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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Il pasto nudo della Torresin

Cannibale di se stessa, profana prima i pensieri e poi il proprio corpo in una visione che la vede prigioniera con uguale spasimo ora di una cucina Ikea ora di una maschera di ferro, giù giù inabissandosi sublime fetish in nobile finish.
Ricordo che un giorno scoprii per caso Giovanna Torresin (a tutt’oggi, mentre scrivo questa nota, mai l’ho incontrata di persona) e m’innamorai subito di quelle figure da tavolo autoptico, di quegli oggetti imploranti, di cassetti diventate stanze di ricordi lacerati.
Quel giorno la chiamai e l’invitai ad una piccola mostra internettiana su questo stesso sito web; seguirnono un paio di brevi telefonate cordiali, qualche sintetica mail, poi poco dopo la presentai QUI.
Se solo sapesse promuoversi cosa che non sa fare o non vuole fare – e qui non intendo indicarne una virtù bensì ai miei occhi, un difetto (… chissà perché in tanti se ne gloriano… e Dalì? Warhol? Cattelan? Hirst?... da buttare? Per me, la promozione dell'opera fa parte dell'opera d'arte stessa),– Giovanna Torresin raccoglierebbe consensi che, pur già ricevuti, e maiuscoli, la porterebbero ad ancora migliori risultati, anche di mercato, che largamente merita.
Ne è un esempio questa mostra dal titolo borroughsiano Pasto Nudo, organizzata da Spazio Paraggi e accompagnata da uno splendido catalogo delle Mat Edizioni.

(Nella fotina, un'opera della Torresin: “Cuore cerniera”, foto digitale, Lambda Print, 2008).

La presenta il critico Valerio Dehò che delle nuove forme espressive è fra i nostri migliori studiosi come già le sue origini testimoniano: corsi di Estetica con Luciano Anceschi e di Semiotica con Umberto Eco; laurea con una tesi di Filosofia del linguaggio con Giorgio Sandri.
Così scrive in un momento del suo saggio sulla Torresin.

Agli inizi negli anni Novanta, ha posto in primo piano gli oggetti propri del mondo femminile oppure quelli legati al menage della famiglia. Per esempio, un lavoro fondamentale come “Coro” (1993), consiste in una serie di borse da donna che vengono antropomorfizzate dall’artista, facendole diventare delle bocche aperte in un urlo silenzioso, quanto inascoltato […] Pur prediligendo la monocromia in nero o in rosso, l’artista crea una galleria di posture che diventano pose teatrali che ormai trasmutano nell’iconografia della storia dell’arte.
Appare una corazza che evolve nei ritratti delle madonne, in cui l’artista affronta per la prima volta e in modo diretto la sua proiezione come figura di maternità. Nel 2006, Giovanna Torresin realizza una straordinaria carrellata di variazioni sul tema della maternità in pittura, rielaborando l’iconografia di artisti come Tiziano, Antonello, Mantegna, Raffaello e altri classici.
Il senso della carne e del sacrificio compare nelle opere più recenti in cui è il cuore il protagonista: caldo e rosso organo, simbolo dell’amore e della sofferenza. Sono immagini di grande impatto visivo e anche di una crudezza nuova: il cuore con i chiodi, con la corona di spine, o avviluppato nel metallo è una ferita aperta che forse nemmeno l’arte può chiudere.
Giovanna Torresin, con questi lavori, indaga il rapporto tra arte e vita, tra l’arte e la società, con uno sguardo che rivela l’eternità della condizione femminile come visione del mondo
.

Anche altre valorose penne hanno scritto su quest’artista, per un’antologia: CLIC!

Per visitare il sito web della Torresin: QUI .

Ufficio Stampa
Dasler comunicazione: 348 – 67 72 908 – ufficiostampa@dasler.it

Giovanna Torresin
“Pasto Nudo”
a cura di Valerio Dehò
Spazio Paraggi
Via Pescatori 23, Treviso
Fino al 31 luglio ‘10


Parole in musica (1)

