Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
venerdì, 26 febbraio 2010
Hosteria Giusti
Esistono due termini usati spessissimo dalla critica gastronomica e da molti consumatori (categoria da ben distinguere – ci tengo! – da quella più stimabile dei gourmet): “innovazione” e “tradizione”. Quasi fossero due categorie opposte e nemiche. Non è cosa vera. Si può fare ottima, o pessima, innovazione e altrettanto con la tradizione. Sta di fatto, però, che la maggioranza degli chef e dei gestori si raccoglie – verrebbe da dire si nasconde – dietro le insegne della tradizione vantandosi d’esserne rappresentanti. Li temo quant’altri mai! Fare una cucina di tradizione è impresa di non poco momento.
Un luogo italiano dove si fa autentica e grandissima cucina tradizionale, non me ne vogliano troppo gli altri ristoranti, è la sublime Hosteria Giusti di Modena, laddove si va ben oltre la tradizione perché ogni piatto è filologia, è restauro storico, è vita di cultura. E’ un luminoso caso dell’enogastronomia italiana per riconoscimento unanime delle guide nostrane e straniere – vanta 1 stella Michelin dal 2002, confermatissima fino ad oggi –, ma, quel che forse ancora più conta, lo è per gli intenditori della buona tavola. Nasce come “Salumeria Giusti” nel 1605, ma alcuni documenti la fanno risalire al 1598. La Salumeria da generazioni in generazioni è rimasta sempre alla stessa famiglia fino al 1980 anno in cui l’ultimo erede, Giuseppe Giusti andò in pensione. Non avendo figli e non essendo interessati gli eredi a proseguire quel commercio, decise di cedere l’attività a un “ragazzo di bottega “ che lì aveva lavorato fin da piccolo. Era Adriano Morandi, detto Nano ma non per statura fisica, il quale ne rilevò la gestione che da allora è rimasta ai Morandi. Nel 2005, purtroppo, Nano ci ha lasciato, ma il suo patrimonio d’esperienza professionale e di passione instancabile è perfettamente rappresentato dagli altri di famiglia. In cucina la moglie Laura prepara piatti da favola: gnocco fritto con salumi (imperdibile!), tortellini da incanto, insalata di cappone in agrodolce, frittelle di minestrone, lo zampone, la guanciola di vitello in umido, fino a riscoprire ricette e sapori medioevali quali il cotechino fritto con lo zabaione da me lì ancora una volta gustato di recente. In conclusione, i dolci della tradizione come la crostata d’amarena, la zuppa inglese, mousse al cioccolato, e la tazzina dolce anch’esso del periodo medioevale a base di anice, cacao, uovo e cannella. In sala, i figli Cecilia e Matteo vi coccoleranno con cordialissima accoglienza, sapienti consigli e suggerendo accoppiamenti di vini dalla sterminata lista suddivisa in due libroni, del resto la loro cantina (visitabile) vanta circa 8 mila bottiglie senza contare la selezione dei lambruschi tipici della zona. Il locale ha solo quattro tavoli (prenotate con largo anticipo!), soffitto con vecchie travi a vista e antico pavimento in cotto, a felice contrasto sui tavoli trovate tovaglie di lino, piatti di porcellana e bicchieri di cristallo. Il menu prevede per molte pietanze, segnalate con asterisco, la possibilità d’ordinare mezza porzione (che per me risulta essere porzione intera, ma guai a dirlo perché lì tendono generosamente ad abbondare), eccellente cosa che permette in tal modo di gustare più portate. Si entra dalla salumeria dov’è possibile acquistare eccellenti selezioni di salumi nazionali, formaggi italiani ed esteri, condimenti Balsamici di vari invecchiamenti, importanti oli extra vergine di oliva, prodotti confezionati quali vasetti di confetture, mostarde, tonno, e altre delizie, non ultima un’impareggiabile mortadella. Aperto soltanto all’ora di pranzo, ma si può prenotare per cena solo per gruppi di almeno 16 persone fino a un massimo di 24. Prezzi: 45 - 60, bevande escluse, per due ore da sogno. Che altro dire? Spero che la Natura mi dia abbastanza vita da poter tornare all’Hosteria Giusti ancora alquante volte. Hosteria Giusti Via Farini 75, Modena Per prenotare: Tel. 059 – 222 533; e-mail: info@hosteriagiusti.it
giovedì, 25 febbraio 2010
Caterina Carone
Il cinema indipendente in Italia è aiutato tanto quanto si giova d’incoraggiamenti una bottiglia di whisky in un paese islamico. Del resto, a occuparsi dei destini dei Beni Culturali e dell’Arte italiana c’è il poeta Bondi e questo spiega molte cose. E’ del tutto innocente – Bondi a parte – il cinema indipendente italiano? Mica tanto. Il suo schermo è spesso appiattito su quello del grande circuito. Accade anche che molti dei cosiddetti “corti” altri non siano che film contratti nel minutaggio solo per motivi di budget e non per volontà espressiva; ecco perché in questo sito appaiono talvolta, nella sez. Nadir, soltanto corti di 1’00”, severa misura che, aldilà del valore espresso, almeno costringe gli autori a evitare forme imitative dei cinepanettoni.
