parole quanto il senso della frase e anche se il senso non può essere alterato, in certi casi è legittimo, in una nuova lingua, ampliarlo. Avviene, ad esempio, per Waller nel Quarto Libro dell’Eneide. La terza categoria è l’imitazione, quando il traduttore (ammesso che a questo punto possa ancora chiamarsi tale) prende la libertà non soltanto di variare le parole ma d’aggiungere variazioni. Lo fa Cowley nel rendere in inglese due Odi di Pindaro e una di Orazio. Questo terzo modello operativo, il più acrobatico, per stare ai nostri giorni, ha guidato Umberto Eco in alcune parti degli “Esercizi di stile” di Queneau. Molti anni fa, ebbi il piacere d’intervistare per Radiorai Giulio De Angelis (ricordo ai più distratti ch’è il traduttore dell’Ulisse di Joyce) e alla domanda che gli posi su quale dovesse essere la più grande qualità di un traduttore, rispose: l’umiltà. E aggiunse un aforisma di Delphine de Girardin: “Quel tale si crede Kant perché l’ha tradotto”.
Scriverne di tutti i Colori
Ogni parola che si pronuncia fa pensare al suo contrario. Johann Wolfgang Goethe
Scriverne di tutti i Colori: Marina Rullo
Il premio speciale della giuria 2006 viene assegnato a Biblit, comunità di traduttori letterari, virtuale eppure quanto mai reale, nata nel 1999 per iniziativa di Marina Rullo traduttrice di professione, specializzata in traduzione letteraria presso l’Università di Roma La Sapienza. A distanza di sette anni dalla sua istituzione, Biblit riunisce e quotidianamente collega tra loro telematicamente oltre duemila traduttori letterari che da ogni parte del mondo lavorano – verso l’italiano – con tutte le lingue europee e con le principali lingue orientali.
Questa la motivazione del XXXII Premio Mondello Città di Palermo assegnato a Biblit. Marina Rullo – fondatrice di Biblit (in foto il logo) – è ora ospite di questo special. A lei ho chiesto di tracciare un profilo di Biblit e degli obiettivi che si propone. Biblit è nata nel 1999 come forum sulla traduzione letteraria da e verso l’italiano, per offrire a professionisti e appassionati un canale privilegiato attraverso il quale scambiare informazioni e confrontarsi con i colleghi su temi di interesse comune. Biblit.it, il primo sito Internet dedicato esclusivamente alla traduzione letteraria da e verso l’italiano, è nato a breve distanza con l’obiettivo di rendere disponibili tutte le informazioni e le risorse utili a chi muove i primi passi nel settore o a chi ha già esperienza in merito. Dall’esordio con una trentina di iscritti, nel giro di pochi anni, Biblit è diventata uno strumento quotidiano di lavoro per oltre 2000 professionisti e il motore di tante iniziative volte a sensibilizzare il pubblico e i media sul ruolo del traduttore. Il confronto quotidiano ha inoltre fatto emergere una serie di “nodi” comuni, favorendo la nascita di iniziative condivise per superare le tante incertezze della professione. Qual è, in questo momento, la cosa per la quale vi state battendo di più? La priorità di Biblit è sempre stata quella di aiutare i traduttori a raggiungere un livello professionale e un riconoscimento pubblico migliori. Tra i tanti progetti, ce n’è uno che ci sta particolarmente a cuore: la realizzazione in Italia di una Casa del Traduttore sul modello di quelle già esistenti in tanti Paesi europei. Un centro che possa ospitare i traduttori stranieri impegnati a tradurre nella propria lingua la nostra letteratura e offrire a tutti i traduttori italiani un luogo privilegiato di approfondimento professionale, anche attraverso una biblioteca specialistica che consenta a traduttori e studenti di traduzione di consultare testi a volte difficilmente reperibili. L’istituzione di una Casa del Traduttore, oltre a favorire la diffusione della letteratura italiana all’estero e la qualità delle traduzioni italiane, inserirebbe a pieno titolo l’Italia e i suoi traduttori nella grande rete della cultura europea. Ci auguriamo che le istituzioni si dimostrino sensibili a questa causa e vogliano dare vita al progetto.
