Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
mercoledì, 30 settembre 2009
Il cinema di Terence Young
Laureato in architettura con una tesi sui luoghi d’invenzione della “Recherche” di Marcel Proust, vincitore a 24 anni del Premio Pasinetti con un saggio sugli attori di Luchino Visconti, curatore di varie esposizioni, attualmente caporedattore di AD Architectural Digest, Mario Gerosa (Milano, 1963) è anche uno dei più autorevoli studiosi di Second Life con libri quali Mondi virtuali, Second Life, Rinascimento virtuale, volume quest’ultimo che prende il nome da un’omonima mostra-convegno ideata dallo stesso Gerosa e realizzata l’anno scorso a Firenze al Festival della Creatività. Con lui, ci crediate o no, tempo fa ho fatto un viaggio spaziale.
Ora, è da poco uscito un suo volume dal titolo Il cinema di Terence Young con una prefazione di Edward Coffrini Dell’Orto e un’introduzione di Dario PM Geraci. Libro che incrocia alla perfezione scrittura saggistica e documentazione storica (anno di produzione, tutti gli attori con i nomi dei personaggi interpretati, staff tecnico, sinossi di tutti i film del grande Young). Inoltre propone interviste esclusive con Ken Adam, Ursula Andress, Alessandra Celi (figlia di Adolfo), Ennio Morricone, Luciana Paluzzi, riuscendo, infine, ad avvicinare pure Aldo Zezza che del regista è stato il commercialista. Terence Young è soprattutto noto per avere diretto i più famosi film dell’agente 007, a partire dal primo: “Licenza di uccidere” (1963) che “definì il canone dello 007 cinematografico. Young infatti non solo inventò il Bond del grande schermo, ma creò uno ‘stile Bond’, un lifestyle legato al suo 007”. Uomo elegante, raffinato, colto, è stato un perfetto esempio di cinema di genere, si cimentò, difatti, con tutte le variazioni filmiche, dal trash al mitologico, dal western al thriller. A Mario Gerosa ho chiesto: che cosa principalmente ti attrae nell’opera di Terence Young? Di Terence Young ammiro soprattutto la personalità da grande innovatore. Fu un personaggio assolutamente eclettico, che cercò di non ripetersi mai, e che si misurò continuamente con vari generi. Questo atteggiamento, unito alla straordinaria esperienza acquisita, gli permise di creare una serie di contaminazioni inedite, reinterpretando a modo suo tipologie narrative ben definite. Young diresse film thriller, d’avventura, film storici e drammatici, oltre alle celeberrime spy stories di 007. In tal modo, quando si cimentava con un film di spionaggio non si limitava a rispettare i canoni classici di quel genere, ma inseriva delle sottotrame, degli altri livelli di lettura, che trasformavano quel film in qualcosa di inatteso. Così “Dalla Russia con amore” può essere letto anche come un noir e “L’avventuriero” oscilla tra il film storico e il dramma psicologico. Young fece un grosso lavoro sulla meta-narrazione. Purtroppo però in genere si coglie soltanto il livello più superficiale di lettura. E invece gli indizi ci sono, ma a volte sono ben nascosti, e per capirli bisogna aver presente la poetica di Young e la sua produzione nella sua integrità. Particolarmente in Italia, assai spesso, i registi disdegnano il mercato e, infatti, non sono poche le opere autoreferenziali (e non di rado assai noiose) che vengono fuori. Come spieghi, da dove nasce, quel comportamento che sembra avere in odio l’artigianato per proporre, poi, improbabile arte? Young, mi pare, assai lontano da tutto ciò… Credo che le ragioni siano molteplici. Da una parte c’è la tendenza a considerare indiscriminatamente di serie B molti film di genere – una tendenza che da qualche tempo è stata rimessa in discussione, grazie soprattutto al lavoro capillare di tanti appassionati. Poi, in generale, penso che talvolta manchi l’apprendistato presso i maestri. Per fare qualche esempio, Terence Young lavorò molto come sceneggiatore e poi imparò il mestiere di regista da Brian Desmond Hurst, mentre Luchino Visconti collaborò con René Clair in “Une partie de campagne”. Oggi capita che si salti questo passaggio fondamentale, che implica una formazione artigianale, una conoscenza profonda del mestiere e della tecnica narrativa. Altre informazioni sul libro le trovate sul blog dell’autore. Mario Gerosa “Il cinema di Terence Young” Pagine 313, Euro 18:00 Edizioni Il Foglio
lunedì, 28 settembre 2009
Segni e disegni
In queste pagine web, come ho più volte ripetuto, non recensisco libri di poesia cosiddetta ‘lineare’, cioè versi stampati. Ho segnalato, invece, e continuerò a farlo, rock poetry o videopoetry laddove non ci siano soltanto declamanti di fronte ad una telecamera, ma si tratti di clip agìti attraverso una composizione d’immagini, musiche, suoni che realizzino interlinguaggio; evidenziando anche gli strumenti tecnologici che hanno permesso quei risultati. Né mi smentirò oggi pur parlando di un volume che contiene versi perché appartengono ad un territorio che spazia tra disegno, suono e letteratura. Occhio da cui tutto ride di Giovanna Marmo – di cui qui mi occupo – ha proiezioni che vanno oltre la pagina, affidandosi a disegni finora inediti e rimandando a produzioni sonore esistenti anche in Cd. L’autrice è una delle voci che più stimo del nostro scenario intercodice, non a caso l’invitai tempo fa su questo sito dove è possibile ascoltare una sua performance sospesa tra musica e cartoon: QUI. Occhio da cui tutto ride s’apre e si chiude con note di Tommaso Ottonieri e Luigi Socci.