Esiste, però, anche un cinema di grande qualità che agisce forme contenutistiche e linguistiche lontane dai gusti dell’aedo Bondi. Oggi vi segnalo uno di questi. Titolo: Valentina Postika in attesa di partire, autrice: Caterina Carone. In foto la locandina. E' stato il progetto vincitore della prima edizione del “Premio Solinas Documentario per il Cinema”nel 2008. Presentato nella sezione “Italiana.doc” della ventisettesima edizione del Torino Film Festival, ha ottenuto meritatamente il premio di miglior documentario italiano. Da Cinemaitaliano.info trascrivo la sinossi. “Valentina ha un nome italiano ma italiana non è. Valentina vive dove lavora e lavora dove vive. Non può tornare indietro. Vive in attesa. Valentina è la badante di Carlo, ottantottenne partigiano e dirigente pesarese del Partito Comunista negli anni Cinquanta. La loro convivenza, racchiusa tra le mura di un piccolo appartamento di periferia, si svolge tra silenzi, litigi e incomprensioni, tra momenti di amicizia e di estraneità. Lui, alle prese con le sue sconfitte politiche, ripercorre il passato attraverso i materiali d’archivio contenuti nella sua biblioteca. Valentina pensa al domani, a quando potrà tornare in Moldavia per riabbracciare i suoi tre figli. I mesi, le ore e i minuti scorrono lenti e lontani dalla vita di città, mentre Carlo e Valentina passano l’ultimo anno della vita di Carlo assieme”. Niente trama, quindi (ed io esulto), solo partecipata, non àlgida documentazione di un viaggio di due veri personaggi: uno verso la morte e l’altro verso un possibile ritorno in patria quando la vita cui è chiamata ad assistere si spegnerà. Caterina Carone (da tenere d’occhio, perché ha tutte le possibilità di nuove epifanie), è nata nel 1982 ad Ascoli Piceno. Si laurea nel 2004 in Scienze della Comunicazione presso l'Università degli Studi di Bologna. Dal 2004 al 2007 studia alla ZeLIG - Scuola di Documentario, Televisione e Nuovi Media di Bolzano, specializzazione: sviluppo del progetto, produzione e regia. Nel 2006 lavora come ricercatrice per il documentario "Malafemmina", (casa di produzione Global Vision s.r.l., Roma). Membro della giuria Premio “Casa Rossa” al ‘Bellaria Film Festival 2007’. Tra i suoi lavori: Le Chiavi per il Paradiso (2007, film di diploma presso la ZeLIG), Polvere (2006, documentario) e "Numero 5" (2005, documentario). A Caterina Carone ho chiesto: quali le motivazioni di questo tuo lavoro? Volevo indagare la potenza della memoria attraverso un uomo che la stava perdendo, mio nonno Carlo, e una donna, Valentina, che non aveva nessun altro strumento se non appunto la memoria per rivedere ogni giorno i suoi tre figli. Con il tempo mi sono accorta che si era venuta a creare una sorta di nucleo familiare, e che Valentina sarebbe stata l'ultima testimone della vita e della morte di mio nonno. Tengo a specificare che questo film parte da Super8 e vhs familiari, materiali girati da mio nonno, ma non è però un film familiare. È piuttosto un film sulla convivenza necessaria tra un partigiano di 88 anni e una donna di 35 che ha dovuto lasciare il suo paese per lavorare, ed è soprattutto una riflessione sulla memoria storica che, attraverso materiali familiari, tenta di esplorare il Novecento, di cui Carlo è stato uno dei protagonisti, e di cui Valentina è ultima testimone. Il passato perde ogni giorno di più la priorità nella lettura di ciò che oggi viviamo, e questo film è un invito a ricordare da dove veniamo, e a non dimenticare i testimoni del Novecento. Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, l’Ufficio Stampa è a cura di Storyfinders “Valentina Postika in attesa di partire” Anno di produzione: 2009 Genere: documentario Durata: 77′00” Regia: Caterina Carone Con: Valentina Postika, Carlo Paladini
martedì, 23 febbraio 2010
Il reato di scrivere
Esistono scrittori – ma anche personaggi di altre arti – che in vita furono sgraditi a destra e a sinistra, in ogni senso, non ultimo quello politico. Uno di questi è Juan Rodolfo Wilcock (1919 – 1978), nato a Buenos Aires figlio di padre inglese e madre argentina. Nel 1951 viaggiò per l'Europa con Silvina Ocampo e Bioy Casares, visitando l'Italia per la prima volta. Nel 1955 si trasferì definitivamente da noi, dapprima a Roma poi a Lubriano, dove morì il 16 marzo ’78. Nessuno della stampa, della radiotv si occupò della sua morte perché avvenne nello stesso giorno in cui Moro fu rapito e gli uomini della sua scorta uccisi dalle Br. In molti parlano della sua contradditorietà che credo possa essere, invece, una successione di lucide smentite di se stesso. Un esempio per tutti: collaborò all'edizione argentina dell'Osservatore Romano, è sepolto nel cimitero acattolico di Roma. “Intelligenza satanica” la sua, come la definì Francesco Fantasia, “non poteva fare che offerte di riso, rovesciando il pedagogo in un buffone” com’ebbe a dire Giacinto Spagnoletti in un suo studio. Estraggo dal sito web dedicato allo scrittore un illuminante passaggio scritto da Roberto Calasso: “Wilcock sapeva mescolare felicemente il suo modo di scrivere e il suo modo di vivere: sul ‘Mondo’ di Pannunzio, per un certo periodo, sostituì Chiaromonte come critico teatrale, e andare a teatro lo annoiava profondamente. Perciò, per un certo numero di settimane, parlò di spettacoli inesistenti, con sobria precisione: e nacque così la figura del regista catalano Llorenz Riber, autore di rare e folgoranti messe in scena, che avevano luogo, volta a volta a Tangeri, Oxford, Latina. La sua impresa più memorabile fu una messa in scena delle “Investigazioni filosofiche” di Wittgenstein, di cui Wilcock raccontò diligentemente la trama. Sempre sul ‘Mondo’, Wilcock firmò per anni articoli sia col suo nome sia con quello di Matteo Campanari. E, negli articoli firmati Wilcock, se la prendeva spesso con le idee di Matteo Campanari, il quale poi rispondeva combattivamente. In Italia divenne amico di Nicola Chiaromonte, Elsa Morante, Alberto Moravia, Ennio Flaiano, Elémire Zolla, Ginevra Bompiani, Roberto Calasso, Luciano Foà. Nel 1975, chiese la cittadinanza italiana; con decreto del Presidente Pertini, gli sarà concessa post mortem il 4 aprile 1979. Wilcock fu traduttore dall'inglese, francese, italiano, tedesco e praticò assiduamente la critica letteraria collaborando con numerosi giornali e riviste: La Nazione, La Voce Repubblicana, Il Messaggero, il settimanale L'Espresso e Il Mondo di Pannunzio. E proprio in gran parte da quel celebre periodico sono stati tratti alcuni articoli che compongono Il reato di scrivere pubblicato da Adelphi. I testi selezionati sono incentrati sulla derisoria critica che Wilcock svolse sulla società letteraria del tempo in cui l’Italia era stretta nella morsa della cupa Dc e del tetro Pci. Leggendo quei pezzi, fa quasi tenerezza pensare che tutto quanto bersagliato in quegli articoli sia oggi da considerare se non un paradiso almeno un purgatorio visti i giorni d’infernale volgarità, servilismo, corruzione impunita che viviamo oggi. Nel concludere questa nota, mi va di notare come alquanti critici di destra si siano lanciati da qualche anno, con funerea e cannibalesca furia, a impossessarsi delle spoglie d’autori un tempo osteggiati o che per ignoranza mai conobbero, fra questi Wilcock. Per i libri di Wilcock in Adelphi, cliccare QUI. J. Rodolfo Wilcock “Il reato di scrivere” Postfazione di Edoardo Camurri Pagine 88, Euro 6.00 Adelphi
lunedì, 22 febbraio 2010
Arte in volo
E’ sempre interessante assistere a mostre, rappresentazioni, proiezioni, che si svolgono fuori dei cosiddetti luoghi deputati a ospitare cose d’arte. Sono avvenimenti (Gruppo Fluxus insegna) che acquistano un nuovo sapore, irraggiano energia, profilano nuovi orizzonti espressivi. Ecco perché scrivo con piacere di quanto accade nella Stazione Ferroviaria Vigezzina di Domodossola, che collega due culture, due confini, tra la Svizzera e l’Italia, da lì passano ogni anno due milioni di persone. Se le gallerie di tutto il mondo lamentano che ormai, dopo la serata dell’inaugurazione, nessuno passa più, quale migliore possibilità di avere un pubblico continuo, ricco, quotidiano, affezionato? A loro è dedicata Sottopasso Arte in volo a cura di Olga Gambari e Massimo Fiumanò . L’associazione Ingremiomatris ha scelto una postazione nel cuore di questa stazione, per aprire un’originale galleria. Una storica carrozza degli inizi del '900, dagli interni in ciliegio, recentemente restaurata, ferma sul Binario 1, spazio d’arte dove per mesi sfileranno artisti e opere.
