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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Cioran


Tra I grandi pensatori del XX secolo da me più amati c’è il rumeno Cioran (1911 – 1995) con la sua nera scrittura attraversata da lampi sulfurei, la sua vita abissale, il suo sguardo che va oltre il disincanto e la disperazione: “Colui che avendo frequentato gli uomini si fa ancora illusioni sul loro conto, dovrebbe essere condannato alla reincarnazione”.
Sulla sua figura grava il peso dell’adesione giovanile alla Guardia di Ferro, errore che ancora molti anni dopo, nel 1973, in una lettera al fratello non si capacitava d’aver commesso: “L’epoca in cui ho scritto 'Trasfigurazione della Romania' è per me incredibilmente lontana. A volte mi domando se sia stato proprio io a scriverlo. In ogni caso, avrei fatto meglio ad andare a spasso nel parco di Sibiu… L’entusiasmo è una forma di delirio”.
Il rimorso per avere tanto sbagliato è una delle chiavi per capire Cioran come bene illustra Patrice Bollon (in “Cioran l’hérétique”, pubblicato da Gallimard nel ’97), quando indaga su quella breve ma imbarazzante produzione dello scrittore rumeno.
Altra protagonista, da non sottovalutare, della vita di Cioran, come lui stesso afferma, fu l’insonnia; e questo mi ricorda un altro grandissimo scrittore e grande insonne, Celine che scrisse “Il mio strazio, per me, è il sonno. Se avessi sempre dormito bene non avrei mai scritto un rigo... “. Dell’insonnia di Cioran me ne parlò tempo fa – ne riferisco QUI – uno che lo frequentò e ha tradotto per Adelphi “Confessioni e anatemi”: Mario Bortolotto.

Non mi sorprende che a occuparsi di recente di quest’autore sia stato Antonio Castronuovo che per l’editore Liguori ha pubblicato uno dei saggi migliori scritti in Italia su Cioran e, forse, non solo in Italia.
Titolo lapidario: Emil Michel Cioran.
Non mi sorprende perché Castronuovo è scrittore, come dimostra la sua produzione, attento ad esplorare con lanterna sapiente angoli tenebrosi della storia, non solo letteraria, specie se abitati da personaggi che con la notte dell’esistenza si sono misurati. In questo libro, una serie di riflessioni acutissime sul pensiero di Cioran sono intercalate da frasi di Cioran stesso tratte da interviste e da suoi libri. Sicché il lettore (oltre ad essere stimolato a leggere le opere del grande rumeno) ha modo di scorrere, attraverso ragionati capitoli, tutte le piste dell’inferno cioraniano: dalla duplicità linguistica al negativo giudizio sulla Storia, dalla critica all’Utopia alle idee sul suicidio, dalla condanna della religione allo speciale rapporto col nichilismo.

A me che non amo (con pochissime eccezioni) il genere romanzesco contemporaneo, ancora una cosa a gloria di Cioran mi va di dirla (né è sfuggita a Castronuovo): mai ha scritto un romanzo. A differenza del suo amico Mircea Eliade (lui sì compromesso pesantemente col fascismo) che si macchiò della colpa di vari racconti e romanzi fra i quali il metafisico “Un’altra giovinezza” da cui ha tratto un pessimo film il pur bravissimo Francis Ford Coppola.
Per una bibliografia di Castronuovo e una scheda sul libro: QUI.