Scriverne di tutti i Colori
Talvolta l’originale non è fedele alla traduzione Jorge Luis Borges
Scriverne di tutti i Colori: Luca Conti
Specializzato in narrativa angloamericana, è il traduttore italiano di alcuni dei più significativi autori del noir contemporaneo come Elmore Leonard, James Crumley e James Sallis. Ha curato, assieme a Giovanni Zucca, l'edizione italiana del “Dictionnaire des littératures policières” di Claude Mesplède (Mondadori, 2009). Suoi saggi sono apparsi in appendice ai romanzi “Il grande orologio”, di Kenneth Fearing (Einaudi), “Appuntamenti in nero” di Cornell Woolrich (Einaudi), “La dama della morgue” di Jonathan Latimer (Einaudi), “L’ultimo vero bacio” di James Crumley (Einaudi). Dal 1987 al 1994 ha collaborato al Giallo Mondadori con saggi, articoli e interviste. Altre collaborazioni con il settimanale Diario e ai quotidiani L'Unità e Il Riformista. Ha condotto trasmissioni a carattere musicale per la Terza rete radiofonica della Rai. Il suo più recente lavoro è: Claude Mesplède, “Dizionario delle letterature poliziesche” (Mondadori Reference, 2009; in uscita; con Giovanni Zucca)
A Luca Conti ho chiesto: aldilà delle specificità linguistiche dei singoli autori, è possibile identificare – e, se sì, qual è – la principale difficoltà nella traduzione dei noir? In realtà, nella mia esperienza, il problema più importante è proprio quello, troppo spesso trascurato in anni passati, delle specificità linguistiche dei singoli autori. In Italia resiste ancora, apparentemente incrollabile, la teoria della letteratura ‘alta’ contrapposta a quella ‘di genere’, distinzione che negli Stati Uniti, per esempio, si è molto attenuata negli ultimi trent'anni, per non dire che è in gran parte scomparsa. Autori come James Sallis, Elmore Leonard, James Crumley, James Lee Burke, sono particolarmente complessi dal punto di vista stilistico; Leonard in particolare, nascondendosi sotto un'apparenza sorniona e distaccata, è un indefesso sperimentatore di forme e tecniche narrative – basate in prevalenza sul dialogo e sullo sfalsamento dei piani temporali – che non hanno nulla da invidiare, che so, a un Don De Lillo. E il traduttore dev'essere ben consapevole di tutto ciò.
Scriverne di tutti i Colori
Le traduzioni delle opere letterarie, o sono fedeli e non possono essere se non cattive, o sono buone e non possono essere se non infedeli. Carlo Dossi
Scriverne di tutti i Colori: Paola Picasso
Ecco un autoritratto di questa nostra ospite:
Appena impugnata la penna, ho cominciato a scrivere favole senza capo né coda. Con gli anni le mie storie hanno trovato un inizio e una fine, ma non so dire se sia meglio. Amo scrivere e questo è scontato visto che ho pubblicato una ventina di libri per bambine, una decina per adolescenti e circa duecento romanzi per le signore e signorine che sognano l'amore. Oltre a questo ho scritto decine e decine di racconti più un romanzo "vero" la cui sorte è ancora da stabilire. Contemporaneamente a tutta questa produzione, traduco da circa trent'anni. Vivo in una grande casa in mezzo ai campi, circondata da cani gatti e altre specie non meglio identificate. Amo leggere, amo i bei film, la musica anni 60, il gioco del bridge, le conversazioni con chi ha qualcosa di sensato da dire e soprattutto mi piace ridere quando c'è qualcosa per cui ridere. Amo la natura e la vita e le perdono se a volte gioca dei brutti scherzi perché se si sta attenti, il compenso arriva sempre in abbondanza. Dimenticavo, mi diverto a dipingere con gli acquerelli e lavoro a maglia a grande velocità. Come riesco a fare tante cose? Non perdo tempo. Ho omesso per pudore che per sette - otto mesi nuoto come un delfino un po' spompato e faccio quotidianamente dieci minuti di ginnastica per non anchilosarmi. Dai mio autoritratto si può evincere che non mi prendo mai troppo sul serio e questo per non perdere di vista il senso delle proporzioni. Credo infatti che alla fin fine siamo tutti uguali. A Paola Picasso ho chiesto la principale difficoltà nella traduzione dei ‘rosa’. A parte la difficile comprensione di alcune parole in slang, direi che la difficoltà maggiore consiste nel mantenere o nel dare al testo un buon ritmo narrativo, eliminando le ripetizioni e gli stereotipi e a volte rendendo più incisivi i dialoghi. Spesso gli autori stranieri indulgono nella descrizione di dettagli inutili e noiosi che appesantiscono il testo. Il tutto tenendo ben presenti i limiti dell'impaginazione e cercando di divertirsi.