In foto: Trasvolata, immagine tratta dalla mostra in corso (fino al 14 marzo) degli artisti Giuliano Crivelli e Claudio Taddei. La carrozza, ferma sul suo binario (tutto vivo e per niente morto), diventerà una galleria a statuto speciale, un esemplare unico. Dai sei grandi finestrini illuminati e orientati verso il marciapiede, le opere saranno visibili dall'esterno, osservabili solo da fuori, da chi passa lì vicino. Il corpo del vagone sarà chiuso, un magico luogo a sé. Una galleria come una vetrina, che attrae il contatto, l’incontro tra opera e spettatore, lo scambio emozionale tra arte e pubblico. Una creatività multiforme che abiterà la stazione di Domodossola fino al mese di settembre 2010, con un susseguirsi di mostre, tra personali e collettive, che spazieranno nelle arti visive dalla fotografia alla scultura alla videoinstallazione. “Tutta la rassegna” - è detto dai curatori – “è idealmente ispirata all’idea stessa di volo, di partenza, di nomadismo concettuale. Il volo è una perfetta metafora dell’esperienza artistica. Voli che si compiono in ogni opera, sperimentazioni che partono da terreni conosciuti per esplorare altri mondi e altri cieli”. Arte in volo Sede: binario 1, Stazione ferroviaria Vigezzina, Piazza Matteotti, Domodossola Orari: tutti i giorni dalle 5:00 alle 21:00 Info: 335 – 73 57 840; info@ingremiomatris.com Fino al settembre 2010
venerdì, 19 febbraio 2010
La storia negata
Un vecchio motto editoriale dice che “Tutti i libri sono necessari”. Non sono d’accordo. Farei a meno di molti titoli, a cominciare dai tanti, troppi, romanzi contemporanei e spesso perfino bestseller, che affliggono le nostre librerie. A questo proposito, va elogiata l'iniziativa di Neri Pozza che ha annunciato che non parteciperà dal 2010 a premi di narrativa italiana, ed ecco il perché. Di libri necessari n'esistono alquanti, ma ce ne sono alcuni più necessari di altri. E’ il caso del volume che segnalo oggi: La storia negata il revisionismo e il suo uso politico pubblicato da Neri Pozza già lodato nelle righe precedenti per le sue scelte. L’autore è Angelo Del Boca, per una sua biobliografia, cliccate QUI. Storico attento a rilevare angoli tenebrosi di anni italiani lontani e vicini, ricordo una sua clamorosa polemica con Indro Montanelli, sostenitore del nostro colonialismo come forma bonaria d’occupazione; Montanelli ne uscì a pezzi. Del Boca è una di quelle penne di cui, specie oggi, abbiamo bisogno, in quest’epoca in cui tanti con losca tempestività hanno abbracciato non soltanto idee e personaggi al potere, ma s’impegnano a giustificare le origini di questi ultimi, modificando la storia che li ha espressi, piegandosi al cosiddetto revisionismo, assai pagante (in ogni senso) specialmente in Italia. “La storia negata”, introdotta da un poderoso saggio di Del Boca illustra e interpreta dal Risorgimento al ventennio fascista, dalle imprese coloniali alla Resistenza, dalla questione cattolica alla Shoah, dal Duce alla Costituzione, le falsificazioni revisioniste della Storia nell’analisi di alcuni importanti storici italiani. I nomi, in ordine d’apparizione nel volume, sono: Mario Isnenghi – Nicola Labanca – Nicola Tranfaglia – Giorgio Rochat – Lucia Ceci – Mimmo Franzinelli – Enzo Collotti – Aldo Agosti – Giovanni De Luna – Angelo D’Orsi; le loro essenziali biografie scorrendo questa pagina. Quanto mi piacerebbe - ed è un invito che rivolgo ai dirigenti scolastici più sensibili - che questo volume apparisse nelle biblioteche dei licei e delle università!
Ad Angelo Del Boca ho chiesto: che cosa ha principalmente motivato l’ideazione di questo libro? Da tempo non riuscivo più a sopportare questa ondata di revisionismo che da almeno 20 anni ci sommerge, ci nausea, ci sconvolge. Mi sembrava opportuno, urgente, analizzare il fenomeno, fornire una diagnosi ed una adeguata risposta. Non è stato difficile mobilitare, per questa giusta causa, dieci fra gli storici più affermati e scientificamente validi. Abbiamo deciso a febbraio del 2009 di preparare questo libro ed a giugno dello stesso anno il volume era pronto per la stampa. Questa rapidità, che ha sorpreso anche l'editore, Giuseppe Russo, è la miglior prova che c'era urgenza di affrontare il problema. In pochi mesi la prima edizione di 9 mila copie è andata esaurita, ulteriore prova della necessità di mettere sul mercato librario un documento del genere. Il revisionismo in Italia ha assunto proporzioni allarmanti. Non siamo soli – e questo non ci consola – perché anche in altri paesi c’è una presenza di quel fenomeno. Esiste una particolarità che distingue il revisionismo italiano da quello praticato altrove? Se sì, in che cosa possiamo identificarlo? In Italia il revisionismo ha attaccato tutti i nodi della nostra storia nazionale, dal Risorgimento ai giorni nostri, preferendo tuttavia accanirsi contro la Resistenza, la Costituzione (definita "sovietica"), il Partito d'Azione e quello Comunista. E' vero che il fenomeno del revisionismo è presente anche in altri Paesi, di tutti i continenti, ma in nessuno è virulento come nel nostro. Ha soprattutto due caratteristiche: quella di nascondere le pagine più buie della nostra storia (ad esempio tutte le stragi e i misfatti del nostro colonialismo) e quella di falsificare o di ignorare le pagine più radiose. Per una scheda sul libro CLIC! Angelo Del Boca La storia negata Pagine 384, Euro 20.00 Neri Pozza
Il Rovescio
Il titolo di questa nota non tragga in inganno, non mi riferisco alle disgrazie inflitte agli italiani dagli attuali governanti e neppure al famoso colpo tennistico, bensì ad un’osteria bolognese che – chissà perché – proprio così si chiama. La situazione enogastronomica a Bologna, purtroppo, non è delle migliori, ma (poche) eccezioni – proprio in certe osterie – esistono. Una di queste è Il Rovescio dove, a dispetto del poco rassicurante nome, si possono gustare sia ottimi piatti locali sia di altre regioni in apposite serate a tema. Devo questa squisita scoperta alla scrittrice Fabrizia Poluzzi, e, a proposito di arti, in quell’osteria ospitano sulle vecchie pareti di legno scuro, mostre dedicate a giovani emergenti. In sala (posto suppergiù per 40 coperti), Pasquale Giorgiani e Stefano Materassi praticano una cordialissima accoglienza, sanno bene interpretare i gusti dei clienti intervistati per capirne gli orientamenti gastronomici e suggeriscono sapientemente gli accoppiamenti con i vini. A proposito, grande per ampiezza, e scelte di qualità, la lista delle bottiglie. Non meraviglia, quindi, che là, ogni lunedì sera, si tengano corsi per la conoscenza del vino. In cucina, lo chef Raffaele Fierro oltre alle famose lasagne e tagliatelle di Bologna, perfettamente eseguite, si produce, come poco prima dicevo, anche in lussuose escursioni in altri territori, quindi, non mancano per gli avventori altre delizie. Prezzi: mai oltre i 20 euro, bevande escluse. Un mio, non richiesto, consiglio: allestire al più presto un sito web che illustri il profilo del locale, presenti la prestigiosa lista dei vini, foto dell’attraente ambiente.