Antonio Castronuovo
“Emil Michel Cioran”
Pagine 112, Euro 11:90
Liguori


Adolescenti violenti

Diceva lo scrittore americano Ambrose Bierce: “L'adolescente è colui che sta lentamente guarendo dall'infanzia”.
Mi sono ricordato di quell’aforisma leggendo Adolescenti violenti contro gli altri, contro se stessi.
Pubblicato da Ponte alle Grazie, è scritto da un quartetto di psicoterapeuti: Elisa Balbi, Elena Boggiani, Michele Dolci, Giulia Rinaldi del Centro di Terapia Strategica di Arezzo diretto da Giorgio Nardone che del volume firma prefazione e postfazione.
Il libro contiene esempi di trattamento e trascrizioni di colloqui terapeutici riferiti a casi di comportamenti lesivi e autolesivi con protagonisti ragazzi in età adolescenziale.
Trattandosi di un libro scientifico che s’ispira alla Terapia Strategica Breve, va sottolineato che le interessanti tesi terapeutiche sostenute, ovviamente, non sono le sole di cui dispone la psicoterapia contemporanea, ma rappresenta soltanto una delle scuole di pensiero e pratica nella cura dei conflitti.
La violenza giovanile ha cause multifattoriali che troppo spesso, specie da frettolosi gazzettieri, sono viste e trattate in nome di fedi religiose o ideologiche, mentre il fenomeno è più complesso e richiede un approccio che tenga conto di tale complessità che va dall’organizzazione familiare agli ambienti fisici (si pensi a certe architetture delle periferie) all’uso e fruizione dei media, dalla rincorsa al successo incoraggiata da tanti politici e da tanta iconografia pubblicitaria fino al cattivo esempio d’impunità che molti esponenti della vita pubblica offrono frequentemente.
Scrive Francesco Robustelli dell’Istituto di Psicologia del CNR: “La gente di solito dà per acquisito che sia naturale che un ragazzo desideri un motorino molto più di un libro. Ma bisogna invece rendersi conto di come attraverso la sistematica azione dei vari strumenti di condizionamento sociale si formano i desideri, le preferenze, le aspirazioni di un ragazzo. E aggiungiamo che indubbiamente una delle vie più proficue da seguire per capire l'escalation di violenza giovanile nei paesi industrializzati è l'analisi psicologica di tutti quegli adulti, e sono tanti, che si stupiscono di questa escalation [… ] da tutti gli adulti incapaci di ribellarsi ai sistemi di potere, i quali contribuiscono in modo determinante a produrre, con la loro passività, con la loro indifferenza, con la loro stupidità, la società in cui viviamo e in cui i giovani crescono e formano la loro personalità”.
“Adolescenti violenti” con la molteplicità d’esempi che illustra mette bene in luce la complessità del problema, racconta come rabbia e aggressività sono modi con cui gli adolescenti cercano di comunicare, di dirci qualcosa.

Elisa Balbi - Elena Boggiani - Michele Dolci - Giulia Rinaldi
“Adolescenti violenti”
Prefazione e postfazione di Giorgio Nardone
Pagine 218, Euro 15.00
Ponte Alle Grazie


Giornata della Memoria

La data fu scelta per ricordare il 27 gennaio 1945, quando le truppe dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświecim (nota con il nome tedesco di Auschwitz).
Lì scoprirono l’atroce campo di concentramento e liberarono i pochi superstiti. La scoperta d’Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista, della Shoah. Shoah, in ebraico significa “annientamento”; indica lo sterminio di oltre sei milioni d’ebrei ed è da preferire questo termine a “olocausto” per eliminare qualunque idea di perniciosa, e sviante, religiosità insita in quest’ultimo.
I nazisti non furono soli nel commettere quel crimine contro l’umanità, furono aiutati da molti governi collaborazionisti e, prima ancora, dal fascismo italiano che il 6 ottobre 1938 promulgando le leggi razziali determinò la perdita dei diritti civili per 58mila italiani, parte dei quali poi deportati in Germania e 8mila di loro morti nei lager.
Infamia che discendeva dal ‘Manifesto della Razza’, pubblicato il 14 luglio dello stesso anno, firmato da 10 scienziati italiani, sorretti da altre 329 firme; per sapere chi erano e come agirono consiglio la lettura del libro I dieci di cui mi sono occupato tempo fa in queste pagine web.

Ben vengano le numerose manifestazioni indette che, però, rischiano di diventare una Giornata, appunto, solo una Giornata. Consegnandosi così a ritualità che, come tutte le ritualità, spesso svuotano di significato ciò che si ricorda. Preferirei che invece di una Giornata con tante cose in cartello, la Shoah fosse ricordata, attraverso piccole, quotidiane cose. Perché tutti i giorni avvengono misfatti a sfondo razziale (con preoccupante crescita anche in Italia) che sono molto gravi e, spesso, trattati dai media con spazi inadeguati.
Del resto, perché meravigliarsene? Il nostro è un paese in cui il presidente del Consiglio dei Ministri alla vigilia della Giornata della Memoria l’anno scorso raccontò barzellette sui lager.


Non è 007

La casa editrice Ponte alle Grazie ha pubblicato un libro che merita attenzione sia per quanto espone e sia perché dell’agente segreto, così com’è visto da sempre dal cinema e dalla letteratura, spazza via impietosamente, e giustamente, miti romanzeschi e incauti ritratti di fantasia.
Auto potenti e tecnologicamente attrezzate con armi da fantascienza? Donne bellissime? Lussuosi alberghi?
Scordate tutto questo se volete capire davvero come vive un agente segreto e l’organizzazione cui appartiene.
Non ricordo chi (mi pare Graham Greene, ma non ci giuro) disse: “La vita di chi spia? Anni di noia e minuti d’autentico terrore”. Ecco, forse questa frase fotografa meglio la questione.
Chi, invece, tratteggia un efficace, preciso, ritratto di quel lavoro è Aldo Giannuli in Come funzionano i servizi segreti Dalla tradizione dello spionaggio alle guerre non convenzionali del prossimo futuro.