Scriverne di tutti i colori
Guai ai facitori di traduzioni letterali che traducendo ogni parola ne snervano il senso. Voltaire
Scriverne di tutti i Colori: Maria Concetta Scotto di Santillo
Nata a Roma, diplomata al Liceo Classico Diploma di Interpreti e Traduttori presso la SSIT di Roma Diploma Superiore di Spagnolo Proficiency del British Institute. Traduce dall’inglese e dallo spagnolo. Per l’editore Fabbri: “Summerland” di Michael Chabon, “Eragon” e “Eldest” di Christopher Paolini
A lei ho chiesto di parlare sul tradurre storie fantasy. La principale difficoltà nel tradurre libri fantasy è una costante che si ritrova praticamente in ogni testo del genere, ossia le rime, i giochi di parole e i nomi "parlanti", una vera sfida per il traduttore. Nel caso delle rime il dilemma è quasi sempre se restare fedeli all'originale, traducendo letteralmente ma perdendo la rima, o prendersi una "libertà vigilata" che consenta di rendere la musicalità di una rima senza deviare troppo dal significato intrinseco. Troviamo anche poesie di versi sciolti, senza metrica né rima, ed è responsabilità del traduttore scegliere quale via intraprendere. Personalmente preferisco sempre usare le rime, perfino quando non ci sono nel testo originale, perché sono più accattivanti e catturano in maniera più immediata e diretta l'attenzione del giovane lettore, che altrimenti potrebbe correre il rischio di "distrarsi" affannandosi dietro una serie di versi lunga magari anche due pagine. La rima resta meglio impressa nella memoria, ed è importante perché quasi sempre queste poesie hanno uno stretto collegamento con eventi che si verificheranno nel corso della storia narrata. Ci sono poi i giochi di parole, doppi sensi o parole omofone nella lingua originale, che in italiano spesso risultano insulsi o privi di significato. Anche in questo caso la soluzione spetta unicamente al traduttore: è chiaro che dovrà cambiare la frase, pur sforzandosi di trovare qualcosa di altrettanto arguto, sensato e soprattutto inerente al testo. La traduzione dei "nomi parlanti", ossia quei nomi che, vuoi per onomatopea o per significato, evocano una determinata immagine legata al personaggio o al luogo, in alcuni casi permette di restare fedeli all'originale, mentre a volte occorre sfrenare la fantasia almeno quanto l'ha fatto l'autore, ed è lì che ci si diverte!