Il Rovescio Via Pietralata 75/A, Bologna Per prenotare: 051- 52 35 45; mail: info@rovescio.it Aperto a pranzo e a cena
giovedì, 18 febbraio 2010
Ad Arte
E’ in corso presso la livornese Galleria Granelli una mostra, intitolata Ad Arte che è una ricognizione, dagli anni ’40 a oggi, sull’opera di Lamberto Pignotti. In foto la locandina, altre immagini dell’esposizione QUI . Pignotti è unanimemente considerato dalla critica, anche straniera, come il capofila della poesia visiva italiana. Le sue performances hanno inizio dagli anni Sessanta. Partecipa, in quegli anni, dapprima con il Gruppo '63 poi con il Gruppo '70 al cambiamento delle forme d’arte che vanno ispirandosi all’intersezione dei codici e – in particolare con Pignotti – alla sinestesia. Come nota Paolo Guzzi in un suo scritto: "Pignotti si mostra al pubblico quale egli è normalmente. Non si veste per lo spettacolo. Preferisce i suoi abiti di ogni giorno, il gesto rapido, la battuta da mostrare, scritta su di un cartello, oppure, tramite oggetti di uso comune, presi anche dalla gastronomia, se ne serve per il suo scopo - e ricordando alcune delle tante performances di Pignotti, così prosegue - "Offre a volte dei dolci: ecco "il dolce stil nuovo", tramite questo gesto egli vuole segnalare ciò che oggi è divenuto l'antico movimento poetico cui appartenne Dante, contro la sdolcinatezza esagerata di certa poesia contemporanea. La poesia può essere bevuta, se beviamo un suo drink-poem, quasi una pozione magica tenuta in una bottiglia decorata dall'artista stesso. La poesia può essere masticata, se ha la forma e la sostanza del chewing-poem, oppure può essere offerta a adepti e credenti, come fa il prete quando dà la comunione. La pubblicità è pericolosa? allora rispediamola al mittente, ridicolizziamola per indebolire la sua forza persuasiva e interveniamo sui manifesti pubblicitari, trasformiamoli a nostro piacere. Siamo dunque, in Pignotti, nella linea del Futurismo, del Surrealismo, di Dada, ma con metodo critico, con grande forza creatrice e polemica in relazione ai problemi del nostro tempo". Lamberto Pignotti “Ad Arte” Galleria Granelli Piazza Orlando 5, Livorno Info: 339 – 43 088 57; info@galleriafranelli.it Fino al 13 marzo '10
martedì, 16 febbraio 2010
Nero sonetto solubile
La pagina di Wikipedia dedicata a Valerio Magrelli manca della più recente gemma di quest’autore che ritengo – e non sono il solo – uno dei più grandi poeti tra i contemporanei italiani. Quella pagina web si ferma, infatti, al testo in prosa La Vicevita, ma presto ci sarà anche questo nuovo titolo saggistico che ha affascinato la mia lettura: Nero sonetto solubile Dieci autori riscrivono una poesia di Baudelaire pubblicato da Laterza. Preso in esame è “Recueillement” di Charles Baudelaire (1821 – 1867), un sonetto che possiamo leggere in originale e nella traduzione di Magrelli QUI insieme con l'incipit del volume. Da quei versi prende le mosse un saggio teso tra la detection letteraria e l’epifania linguistica, il mistero psichico e l’analisi dello stile. Perché, prima d’essere uccisa dal compagno (il cantante del gruppo rock Noir Désir), l’attrice Marie Trintignant invia alla madre un sms con l’inizio di ‘Recueillement’? Perché, prima di cadere in un’imboscata nazista, Prévost riscrive lo stesso sonetto di Baudelaire in un nuovo metro? Perché Perec lo traduce in una lingua priva della lettera ‘e’, come simbolo di un’amputazione causata dalla Shoah? Perché Céline e Beckett lo citano in due loro capolavori? Perché, malgrado disprezzi alcuni suoi versi, Valéry ne addita altri quali supremo esempio di poesia? Perché la medesima lirica compare in Michaux, Colette, Queneau, fino a balenare in ‘Lolita’ di Nabokov? Perché, nel primo romanzo di Houellebecq, uno studente della banlieue parigina scorge nelle sue strofe ‘il principio di morte’? Attraverso dotti rimandi dall’antichità fino alla memetica di Richard Dawkins, nelle pagine di Nero sonetto solubile seguiamo un percorso che ragiona disvelando plurali motivazioni che hanno determinato questo enigma di parole e storie. A Valerio Magrelli ho chiesto: Perché questo testo ha influenzato tante persone molto diverse fra loro? E qual è per te la grandezza di quei versi di Baudelaire?
Il mio libro è nato proprio per cercare di rispondere a queste domande, in quanto, a differenza che per il lettore francese, per quello italiano il sonetto di Baudelaire “Recueillement” (Raccoglimento) non risulta davvero fra i più noti, forse per l’intraducibilità dell’espressione iniziale: “Sois sage, ô ma Douleur” (vale a dire: “Fa’ la brava, o mia Pena”). Certo è che l’eco del testo è stata enorme, come dimostrano i dieci scrittori su cui mi sono concentrato. Potente e inquietante è la capacità di trasfigurazione di questa poesia, capace di rovesciare il nostro comune sentimento del bene e del male. Baudelaire, infatti, si rivolge con tenerezza al proprio dolore, mentre tratta il Piacere come un boia spietato. Basterebbe una mossa del genere a spiegarne la grandezza. Valerio Magrelli “Nero sonetto solubile” Pagine 248, Euro 25 Laterza
Darwin e Bruno
Questo mese ricorrono date che ricordano due pilastri del pensiero laico: il 12 febbraio del 1809 nasceva Charles Robert Darwin, a Shrewsbury città inglese capoluogo della contea di Shropshire. 12 febbraio del 1809: data fausta per l’avvenire scientifico dell’umanità quanto infausta per l’oscurantismo di tutte le chiese che da sempre combattono il pensiero del celebre biologo.