Aldo Giannuli (1952) è ricercatore di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano. È stato consulente delle Procure di Bari, Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di piazza della Loggia), Roma e Palermo. Dal 1994 al 2001 ha collaborato con la Commissione Stragi ed è salito alla ribalta delle cronache giornalistiche quando, nel novembre 1996, ha scoperto una grande quantità di documenti non catalogati dell’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno, nascosti nell’ormai rinomato ‘archivio della via Appia’.

Ha scritto un libro ben più appassionante di qualsiasi romanzo perché nel fotografare strutture, ingranaggi, moduli operativi di quel mondo, sorregge la sua analisi con una molteplicità d’esempi attingendo dalle attività dei servizi non solo italiani, ma anche statunitensi, israeliani, inglesi, francesi, tedeschi, cinesi, vaticani… sì, anche vaticani.
Inoltre, fornisce una bibliografia che permette al lettore interessato al tema di approfondire l’argomento indicandogli una grande quantità di testi italiani e stranieri.
Partendo dallo spionaggio dalle origini fino alla società contemporanea, l’autore illustra come sono condotte le raccolte d’informazioni per poi inoltrarsi sulle attività operative che ne conseguono arrivando ai giorni nostri che vedono protagoniste le nuove tecnologie informatiche e affinarsi le tecniche di guerra psicologica (psywar) e informativa (infowar).
Ho trovato con mia gioia confermata anche una cosa cui ho sempre pensato: non esistono “servizi deviati” perché i servizi, proprio per la loro natura, sono una deviazione del principio di legalità; e ancora che – come scrive Giannuli – “talvolta capita di leggere libri o anche proposte di legge che pretendono in introdurre la ‘trasparenza’ nella vita dei servizi o di circoscriverne i metodi d’azione in limiti rigorosamente legali”, ma, aggiungo io, che cosa diventerebbe un servizio segreto trasparente? Probabilmente una gag. “D’altra parte – ancora Giannuli – la prassi comune di tutti gli Stati attuali (anche quelli democratici e di diritto; degli altri ça va sans dire) è questa, e se un singolo Stato decidesse unilateralmente di attenersi rigorosamente a principi di legalità, si troverebbe rapidamente ridotto a mal partito. Dunque, la situazione, nelle condizioni vigenti, non ha vie d’uscita. Tuttavia ciò non autorizza a dimenticare che il problema esiste e che i servizi sono, costitutivamente, il maggior vulnus esistente all’ordinamento dello Stato di diritto”.
Il volume termina con una divertente appendice intitolata ‘Cappuccino, brioche e intelligence’, cioè la lettura dei giornali fatta da un esperto appartenente ai servizi “di quelli che, più che fare a cazzotti, fanno analisi”.

Chi fra i lettori del libro vuol porre domande può farlo rivolgendosi al blog dell’autore.

Aldo Giannuli
“Come funzionano i servizi segreti”
Pagine 400, Euro 15.00
Ponte alle Grazie


NovoStilVecchio

Anni fa recensii con gioia di lettura Le sciamanicomiche di Paolo Borzi che ora, con la casa editrice Azimut, ha pubblicato NovoStilVecchio o Della metamorfosi delle pipe.
In copertina, Adriana Merola propone un sotteso e colto richiamo (se non ho preso un abbaglio) a ‘Ceci n'est pas une pipe’ quadro dipinto nel 1928 da Magritte.
Giusta scelta per un libro che nega ammettendo e ammette negando. Ammette e nega, infatti, la letteratura attraverso un prosimetro che della clownerie d’inchiostro fa protagonista di magrittiana beffa.
Con tutto il rispetto di questa recente prova di Borzi, preferisco la prima, cioè “Le sciamanicomiche”.

In prefazione, scrive Franco Romanò: “Da Pulci a Ruzante, all’Aretino a Teofilo Folengo, per passare poi alla Commedia dell’Arte, a un certo Goldoni, per arrivare fino a Dario Fo, c’è un robusto filone di poesia e prosa che si fa sentire periodicamente, scoccando felicemente le sue frecce, alle volte con uno stile popolaresco, altre volte più colto, nelle terga dell’accademia letteraria. Paolo Borzi […] appartiene di diritto a questa schiera illustre e noncurante, popolaresca e aristocratica insieme”.

In postfazione, Donato Di Stasi afferma: “Il macchinario linguistico di NovoStilVecchio gira e non si inceppa, illude ma non delude, nel senso che il mondo nuovo lasciato intravedere non esiste realmente, è solo fondato ontologicamente, tuttavia nei nostri tempi di carestia spirituale può bastare, eccome”.