Giovanna Marmo, (in foto), esprime segni verbosonori e verbovisivi teneri e aggressivi, infantili e spudorati, evocando un crudele puppentheater sensuale e tellurico. Brevità ed essenzialità del tratto nei disegni fanno pensare ad haiku metropolitani tracciati sui muri da una mano la quale fa writing diaristico di una vita che è alla ricerca della propria tag. Scrive Ottonieri in prefazione: Tutto sembra filtrare dagli abissi claustrofobici d’un qualche intimo spazio alieno, incerto/chirurgico, popolato di creature e disturbanti oggetti che tutte, tutti ci appartengono Giovanna Marmo “Occhio da cui tutto ride” Pagine 125, Euro 12:00 Edizioni No Reply
venerdì, 25 settembre 2009
Veronica & Silvio
Alcuni di fronte ai recenti scandali derivati dai comportamenti di Berlusconi, hanno improvvisato un parallelo con quanto accadde a Clinton. Parallelo sbagliato per più motivi. Innanzitutto per l’indignazione che quel caso suscitò nella stragrande maggioranza del popolo americano a differenza di quanto accade da noi, e poi perché il Presidente americano non era padrone dei mezzi d’informazione (lo fosse stato, neppure lo avrebbero eletto) come lo è, invece, il Cavaliere che attraverso spot propagandistici stampati e audiovisivi occulta le tante manchevolezze del Governo e personali. E, ultima cosa ma non per importanza, mai Clinton denunciò i giornalisti che pure non gli risparmiarono sferzate e sempre rispose – dopo avere ammesso d’avere dapprima mentito – a tutte le domande, anche le più imbarazzanti, che stampa e tv gli rivolsero. Il caso italiano, allo squallore di tanti episodi (escort a parte, perché c’è dell'altro), presenta anche il volto dell’arroganza e della prepotenza. Proprio perché giornali e radiotelevisioni sono largamente nelle mani del Premier, solo in pochi svelano colpe e vergogne nascoste, a quei pochi deve andare la nostra riconoscenza. Come, ad esempio, alla casa editrice Dedalo che attraverso molti titoli propone riflessioni e inchieste su questi nostri giorni bui. E’ il caso, ad esempio, di Veronica & Silvio I segreti della first lady, gli intrighi del premier. Amore, tradimenti e denaro. La vera storia. L’autore è Mario Guarino, primo giornalista ad aver scritto un libro su Berlusconi (il best seller tradotto anche all’estero “Berlusconi. Inchiesta sul signor Tv”, pubblicato nel 1987 da Editori Riuniti e nel 1994 da Kaos). E’ anche il primo ad avere pubblicato una biografia ‘non autorizzata’ su Veronica Lario, libro che riscosse grandi polemiche nel 1996. Per Dedalo, nel 2005, ha già pubblicato L'orgia del potere. Testimonianze, scandali e rivelazioni su Silvio Berlusconi.
In Veronica & Silvio, Guarino raffigura attraverso la storia di questa coppia – seguendone passo passo le vicende dal primo incontro ad oggi – i profili psicologici dei due e i casi che li hanno portati dapprima ad un allontanamento e poi allo scontro. Né si limita a questo, perché nell’ultima parte descrive le ipotesi di quanto accadrà, dal punto di vista finanziario, dopo il divorzio. Un libro come questo, di solito, presenta il grosso rischio di cadere nel gossip, l’autore scansa questo pericolo attraverso una rigorosa documentazione che raramente m’è capitato di vedere tanto accorta e puntigliosa in volumi che ricostruiscono biografie tra il pubblico e il privato. Scrive acutamente Lidia Ravera nell’introduzione: A trent’anni dalla prima volta che ha invitato a cena Veronica, Berlusconi tende a costringere noi a sposare le sue favorite, proponendole come rappresentanti del popolo italiano, alla Camera, in Senato, al Parlamento Europeo, al Governo. I sudditi abbozzano, i cittadini s’innervosiscono, baccagliano, bofonchiano. Il Principe non fa una piega [… ] gli basta avvisare la sterminata audience del reality in cui recita la parte di Protagonista così assoluto da essere, contemporaneamente, “il buono” e “il cattivo”: vado da Padre Pio. Chiudo Villa Certosa. Salgo ginocchioni la Scala Santa (questo non l’ha ancora detto, è un consiglio). Ancora una cosa. Questo libro è stato raramente, rarissimamente, recensito sulla stampa e mai dai network tv. C’è da meravigliarsene? Per una scheda sul libro: QUI. Mario Guarino “Veronica & Silvio” “Veronica & Silvio Introduzione di Lidia Ravera Pagine 160, Euro 13:50 Edizioni Dedalo
Videoart in Tv
Mentre Raiset e Mediarai trascurano la videoarte troppo prese come sono a trasmettere apologie dei caporali e delle soubrettes di governo, altrove si trovano cose interessanti. Ad esempio, una rassegna video fruibile sia on air, sia on demand, con la possibilità di scegliere ogni singolo video quando si vuole, e di leggere la sinossi di ogni lavoro sia in italiano e sia in inglese. Questo offre "Italian Video Emergencies" programma proposto da VisualContainerTv (webTv interamente dedicata alla video arte, un progetto di VisualContainer, il primo distributore italiano di videoart), che offre al pubblico la possibilità di fruire opere provenienti da festival internazionali e progetti curatoriali da tutto il mondo. Una compilation con oltre trenta video, mentre nella sezione SpecialOne - dedicata alle monografie - si presenta il progetto video di Francesco Arena Breaths/Respiri, con un estratto di dodici video. Fra gli artisti presentati ci sono Rebecca Agnes, Elena Arzuffi, Silvia Camporesi, Sabrina Muzi, Enzo Umbaca.