Ha scritto Marcel Proust: “Le canzonette, la musica da ballo, servono a conservare la memoria del passato, più della musica colta, per quanto sia bella”.
Giusta riflessione che investe ragione e sentimenti. Poi, quando la cultura sarà analizzata “come complesso di fenomeni sociali di cui fan parte a pari titolo l’arte come lo sport” (Umberto Eco), si avrà una benvenuta posizione nettamente alternativa rispetto ai principî della filosofia idealistica. Si capirà che proprio attraverso momenti del nostro consumo quotidiano, prima considerati minori, c’è la possibilità di rintracciare segni, tic, tabù, percorsi, che veicolano la Storia, permettendoci di capire la società che ci circonda.
Fra quei segni: le canzoni. Che non sono solo canzonette.
Eppure – come nota Fabio Volpato nella sua tesi di laurea – c’è chi scrive “Una sociologia critica della musica dovrà scoprire nel dettaglio perché, oggi, contrariamente a quanto accadeva ancora un secolo fa, la musica leggera, senza eccezione alcuna, è, deve essere una cattiva musica”. E ancora: “Quanto alla musica pop, si tratta a mio avviso di un fenomeno di massa, di una musica prodotta con metodo e su scala industriale, che può essere qualificata come culto della banalità”.
Ancora da Volpato: “Queste sono solo due delle affermazioni negative che accompagnano la popular music. La prima è stata formulata nel 1962 da Theodor Wiesengrund Adorno, il quale condannava il jazz e la musica leggera basandosi sulle finalità commerciali dei produttori. La seconda citazione sembrerebbe espressa da un discepolo adorniano, ma non è così: quelle sono parole pronunciate nel 2001 da Joseph Ratzinger, attuale papa Benedetto XVI”.

Un magnifico libro che studia le parole delle canzoni italiane, lo ha scritto Giuseppe Antonelli.
Titolo: Ma cosa vuoi che sia una canzone Mezzo secolo d’italiano cantato.
Editore: il Mulino.
Questo libro riconsidera i testi delle mille canzoni italiane più vendute negli ultimi cinquant'anni, nell'intento (riuscitissimo) di ricostruire - attraverso quelle parole - mezzo secolo di storia della nostra lingua.
L’autore insegna Linguistica italiana nell'Università di Cassino. Ha pubblicato, tra l'altro, "Lingua ipermedia. La parola di scrittore oggi in Italia" (Manni, 2006); "L'italiano: istruzioni per l'uso" (con Luca Serianni, Bruno Mondadori, 2006) e, con il Mulino, "L'italiano nella società della comunicazione" (2007).

Ma cosa vuoi che sia una canzone è un libro destinato a essere un evergreen, perché chiunque vorrà affrontare l’argomento dei testi letterari nella musica leggera nel nostro paese dovrà inevitabilmente passare per quelle pagine.

Segue ora una breve conversazione con Giuseppe Antonelli.


Parole in musica (2)


A Giuseppe Antonelli ho chiesto: come il tuo libro dimostra, è possibile ricostruire una storia della nostra società attraverso i testi delle canzoni. Quale immagine di questi cinquant’anni ti sei fatto del nostro paese? Dalla pseudo felicità degli anni ’60 ai nostri sciagurati giorni?

In realtà, quello che traspare dai testi è soprattutto un cambiamento del costume. Un progressivo allargarsi delle maglie del pudore (le prime parolacce si affacciano alla classifica degli album nel ’68, a quella dei singoli nel ’78). Una presenza sempre più ingombrante del consumismo, con i marchi – le griffes – che invadono anche i testi di canzone (primo tra tutti quello simbolo della Coca Cola). Un progressivo aprirsi alle parole di moda provenienti dall’inglese. Un altro discorso si potrebbe fare su come cambiano le convenzioni dell’amore e del corteggiamento, ma si finirebbe molto fuori dell’àmbito linguistico.

In quei cinquant’anni che hai preso in esame, individui un momento di svolta linguistica nei testi delle canzoni? Se sì, quando?

Il momento di svolta si ha tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, quando le canzoni cominciano ad abbandonare i modi stantii del poetese scolastico e a introdurre parole, espressioni, costrutti provenienti dalla lingua di tutti i giorni. La gradualità del processo (anche nella provvisoria commistione tra i due elementi) è ben evidente nella fortunatissima produzione di Mogol e Battisti: dove le ‘gote’ vanno a braccetto col ‘ma però’.

I parolieri hanno debiti verso la poesia contemporanea?

Molto più di quanto non si pensi. Non sono solo i cantautori, ma spesso proprio i parolieri, a orecchiare alcuni costrutti tipici della poesia novecentesca. Come certi usi del ‘di’ (“stai con me di pioggia o di sole” Raf) o certi abbinamenti astratto-concreto (“vesti la rabbia di pace” Umberto Tozzi). Certo: si tratta sempre di usi che nella poesia vera erano in voga all’inizio del secolo scorso. La lingua poetica che entra nelle canzoni è sempre invecchiata di almeno mezzo secolo.
La canzone, in questo senso, è irrimediabilmente epigonica
.

Per una scheda sul libro: QUI .