Paolo Borzi
“Novostilvecchio”
Prefazione di Franco Romanò
Postfazione di Donato Di Stasi
Pagine 95, Euro 12.50
Azimut


Foto dal finestrino


Anche i grandi possono dire delle cospicue castronerie. Ne volete un esempio?
Paul Gauguin: “Sono entrate le macchine, l’arte è uscita... sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile”.
Pure il grandissimo Kafka, a proposito d’immagini riprodotte, ne disse una che, forse, oggi più non direbbe: “Se il cinema è una finestra sul mondo, ha le persiane di ferro”.
Con Walter Benjamin, la musica cambia: “Non colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l'analfabeta del futuro”.
Il grande architetto Ettore Sottsass della fotografia è stato cultore e indagatore di linguaggio, nei suoi viaggi mai mancava di mettere nella valigia una macchina fotografica.
Morì, giovane di novant’anni, a Milano il 31 dicembre del 2007; secondo la sua volontà non ci furono funerali religiosi.
Adelphi ha mandato da poco in libreria un piccolo, prezioso volume, nella collana ‘Biblioteca minima’: Foto dal finestrino dal titolo della rubrica che, nata da un’idea di Stefano Boeri, Sottsass tenne sulla rivista Domus fra il 2003 e il 2006.
Le foto e le vertiginose didascalie che le accompagnano formano una composizione verbovisiva nella quale immagini e parole interagiscono nella luce sulfurea di un grande teatro del mondo, occasione di riflessioni su logorate architetture di varie epoche (anche vicine a noi) e dell’umanità straziata che, effimera, le attraversa perché non c’è idea, per generosa che sia, capace di resistere al tempo.

Questo librino dalla sontuosa intelligenza si legge anche come un saggio sulla Bellezza interpretata in modo nuovo, aldilà delle varie scuole dello sguardo. Nell’Almanacco Letterario Bompiani del 1967, Ettore Sottsass scriveva: …vorrei andarmene in un posto da solo a respirare, dove la gente sia meno sicura di sé, dove non faccia rumore camminare (per questo Ginsberg si mette le scarpe da tennis?), un po' mi piacerebbe spogliarmi nudo, sdraiarmi per terra, coprirmi di un lenzuolo e dire adesso basta, adesso andate tutti a quel paese. Questo avrei voglia di fare e non parlare della Bellezza. ... fin tanto che, a forza di silenzio e a forza di non crederci, sarà evidente che bisogna prenderla da un'altra parte.

Ettore Sottsass
“Foto dal finestrino”
Pagine 80, Euro 8.00
Adelphi


Il volontario

Esiste un terreno comune tra hitlerismo e stalinismo?
“Lo Stato hitleriano e quello stalinista” – scrive Giovanni De Martis – “rappresentano l'esito degenerativo del concetto di Stato. Nato dall'esigenza di tutelare la vita dei cittadini lo Stato diviene nella versione staliniana e hitleriana lo strumento di selezione dei cittadini. Due ‘mitologie’ diverse che conducono ambedue a orrori innominabili. Sia lo stalinismo che il nazismo hanno un concetto di ‘purezza’ che per Hitler è sostanzialmente biologico-razziale mentre per Stalin è ideologica. Nell'uno e nell'altro caso non rientrare nei canoni delle ‘purezza’ significa incamminarsi verso il lager o verso il gulag".

Una grande testimonianza data col proprio sangue a quell’orrore viene da Witold Pilecki la cui storia è raccontata da Marco Patricelli in Il volontario pubblicato da Laterza.

Pilecki è l’unico a essersi fatto rinchiudere volontariamente ad Auschwitz e tra i pochi a essere riuscito a evadere. Ha combattuto il nazismo ed è finito stritolato tra le fauci dello stalinismo.
Il tenente di cavalleria Witold Pilecki nel 1940 ha 38 anni. Sotto falso nome si lascia arrestare, come fosse per caso, nel corso di una retata della Gestapo ed entra ad Auschwitz per raccontare al mondo cosa accade: il suo è il primo documento dai campi arrivato agli alleati. È abile, astuto e fortunato. Evade rocambolescamente nel 1943, poi si batte nell’insurrezione eroica e disperata di Varsavia del 1944, ma finisce nuovamente prigioniero dei tedeschi fino alla fine della guerra. Quando torna in Polonia, sa già che gli ideali per i quali ha speso i suoi anni e i suoi affetti non hanno trovato terreno fertile nella sua patria. È il tempo dell’Armata Rossa e dell’indottrinamento sovietico: tutto quello che Pilecki ha fatto non conta nulla per le autorità comuniste. È un uomo scomodo, un ‘traditore’, un ‘agente imperialista’, un ‘nemico del popolo’ da eliminare. Il suo destino è segnato: condannato tre volte a morte, viene giustiziato il 25 maggio 1948.
Su di lui e sulle sue coraggiose imprese cala il silenzio.
La “damnatio memoriae” è assoluta, vietato persino pronunciare il suo nome.
Ancora oggi, a venti anni dalla caduta del Muro di Berlino, i familiari ignorano dove sia sepolto.