www.visualcontainer.tv Fino al al 30 ottobre 2009
lunedì, 21 settembre 2009
Lo scienziato come ribelle
Chi è Freeman Dyson? E perché parlano tanto bene di lui? Nato nel 1923, è un fisico e matematico americano di origine britannica. Ha teorizzato che società tecnologicamente avanzate potrebbero circondare completamente la propria stella natìa per catturarne l’energia attraverso una struttura nota come Sfera di Dyson. In pratica, un possibile metodo di ricerca delle civiltà extraterrestri. Sostiene, pur non negando rischi possibili, che in un futuro non lontano “la biotecnologia diventerà un’attività domestica, condotta con kit biotech fai-da-te. Nasceranno ‘biotech games’ con cui i ragazzini, muniti di sintetizzatori del Dna a bassissimo costo, acquistati come oggi fanno con l’iPod, giocheranno usando vere uova e sementi vive, proprio come oggi giocano con le immagini sullo schermo dei computer” (da un’intervista che ho rintracciato su “L’Espresso” del 2 giugno 2005). Per capire il pensiero e le ricerche di Dyson è, però, impossibile prescindere dal suo maestro Richard Feynman (1918-1988), ritenuto il padre delle nanotecnologie, verso il quale Dyson nutre una vera e propria “idolatria”; così, difatti, la definisce nelle pagine di Lo scienziato come ribelle che, nella fluida traduzione di Libero Sosio, Longanesi, ha mandato da poco nelle librerie. Feynman, per dirne solo un paio, sparì per un anno senza che nessuno sapesse niente di lui finché s’apprese ch’era in Brasile a studiare lo strumento musicale frigideira; sul suo biglietto da visita, dopo aver preso il Nobel nel 1965, volle stampato Premio Nobel, cantastorie, suonatore di bongos.
“Lo scienziato come ribelle” ha già un titolo che chiarisce le intenzioni dell’autore. Va detto, però, che accanto ai profili di celebri ribelli (da Giordano Bruno a Galilei, da Franklin a Priestley, fino a Einstein, Sacharov, senza trascurare ribelli d’Oriente da Omar Khayyâm ai grandi fisici indiani quali Raman, Bose, Saha) questo libro contiene anche dell’altro. E’, infatti, diviso in quattro parti. La prima si occupa di problemi derivanti dalla scienza e tecnologia, la seconda dei problemi suscitati dalla guerra e dalla pace, la terza di storia della scienza e la quarta di riflessioni personali su vari temi filosofici. In ognuna di queste quattro parti, appaiono scienziati ribelli. “Non esiste una visione scientifica unica come non esiste una visione poetica unica” – scrive Dyson – “La scienza è un mosaico di visioni parziali e conflittuali. In tutte queste visioni c’è però un elemento comune: la ribellione contro le restrizioni imposte dalla cultura localmente dominante, occidentale o orientale che sia”. Una lettura scorrevole, resa tale dalla grande capacità divulgativa dell’autore, che pur portando chi legge in vari territori della storia e della ricerca, ha, inoltre il merito di ruotare sempre intorno ad un solo asse: l’analisi del nostro tempo. Accanto a quella scientifica, teorica e pratica, Dyson ha svolto un’intensa attività di saggista. Tra i libri tradotti in italiano: “Turbare l’universo” (1981, 1999), “Armi e speranza” (1984), “Infinito in ogni direzione” (1989), “Da Eros a Gaia” (1993), “Mondi possibili” (1998), “Il sole, il genoma e Internet” (2000), “Origini della vita” (2002). Per una scheda sul libro: CLIC! Freeman Dyson “Lo scienziato come ribelle” Traduzione di Libero Sosio Pagine 304, Euro 20:00 Longanesi
sabato, 19 settembre 2009
Tavole italiane: Lo Stil Novo
Apro questa nota rivolgendomi ai redattori delle guide gastronomiche: d’accordo, non sono un vostro collega, ma appartengo alla categoria dei ghiottoni e scrivo spesso d’enogastronomia, datemi retta: visitate Lo Stil Novo di Roma, sono certo che poi non disprezzerete questo mio consiglio. Di luoghi così proprio Roma ha molto bisogno perché accanto a (pochi) eccellenti posti (a prezzi disumani, però) presenta un panorama non all’altezza delle altre capitali europee. Il locale è diretto con competenza dal giovane patron Riccardo Berardi che dal maggio 2008 ha messo su questo ristorante con un menu che varia ogni quadrimestre affiancandogli una sapiente cantina; inoltre, ha organizzato spazi di sobria eleganza, tavoli distanziati, luministica azzeccata perché non abbacinante come un set cinematografico, ma neppure tenebroso come perniciosamente sta andando di moda mal intendendo l’intimità con simulazioni di cecità. Altro merito è la trasparenza applicata ai costi, infatti, sia per il menu alla carta e sia per quelli di degustazione troverete i prezzi sul sito (Clic); lo stesso dicasi per i vini, gli spumanti e i distillati (altro Clic). La cucina, eccellente, con accorte innovazioni, vede all’opera lo chef Emanuele Maggio ch’esprime pari maestrìa su paste e carni, pesci e verdure. In sala, Giorgio sa come essere consigliere interpretando i gusti del cliente, orientando prima ancora di suggerire. Lo Stil Novo, pratica serate in cui ospita noti chef italiani che presentano le loro creazioni. Date future di questo 2009: 28 settembre, Gennaro Esposito: “Torre del Saracino” di Seiano; 13 ottobre, Niko Romito: “Reale” di Rivisondoli; 11 novembre, Valeria Piccini: “Caino” di Montemerano; 15 dicembre, è di scena il mio vecchio amico Massimo Bottura chef e patron della “Francescana” di Modena. Lo Stil Novo Via Sicilia 66 b, Roma Tel/Fax: 06 – 434 11 810 Mail: bmsrl@hotmail.it Chiuso la domenica
venerdì, 18 settembre 2009
Es.terni a Terni
Es.terni, Festival internazionale dedicato alla creazione contemporanea è giunto alla sua quarta edizione. Durante i nove giorni del festival la città si trasformerà in un distretto creativo dove spettatori e artisti s’incontrano e confrontano sui temi e gli esiti della trasversalità espressiva. Teatro, danza, arti visive, performance, installazioni, video art, superando il confine dei generi, nel programma varato propongono realizzazioni ispirate all’interlinguaggio, all’intercodice. Quest’anno il centro del Festival sarà CAOS, il Centro Arti Opificio Siri che, inaugurato di recente, si compone di 6000 mq di spazi nei quali si trovano il Museo d'arte moderna e contemporanea “Aurelio De Felice”, luoghi espositivi per mostre temporanee, il Museo archeologico, la Biblioteca museale, un teatro da 300 posti, un bar bookshop. Gli artisti si esibiranno anche in molte location non convenzionali, animando con le loro performances l’intera città di Terni con interventi artistici e architettonici “site specific”, incursioni urbane e ottiche inusuali sulla città, dal primo pomeriggio fino a tarda sera.