Giuseppe Antonelli
“Ma cosa vuoi che sia una canzone”
Pagine 264, Euro 16.00
il Mulino


Lo schermo dell'arte


Lo schermo dell'arte Film Festival – diretto da Silvia Lucchesi – dopo il successo ottenuto lo scorso inverno al Cinema Odeon nell'àmbito della rassegna “50 giorni di cinema internazionale a Firenze” torna, da domani, con “Notti di mezza estate” - un programma di film dedicati alle arti contemporanee curato da Leonardo Bigazzi.

Il gruppo Fluxus, fin dagli anni ’60 del secolo scorso proiettò molte delle sue opere fuori delle cornici per rappresentarle dentro i margini dell’inquadratura di uno schermo. L’epoca digitale che viviamo vede infittirsi questi esempi, la semplicità d’uso delle tecnologie d'oggi ha indubbiamente favorito il fenomeno che, però, non è ascrivibile solo a un fatto tecnico, ma a una nuova filosofia dell’espressività che sempre più va verso la contaminazione dei generi, l’incrocio fra arte e scienze, l’intercodice.
Lo schermo dell'arte ne è una maiuscola testimonianza.
I film selezionati, sottotitolati in italiano, sono stati raramente visti in Italia o, in alcuni casi, sono del tutto inediti, e rappresentano una preziosa occasione per approfondire le tematiche dell’arte del nostro tempo, ascoltare le voci dei suoi protagonisti, e vedere all’opera alcuni tra i maggiori protagonisti internazionali dell'arte contemporanea, tra i quali Matthew Barney, Maurizio Cattelan, Kiki Smith, Bill Viola, Gianni Berengo Gardin.
Sono previsti, inoltre, incontri con artisti, registi, curatori ed esperti di arti contemporanee che presenteranno i film e risponderanno alle domande del pubblico.

Per il programma, cliccare QUI.

In foto: da “Megunica “. Diario del viaggio intrapreso alla fine del 2006 dal noto street artist Blu con gli amici Silvia Siberini (Sibe) e Ivan Merlo, attraverso cinque paesi dell’America Latina.

Silvia Lucchesi, come ho scritto in apertura di questa nota, dirige “Lo schermo dell’Arte”. E’ storica dell'arte, ha pubblicato libri, saggi e ha curato mostre di arte contemporanea.
Ha realizzato il film “Senza titolo". Viaggio nell’arte moderna e contemporanea delle istituzioni pistoiesi” (2009). Ha collaborato con il Festival dei Popoli, curando la sezione Cinema e Arte (1992-1998, 2005-2007). Ha guidato rassegne video tra le quali Atlanti Futuri (Firenze, 2008), e cinematografiche dedicate alle arti visive contemporanee (Pistoia 1995, “Artecinema”, Napoli” 1996-97). Con la sua società ‘Silvy Produzioni’ ha prodotto il film Perdere il filo di Jonathan Nossiter (2000), presentato in festival internazionali e messo in onda da RaiSat e Sundance Channel (USA).

A lei ho chiesto: quale la principale finalità espressiva del Festival?

Quella di raccontare l’arte attraverso il cinema, svelando l’universo creativo, e soprattutto umano dei protagonisti delle arti del nostro tempo. Lo straordinario successo della passata edizione del Festival dimostra che si tratta di una formula assai efficace per avvicinare un pubblico sempre più allargato alle forme e ai linguaggi del contemporaneo.

Si sa che in Italia c’è scarsa attenzione verso questo tipo di produzione, ad esempio, i network tv italiani latitano. Hai una proposta che possa favorire la distribuzione di quei lavori aldilà dei Festival e occasionali proiezioni in Gallerie?

Guardo ai network tv, soprattutto satellitari, e a internet come un importante veicolo di comunicazione, in continua evoluzione, e confido che in questi contesti, tali film abbiano sempre più spazio, proprio come strumento educativo e di conoscenza, non solo rispetto all’arte ma in generale alla contemporaneità. Su tutti i livelli pesa il problema, sostanziale, degli alti costi di produzione e della difficoltà che tali opere possano trovare adeguati canali di distribuzione. Per rispondere alla difficoltà della diffusione, “Lo Schermo dell’arte” ha deciso di mettere a frutto la propria esperienza e la fitta rete di contatti per lavorare ad una serie di progetti tematici tesi proprio a favorire la circolazione dei film, a partire da quelli proposti nell’ambito del Festival, che rischiano altrimenti di non essere più visti. L’idea è di provare ad innescare un circuito virtuoso, quanto più esteso possibile soprattutto sul piano del coinvolgimento di enti e istituzioni.