Scriverne di tutti i Colori
Tradurre da una lingua a un’altra è come guardare un arazzo dal rovescio: se ne vedono le figure ma sono piene di fili che le rendono confuse. Miguel Cervantes
Scriverne di tutti i Colori: Giovanni Zucca
Nato a Piacenza nel 1957, vive e lavora a Milano dal 1998. Lettore e consulente editoriale per la narrativa francese, in particolare thriller e noir, per varie case editrici. Ha iniziato una nuova traduzione della serie a fumetti Tintin, per il gruppo Rcs, le cui prime uscite sono previste per il 2009. Ha collaborato come revisore anche a numerose altre traduzioni dal francese e dall’inglese. Appassionato lettore di gialli, noir e spy-story da quasi 40 anni, può vantare una solida conoscenza della letteratura e del cinema dedicati a questi generi. Ha curato, con Luca Conti, l’edizione italiana del Dictionnaire des littératures policières di Claude Mesplède (Dizionario delle letterature poliziesche, Mondadori, in uscita nei primi mesi del 2009). Ha scritto i suoi primi racconti nel 1989. Diversi hanno ottenuto premi e riconoscimenti di un certo rilievo: Mystfest, Noir in festival, Orme Gialle, Premio Ghostbusters, Tiro Rapido/Porsche. Suoi racconti sono apparsi, tra l’altro, su periodici e riviste quali Il Giallo Mondadori, Segretissimo, M-Rivista del Mistero, Delitti di Carta, NOIR; ha partecipato alle antologie Killers & Co. e Fez, struzzi e Manganelli (Sonzogno); Delitti D’amore, Professional Gun e Anime nere (Mondadori).
A Giovanni Zucca ho chiesto se esistono difficoltà particolari per la traduzione della letteratura gialla. Credo che le difficoltà non stiano nel genere in sé, e cioè nel giallo nel noir o nel rosa, ma nello scrittura e nello stile dei singoli autori. Ci sono autori che raccontano storie, anche bene, ma non hanno uno stile, una “musica” che risuoni dentro le loro righe. Altri che riescono a unire la tensione e l’intrigo con una scrittura non solo funzionale al plot. Al di là di questo, certo, il difficile è rendere al meglio, con le scelte lessicali, la tensione che corre (o trotterella…) tra le pagine. Chi acquista un giallo, un thriller o un noir (distinzioni sempre più labili e prossime, secondo me, a perdere ogni significato) vuole tensione, ritmo e scorrevolezza. Dovere e piacere del traduttore è darglieli, o meglio ri-darglieli in un’altra lingua, senza tradire (troppo) il testo originale. E uno ci prova… tentando sempre di dire, Eco insegna, “quasi la stessa cosa”.
Scriverne di tutti i Colori
Cosmotaxi Special per “Scriverne di tutti i Colori” Fine
mercoledì, 11 marzo 2009
Vade retro Vate
Domani, 12 marzo, ricorre il 146° anniversario della nascita di Gaetano Rapagnetta… non sapete chi è?... ma sì che lo sapete, è Gabriele D’Annunzio, all’anagrafe si chiamava così. D’Annunzio fu legalmente aggiunto al cognome della famiglia dal padre dello scrittore. Gaetan... pardon!... Gabriele, capì sùbito ch’era duro passare alla storia delle lettere firmandosi Rapagnetta e si regolò di conseguenza. Non sorprenda, era un genio nella promozione di se stesso, riuscì perfino (a 16 anni!) a spacciare per avvenuta la sua morte onde favorire la vendita del libro di versi “Primo vere”. Circondato dalla leggenda sulfurea da lui stessa meritoriamente creata – e che gli valse più di una censura vaticana – Gabriele D’Annunzio fu figura troppo ricordata quand’era in vita, troppo sbrigativamente dimenticata dopo la morte avvenuta a 75 anni nel 1938. Il fascismo ne sfruttò l’immagine (ma ne prese anche le distanze, ricambiato), Mussolini fu costretto persino ad una non breve anticamera a Gardone in una saletta dove i suoi