L’altra data riguarda Giordano Bruno, domani l’anniversario della sua morte. Ai più distratti ricordo, infatti, che Bruno all’alba del 17 febbraio del 1600, dopo 9 anni di carcere, a piedi scalzi e con la lingua stretta nella mordacchia, veniva condotto dal carcere del Sant’Uffizio a Piazza Campo dei Fiori per essere bruciato vivo. Mentre si trovava nel 1591 a Venezia, lì invitato dal nobile (si fa per dire) Giovanni Mocenigo, era stato denunciato dal Mocenigo stesso all’Inquisizione... accidenti che ospitalità!... direbbe Buster Keaton. Processato a Venezia prima e a Roma poi, non avendo ritrattato le sue idee, fu condannato al rogo dagli uomini pii della Chiesa cattolica. A Roma, come ogni anno, domani dalle 16:45, si celebrerà il grande filosofo martire della libertà di coscienza. Chi a Roma abita, o vi si trovasse di passaggio, può portare, un tributo di gratitudine al Nolano, unendosi alla manifestazione che si avvarrà della presenza di scienziati, attori, giornalisti, musicisti. Per il programma QUI L’Associazione Nazionale Giordano Bruno è l’organizzatrice di quest’incontro laico.
sabato, 13 febbraio 2010
Media Guru
Giornalista ed esperta di nuove tecnologie della comunicazione sin dagli inizi degli anni 80, Maria Grazia Mattei (in foto) fonda nel 1995 MG Digital Communication, studio di ricerca e consulenza sui nuovi media, specializzato nell’ideazione e nell’organizzazione di iniziative e servizi di comunicazione. Ha progettato mostre, rassegne internazionali, festival e convegni sul rapporto tra arte e nuove tecnologie, Cinema e Tv digitale, sui nuovi scenari mediatici e della comunicazione, tra cui: Imprese Creative (2006), Iparty (2005) La Fabbrica dell’Immaginario (2001, Fabbrica del Vapore, Milano); Virtual Set (1996, 53a Biennale Cinema, Venezia); Opera Totale (1995-2002, Centro Culturale Candiani, Venezia) Oltre il Villaggio Globale (1995, Triennale, Milano); Mondi Virtuali (1990, Palazzo Fortuny, Venezia); Network Planetario (1986, Biennale Arti Visive, Venezia). Dal 2005 dirige il programma da lei ideato Meet the Media Guru, ciclo di incontri con personaggi internazionali presso la Mediateca Santa Teresa di Milano. Una novità inaugura il ritorno di “Meet the Media Guru” nel 2010: Meet the Media Guru Focus. Quest’iniziativa darà spazio quest'anno a voci prestigiose del panorama italiano: un progetto articolato per entrare nel vivo degli argomenti e nell'attualità del dibattito sulla transizione al digitale in Italia. Il primo appuntamento, realizzato in collaborazione con Apogeo, apre un dialogo su eresie e dogmi del mondo dei media e la ricerca di nuove vie allo sviluppo della cultura nella rete. Punto di partenza le 10 tesi proposte dagli autori del libro Eretici digitali (Apogeo, 2009), Vittorio Zambardino e Massimo Russo, per contrastare la crisi del giornalismo, riflettere sulle mutazioni dell'industria dell'informazione, ma anche sui pericoli che corre la Rete, le prese di posizione della politica, l'apologia dell'innovazione, il potere dei nuovi intermediari, i nuovi diritti e doveri di chi abita la transizione digital in atto. L'incontro sarà trasmesso su Livestream, con la possibilità di intervenire in diretta. Meet the Media Guru Focus Mediateca Santa Teresa Via della Moscova 28, Milano 15 Febbraio, ore 19:00
giovedì, 11 febbraio 2010
Italian Sharia
Sharia in arabo è un termine, utilizzato nel senso di “legge”, che indica due diverse dimensioni, una metafisica (…ahi!) e una pragmatica. Secondo gli ulama – o ulema, chiamateli come volete, ma sempre tetri personaggi restano – la Sharia consentirebbe la pena di morte in quattro casi: omicidio ingiusto di un musulmano, adulterio, bestemmia contro Allah (… benvenute le altre dirette a divinità d’altre religioni?) da parte di persone di qualunque fede, apostasia; viene anche benignamente invocata per giustificare i casi di messa a morte per omosessualità in stati come l'Iran, la Nigeria, l’Arabia Saudita; paese quest’ultimo alleato degli Usa e che, secondo la dottrina Bush, non faceva, quindi, parte dell’Asse del Male. Intendiamoci, anche da noi il cattolicesimo ha praticato le stesse cose e se oggi non ci sono roghi in piazza è solo perché in occidente le condizioni sociali e culturali evolvendosi hanno costretto il Vaticano a più miti consigli. E’ bene, però, ricordare che la pena di morte è stata legale nello Stato del Vaticano dal 1929 al 1969; fu rimossa solo il 12 febbraio del 2001. Il Gruppo Perdisa Editore ha mandato da poco in libreria Italian Sharia, n’è autore Paolo Grugni che, in forma narrativa, ci ricorda come la Sharia sia applicata dai musulmani anche da noi, infatti, le cronache riportano d’efferati delitti commessi da fedeli di Allah verso propri familiari ritenuti dagli assassini troppo vivaci per i loro gusti. Mi occupo poco dei romanzi in queste pagine web (e anche altrove), ma questo libro ha il merito di essere stato concepito con sincera indignazione e praticando uno stile veloce, per niente compiaciuto, usando una secchezza da documentario. In una delle sue pagine l’autore dice: “Scrivo romanzi senza commissari, ci pensa già Camilleri a frantumarci i coglioni coi suoi, tra i personaggi non metto nemmeno una ragazzina infoiata nonostante i suggerimenti del mio editore, ma narro di uomini nati con la malformazione del pensiero…”.
Da un’intervista rilasciata da Grugni allo scrittore e giornalista Marco Tiano, estraggo un brano che mi pare particolarmente illuminante. “Italian Sharia” nasce dall’idea di scrivere un romanzo sull’omicidio di Hina Saleem, uccisa a Sarezzo, in provincia di Brescia, nell’agosto del 2006. E, allo stesso tempo, di scrivere un romanzo sulla condizione degli immigrati in Italia. Durante il processo di documentazione, durato circa due anni, ho scoperto che altre ragazze sono state ricondotte nei loro paesi d’origine per subire la stessa condanna a morte. La cosa era parzialmente nota perché già si sapeva che molte ragazze, in tutta Europa come negli Stati Uniti, erano stata riportate in patria a forza o con l’inganno per essere costrette a dei matrimoni combinati cui si opponevano. Non era noto che questo rimpatrio forzato abbia avuto in alcuni casi come conseguenza la morte. Ho ricostruito la vicenda a Prato, città a pochi chilometri da Firenze, per diversi motivi. E’ una città della stessa grandezza di Brescia, circa 200mila abitanti, è una città che situata in centro Italia, per cui simbolico crocevia dei viaggi degli immigrati, e infine è una città in grave sofferenza a causa della massiccia immigrazione cinese. E a Prato ho immaginato che venisse uccisa dal padre una ragazza marocchina perché anche lei ritenuta non una buona musulmana. Romanzo tragicamente profetico perché, pochi mesi fa e precisamente nel settembre 2009 a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, è stato uccisa dal padre Saana Dafani, una ragazza marocchina per il solito motivo: non era una buona musulmana e aveva come Hina una relazione sentimentale con un ragazzo italiano […] il romanzo si pone due obiettivi: la difesa dei diritti delle donne e la riaffermazione della laicità dello stato su qualsiasi religione. Paolo Grugni Italian Sharia Pagine 206, Euro 14 Gruppo Perdisa Editore
lunedì, 8 febbraio 2010
Un saggio consiglio
Ammettiamolo, i lettori italiani se la passano male. Devono subire chi, pur scusandosi, li chiama amore e poi, ancora scusandosi, li vuole addirittura sposare, né si riesce a sfuggirgli perché si trova perfino tre metri sopra il cielo. Se si voltano da un'altra parte, sono invitati bruscamente ad andare dove li porta il cuore per scoprire poi che si tratta di un villaggio turistico con obbligo di messa a mezzogiorno. E se vogliono fare letture più impegnate? Eccoli braccati dai tristanzuoli della New Italian Epic. Saviano, per dirne una, è costretto a girare con la scorta non – come erroneamente si ritiene – per sfuggire a quei bonaccioni dei casalesi bensì a quelli della New Italian Epic che l’hanno iscritto d’autorità, senza neppure consultarlo, fra gli autori della NIE. Mica è finita! Ci sono le schiere dei giallisti, il loro numero ormai supera quello degli evasori fiscali. E allora quale libro comprare per godere di una lettura che riconcili con l’inchiostro stampato? Io un consiglio ce l’ho e, nonostante provenga da me, è consiglio saggio. Comprate Come scrivere un best seller in 57 giorni pubblicato da Laterza. L’ha scritto Luca Ricci. Nato a Pisa nel 1974, esordisce con “Duepigrecoerre d'amore” (Addictions), cui seguono “Il piede nel letto” (Alacràn, premio Cocito Montà d'Alba 2005) e L'amore e le altre forme d'odio (Einaudi, Premio Piero Chiara 2007). Del 2007 l'esordio teatrale con “Piccola certezza”, nel 2008 pubblica con Einaudi “La persecuzione del rigorista”. Porta nelle scuole di scrittura creativa la lezione "I dieci comandamenti del racconto breve" e nelle librerie il reading "Nessuna enfasi".