Ufficio stampa:
Ester Di Leo: 055 – 22 39 07 e 348 – 33 66 205; esterdileo@gmail.com

Lo schermo dell'arte Film Festival.
"Notti di mezz'estate"
Altana della Biblioteca delle Oblate
29 giugno – 2 luglio 2010


Young Europe


In principio fu il Verbo.
No, non mi sto riferendo all’incipit di quel noto bestseller, ma alla parola praticata in uno spettacolo teatrale intitolato Icaro Young che nel corso di dieci anni ha coinvolto più di ottantamila studenti in oltre 150 città italiane sul tema della sicurezza stradale.
Rilevazioni e studi condotti dall’Università La Sapienza di Roma su un campione significativo di studenti/spettatori dello spettacolo, ne hanno mostrato l’impatto positivo confermando che, come si sa, la creazione artistica, in tutte le sue possibili forme, è la chiave più efficace per far scattare dinamiche emotive, e specie fra i più giovani.

Da pochi giorni è in libreria Young Europe edito da Aliberti Editore: un romanzo centrato su tre protagonisti che vivono la… no, come va a finire non lo dico sennò l’editore e l’autore si arrabbiano… mentre i loro giorni scorrono paralleli a inquietanti fatti di cronaca – gli attentati mortali ai giudici Falcone e Borsellino, le tragiche vicende di Ilaria Alpi e Anna Politovskaja, la morte del pilota automobilistico Gilles Villeneuve – fluendo su di una colonna sonora che va dai Muse ai Queen a Kurt Cobain. Tre storie di giovani europei, tre vite che, inoltre, risentiranno della quotidiana guerra che provoca continue morti ogni giorno sulle strade d’Italia, d’Europa, del mondo, e che con stanca ritualità sono ricordate nelle cronache dei giornali e delle radiotv.

Ed ecco ora l’idea di far seguire, dopo la parte scenica e quella letteraria, una terza affidata al mezzo cinematografico, diretta a un pubblico non solo italiano, con il film “Young Europe”.

Artefice di questo progetto che trascorre attraverso plurali linguaggi è Matteo Vicino (in foto) che così dice: L’obiettivo è indirizzarsi al grande pubblico. La mia ambizione è creare un’opera cinematografica che riporti l’Italia alla miglior tradizione del cinema d’autore, e nel contempo intrattenga e formi le nuove generazioni ma anche e soprattutto gli adulti.

Il film partecipa al progetto sulla sicurezza stradale dell’Unione Europea, ed è patrocinato dalla Fondazione Rossellini e dalla Federazione Italiana Cinema D’Essai.
Nei giorni scorsi si sono tenuti i casting del film, che sarà girato in varie città europee a settembre di quest’anno per essere poi presentato a Bruxelles nell’autunno del 2011.

Ufficio Stampa: Simona Carlucci: tel 0765 – 42 33 64; carlucci.si@tiscali.it


Millenium Poem


E’ questo il titolo di un poema – sottotitolo a proem looking back in life-in-death – di Enzo Minarelli che conduce un suo website QUI.

Minarelli nell’ultimo decennio ha fatto molte incursioni in terra americana, California, New York soprattutto, dove oltre a realizzare performances, ha donato al Lincoln Center tutta la sua personale produzione di poesia in audio, video e volume, che è ora consultabile in permanenza presso il Rodgers&Hammerstein Archives of Recorded Sound, nella New York Public Library for the Performing Arts.

QUI per conoscere un’altra sua iniziativa.

A proposito di “Millenium Poem”, dice Minarelli: “Si tratta di una videopoesia sonora, ha come traccia audio un poema sonoro, che si relaziona con le immagini in movimento. Nel caso di ‘1999 Millennium Poem’, prima è stato realizzato il poema sonoro, siamo sul finire del secolo, poi ho registrato le suggestioni sonore captate durante un viaggio da Bologna verso Praga attraverso l’Austria, e tento un riassunto ideologico-sentimentale di quanto abbiamo vissuto nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle proiettandomi verso il nuovo millennio. Per questo tipo di videopoema ho scelto un collage d’immagini che provengono dai miei continui viaggi americani. Posso dire a giusta ragione che c’è una fusione verbo-visiva tra Europa e America, con in mezzo molta Africa che viene dal tipo di musica prodotta per l’occasione e dai molti strumenti a fiato nordafricani impiegati nelle tracce musicali ”.