Grazie al progetto “Nuove creatività” dell'ETI, Ente Teatrale Italiano, il Festival ha proseguito l’attività di supporto all’innovazione e alla sperimentazione di alcuni giovani gruppi della scena italiana. I progetti sostenuti sono: “Figure” di Silvia Costa/Plumes dans la tête, co-prodotto da Uovo Performing Arts Festival di Milano; “Postilla” dei Menoventi, un percorso per un solo spettatore alla volta; “Undo” dei Sineglossa, che esplora la ricerca sulla rifrazione e sulla capacità che ha la luce di nascondere. Accanto a loro, alcuni interessanti artisti della scena teatrale emergente tra cui Fibre Parallele, Caterina Poggesi e Helen Cerina. Proseguendo la politica di sostegno dei talenti del territorio, quest’anno il festival offre visibilità a giovani artisti locali che hanno già ricevuto riconoscimenti di livello nazionale come Caterina Moroni, Leonardo Delogu, con il gruppo composto da Davide Tidoni, Laura Arlotti, Giovanni Marocco e Matteo Ceccarelli, il collettivo musicale Rumori Fuori Scena. La coreografia italiana è di scena grazie alla presenza, tra gli altri, di: Roberto Castello con le sue scorrerie urbane in forma di danza e lo spettacolo “Nel Disastro”, anteprima dell’ultimo capitolo del progetto ‘Il migliore dei mondi possibili’; Marina Giovannini e Samuele Cardini, vincitori del “Premio Equilibrio Roma 2008” presenteranno nell’edizione integrale “Pausa Paradiso”, mentre il giovane Gruppo Nanou s’esibirà con il lavoro “Motel - 1a stanza”. Tra le presenze di autori già noti della scena italiana, ecco i Motus con il suggestivo e immaginifico “Crac” – in foto un’immagine dello spettacolo – deriva del progetto ‘X (ICS - racconti crudeli della giovinezza)’; Antonio Rezza e Flavia Mastrella con il loro “Pitecus”; la comicità cinica e corrosiva di “Rubbish Rabbit” dei Tony Clifton Circus. Tanti gli ospiti stranieri: da Roger Bernat a Kristian Al Droubi, da Pere Faura a Adrian Howells, da Vanessa Jousseaume ai Refunc. La collaborazione con la BCT - Biblioteca Comunale di Terni si svilupperà, con ‘Living library’, una biblioteca vivente dove i libri sono persone disponibili a raccontare le loro storie vere. Particolare rilievo quest’anno anche ai molti eventi collaterali: dai corner dedicati al design, alle matinée, alla presentazione di libri, agli incontri con gli artisti, alla radio del festival ideata dalla redazione di ‘Altre Velocità’ fino alla festa finale. Merita particolare segnalazione ‘Generation²’, tavola rotonda in collaborazione con “Trickster” - Rivista del Master di Studi Interculturali dell’Università di Padova – e con il supporto di Officina Letteria del Ces.vol. di Terni: l'incontro s’inserisce in un ampio programma, articolato in plurali iniziative focalizzate sul tema degli immigrati di seconda generazione. Es.terni è il risultato di un progetto di Indisciplinarte, Compagnia del Pino e Demetra in un tavolo di lavoro con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni e il Teatro Stabile dell'Umbria . La realizzazione è curata in collaborazione con Civita. Per il programma dettagliato, foto e sinossi degli spettacoli, cliccare QUI. L’Ufficio Stampa è guidato da Luca Dentini, +39 340 3886992 / +39 0744 460663 ES.TERNI - IV edizione Caos, Viale Luigi Campofregoso 98 Da oggi al 26 settembre ‘09
mercoledì, 16 settembre 2009
Le vie dei Festival
In un anno in cui, purtroppo, molti Festival hanno chiuso i battenti, è da salutare con gioia Le vie dei Festival, Festival dei festival, che anche quest’anno, come fa da sedici anni, presenta a Roma il meglio del teatro visto nelle manifestazioni dell'estate. Il merito di questa impresa va alla tenacia, passione e competenza di Natalia Di Iorio – validamente assistita in questo difficile lavoro da Aldo Ambrosi alla direzione organizzativa – che proprio in questo 2009 presenta una maiuscola edizione di questa rassegna nata nell’àmbito d’attività dell’Associazione culturale Cadmo.