Come scrivere un best seller in 57 giorni è una festa di pagine che vede in una mansarda parigina quattro scarafaggi (portano i nomi dei Beatles) intenti ad aiutare uno scrittore a scrivere un libro di successo che gli dia fama e quattrini evitando così lo sfratto che grava su di lui e sulle quattro bestiole sue nascoste conviventi. Non è solo satira del bestseller (Un libro idiota che risulta intelligente. Un libro scritto così male da sembrare già un film. Un libro che è stato scritto per vendere molto che vende molto e poi lo ristampano e vende ancora di più e tutti ne parlano perché ha venduto e dopo vende ancora un po'), è un saggio letterario che indossa una narrazione, un pamphlet sulla società delle lettere e i suoi attori, e – se non ho preso un abbaglio – una pasquinata contro il romanzo. Non è forse un caso che il volume non reca in copertina la parola ‘romanzo’. Già altre volte in queste pagine web ho ricordato un aforisma, per me entusiasmante, di Giorgio Manganelli: “Basta che un libro sia un ‘romanzo’ per assumere un connotato losco”, figuriamoci poi un best seller! Insomma, questo libro che vi consiglio è per lettori dal palato fine, per gente stufa di storielle e storiacce, di pagine che spacciano per nuovo il vecchio o il vecchio lo mummificano in modo compiaciuto e sussiegoso. Ancora una cosa, ho letto in qualche recensione che in questo libro ci sia dell’ironia, con tutto il rispetto per chi ha così scritto, non sono d’accordo: nessuna ironia, solo godibilissimo e gioioso sarcasmo. Ho chiesto a Luca Ricci: a proposito di best seller, Giuliano Vigini dice che In Italia i successi di vendita nascono per caso. Mario Spagnol è del parere che il best seller oggi va programmato. Il sociologo Mario Peresson afferma che “Gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili”. Un tuo parere… A Vigini risponderei che la sua affermazione omette un passaggio fondamentale. E’ vero che i libri di successo nascono per caso, nel senso che tra due potenziali best seller il lettore ne compra magari uno solo. L’ambito di scelta è comunque circoscritto a una tipologia di libro (precotto) molto precisa. A Spagnol do ragione, il best seller è spesso programmato, spero solo che l’affermazione non lo inorgoglisca troppo. A Peresson direi che la qualità, anche in passato, spesso non è andata a braccetto con la quantità. La vera aberrazione è che oggigiorno la quantità è ‘sinonimo’ di qualità. Risultato? Nella maggior parte dei casi si pubblicizzano, si espongono e si leggono soltanto i libri brutti. Per una scheda sul libro: CLIC! Luca Ricci “Come scrivere un best seller in 57 giorni” Pagine 122, Euro 9.50 Laterza
Il Miramondo
Ancora pochi giorni per visitare al Museo Clizia la mostra Il Miramondo: Fosco Maraini, sessanta anni di fotografia. E' curata e promossa dal Gabinetto Vieusseux di Firenze in collaborazione con Fondazione 900 e presentata a Chivasso in occasione della VI edizione del Festival Internazionale I Luoghi delle Parole. Fosco Maraini, nato a Firenze nel 1912, scoprì il fascino della fotografia giovanissimo esponendo a soli 18 anni alla Mostra Nazionale di Fotografia Futurista di Roma. Il viaggio fu la sua condizione di vita e la fotografia divenne per lui una sorta di diario dei ricordi di tanti luoghi lontani da lui visitati; in particolare il Giappone dove visse a lungo, ma anche Turchia, Israele, Pakistan, India, Nepal, Thailandia, Cambogia, Cina e Corea. La mostra (in foto un’immagine scattata a Cefalù nel 1949) offre una visione inedita sul mondo, sulla natura e sull’universo umano al quale Maraini guarda con curiosità e tenerezza; le immagini, di eccezionale potenza evocativa, sono sovente accompagnate da un titolo e da commenti che ne rafforzano il significato. Scrittore finissimo, ricordo il suo Nuvolario allorché con la parola scritta commentò le fotografie di Fulvio Roiter fissando sulla carta il massimo dell'effimero: le nubi.