Asini, muli, e... (1)


La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni ha per Coordinatore Tullio Monti e svolge da anni una preziosa opera di confronto civile e di diffusione di cultura democratica.
Ne è testimonianza anche una mostra in corso – curatore Erik Balzaretti – intitolata Asini, muli, corvi e maiali La satira in Italia tra Stato e religioni dal 1848 ai giorni nostri.
L’esposizione consiste in una panoramica dedicata alla satira illustrata italiana sui rapporti fra Stato e Chiesa, a partire dalle sue origini, affrontandone innanzi tutto i temi principali e loro persistenze, per proseguire con gli autori e le testate più rappresentativi di 150 anni di storia.

La satira (dal latino satura lanx, nome di una pietanza mista e colorata) è un genere della letteratura, una forma di teatro, e di altre arti che confina e sconfina con i territori del comico, del carnevalesco, dell'umorismo, dell’ironia, del sarcasmo.
E’, quindi, necessariamente aspra e fatalmente invisa ai potenti fin dall’antichità.
Si pensi, infatti, a quanto poco siano amati dal Potere personaggi, per stare ai nostri tempi, come Fo o Luttazzi. A proposito, la satira non va confusa con lo stile macchiettistico (da noi un buon esempio è il Bagaglino) che dietro critiche generiche nasconde, invece, una glorificazione di noti personaggi specie della politica. Non è un caso che da sempre in quel teatro romano siedano compiaciuti in platea i personaggi apparentemente satireggiati.
Ai nostri giorni, in Italia, la satira è perseguita in modo attento e invelenito perché troppe sono le magagne che i politici tendono a occultare. Questo se da una parte produce una grande quantità di materiali satirici, dall’altra rende difficile la circuitazione degli stessi, ma non è una novità nella Storia.
Tra i nemici della satira, primeggiano i monoteisti; non solo, quindi, i cattolici, ma anche (e se ne hanno tragiche conferme ai nostri giorni) musulmani incazzosi e rabbiosi rabbini.

Esiste, in Italia (non tutti, forse, lo sanno), anche una definizione giuridica della satira, la trascrivo: È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, in altre parole di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene. (Prima sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 9246/2006).


Asini, muli, e... (2)


Dal catalogo della mostra torinese.
La satira politica illustrata ha svolto una funzione importante all’interno dell’evoluzione socio-politica della storia italiana. Non si tratta di un semplice contrappunto, in quanto spesso ai giornali satirici e ai loro animatori veniva delegata, sin dalla loro nascita, collocata intorno ai moti del 1848, la funzione di veicolazione e divulgazione dei messaggi politici e delle riflessioni attorno agli accadimenti nazionali ed internazionali.
Il tema della satira illustrata sui rapporti fra Stato e Chiesa costituisce una parte rilevante dell’universo satirico italiano. Il potere della Chiesa e la sua influenza sulla vita politica italiana hanno sempre attirato l’attenzione della satira illustrata, spesso dichiaratamente ideologicamente anticlericale, e nella nostra storia non sono mancati movimenti e partiti, a volte in chiara collisione con il credo e le scelte delle gerarchie ecclesiastiche, altre volte meno, limitandosi a mettere in luce il divario tra la dottrina e i comportamenti degli appartenenti alla Chiesa. D’altro canto anche la Chiesa mise in campo le proprie forze editoriali e di propaganda, anche quelle di matrice satirica (come ad esempio Il Mulo, giornale nato per controbattere L’Asino) che costituiscono parte non secondaria della mostra.
La satira sui rapporti fra Stato e Chiesa è stata molto dura, a partire da quella strettamente romana, in stile Belli, del Don Pirlone a quella socialista di Galantara e Scalarini, a quella di segno politico opposto di Sironi, a quella del Don Basilio post-Liberazione, per finire con Dario Fo, Pino Zac, il Male e il Vauro del Manifesto, Altan. Ma sempre si è trattato di colpire l’anima politica ed il potere temporale della Chiesa: insomma ciò che si può definire “clericalismo” con tutti i suoi privilegi e i suoi arroccamenti a difesa di un potere temporale che mutava nel tempo e nei modi, ma che resisteva solidissimo. I credenti in realtà sono sempre stati risparmiati, tranne che in rarissimi casi. Laici, socialisti, liberali di destra e di sinistra, massoni, comunisti, extraparlamentari di sinistra, anarchici, qualunquisti hanno scagliato le loro armi satiriche contro la Chiesa e il suo Potere terreno.
La mostra che proponiamo consiste in una ricognizione panoramica dedicata alla satira illustrata italiana sui rapporti fra Stato e Chiesa, a partire dalle sue origini, affrontandone innanzi tutto i temi principali e loro persistenze, per proseguire con gli autori e le testate più rappresentativi di 150 anni di storia”
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Il catalogo (240 pagine, 35 euro) con testi di Erik Balzaretti, Simonetta Michelotti, Paola Pallottino è stampato da Mazzotta;