“Le vie dei festival” ha sempre proposto una propria vocazione internazionale. Qui si sono incontrati per la prima volta artisti che oggi sono unanimemente considerati i maestri della nuova scena non solo europea, da Eimuntas Nekrosius a William Kentridge e Alain Platel, fino ad Alvis Hermanis protagonista della scorsa edizione con due emozionanti creazioni. Qui si sono potute conoscere alcune delle esperienze più innovative di questi anni, quelle che maggiormente interrogano la forma del teatro che verrà, come l'intrecciarsi di cinema e teatro nel Big Art Group di Caden Manson, la poetica scrittura drammaturgica di Amir Reza Koohestani, la danza energica di Erna Omarsdòttir. Da mettere a confronto naturalmente con un teatro italiano altrettanto ricco di fermenti, sia che guardi alla“tradizione del nuovo” con Pippo Delbono, Scimone e Sframeli, Socìetas Raffaello Sanzio,Tiezzi e Lombardi, sia che si apra alle ultime generazioni della scena. Se quest'anno “Le vie dei festival” ha scelto di fermare lo sguardo sul panorama nazionale (in foto un momento di “Dies Irae” del Teatro Sotterraneo), non è certo per rinnegare questa sua vocazione internazionale. C'è piuttosto la volontà di testimoniare fortemente un nuovo teatro italiano che da più di quarant'anni ha saputo imporsi per forza espressiva e capacità di rinnovamento, un vero e proprio unicum sulla scena europea. Ma c'è anche, in questa scelta, un gesto di sostegno e di vicinanza. La rivendicazione di un valore, nel momento in cui la stretta economica sembra rendere ancora più incerta la vita del teatro. Non è un caso che il Festival si apra con un omaggio a Leo de Berardinis, a un anno dalla morte di colui che è stato nel suo esemplare percorso artistico non solo un rigoroso innovatore, ma con altrettanta convinzione un maestro di arte e vita. E il modo migliore di onorarlo non poteva essere che quello scelto dalla Di Iorio: rivederlo sulla scena, seppure nella forma mediata dallo schermo; di ascoltare la sua voce, di tornare alle origini di un processo creativo che ha sempre visto nella “sperimentazione” non una fase ma l'oggetto stesso della pratica artistica. Ed ecco, a seguire, a confronto generazioni diverse della nostra scena teatrale. Chi come la Socìetas Raffaello Sanzio si è da tempo imposta fra i protagonisti a livello internazionale o come Motus ha già varcato con successo i confini nazionali; chi sta ancora maturando il proprio percorso espressivo ma già rivela personalità e rigore. Per il calendario degli spettacoli: QUI. Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, l’Ufficio Stampa è guidato da Simona Carlucci: 0765 - 42 33 64 e 335 - 59 52 789 - carlucci.si@tiscali.it Le vie dei Festival In collaborazione con il Teatro di Roma Al Teatro India Dal 18 al 27 Settembre ‘09
lunedì, 14 settembre 2009
Lezione di nuoto
Scrivere una biografia, o un momento della vita di un noto personaggio, affidandosi sì a documentazioni, ma anche alla fantasia è cosa difficilissima da fare, un salto acrobatico dal trapezio della storia a quello dell’immaginazione e ho visto molte penne fratturate dopo quel zompo. Non così la penna di Valentina Fortichiari che in Lezione di nuoto - Edizioni Guanda – esce da quel volteggio in maniera stilisticamente perfetta. L’autrice, nata a Milano dove lavora in campo editoriale, fra le sue pubblicazioni ha curato in particolare l’opera di Guido Morselli e Cesare Zavattini. La Fortichiari potrebbe dare lezioni di nuoto perché ha svolto attività agonistica proprio da nuotatrice (Tea ha pubblicato anche un suo manuale sul nuoto), ma questa lezione acquatica si riferisce all’istruzione natatoria ed erotica che la scrittrice francese Colette (1873 – 1954), impartì al diciassettenne Bertrard figlio del suo secondo marito Henry de Jouvenel. Siamo nell’estate del 1920, allora Colette aveva quarantasette anni. Personaggio complesso fu Colette, oltre che scrittrice è ricordata come danzatrice (creando scandalo per le nudità esibite), attrice, giornalista, critico teatrale. Famosissima nei suoi anni, “La sua scrittura” – scrive Julia Kristeva - “è una compenetrazione tra la lingua e il mondo, tra lo stile e la carne, che le rivela l’universo e i corpi come un arabesco”. Il principale merito di Valentina Fortichiari in questo suo libro, risiede a mio avviso nel rendere con delicata scrittura non solo le atmosfere sensuali di quest’incontro passionale alle soglie di un incesto, ma di essere stata capace di rappresentare attraverso quest’episodio realmente avvenuto, tutta la figura di Colette. Un ritratto che aiuta a capire quel suo essere al tempo stesso infantile e sfacciata, tenera e aggressiva. A Valentina Fortichiari ho posto alcune domande. Quando hai ideato questo lavoro qual è la prima cosa che hai deciso era da farsi e quale la prima da evitarsi? La prima cosa da farsi era verificare sul campo quanto avevo letto sull’intera faccenda fra Colette e Bertrand. E dunque, ho trascorso il mese di agosto di qualche anno fa negli stessi luoghi, ho nuotato nella stessa baia, ascoltato rumori, guardato colori, studiato le maree, sbirciato la casa (dalla quale privati mi tenevano lontana). E già lì ho cominciato a descrivere, ad annotare sulla carta le “lezioni di nuoto”; il resto è venuto dopo. La prima cosa che ho pensato fosse meglio evitare: la volgarità nelle scene d’amore (data la scabrosità del tema), la complessità della scrittura. Ho amato Calvino, le sue “Lezioni americane”. Volevo narrare con semplicità, leggerezza, rapidità, consistenza dei sensi. La scrittura saggistica mi era familiare, provarsi con quella narrativa è altra cosa. Ho iniziato la stesura nel 2005, ho congedato il testo (che avrei tenuto ancora a lungo) quest’anno: ho corretto all’infinito, letto ad alta voce le frasi, tagliato, levigato, prosciugato. Lasciato un ‘osso di seppia’ sulla pagina. Come spieghi l’antifemminismo di Colette che sulle suffragette ebbe sprezzanti dichiarazioni? Per l’idea che mi sono fatta io di Colette (ma non dimentichiamo che di racconto si tratta, dunque di un’opera di fantasia, anche se ha attinto dalle vicende reali), lei era persona di forte temperamento e quasi protofemminista nelle scelte esistenziali, nella