A Chivasso, sono in esposizione una selezione di centoquaranta immagini in bianco e nero, una raccolta di fotografie suddivise secondo cinque temi universali: Paradossi, sorprese, allegrie - Luoghi, climi, orizzonti - Volti, gesti, profili - Strade, incontri, occasioni - Fedi, riti, speranze. La mostra è corredata di un catalogo, edito da Pagliai/Polistampa, con saggi introduttivi di Maurizio Bossi, Franco Marcoaldi, Gian Carlo Calza, Paolo Campione, Cosimo Chiarelli e Fosco Maraini. Ufficio Stampa: Emanuela Bernascone; tel 011 - 19714998 – fax 011 - 19791935 info@emanuelabernascone.com www.emanuelabernascone.com Fosco Maraini Il Miramondo Sessanta anni di fotografia Palazzo “Luigi Einaudi”, Chivasso Ingresso libero Info: 011 - 91 03 591 - fax 011 - 91 73 764 Fino al 14 febbraio 2010
sabato, 6 febbraio 2010
Giuliana 59
Apro questa nota rivolgendomi ai redattori delle guide gastronomiche: d’accordo, non sono un vostro collega, ma appartengo alla categoria dei ghiottoni e scrivo spesso d’enogastronomia, datemi retta: visitate il ristorante Giuliana 59 di Roma, sono certo che poi non disprezzerete questo mio consiglio. Di luoghi così proprio Roma ha molto bisogno perché accanto a (pochi) eccellenti posti – a prezzi disumani, però – presenta un panorama non all’altezza delle altre capitali europee. Il locale, aperto nel novembre scorso, è diretto con competenza da Consuelo Cirillo che ha plurali esperienze di management (nota a Roma per avere diretto per molti anni il Palladium); sorridente aria da bambinaccia, accoglie mettendo sùbito a proprio agio il visitatore in questo locale, arredato con sobria eleganza, a 2 passi 2 da Piazzale Clodio, quartiere Prati. Luministica azzeccata perché non abbacinante come un set cinematografico, ma neppure tenebroso come perniciosamente sta andando di moda mal intendendo l’intimità con simulazioni di cecità. In sala, la sommellier franzosa Flo sa coccolare con la sua lista di vini e promette che presto sarà implementata con nuove etichette; merita d’essere creduta. La cucina, eccellente, con accorte innovazioni, vede all’opera Gabriele Muro. Segnatevi il nome di questo giovane chef, scommetto che fra qualche anno ne sentiremo parlare. Stages con grandi cuochi (da Pietro Lemann a Karl Baumgartner, da Ramón Freixa a Philippe Chevrier), presenta gioie di gola sia sulla tradizione sia sulle sue lussuose innovazioni. Non sto a descrivere i piatti che lì ho consumato, la trovo un’operazione improbabile che fatalmente finisce in quel logoro gergo di molti critici di gastronomia, me ne tengo lontano; voglio dire, però, che mai sono stato deluso dai suoi piatti che ristruttura più che destrutturarli.
Alla Giuliana 59 c’è un menu degustazione, bevande escluse, a 30 euro; alla carta, con una buona bottiglia, il conto è contenuto entro i 50. A questo proposito, consiglio ai gestori d’inserire i prezzi sul sito web del locale insieme con l’elenco delle pietanze perché possono, giustamente, ingolosire più d’uno. Consigliabile la prenotazione. Giuliana 59 Via della Giuliana 59 Tel-Fax: 06 – 39 73 34 58 info@giuliana59.it Chiuso sabato a pranzo e domenica
venerdì, 5 febbraio 2010
L'arte della strategia
La Teoria dei Giochi, dal suo creatore von Neumann che l’ideò nel 1928 fino a John Nash ha affascinato le menti di molti. Ora la casa editrice Corbaccio ha mandato in libreria L’arte della strategia scritto da due professori di Princeton e Yale: Avinash K. Dixit e Barry J. Nalebluff i quali, prendendo le mosse dal loro precedente volume “Io vinco, tu perdi” (250.000 copie vendute), si propongono d’illustrare strategie efficaci, in contesti diversi fra loro, fondate su alcuni principi basilari riassunti dalla Teoria dei Giochi. Già, ma come faccio a dire in modo chiaro e sintetico sulla Teoria dei Giochi?...Idea! Ho estratto da un’intervista da me realizzata tempo fa con una grande antropologa – Paola De Sanctis Ricciardone, Ordinario di Storia della Cultura Materiale all’Università della Calabria – un brano che spiega la faccenda.
Teoria dei Giochi? Si può dire che è una teoria matematica per ottimizzare le decisioni soprattutto in campo economico. Ma si è detto quasi niente. Ti faccio un esempio: io conosco malamente le regole degli scacchi, ma non è solo questo che mi rende una pessima giocatrice di scacchi. Il mio problema è che non so vedere nel futuro della partita. Sono "cieca" nel senso che non so immaginare che pochi scenari al seguito delle mosse mie e del mio avversario: non vedo un numero sufficiente di ramificazioni del cosiddetto "albero delle decisioni". Questo significa che alla terza mossa sono fatta fuori da un giocatore bravo, e dunque io ho trasformato, per mia ignoranza, un gioco ampiamente indagabile e sfruttabile dal punto di vista strategico in un gioco ad informazione pressoché nulla, come il gioco d'azzardo. Ora von Neumann, che era tra l'altro un grande giocatore di poker, non negava pregiudizialmente che dio giocasse a dadi. Tuttavia pensava pure che di tanto in tanto giocasse a scacchi, a bridge, a filetto (intendo il gioco). Ora mentre nei giochi massimamente entropici (ad informazione nulla dal punto di vista strategico) l'unica ottimizzazione razionale dei comportamenti risiede nella decisione di non giocare, negli altri tipi di giochi qualcosa o molto si può fare: in campo economico, dove sembra prevalere una caratterizzazione probabilistica; in campo socio-culturale (qualcuno ci ha provato ma è stato sbertucciato); o - ahinoi - in campo bellico, dove pure la Teoria dei Giochi ha trovato una certa applicazione. Hai visto il film di Kubrik Il Dottor Stranamore? Bene era lui, von Neumann, lo scienziato guerrafondaio. Di questo libro ha detto Sylvia Nasar (autrice di “A Beatiful Mind” dal quale è stato tratto il film omonimo ispirato alla vita di John Nash): ”L’arte della strategia” propone un metodo nuovo e assolutamente efficace per prendere decisioni. Leggere per credere. Avinash K. Dixit - Barry J. Nalebluff “L’arte della strategia” Traduzione di Francesco Zago Pagine 528, Euro 22.00 Corbaccio
giovedì, 4 febbraio 2010
Il carbonio nell'anima
Come si legge in ogni enciclopedia, il carbonio ha molte forme che vanno dal durissimo diamante alla soffice grafite. Questo elemento chimico, ben rappresenta il granitico e morbido aspetto del vissuto aspro e delicato al tempo stesso di Liù Bosisio autrice di Il carbonio nell’anima, libro in cui riversa il ricordo di una vita – dalla sofferta infanzia alla trepida adolescenza fino alle esperienze dell’età matura – con la quale si confronta in modo sincero fino alla spietatezza. In copertina è impressa la parola “romanzo”, francamente, fossi stato l’editore, non avrei usato quella dizione, perché a me pare che sia molto di più se è vero – ed io concordo – che, come dice il grande Pessoa, “Il romanzo è la favola delle fate per lettori non hanno immaginazione”. Qui la mossa prima del romanzo, la trama, è felicemente bandita perché la narrazione si propone (e s’impone) non come fiction tradizionale o avanguardistica, ma come respiro autentico di un’esistenza senza prezzo e senza pace. E questo pur non rinunciando a una complessa struttura dove la protagonista si sdoppia, e perfino si triplica, ma non al servizio di una cosmetica scrittoria bensì come rifrazioni e scissioni della personalità di chi scrive. Giustamente Marina Tommaso che firma la prefazione afferma … Cicci e Luisella e Luisa raffigurano tre momenti, ma anche il segno di una continuità che trova il suo denominatore proprio in quella fisionomia che vorrebbe negarsi: la Bosisio che conosciamo, quella riproposta dagli schermi e dal video, e che l’Io narrante dell’autobiografia preferisce sia lasciata in ombra.