Uffici stampa:
Palmira Naydenova, Tel. e fax: 011- 8154 283, info@torinolaica.it

Alessandra Pozzi, Fondazione Mazzotta, 02 – 87 83 80, ufficio stampa@mazzotta.it

“Asini, muli, corvi e maiali”
Museo di Scienze Naturali
Info museo: 800 329 329, Tel. 011-4326354
Via Giolitti 36, Torino
Fino al 31 luglio ‘10


Gli sguardi di Condorcet


In questi ultimi mesi ho ricevuto più comunicati che annunciavano incontri, convegni, sessioni di studio sia sulla Scuola e sia sulla condizione femminile oggi.
Di alcuni, pochi, mi sono occupato in queste pagine web, di molti altri no anche perché, purtroppo spesso, le comunicazioni sono pervenute in date vicinissime all’avvenimento (perfino il giorno prima dell'avvenimento stesso), insomma troppo tardi.

Scuola e condizione femminile. Due temi che, specie in questi giorni bui che viviamo in Italia, meritano molta attenzione. A mio parziale recupero su quei dibattiti, mi sono ricordato di un libro (uscito alla fine del 2009), che li affronta. L’autore, però, è vissuto due secoli fa, si tratta di Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, noto come Marchese di Condorcet.
Il libro cui mi riferisco è stato pubblicato dalle Edizioni Dedalo; titolo: Gli sguardi dell’illuminista Politica e ragione nell’età dei lumi tradotto e curato da Graziella Durante della quale Cosmotaxi si è già occupato tempo fa recensendo Dal buco della serratura.

A lei ho rivolto qualche domanda.
In un momento in cui la scuola italiana conosce uno dei momenti più bassi della sua esistenza, quale lezione può venirci da Condorcet?

Alla base delle cinque memorie Sull’istruzione pubblica che Condorcet ha redatto nel 1791-92 vi è l’idea di un sapere fondato sull’autonomia della conoscenza e sulla necessità di un accesso collettivo e pubblico all’istruzione come garanzia dell’eguaglianza sociale e della piena fruizione dei diritti politici. Autonomia del sapere significa per Condorcet organizzazione dell’intelligenza collettiva che trovi riparo sia dalle pressioni del potere statale, sia dalle esigenze del mercato. Un’istruzione, quindi, non nazionale – come rivendicavano i giacobini – ma pubblica, intesa come condivisione delle risorse, immanenza dei diritti e concretezza dell’autonomia dei singoli. E’ difficile non percepire la radicale attualità di una simile proposta, in un momento in cui la scuola pubblica è minacciata nella sua stessa esistenza ed è ben lontana dall’essere percepita come una risorsa necessaria alla libertà di tutti e al progresso del Paese. Gli attuali tagli delle risorse alla scuola e alla ricerca sono il segno di un paese che non individua più nell’istruzione e nella cultura un fondamento necessario della democrazia.

La presenza delle donne nella società. E’ ancora d’attualità al proposito il pensiero di Condorcet? Se sì, perché?

Condorcet fu uno dei pochi, se non il solo, tra i philosophes che seppe cogliere e appoggiare con grande coraggio e radicalità le istanze emancipative del nascente movimento delle donne nella Francia rivoluzionaria. Il saggio che ho proposto nell’antologia, apparso nel 1789, rappresenta quindi una vera eccezione e una voce del tutto isolata nel panorama intellettuale dell’epoca. Ma la cosa davvero sorprendente è che lo spirito che animò la sua attività teorica e pratica a favore dell’emancipazione sociale, economica e politica delle donne non rappresentò solo una radicale difesa del carattere ugualitario e universalistico dei diritti che era minacciato dall’esclusione delle donne dalle attività politiche e intellettuali, ma anche un acuto riconoscimento della produttività della differenza che le donne esprimevano. Per Condorcet, in altri termini, le donne non dovevano solo godere degli stessi diritti e doveri degli uomini, in nome dei diritti naturali originari che riguardavano ogni ‘persona’, ma dovevano poterli esercitare a partire dalla loro volontà, razionalità e al di fuori dell’autorità maschile. Questa mi sembra un’importante, seppur embrionale, critica alla stessa universalità dell’eguaglianza dei diritti e all’idea di soggetto su cui poggia. Una prospettiva che anticipa le istanze teoriche e politiche che il pensiero femminista incontrerà nel corso del novecento e che ancora oggi lo animano.

Per una scheda sul libro, cliccare QUI.