spregiudicatezza del suo vivere, ma del tutto refrattaria a farne bandiera di qualunque colore politico, a farne impegno ideologico o lotta di classe, vale a dire di casta. Non ha mai portato avanti rivendicazioni contro gli uomini, non si è schierata contro uomini o donne, anzi ha amato della stessa forza gli uni e le altre. A tuo avviso, quale il principale segno che ha lasciato Colette nella letteratura? Confesso che non solo non ho amato Colette ma neppure avevo letto tutta la sua opera (cosa che ho fatto sistematicamente prima di scrivere il racconto). Di lei ho apprezzato opere come “Il grano in erba”, “Sido”, “Il puro e l’impuro” (le due ultime quasi saggistico-autobiografiche). Non amo la serie delle Claudine e neppure molto “Chérì”. Di lei ho studiato e approfondito la vicenda personale, anche perché adoro da sempre il genere della scrittura in prima persona, le biografie, le autobiografie, gli epistolari. Sto scoprendo che anche in Italia ci sono estimatori di Colette, addirittura club e associazioni che si ritrovano a leggere i suoi libri, quando mi ero fatta l’idea che fosse quasi del tutto dimenticata (o non avesse mai attecchito, per strani fenomeni che hanno toccato anche Savinio, per esempio, uno scrittore formidabile). Spero che libro e film (il film che il regista Stephen Frears ha tratto proprio da Chérì, con una splendida ma algida Michelle Pfeiffer) contribuiscano a farla apprezzare da quanti ancora non la conoscono oppure non l’hanno amata (qualcuno mi ha detto “me l’hai resa persino simpatica”). Diciamo che Colette ha pescato nell’amore, nei territori dei sentimenti con grande libertà, grande coraggio e una inconfondibile cifra letteraria, favorita da anni di ‘trasgressione’ e di totale libertà privata e pubblica. In Francia la sua figura nel Pantheon del Novecento è gigantesca e non ha rivali. Valentina Fortichiari “Lezione di nuoto” Pagine 177, Euro 13:00 Guanda
venerdì, 11 settembre 2009
Magellano racconta
La divulgazione scientifica è un genere editoriale di difficile fattura, più difficile ancora quando è diretta ai ragazzi. In Italia, poi, la situazione è messa male per più motivi, il principale dei quali lo ravviso nell’impronta gentiliana che ancora affligge i programmi scolastici rendendo proprio le scienze materie mal praticate. A questo s’aggiunga che nel nostro paese l’invadente presenza vaticanesca (non è un mistero che l’istruzione scientifica da sempre non sia troppo amata dalla Chiesa) peggiora le cose. Ricordate quando anni fa ci fu il tentativo del Ministro Moratti d’introdurre accanto all’insegnamento dell’evoluzionismo anche quello del creazionismo? Maggiore merito va, quindi, alla Casa Editoriale Scienza che da anni pubblica libri che in modo efficacissimo sono diretti ai ragazzi alle loro prime letture. E, altro merito, è anche aver pescato un ottimo autore italiano di quel genere letterario, si tratta di Luca Novelli; il suo sito web QUI. Nato a Milano nel 1947, scrittore, cartoonist, giornalista, esordisce all'inizio degli anni Settanta con le Histoyrettes (Eureka, 1971) e gli Edenisti. Nel 1974 crea la strip quotidiana "Il Laureato" pubblicata da Il Giorno e Il Messaggero e raccolta in vari volumi da Bompiani e Mondadori. Nel 1978 comincia a scrivere e disegnare libri di scienza per ragazzi e può vantare oggi traduzioni in oltre venti lingue. Nel 2000 inizia la collana ‘Lampi de Genio’ per l'Editoriale Scienza, biografie di grandi scienziati (da Einstein a Leonardo). Otterrà vari riconoscimenti e premi, il più recente gli è stato conferito nel 2007: il Premio Andersen per la divulgazione. E proprio nella collana ‘Lampi di Genio’ segnalo questo riuscitissimo Magellano e l’oceano che non c’era. Come nel trattare altre figure attraversate dalla luce del Genio, qui è usata l’indovinata formula che a parlare sia lo stesso Magellano (1480 - 1521) nei panni dello io narrante, ed il racconto è accompagnato da un ricco corredo di disegni e fumetti. Magellano traccia la propria storia da paggio alla corte del re del Portogallo ad ammiraglio, primo europeo a navigare nel fino allora sconosciuto Oceano Pacifico. La storia del suo viaggio è pervenuta a noi tramite lo scritto di un italiano che vi partecipò: Antonio Pigafetta. Ancora oggi “Relazione del primo viaggio intorno al mondo” è ritenuto uno dei più preziosi documenti sulle grandi scoperte geografiche del Cinquecento. Il volume Magellano di Novelli, si conclude con un utilissimo “Dizionarietto Magellanico” per capire e ricordare meglio i luoghi, le persone e i concetti del racconto. Ecco un librino, agile e divertente, che ben si presta in quest’epoca di (tormentata) riapertura delle scuole a essere regalato ai ragazzi intorno agli otto anni.
Per un assaggio di lettura: CLIC! Luca Novelli Magellano Pagine 128, Euro 8:90 Editoriale Scienza
mercoledì, 9 settembre 2009
Il testamento di Borges
Da qualche anno troviamo alle fermate di metropolitane, traghetti, ferrovie, su piccole librerie a scaffali aperti, tanti librini che possono essere ritirati gratuitamente. Contengono racconti offerti secondo un’originale proposta che si riferisce al numero di fermate occorrenti per leggere un singolo titolo; sicché abbiamo racconti da 4 fermate, da 5 fermate, da 10, e così via. Roba, quindi, sul breve. Si tratta del Premio Subway nato nel 2002 da un progetto di Davide Franzini e Oliviero Ponte di Pino. L’iniziativa, no-profit, punta a scoprire e valorizzare nuovi talenti letterari. Stimo il lavoro svolto da Walter Pedullà, ma ha scritto sul Messaggero del 24 agosto, una cosa dalla quale dissento. Dopo aver affermato, con ragione, “che tutti aspirano al romanzo ma pochi lo sanno scrivere, invece si scrivono eccellenti racconti”, conclude con un invito: “Scrittori dedicatevi al racconto. Costa meno fatica scriverlo e ancor meno leggerlo”. No, non ci siamo. Scrivere un racconto riuscito è la prova più difficile da imporre alla penna. Mi ricordo di un vecchio motto: ti scrivo una lettera perché non ho tempo per una cartolina. La forma breve non perdona pause, castiga ogni incertezza. Una delle opere letterarie più alte al mondo, infatti, credo sia “La scrivano Bartleby” di Melville, un racconto, appunto.