Per leggere un brano: QUI .

Marco Patricelli
“Il volontario”
Pagine 303, Euro 20.00
Laterza


Testi e pre-testi

La Fondazione Berardelli di Brescia inaugura la prima grande mostra antologica dedicata al poeta visivo, sonoro e performer Giovanni Fontana: Testi e pre-testi.
E’ a cura di Melania Gazzotti e Nicole Zanoletti.

Le prime tavole verbo-visuali di Fontana, in cui assembla parole e immagini provenienti da quotidiani e rotocalchi, risalgono al 1966. Si accorge ben presto che la tecnica del collage, intesa in senso classico, è limitante per le sue esigenze espressive. Nella realizzazione della serie delle ottanta tavole, che poi comporranno il libro d'artista ”Radio/Dramma”, unisce a immagini provenienti dal mondo della comunicazione di massa, brani dattiloscritti a cui sovrappone annotazioni, cancellature e disegni. La sua verve creativa lo spinge poi a superare i limiti imposti dalla parola scritta, per coinvolgere spazio, suono e gesto. Inizia così a cimentarsi con forme espressive legate all’ambito del teatro, del video e della sperimentazione audio per concentrarsi successivamente nella pratica della performance, nella quale riesce a racchiudere tutte le sue precedenti esperienze di attore, regista e poeta sonoro.
Fontana non si riconosce, quindi, all'interno di una specifica corrente artistica e trovando limitante per sé l'appellativo di poeta visivo, preferisce definirsi un “poliartista”. Per differenziare la sua esperienza da quella verbo visuale conia il termine “poesia pre-testuale”: una nuova disciplina capace di servirsi di differenti linguaggi non necessariamente legati ad un unico abito.
Negli ultimi trent'anni ha partecipato a più di seicento mostre collettive e ha proposto performance e installazioni video e sonore in centinaia di festival di nuova poesia e di arti elettroniche in tutto il mondo.
Una sua composizione sonora QUI.

Ufficio stampa: Studio Pesci, Via San Vitale 27, Bologna
Tel. 051 269267 - Fax 0512960748; info@studiopesci.it

“Giovanni Fontana. Testi e pre-testi”
Fondazione Berardelli
Via Milano 107, Brescia
Info: Tel. 030 313888; info@fondazioneberardelli.org
Fino al 31 marzo 2010


Napoli per le strade

La casa editrice Azimut ha lanciato un interessante progetto: raccontare le città attraverso le sue strade con narrazioni che proprio da vie e quartieri prendano spunto e affidate, in prevalenza, a giovani autrici e autori.
Dopo Milano, Roma, e una puntata in Brasile, ecco Napoli per le strade, volume a cura di Massimiliano Palmese che, lo ricordo ai più distratti, reduce da un notevole successo ottenuto con L’amante proibita (terzo classificato al Premio Strega del 2006, e, nello stesso anno, Premio Città di Santa Marinella per la sezione Romanzo), ha pubblicato l’anno scorso Pop Life.

Il volume presenta ventuno racconti – fra i quali “Nino del Vomero” dello stesso curatore che affida a un cane chiamato Nino un’eroicomica escursione del quartiere del titolo – che modulano stili diversi di scrittura, intonazioni che vanno dal drammatico al grottesco, ma tutti rispondono a un esercizio linguistico che vede il dialetto sotteso alla lingua nazionale (sia per vocaboli sia per cadenze), e tutti riflettono lo stato di disagio di una città.
Napoli: fatiscente e lussuosa, attraversata da segni di vitalità lambiti dalla morte, vivace in occasionali ribellioni, vista attraverso personaggi immersi in una notte sociale senza prezzo e senza pace.
Il libro contiene le biografie degli autori dalle quali si desume che parecchi sono al debutto e, comunque, anche i più collaudati appartengono a giovane età.

Per approfondire e conoscere i nomi degli scrittori, c’è una scheda QUI.

I proventi delle vendite saranno devoluti all’Ospedale pediatrico “Santobono” di Napoli.

“Napoli per le strade”
a cura di Massimiliano Palmese
Pagine 200, Euro 12.00
Azimut


Viesse cum Gaudio

Talvolta questa rubrica web si occupa anche di libri usciti qualche tempo fa e che, a mio parere, meriterebbero d’essere rintracciati e letti.
E’ il caso di due librini, colti e birichini, scritti da V. S. Gaudio (non chiedetemi l’estensione di quelle due lettere puntate, non la conosco).
Dell’autore posso solo riferire quanto apprendo su Internet: V. S. Gaudio, saggista, esperto di giochi, articolista pataludico e titolare di rubriche per quindici anni della Walt Disney Company; ha pubblicato “La 22aRivoluzione Solare” (1974), “Sindromi Stilistiche” (1978), “Lavori dal desiderio” (1978), ”L’ascesi della passione del Re di Coppe” (1979), “Lebenswelt” (1981), “Stimmung” (1984), “Hit Parade dello Zodiaco” (1991), e due bootleg: “Manualetto della Manomorta” (1997), e “Oggetti d’amore” (1998).
Giornalista freelance dagli anni settanta, ha fatto anche satira per “Linus”, “la Repubblica”, ”Tango”.