Condorcet
“Gli sguardi dell’illuminista”
Traduzione e cura di Graziella Durante
Pagine 264, Euro 17.00
Edizioni Dedalo


Dizionario romanesco


La questione lingua–dialetto è cosa che ha visto in Italia impegnati grandi studiosi. Sopita per alcuni anni, è tornata alla ribalta nel modo peggiore, cioè attraverso dissennate dichiarazioni e proposte leghiste che hanno suscitato reazioni sia politiche sia scientifiche.
In un recente intervento su “l’Unità”, il linguista Tullio De Mauro ha ristabilito chiarezza sulla questione. Ecco uno stralcio da quell’articolo.

Tutti i dialetti sono la testimonianza viva di un patrimonio di cultura e di tradizioni e, spesso, sono diventati espressione d’arte. E la cultura italiana migliore, Croce come Gramsci, non ha esitato a considerare e additare come cosa propria, parte di un composito patrimonio unitario, i grandi testimoni delle letterature dialettali, il romanesco Belli come il milanese Porta, e, nel Novecento, Tessa e Noventa, Buttitta e il Pasolini friulano, Pierro e De Filippo, il ligure Firpo e il marchigiano Scataglini. E si potrebbe e dovrebbe continuare. Del resto, anche su più ampia scala di massa, la fortuna delle canzoni dialettali, tradizionali e recenti o recentissime, le napoletane, milanesi, siciliane, è una fortuna significativamente nazionale.
Nessuna grossolanità leghista impedirà di sentire nostre, dalle Alpi e Trieste a Lampedusa, O mia bela Madunina e ‘O surdato ‘nnammurato.
Paolo Conte ha spiegato bene, una volta, che ritmo e struttura sillabica delle nostre parlate dialettali rispondono meglio dell’italiano alle esigenze non solo della melodia, ma dei ritmi rock. Molti, non solo genialmente Renzo Arbore, hanno sfruttato questa indicazione. E, canzoni a parte, il toscano Benigni, il napoletano Troisi, il romano Sordi, il milanese Iannacci, a tacere di Fo che ha varcato i confini nazionali, circolano liberamente, senza passaporto regionale, nella nostra comune cultura. Nessun passaporto ha chiesto e chiede nemmeno la nostra prosa letteraria per intarsiarsi di dialettalità lombarda o napoletana o romana o siciliana come hanno fatto Gadda e Pasolini, fanno Mazzucco e Pariani e Starnone. Tutto questo sta dentro il nostro dna comune sia più affinato sia più popolare
.

In questo scenario di studi, dibattiti e polemiche la casa editrice Newton Compton ha mandato in libreria Dizionario romanesco di Fernando Ravano, un vocabolario che appare – come nota Marcello Teodonio nell’Introduzione – “sessanta anni dopo quello glorioso del Chiappini, finalmente colmando una evidente mancanza nella saggistica romanistica. Le più di undicimila voci (precedute da preziosi cenni sulla grammatica, la fonetica, l’ortografia, la morfologia romanesche) vengono suffragate da settemila tra locuzioni, modi di dire, adagi, proverbi, spunti e curiosità della cultura di Roma”.

Anni e anni di lavoro ben spesi da Ravano che mette a disposizione di tutti noi uno strumento culturale che consente non solo la conoscenza del parlato popolare della Capitale, ma anche un efficace mezzo per apprendere come la vita, le sue avventure, le sue gioie e i suoi drammi siano vissuti linguisticamente dai romani.

Per una scheda sul libro e la biografia dell'autore: QUI.

Fernando Ravano
“Dizionario romanesco”
Introduzione di Marcello Teodonio
Pagine 688, Euro 14.90
Newton Compton


La trama lucente


Non sono certo il primo o il solo a dirlo, Annamaria Testa è la più grande pubblicitaria e studiosa di comunicazione esistente in Italia e non solo in Italia.
La pluralità di studi e la versatilità espositiva orale e scritta che possiede fanno sì che ne possiamo godere gli interventi in più campi, e così (preda ghiotta degli organizzatori di festival e rassegne), eccola, giustamente, invitata a un convegno sulla ludolinguistica oppure a uno sui videogames.
Si occupa di creatività da oltre trent’anni. Insegna presso l’Università Bocconi.
Tra i suoi libri, La parola immaginata (Pratiche 1988, Il Saggiatore 2006); Farsi capire (Rizzoli 2000, disponibile anche in BUR); Le vie del senso - un libro che, forse, a più di uno dell'Oulipo sarebbe piaciuto scrivere (Carocci 2004); La creatività a più voci (Laterza, 2005).
Dal 2008 ha messo online il sito non profit Nuovo e Utile, dedicato alla diffusione di teorie e pratiche della creatività.
E’ stata l’ideatrice di una particolare antologia di racconti: Cuori di pietra ch'ebbe tanto successo da conoscere una nuova raccolta intitolata Facce di bronzo.
Poi, ci crediate o no, la Testa, nel maggio 2004, ha fatto anche un volo spaziale.