occhi certamente lessero su di una parete quei versi che parevano apposta scritti per il dittatore: “… aggiusta le tue maschere al tuo viso / ma pensa che sei vetro contro acciaio”. Da quella lettura, come si sa, non trasse alcun insegnamento e s’infranse. In questi ultimi anni, la critica, sia pure in modo saltuario, è tornata ad occuparsi del Vate con prove d’alterna fortuna. Di sicuro, D’Annunzio fu uomo moderno più del suo tempo, s’occupò di cinema, di pubblicità, amava le novità della tecnica, non a caso fu tra i primi italiani abbonati al telefono: il suo numero era 104, e l’apparecchio stava (e sta) nella villa di Gardone in una cabina grossa quanto quella che vediamo oggi nelle strade. Adesso che il Futurismo, nel centenario del famoso Manifesto, è ricordato – spesso con esaltazioni dall’inaffidabile matrice politica – come movimento d’avanguardia, ricordo giudizi del Pescarese su Marinetti: “una nullità tonante”, “un cretino fosforescente”. Marinetti lo ricambiò dicendo di lui ch’era “noioso e anacronistico”, ma nei pochi incontri che ebbero manifestarono apparente amicizia alla maniera insincera delle prime donne, ognuna invidiosa della popolarità dell’altra. Nel riuscito tentativo di proporre un ragionato percorso critico sulla figura e l’opera di D’Annunzio, s’è misurato Luciano Curreri del quale in queste pagine ho già scritto recensendo il suo originale studio Pinocchio in camicia nera. Curreri, infatti, nel febbraio dello scorso anno, ha organizzato a Liegi un convegno internazionale di studi e da poco sono stati pubblicati da Peter Lang gli atti in volume: D’Annunzio come personaggio nell’immaginario italiano ed europeo. Di D’Annunzio, da quelle pagine esce un ritratto in 3D sul binomio arte-vita di cui si rese protagonista: analisi letteraria delle opere, i romanzi gialli che hanno visto il poeta sia pure in ruolo non protagonista, l’utilizzazione del suo profilo come simbolo in alcuni saggi storici, il Vate e i suoi rapporti col cinema, con la pubblicità, le sue donne, le sue case, la sua presenza nella satira, com’è stato visto dal fumetto, e com’è ritratto da molte letterature europee… insomma manca solo Second Life, sarà per la prossima volta. Non sono uno specialista di studi su D’Annunzio, appena un lettore, e solo d’alcune sue opere maggiori, ma una cosa, a considerare certe date, mi va di ricordarla. Mentre furoreggiava la figura del Vate, per limitarci alla letteratura, e solo a due esempi di quel tempo, Joyce aveva già pubblicato Gente di Dublino (1914) e l’Ulisse (1922), Svevo tutte le sue opere; di loro, però, allora, nessuno parlava.
CLIC! per una scheda sul libro, l’Indice, e i nomi degli autori.
domenica, 8 marzo 2009
Al cinema con Proust
Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – ivi, 18 novembre 1922) ha scritto “Se sognare un poco è pericoloso, la sua cura non è sognare meno ma sognare di più, sognare tutto il tempo”. Uno così lo si può immaginare amico del cinema, ma Proust non lo fu. Come, per citare un altro grande, non lo fu Kafka (“Se gli occhi sono una finestra sul mondo” – disse – “il cinema è una persiana di ferro”). Eppure si tratta di due autori cui lo schermo ha dedicato nel corso della sua storia non poche energie e chissà quante altre opere ci aspettano direttamente, o indirettamente, legate al mondo di Proust e a quello di Kafka. Di recente, è uscito, presso Marsilio un libro che è dedicato ad uno studio, estremamente ben condotto, documentatissimo, proprio ai rapporti fra Proust e il cinema. Titolo: Al cinema con Proust. Autrice Anna Masecchia, per foto e bio cliccate con fiducia QUI.