Le sapide pagine che ricordo oggi, appartengono a un incrocio fra la letteratura libertina di tradizione settecentesca e quella eroicomica in cui grandi gesta sono messe in ridicolo mentre eventi banali sono resi con magniloquenza.
I titoli la dicono già lunga: Manualetto della mano morta variazioni sull’approccio tattile e Oggetti d’Amore somatologia dell’immagine e del sex-appeal.
Diceva Enrique J. de Poncela: “Ciò che veramente desidera chi chiede la mano di una donna, è il resto del corpo”.
Altri, più prosaicamente, toccano con la propria mano parti del corpo desiderato.
E così Gaudio c’informa sugli “items del Contatto, della Carezza e Fattori Cinestetici” che accompagnano quel gesto, oggi più di ieri vituperato, portato anche in tribunale quando, non gradito, è visto come molestia sessuale. Attenti, perché la cosa può anche aggravarsi diventando violenza sessuale come nel marzo dell’anno scorso ha stabilito la Cassazione, confermando la condanna a un 44enne di Pisa, Luigi Z., colpevole di avere ‘fatto toccamenti lascivi sul fondoschiena di una ragazza e cercato di infilare una mano in mezzo alle gambe dell'amica’; inutile l’appassionata arringa del difensore volta a sostituire la condanna per violenza sessuale in quella, più lieve, di molestie affermando che la ragazza “indossava un cappotto lungo e non avrebbe potuto percepire la pur colpevole mano morta di Luigi Z.”.
A mio avviso, però, più molesta ancora è la cosiddetta “mano morta ecclesiastica”, se non sapete di che cosa si tratta, consultate Wikipedia QUI.

In “Oggetti d’amore” leggiamo un’escursione su corpi femminili resi famosi dai media, corpi-simulacro che, come dice Edgar Morin, “unifica l’industria dell’anima e l’industria dell’eros”.
Per meglio intenderci, ecco alcuni titoli dei capitoli: “Loredana Bertè, il rock del gluteo”, “L’alluce di Georges Bataille e il culo di Nadia Cassini”, “Nathalie Wood, il programma Master&Jonson e il matrimonio con Giovanni Raboni”, “Milly Carlucci e il profilattico di Michel Foucault” e, inoltre, indici morfologici per una somatologia dell’Immagine.
Feste di pagina che irridendo dicono cose che molti tentano di dire, talvolta senza riuscirvi, con serissimi saggi pubblicati da grandi sigle editoriali.

L’editore – Scipioni – non ha un proprio sito web, ma posso fornirne a chi è interessato l’indirizzo: Loc. Valle dell’Aia, 01018 Valentano (Vt), Tel: 0761 – 45 36 86.
Il costo di ciascuno dei due volumetti, riportato in lire, è di 4000.


Senza fissa dimora


Ancora prima di scrivere Mamadou va a morire, a 22 anni, Gabriele Del Grande propose a se stesso una singolare esperienza: vivere venti giorni tra gli esclusi di Roma, i cosiddetti homeless che oltre a perdere una casa, un lavoro, hanno perduto la loro identità. Sicché “… alcuni li riconosci da quanto sono trasandati, altri non lo diresti mai, sono vestiti bene, hanno il telefonino…”.
E’ nato così un reportage come raramente oggi vengono fatti, direttamente sul campo, condividendo i disagi di un’umanità smarrita ed esclusa.
Scrive Stefano Trasatti in prefazione Il tema non era – e non è – di quelli che più suscitano interesse di chi fa i libri e i giornali. Anzi, era proprio l’ultimo dei soggetti che uno si sognerebbe di proporre: così ruvido, squallido, privo di storie edificanti e di appigli per fare spettacolo, il mondo dei senza dimora, di quelli che, “seduti ai lati della strada, guardano la gente passare, come ai bordi di un fiume”, non era proprio sexy, come direbbero i guru della comunicazione.

E’ stata la casa editrice Infinito – molto attenta a rilevare i drammatici disagi sociali di casa nostra e di altri paesi – a pubblicare Roma senza fissa dimora un viaggio nella città degli emarginati.