A Liù Bosisio ho chiesto: com’è nato questo libro? Questo libro è nato giorno per giorno nel corso degli anni. Piccole note su agende, pensieri scritti su tovagliolini di carta nei ristoranti, nei bar, nelle sale di attesa quando andavo disperatamente in cerca di lavoro… Si sono accumulati e, non so perché, sono stati messi via con cura. Quando ho avuto un computer li ho ricopiati, cercando di farlo, per quanto possibile, in ordine cronologico. Ma senza uno scopo preciso. Fu molto più tardi che cominciò a profilarsi l’idea di una tessitura… ma la soffocai… troppo ardita l’ipotesi di scrivere un libro. Poi, a poco a poco, si insinuò la domanda: “E perché no?..” La coscienza di essere sempre stata costretta a portare una maschera fu la spinta che mi fece decidere. Volevo finirla con il personaggio, ucciderlo, dimenticarlo. Volevo diventare Persona, finalmente! Una sola, distinta tra i molti. E volevo che lo si sapesse, che mi si conoscesse per quello che veramente ero. Ed ecco il libro. Che cosa ti ha dato e, eventualmente, che cosa ti ha tolto questo libro? Per stendere questo scritto è stato necessario intraprendere un lungo viaggio antropologico nella mia anima (da qui l’immagine del Carbonio), quindi nella mia vita: lavoro molto duro, lacerante, ma alla fine liberatorio. Ho raggiunto la chiarezza. E la serenità, anche se a volte accompagnata da un velo di malinconia. No, il libro non mi ha tolto nulla, assolutamente. Penso che denudarsi, togliersi di dosso tutti gli orpelli che ci hanno agghindato camuffandoci per una vita, sia comunque un bene, un atto onesto verso se stessi e verso gli altri. Sì, a volte c’è ancora l’ombra di un dubbio, forse. Ma mi consola la certezza che il “dubbio” sia un grande patrimonio, quello che ci salva. Per una scheda sul volume: QUI. L’autrice – conduce in Rete un sito web – prossimamente sarà presente in questo sito nella sezione Nadir con suoi collages digitali. Liù Bosisio “Il carbonio nell’anima” Prefazione di Marina Tommaso Pagine 218, Euro 14.00 Buffoni Maledetti Editori
mercoledì, 3 febbraio 2010
Il Centro Uh!
Nel dicembre de 1979, Angelo Pretolani, Adriano Rimassa e Roberto Rossini fondarono a Genova il Centro Uh!, ne trovate documenti d’origine QUI. Che cosa accadeva in Italia di rimarchevole in quel mese di quell’anno? Si approvavano al Senato l'installazione sul nostro territorio italiano di missili Pershing e Cruise e il decreto antiterrorismo del governo che prevedeva il fermo di polizia di 48 ore; Democrazia Nazionale, formazione nata da una scissione del Msi, confluiva nella corrente andreottiana della Dc; alla Rai prendevano il via le trasmissioni tv della Terza Rete e nasceva il Tg3. Sul piano internazionale, la notizia più importante fu rappresentata dal fatto che l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan, cosa questa che determinò l’impegno indiretto degli US a sostegno dei mujaheddin tra i quali, come si apprenderà, c’era Osama Bin Laden. In quel dicembre ’79 si chiudeva un anno cruciale anche nelle arti. Passo la parola al Centro UH!: Alla fine degli anni '70, l’affermarsi di un modello avanzato della società dello spettacolo, il mutamento dei modelli di 'consumo' della cultura, la prevalenza - nel sociale - dell’immagine su contenuto ed esperienza, portano ad una crisi nel campo dell’arte... nasce, in un clima di 'ritorno all'ordine’, la Transavanguardia. Per reazione e come movimento 'situazionisticamente' resistente, nel dicembre del 1979 viene fondato il Centro Uh!, esperienza di gruppo che durerà fino al 1983, a favore di una ‘esposizione’ del corpo nella situazione, per comunicare strategicamente con l’attraversamento dei codici, la sinestesia, l’impiego dei metodi di contaminazione, la condensazione, ripetizione, ridondanza... ”. Quel programma fu realizzato attraverso mostre, performances, interventi di videoarte, art-rock, mail art, edizioni d’arte in network, la rivista “UH!”, in rassegne di nuova espressività italiane e straniere, né fu trascurata la comunicazione attraverso grandi media, vale ad esempio una serie di trasmissioni sperimentali di drammaturgia radiofonica sull'antenna Rai. A questa esperienza – che influenzerà l’ambiente underground genovese e anticiperà, anche a livello nazionale, tendenze e modalità di partecipazione al mondo dell’arte che saranno caratteristiche degli anni a venire – è dedicata un’iniziativa promossa da Angelo Pretolani e Roberto Rossini che proporranno i materiali del Centro Uh!, in una nuova esperienza di lettura intitolata Ristabilire il disordine. Un mese di performances, mostre, incontri, dibattiti che si gioverà anche della guida critica di un catalogo firmato da Ferruccio Giromini, dai due curatori e con testi di Maria Campitelli e Carlo Romano. Il tutto al Museo genovese Villa Croce. “Ristabilire il disordine” Museo d’arte contemporanea di Villa Croce Via Jacopo Ruffini 3, Genova Info: 010 – 58 00 69 - museo croce@comune.genova.it Dal 5 febbraio al 7 marzo 2010
lunedì, 1 febbraio 2010
Margherita Hack
Ogni nuovo lavoro di Margherita Hack (per una sua dettagliata biografia: QUI) è una festa d’intelligenza sia quando scrive testi di divulgazione scientifica sia quando interviene su temi di attualità morale e politica. Ne è testimonianza anche questo sferzante pamphlet che Rizzoli ha mandato da poco in libreria: Libera scienza in libero stato. E’ un prezioso libro che in modo ragionato e crudo fa il punto sulle tristi condizioni in cui si trova la scienza nel nostro paese. Lettura imperdibile per chi voglia rendersi conto a quale grave destino – economico, sociale, culturale – andiamo incontro trascurando la ricerca scientifica, costringendo donne e uomini di scienza ad emigrare per trovare lavoro e traguardi per le loro intuizioni. Questo sito è onorato dalla presenza di Margherita Hack che accettò un’intervista che trovate pubblicata nella sezione Enterprise . Anche in occasione di questa recente pubblicazione, ho chiesto alla professoressa Hack di dire qualche parola sulle motivazioni che principalmente l’hanno motivata a scrivere “Libera scienza in libero stato”. Ecco la sua risposta. Lo stato disastroso in cui versano la scuola, l'università, i mezzi per la ricerca, le prospettive di un precariato a tempo indeterminato per i giovani neodottori di ricerca, e di conseguenza la continua perdita delle migliori energie mi hanno fatto accettare con entusiasmo la proposta di scrivere questo libro. Governanti incolti e che non si rendono conto dell'importanza della scienza stanno trascinando l'Italia indietro di un secolo, succubi anche di un Vaticano sempre più invadente e che ci fanno rimpiangere la tanto più laica Democrazia Cristiana. Per una scheda sul libro CLIC! Margherita Hack “Libera scienza in libero stato” Pagine 168, Euro 16.50 Rizzoli
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