Ad Anna Masecchia ho chiesto: è possibile un bilancio fra quanto ha dato il cinema a Proust e Proust al cinema? Cominciamo dalla prima parte di questa domanda… Come si può dedurre dalle belle pagine dedicate in più occasioni all’effetto provocato dai nuovi mezzi di trasporto (automobile, treno e aereo) sulle percezioni soggettive delle categorie di spazio e di tempo, Marcel Proust non poté non essere sensibile alla sperimentazione tecnologica che portò alla nascita e diffusione del cinema. Tutte le modalità di analisi e scomposizione del movimento posero infatti alla sua sensibilità intellettuale e artistica problemi di natura estetica. Nella Recherche, il cammino di apprendistato che il Narratore compie prima di accingersi a scrivere il suo romanzo è cammino dell’esperienza e della rilfessione sull’arte: il cinematografo, scrittura del movimento (kinema graphein), è presente nella Recherche anche quando assente, come dimostra la pagina di 'Du côté de chez Swann' in cui il dormiveglia è associato alla percezione visiva prodotta dal kinetoscopio; il cinema come nuova forma di espressione artistica è invece previsto da Proust – che ha iniziato il suo ritiro a vita privata nel 1909 – e guardato con sospetto: lo ritroviamo, ad esempio, sotto forma di incipiente e impoverita ritualità sociale di massa nel 'Temps retrouvé', volume in cui schiacciante è la condanna di un mezzo di riproduzione che, non consentendo all’artista un’elaborazione stilistica, è lontano dall’arte e si arresta alla superficie della realtà. E quanto ha dato Proust al cinema? Se è vero che esiste, come io credo, un’eredità proustiana al cinema, essa si è espressa con maggiore chiarezza in quel cinema che ha saputo allentare le maglie del plot dando spazio, grazie ai vuoti e alla distensione temporale consentita dall’assenza di un rigido susseguirsi di eventi, all’immaginazione dello spettatore. Raoul Ruiz ha parlato della necessità di sollecitare nello spettatore un processo di noia 'activa': recuperando la tradizione classica, il regista vede nella noia un modo per compiere un viaggio dentro se stessi. In "Le intermittenze del cuore" Fabio Carpi ha tematizzato la modalità di lettura alla quale il romanzo proustiano invita: rendere alla letteratura particole di sé, mettendo in circolo la propria esperienza. Non è un caso che Carpi compia questa operazione inserendo nel film un discorso sull’industria cinematografica: le grandi case di produzione sacrificano spesso la presenza autoriale (stile/arte) a favore dell’intrattenimento spettacolare. Da questo punto di vista, la lezione della Nouvelle Vague trova spazio nelle letture cinematografiche della 'Recherche'. Nel tradurre un’opera letteraria (anche non di Proust) per lo schermo, qual è la prima cosa che faresti e quale la prima che eviteresti?
Per prima cosa mi immergerei nello spirito del tempo in cui l’opera letteraria è stata scritta per poi abbandonarlo, però, valorizzando le costanti e le variazioni presenti nel mio tempo. Eviterei di pormi qualsiasi problema di fedeltà e utilizzerei piuttosto il testo come un innesco che favorisca il processo creativo. Queste due operazioni sono del resto l’una inscindibile dall’altra. Per una scheda sul libro: CLIC! Anna Masecchia “Al cinema con Proust” Pagine 190, Euro 18:00 Marsilio
giovedì, 5 marzo 2009
La Torre di Asian
Nel novembre scorso, nel dedicare uno special di Cosmotaxi a “Rinascimento Virtuale” – convegno-mostra ideato e condotto da Mario Gerosa – presentai l’architetto Fabio Fornasari autore di uno strepitoso allestimento dell’esposizione “L’arte in Second Life e nei Virtual Worlds”. Torno a parlarne perché è all’origine di un romanzo collettivo in Second Life: La Torre di Asian. Rassicuratevi, roba molto lontana dal New Italian Epic (su che cosa penso di quelli lì ho già scritto e già troppo spazio ho dato loro), altrimenti non me n’occuperei. Credo che la scrittura in Rete, se scrittura mutante è, presto – anche grazie ad esperienze come questa condotta da Fornasari – conoscerà nuovi traguardi e mi auguro si sganci definitivamente dal dato narrativo per puntare sul metanarrativo; il mezzo elettronico lo permette e lo reclama.