Le avventure vissute da Del Grande in quei giorni – riferite con secca scrittura, senza compiacimenti letterari – svelano un mondo di violenze su quelle donne e su quegli uomini indifesi e anche fra loro perché la ferinità della società travasa pure nelle menti di quegli esclusi. Accanto ad episodi di solidarietà, infatti, l’autore descrive anche lotte determinate da sospetti, gelosie, vendette.
La strada non perdona, è retorica - scrive Maksim Cristan in postfazione – Il testo di Gabriele è un viaggio ‘low cost’, per tutti, si spera, io lo spero, viaggiare chiarisce gli occhi, lo disse Gibran, ci vuole doppia follia per metterlo in dubbio. E qui, della follia, non c’è un rigo solo. Quello che il mondo chiama follia, è un luogo d’animo dove se non c’infili il muso almeno una volta, rischi di rimanere solamente un terrestre a vita.

Interessante un’intervista che segnalo QUI di Susanna Dolci con Del Grande.

L'autore in retrocopertina offre ai lettori la sua mail: gabriele_delgrande@yahoo.it

Per una scheda sul libro: CLIC!

Gabriele Del Grande
“Roma senza fissa dimora”
Prefazione di Stefano Trasatti
Postfazione di Maksim Cristian
Pagine 110, Euro 11.00
Infinito Edizioni


Marginalia


E’ in corso a Torino dall’ottobre scorso, e si concluderà a maggio di quest’anno, la XII edizione di Marginalia, un’esplorazione teatrale (e non solo, infatti, sono in cartellone serate di musica, filosofia, poesia) del pensiero scenico contemporaneo nei suoi aspetti più sperimentali.
Gli spettacoli della stagione 2009/2010 sono divisi in sei sezioni: “Oltre la scena”, “Il clown entra in teatro”, “Brunch e filosofia”, “Fantasia in scena”, “In prima per Torino”, “La musica entra in scena”.
Per Il programma: QUI.

La Stagione, fa parte dei programmi annuali proposti dalla C.S.D. (Compagnia Sperimentale Drammatica), ed è sostenuta anche dalla Compagnia di S. Paolo che ha selezionato l’iniziativa nell’ambito dell’edizione 2009 del bando “Arti Sceniche in Compagnia”, dagli Assessorati per la Cultura di Regione Piemonte e Comune di Torino, inoltre, s’avvale del Sistema Teatro Torino .
Lo spazio in cui la Stagione si svolge è il “Teatro Espace” in via Mantova 38 a Torino, sede della C.S.D. Compagnia Sperimentale Drammatica. L’edificio del Teatro ha grande importanza storica essendo stato, ad inizio secolo, la sede della Arturo Ambrosio Film che ne fece uno dei templi produttivi del cinema muto. Nel 2001 si è attuata una ristrutturazione completa degli spazi, per offrire un nuovo luogo di riferimento alla scena artistica e culturale cittadina.
La CSD è stata fondata da Ulla Alasjärvi e Beppe Bergamasco nel 1971 ad Amsterdam col nome di Mobile Action Artist’s’ Foundation.
A loro ho chiesto da dove nasce “Marginalia” e come è da intendersi la manifestazione.
Così hanno risposto con una voce sola.

Di ritorno dalla partecipazione a quegli eventi che al principio degli anni ’70 hanno contribuito a cambiare codici e dinamiche del linguaggio teatrale, abbiamo pensato che fosse necessario alla nostra teoretica e produzione uno spazio fisico e morale nei confronti di quelle urgenze espressive che stentano a trovare la possibilità di rendersi visibili e divenire così concrete e condivisibili.
Da questi presupposti nasce Marginalia, un’apertura che potrebbe essere definita “liberale in senso storico”.
Marginalia nasce per essere uno spazio che provoca fatti ulteriori agli “ismi”, e che non necessita di essi per aver diritto di esistere e che permette l’esistenza di quanti, ancora oggi non si accontentano del convenuto, ed intendono continuare l’esplorazione dei sensi dell’arte e della vita
.

Prenotazioni e informazioni: Tel 011.2386067 - Fax 011.19703521; info@salaespace.it

Ufficio Stampa: Emanuela Bernascone, 011-19714998; 335 – 256829
info@emanuelabernascone.com


Performers


L’incontro che propongo oggi è con una storica delle culture contemporanee, un nome maiuscolo nello scenario degli studi sulle nuove soggettività e i dispositivi nella produzione e nella fruizione di artefatti estetici: Luisa Valeriani.
L’occasione mi è data dalla recente uscita di un suo libro pubblicato da Meltemi: Performers Figure del mutamento nell’estetica diffusa.
L’autrice è stata docente di Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti. Dal 1999 insegna Sociologia delle Arti e della Moda alla Sapienza di Roma, e dal 2009 anche Creatività e circuiti dell’Arte all’Università Iulm di Milano. Si è occupata di avanguardie, di cinema, di mode, di consumi culturali. È stata redattrice di “Laboratorio Politico” e poi di “Avatar”; nel 2000 ha curato con Franco Speroni la mostra "L'assenza invadente del divino". Per Meltemi, nel 2004, ha pubblicato Dentro la trasfigurazione.
È presente su Facebook e nel nascente social network AHAcktitude.