Dei librini Subway di quest’anno, particolarmente m’è piaciuto Il testamento di Borges del 19enne Marcellino Iovino che affida alla pagina un esercizio metaletterario. Scrivere leggendo e leggere scrivendo è quanto prediligo e, non a caso, pratico infliggendolo ai miei pochi lettori. Lucia Rodler, nella breve (e lucente) prefazione, giustamente, parla di “una rapidità combinatoria ariosa e onirica” riferendosi a questo testamento contraffatto di cui narra Iovino che “risulta convincente” – ancora la Rodler – “anche grazie a un elemento per così dire magico, la sfera che contiene l’Infinito, attorno a cui l’autore compatta un testo compiutamente borgesiano, cioè labirintico, inclusivo, babelico”. Da tenere d’occhio questo giovane scrittore, potrebbe rivelarsi uno di quei talenti letterari che il Premio Subway mira a rivelare. Da parte mia, gli rivolgo un solo augurio: mai gli venga voglia di scrivere un romanzo. Continui lungo la strada di cellulosa dei racconti, arte difficile, difficilissima, che in questo "Testamento di Borges" ha tanto ben praticato. Ma se proprio un giorno la tentazione del romanzo gli venisse, lo prego di riflettere, prima d’accingersi all’opera, a quanto disse Giorgio Manganelli: Basta che un libro sia un "romanzo" per assumere un connotato losco . Marcellino Iovino “Il testamento di Borges” Racconto da 8 fermate Distribuito gratuitamente Ed. Subway Letteratura
lunedì, 7 settembre 2009
Territori
“Che effetto vi farebbe” – scriveva Carlo Petrini un anno fa – “se vi dicessero che su tutto il territorio del Lazio e dell'Abruzzo non esiste più un solo filo d'erba, neanche un orto; che le due Regioni sono state completamente, e dico completamente, cementificate? Sono sicuro che la maggioranza degli italiani inorridirebbe […] negli ultimi 15 anni, se si fa un confronto tra i censimenti agricoli del 1990 e del 2005, in Italia sono spariti più di 3 milioni di ettari di superfici libere da costruzioni e infrastrutture, un'area più grande del Lazio e dell'Abruzzo messi insieme. Poco meno di 2 milioni di ettari erano superfici agrarie. Però nessuno sembra inorridire”.
Di fronte a questa catastrofe ambientale che l’attuale governo ha fieri propositi di renderla ancora più catastrofica, l’architetto e poeta visivo Giovanni Fontana, dalle pagine della rivista Territori da lui diretta, lancia la proposta di una Casa dell’Architettura la quale dovrebbe porsi come struttura di servizio per la promozione della cultura architettonica, per promuovere conoscenza e sviluppare la sensibilità, partendo da un fulcro interno, intorno al quale possano gravitare idee e attività di ricerca, laboratori disciplinari e interdisciplinari, che partendo anche da ambiti strettamente tecnici e professionali possano, però, aprirsi alla sensibilizzazione e al dialogo delle componenti sociali più diverse tecniche e non […] un progetto di compartecipazione allo studio e alla gestione dell’architettura, riservando uno spazio centrale al restauro e al riuso del patrimonio storico. Certo, i tempi non mi sembrano troppo propizi per raccogliere in Italia una tanto sensibile e ragionata proposta, ma "Le utopie", diceva Lamartine, "non sono altro che verità premature".
sabato, 5 settembre 2009
Tavole italiane: Roche
Da oltre tre generazioni agisce a Roma un famoso Forno, oggi guidato dai fratelli Alessandro e Pierluigi Roscioli, Per saperne di più, cliccate QUI. Ne ho già scritto in queste pagine web anni fa, perché è un luogo di delizie sia nella salumeria (attraversando la quale s’arriva ai tavoli) sia nel piccolo, confortevolissimo ristorante. Torno a parlare oggi dei Roscioli perché dispongono ora a Roma di un secondo locale, all’aperto sul Tevere, che agisce solo nei mesi estivi, fino alla fine di settembre, quindi, fate ancora in tempo ad andarci se abitate o a Roma oppure se nella città siete di passaggio; il suo nome è Roche Voglio chiare subito un paio di cose. Quando si parla di luoghi sul Tevere, salta fuori comunemente il discorso (comprensibilissimo) del pericolo di cattivi odori e zanzare. Al “Roche”, niente di tutto questo. Andateci con fiducia. Vi ho trascorso, infatti, una serata piacevolissima sul piano ambientale, in una cornice di sobria eleganza. Ma veniamo alla cucina. Non posso che dirne benissimo. Pietanze, ben impiattate, di grande qualità sia per materie d’origine sia per elaborazione. Non sto a descrivere i piatti che lì ho consumato, la trovo un’operazione improbabile che fatalmente finisce in quel logoro gergo dei critici di gastronomia, me ne tengo lontano. Preferisco dire che al “Roche” è stata creata un’impareggiabile armonia fra tradizione territoriale e innovazione, producendo maiuscole emozioni sensoriali. Il rapporto gusto-prezzi è da elogio, compreso il ricarico sui vini. Diciamo che, come nel caso mio e dell’amica compagna di tavolo, con due bicchieri di vino, più una bottiglia, consumando ostriche (eccellenti!), piatti di pesce e carne, s’è speso 65 euro a testa. Servizio perfetto, assai cordiale ma non invasivo. Suggerisco soltanto per la prossima edizione, un miglioramento luministico per i tavoli più ambiti cioè quelli situati vicini al fiume, posto che abbiamo ottenuto con una, consigliabile, prenotazione. Nella Capitale, si sa, non c’è troppa gioia per i ghiottoni, pochi posti presentano livelli di alta qualità (a prezzi pressoché disumani) ed è da salutare perciò con gioia l’apertura di “Roche”. Aperto anche a pranzo con aperitivo a bordo piscina oppure al bancone con salumi, formaggi ed una carta dei vini ben articolata. “Roche” Lungotevere Castello 50 Scala a Tevere, Castel S.Angelo TeL 329 – 177 25 25 Sempre aperto.