Nell’Immagine, l’isola del romanzo in SL: Le rotative e la Torre di Asian. A Fabio Fornasari (aka Asian Lednev) ho rivolto alcune domande. “La torre di Asian”, perché questo nome? Il nome è dovuto al fatto che ho occupato uno spazio in Second Life chiamato proprio così: “La torre di Asian”. E’ un progetto che ha assunto diverse forme nell’arco di un anno. Si è spostato di sim in sim assumendo caratterizzazione specifiche in relazione del luogo nel quale si va a collocare. Questo non in una dimensione di dialogo con le forme preesistenti, con le architetture o le ambientazioni “locali” ma in una dimensione narrativa: sviluppa il proprio carattere in relazione alle caratteristiche “sociali” dell’ambiente dove si colloca. Prendendo a prestito dall’arte contemporanea direi che è il tema dell’ “installation art”: come in una sceneggiatura di una messa in scena o in un sogno, le cose che sono presenti assumono una dimensione narrativa completa. La scrittura in qualche modo ne è immagine e conseguenza: gli scrittori coinvolti nel progetto hanno raccolto, di loro spontanea volontà, l’invito di Azzurra Collas di costruire un racconto intorno a questo spazio alimentandone così la sua potenzialità di cambiamento Come nasce La torre di Asian? In qualche modo potrei dire che è l’immagine di un mio stare nella rete e nel mondo sintetico di Second Life e altri luoghi. Un mio modo che nasce inizialmente come il punto di arrivo di un mio pensiero sulla “fisica” e sulla “natura” di second life. Presentata come spazio performativo all’interno di una galleria mono-opera in Second Life, la Greenfield Room, è diventato un luogo di attivazione delle percezioni all’interno del metaverso, un luogo di incontro e di condivisione di tempo, incorporando al suo interno lo spettatore. Ora la torre la si può leggere accarezzandone le superfici con il proprio avatar, risalendo le pareti istoriate. Non è uno spazio contemplativo ma uno spazio dell’azione. La ricerca di una natura in second life è un viaggio all’interno di qualcosa di originario, di una origine condivisa o condivisibile. Cosa significa cercare una natura o sperimentare una dimensione fisica in rete? Significa cercare quegli elementi che riproducono una condizione specifica di un luogo che prescindono da una intenzione di azione dell’uomo (avatar). Come dire cercare quel qualcosa che è imponderabile, che chi ha progettato la piattaforma non ha progettato ma che comunque ha trovato qui il suo luogo. La dimensione del romanzo intesa come scrittura tridimensionale e verticale è la condizione della scrittura condivisa a partire proprio da quella esperienza che richiamo: lasciarsi cadere all’interno dello spazio della torre in una dimensione di condivisione di esperienze. E’ in questo modo che la torre ha incorporato e si è incorporata nella scrittura di Azzurra Collas, di MacEwan Writer, di Aldous Writer di Atma Xenja, di Deneb Ashbourne, di Sunrise Jefferson, di Piega Tuqiri, di Susy Decosta, di Alzataconpugno, di Titty Thor e di Margye. QUI Luoghi Sensibili, il sito condotto in Rete da Fabio Fornasari
martedì, 3 marzo 2009
Blog sulla Biologia
Come sanno i lettori di queste pagine web, Cosmotaxi sta dedicando particolare spazio ai duecento anni della nascita del grande naturalista inglese Charles Darwin e ai centocinquanta della pubblicazione del suo celebre volume L'origine della specie. Quel famoso libro conobbe la prima traduzione in Italia, nel 1864, presso la Zanichelli che proprio nel 2009 compie 150 anni d’attività.