“Performers”, non tragga in inganno il titolo, è dedicato a quelle figure che determinano forme estetiche in contesti laddove un tempo erano assenti, o non rilevate perché non significative. Oggi, abbigliamento, sport, gastronomia, trasporti, comunicazioni aziendali, le pratiche stesse del loro consumo, risentono di una nuova espressività che determina un’estetica diffusa. “Il che significa – come già scrisse la Valeriani in “Dentro la trasfigurazione” – “che anche l'artistico non è più tendenzialmente ciò che lo specialista e l'addetto ai lavori individuano come tale, ma ciò che l'esperienza dell'utente urta lasciandosene trasformare. E’ per questo che l'arte entro il contesto della cibercultura diventa dispositivo trasfigurativo, che distrugge la forma e si apre alla possibilità di essere altro”.

A Luisa Valeriani, ho chiesto: qual è la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere “Performers”?

L’idea che mi ha spinto è quella di fare il punto tra le ricerche compiute in questi anni nell’ambito accademico, su mode, media e arti. Mi sono resa conto che molto di quanto avevo scritto convergeva dentro una specie di “tag cloud” di parole-chiave indispensabili per comprendere i fenomeni attuali dell’attività artistica e comunicativa. E riflettendo su questa tag-cloud ho capito che il soggetto unificante, la soggettività attiva del processo trasformativo in atto, era quella del performer. Ma sarebbe del tutto fuorviante aspettarsi che il libro parli della Performance come genere artistico. Performer indica molto di più che una pratica artistica di successo; indica invece una figura sociale che nella vita quotidiana, attraverso una spettacolarizzazione riflessiva di sé, esercita pratiche eversive rispetto ai saperi dominanti.
E intendo “eversivo” alla Bataille, cioè non necessariamente rivoluzionario nell’intenzione, né perverso nella poetica, ma creativo (e perciò distorcente) rispetto alla prassi consueta, e perciò tale da trasformare lo stesso attore della performance in un soggetto sempre eveniente.
La figura che meglio incarna nel presente questa soggettività diffusa e creativa è probabilmente quella plurale della rete, ma sarebbe un errore anche pensare che questo sia un libro sull’attivismo. Non volevo appiattirmi sull’oggi, ma additare le molteplici fila che all’oggi conducono, che nell’oggi si intrecciano e si rilanciano, evidenziando il come e il perché dei fenomeni che accadono. L’uso performativo dei media, delle arti e delle mode, è il filo rosso che unisce l’artista delle avanguardie storiche ai creatori di stili e alle identità collettive delle reti
.

L’affermarsi di un’estetica diffusa nella nostra società potrà significare la fine di Gallerie, Musei e altri luoghi deputati?

No, non credo proprio che i luoghi istituzionali dell’Arte possano scomparire per l’affermarsi dell’estetica diffusa! Anzi, potrebbero servire da modello per altri tipi di fruizione finora tendenzialmente esclusi dai circuiti dell’artistico.
Per scomparire quei meccanismi, dovrebbero scomparire i presupposti stessi che hanno dato valore al concetto di merce: e non mi sembra che sia questo il caso. Può essere invece interessante vedere come quei luoghi istituzionali metabolizzeranno la trasformazione già in atto nella rete, nella relazionalità espansa e diffusa… come sapranno catalizzare in oggetti di forte valore simbolico quanto altrove già accade in modi apparentemente non simbolici
.

Nel tuo libro, al postumano dedichi largo spazio. Lo intendi come poetica della protesi? O è per te qualcosa d’altro?

Premetto che il mio è un interesse fenomenologico per la cultura contemporanea, e non un libro di poetica militante. Verso il postumano ho un grande interesse, come emerge dal libro, nel senso che, insieme a molti teorici del post-umano, considero del tutto naturali i processi ibridativi che fanno parte dell’umano. Dunque la poetica della protesi non mi interessa particolarmente, perché essa è un effetto, non un problema; è l’eventuale e provvisoria conseguenza di un processo ibridativo in sé più complesso, che mette in gioco diverse adattività; è un mezzo tecnico, non una tecnologia. Semmai mi sembra interessante l’abolizione delle protesi nell’evoluzione connettiva, il post-interfaccia del touch-screen. Ma in generale non tengo a schierarmi dentro una poetica, perché, ripeto, ho un atteggiamento analitico fenomenologico, e non militante.

Per una scheda sul libro:CLIC!

Luisa Valeriani
“Performers”
Pagine 215, Euro 21.00
Meltemi


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