giovedì, 3 settembre 2009
Auguri a Radio Tre
Più volte mi sono occupato in queste pagine web della disastrosa condizione in cui è precipitata Radio Tre, uno dei pezzi da sempre più pregiati del palinsesto radiotelevisivo pubblico ridotto, ad eccezione di pochissimi spazi, ad un incrocio fra Radio Maria e Radio Caciotta. Perciò ho anche spesso rilanciato l’ottimo lavoro svolto dagli Amici di Radio Tre che attraverso il loro sito – nato proprio per evidenziare il decadimento nel quale quell’antenna è precipitata – hanno documentato (con più assiduità di molti altri organi d’informazione cosiddetti d’opposizione) crolli e rovine della radio pubblica. Un esempio per tutti affinché valutiate quanto è stato combinato in questi anni in Via Asiago, e farvi quattro risate perché apprenderete come Radio Tre abbia affermato ai propri microfoni monumentali castronerie… musicisti che compongono brani dopo essere morti o prima di nascer… non ci credete?... cliccare per credere.
Ora, con le recenti nomine fatte alla Rai, la direzione è stata affidata a Marino Sinibaldi (in foto); è una delle pochissime (… fosse l’unica non mi sorprenderei più di tanto) decisioni sagge prese dal CdA della Rai. Marino Sinibaldi è nato a Roma. Tra i fondatori della rivista ‘Linea d’ombra’, ha pubblicato saggi di sociologia e critica letteraria, tra i quali “Pulp. La letteratura nell’era della simultaneità” . Per anni, autore e conduttore di trasmissioni radiofoniche e televisive (Fine secolo, Lampi, Senza Rete, Supergiovani, Tema, La storia siamo noi), nel 1999 ha ideato “Fahrenheit”, programma culturale del pomeriggio di Radio3. E’, quindi, uomo capace di riportare quell’antenna pubblica agli antichi splendori aggiornandone, ovviamente, temi e stili di comunicazione, ma il suo compito non è facile. Mi permetto di consigliare di non avere fretta nel lanciare il nuovo palinsesto perché prima ancora è necessario ridare fiducia al personale interno attualmente allo sbando; è opportuno riposizionare i collaboratori esterni secondo più appropriate vocazioni espressive ed evitare sperequazioni di trattamento che hanno determinato proprio tra i più valorosi un comprensibile scoramento; è urgente instaurare rapporti su nuove basi con il settore tecnico del Centro di Produzione affinché non si muova con la precarietà organizzativa, come finora accaduto, con conseguente disaffezione al lavoro. Circa la linea editoriale, Sinibaldi non ha bisogno di miei consigli, sono certo che saprà idearla e gestirla come – tra mille difficoltà – ha fatto finora alla Rai negli spazi affidatigli.
martedì, 1 settembre 2009
La rivolta degli angeli
“In riconoscimento della sua brillante realizzazione letteraria, caratterizzata da nobiltà di stile, profonda comprensione umana, grazia, e vero temperamento gallico”. Questa la motivazione del Premio Nobel conferito nel 1921 ad Anatole France, all'anagrafe François-Anatole Thibault; Parigi, 16 aprile 1844 – Saint-Cyr-sur-Loire, 12 ottobre 1924. Figlio di un libraio, visse gli anni giovanili in impieghi editoriali, poi divenne bibliotecario presso il Senato. Nel 1896 fu eletto all'Académie française. Innocentista durante il processo Dreyfus, partecipò alla vita politica e fu tra gli ispiratori delle leggi per la laicizzazione della scuola pubblica. Dopo la rivoluzione russa del 1917, si dichiarò a favore del comunismo. Nel 1920 la Chiesa cattolica mise all’indice tutte le sue opere… a proposito dell’Index librorum prohibitorum, una curiosità. L’ultima edizione è del 1948 e fra le opere condannate non c’è il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, in quel lungo elenco che abbraccia, anzi soffoca, quattro secoli di letteratura compaiono però i nomi, tanto per dirne solo alcuni, di Flaubert, Kant, Spinoza, Stendhal, Sterne, Voltaire, Zola, Fogazzaro, Foscolo, Leopardi… Ora, l’Editrice Meridiano Zero, condotta da Marco Vicentini, ripubblica, di Anatole France, La rivolta degli angeli (1914), a cura di Roberto Saviano, traduzione di Luigi De Mauri con la revisione di Tommaso Pezzato; le illustrazioni nel volume sono quelle originali di Carlègle del 1925.
Scrive Saviano nella prefazione: In questo romanzo, i demòni di France assurgono nell’Olimpo del mito letterario a numi della crisi capaci di disgelare ciò che vi è di falso e disumano dietro l’ordine del bene. Questi demòni letterari indicano le strade che portano alla vita presa nel vortice del sapere, rapita nel tempo della passione, nell’ordine dell’anarchia, educata nel dubbio e nella musica, nell’amore per la materia e per le scienze della natura, al di là di ogni determinazione morale, giurica, religiosa. Bellezze trascendenti ogni autorità che ormai soltanto dei demòni ribelli e nascosti possono ancora far avvampare nel cuore degli uomini del nostro tempo. Anatole France La rivolta degli angeli Traduzione di Luigi De Mauri Pagine 318, Euro 9:00 Meridiano Zero
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