L’Editrice, di recente, s’è dotata di un’area di blog scientifici fra i quali ne noto uno dedicato alla biologia condotto da una vecchia amica di Cosmotaxi: Lisa Vozza. Titolo della pubblicazione in Rete: Biologia e dintorni, un tracciato di pensieri, informazioni, curiosità; un ottimo esempio di come si possa fare buonissima divulgazione scientifica. La cosa non mi sorprende, infatti, Lisa Vozza, già curatrice per Zanichelli di una collana chiamata “I mestieri della Scienza”, per la stessa casa editrice, da alcuni mesi - come segnalai a dicembre scorso - guida Chiavi di lettura, un’indovinata serie di piccoli libri in grado d’orientare il lettore in modo semplice e chiaro su tanti temi scientifici di oggi.
Saggi su Darwin
Nelle date del Festival DNA, esce con benvenuta coincidenza una raccolta di saggi su Darwin presentata da Maria Turchetto conduttrice di quel Festival. Si tratta di una serie d’articoli sulla storia del darwinismo, i suoi nemici, i tentativi (anche nella scuola italiana) d’oscurare quella teoria. Il tutto a cura della redazione, coordinata da Francesco D’Alpa, del bimestrale "L’Ateo". Nel volume, intitolato Il nostro Darwin, trentacinque interventi di scienziati, filosofi, storici. Cliccate QUI per conoscere le librerie in cui è in vendita il libro.
“Il nostro Darwin” Pagine 307, Euro 12:00 Edizioni Uaar
domenica, 1 marzo 2009
Phantasus
Cosmotaxi si occupa raramente di poesia, escludendo del tutto quella lineare, dando solo talvolta spazio a quella verbovisiva o sonora. Maggiore preferenza ¨¨ riservata alla poesia videoelettronica (con mia preferenza alla rock poetry), ma solo se realizzata con nuove tecnologie che permettano di recensire la clip e anche, contemporaneamente, l'attrezzatura tecnica che ha permesso quegli avanzati esiti audiovisivi. Insomma, niente poeta che recita davanti alla telecamera. Le nuove ricerche espressive sul verso hanno in Arno Holz ¨C nato a Rastenberg (oggi Ketrzyn in Polonia) nel 1863 morto nel 1929 a Berlino ¨C un maiuscolo predecessore che ebbe tra i suoi massimi estimatori Herman Hesse. Ora dobbiamo al poeta e saggista Enzo Minarelli e a Donatella Casarini la pubblicazione, presso Campanotto editore, di Phantasus opera di quel grande poeta e drammaturgo. Per saperne di pi¨´ su Minarelli cliccate QUI; Donatella Canarini ¨¨ una germanista laureata all¡¯Universit¨¤ di Bologna con una tesi su Joseph Roth.
Cos¨¬ i curatori presentano il volume: Le poesie del ¡®Phantasus¡¯, chiamate dall¡¯autore ¡®Urphantasus¡¯, sono state pubblicate presso l¡¯editore Sassenbach in due volumi il primo nel 1898 e il secondo l¡¯anno successivo [¡] Vengono tradotte per la prima volta in lingua italiana, dopo oltre cent¡¯anni di letargo letterario, nella convinzione che esse introducono delle pratiche poetiche di assoluta novit¨¤ sia per il periodo in cui furono scritte che per il futuro sviluppo della poesia stessa [¡] In esse si riscontra un alto di tasso di sperimentazione, identificabile nella visualit¨¤ del testo ordinato secondo un asse centrale, ponendosi gi¨¤, al pari di Mallarm¨¦, il problema spaziale della scrittura sulla pagina [¡] Non ¨¨ azzardato dire che il Phantasus di Arno Holz funge da illuminato prototipo verso ¡°la poesia senza parole¡± di Hugo Ball, verso ¡°la parola caricata al massimo grado di significato¡± (Pound) e per certi aspetti di estrema rarefazione linguistica prelude anche al Finnegans wake di Joyce. Arno Holz ¡°Phantasus¡± Pagine 176, Euro 16:00 Campanotto
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