Ora la Rizzoli manda in libreria La trama lucente Che cos’è la creatività, perché ci appartiene, come funziona.
Si tratta di un poderoso e scorrevolissimo studio sulla creatività della quale Annamaria Testa ne studia nascita e approdi cogliendone l’intreccio fra umanesimo e scienze, estetica e tecnologia, antropologia e sociologia.
Sterminata è l’offerta di documentazione, attraverso rimandi alla saggistica e al giornalismo sul tema, proponendo una ragionata e vastissima bibliografia.

Alla Divina, ho posto alcune domande.
Tra le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere questo tuo nuovo libro, ti chiedo d’indicare la principale…

E’ un libro che vuol dar conto di idee e fatti. Scrivendolo non ho voluto fare un libro di creatività, ma dare, a questo Paese che ha perso la sua bussola creativa, alcuni elementi di base per capire e sviluppare creatività. E che sia un Paese che ha perso quella bussola lo si vede su come stiamo trattando la Scuola, la Ricerca. Pensa all’inchiesta condotta dalla SWG, per conto della Camera di Commercio di Roma, in cui si rileva che gli italiani si ritengono in buona parte creativi, ma che poi oltre il 40% rinuncia ad esserlo per pigrizia o perché non ci crede più.

Creativi si nasce o si diventa?

La creatività è fatta anche di intelligenza, e l’intelligenza è anche un fatto ereditario ma non solo un fatto ereditario. Diciamo che ci può essere una predisposizione – maggiore o minore – al pensiero creativo, però se questa predisposizione non viene sviluppata attraverso lo studio, se non è unita a coraggio e tenacia (che sono doti di carattere), se non si può sviluppare in ambienti favorevoli, quella predisposizione diventa niente, non si realizza, non si esprime. In termini di effettivo risultato creativo, può riuscire meglio, e non è un paradosso, una persona potenzialmente non creativa ma molto tenace, molto preparata, molto focalizzata su di un determinato obiettivo, che non una persona talentuosa ma dispersiva, poco tenace, e senza competenza di base.
Prendi, ad esempio, Einstein, metti il suo cervello (peraltro piccolo e leggero) e ponilo nelle stesse condizioni di un bambino (e, peggio, di una bambina) dello Zimbabwe e vedrai che non accadrà nulla di quanto è accaduto a Einstein. Per questo la scuola e la formazione del carattere sono importantissime in termini di creatività
.

Perché hai posto in esergo all’introduzione le parole di Arthur Koestler: “La creatività comincia dove finisce il linguaggio”. Quale indicazione dobbiamo ricavarne?

La creatività è un processo mentale che, in parte, si risolve inconsciamente nel momento in cui il cervello elabora le informazioni che ha a disposizione riconfigurandole in strutture nuove. E’ un processo che va avanti anche quando sogniamo o quando siamo distratti da un’occupazione automatica come, ad esempio, guidare. O pelare le patate. Per questo, ricostruire passo dopo passo il processo che porta a formulare l’intuizione è praticamente impossibile perché avviene nella zona della mente che noi chiamiamo inconscio. Questo non vuol dire che la creatività sia priva di razionalità o che prescinda dalle competenze linguistiche. Semplicemente è fatta di questo (ragionamento, informazione, competenza linguistica) e anche di una componente che va oltre la razionalità.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Annamaria Testa
“La trama lucente”
Pagine 306, Euro 19.50
Rizzoli


Asap (1)


Asap è l’acronimo della frase idiomatica As soon as possible, cioè “Il più presto possibile” che conclude missive cartacee e, più spesso, mail in cui vengono richiesti documenti, informazioni, pareri. Frase che ha la capacità, con il suo imperioso invito alla rapidità di risposte, d’inserire quasi sempre un filo d’angoscia nelle nostre giornate.
As soon as possible L’accelerazione nella società contemporanea, è il titolo della mostra in corso al Centro di Cultura Contemporanea Strozzina di Firenze. Se vi volete bene, consiglio di non perdervela.
E’ ideata da Franziska Nori – direttore di quel Centro – che da tempo ci vizia con mostre di grande impatto culturale, allestite alla grande sia per il disegno espressivo che le sostiene e sia per le opere selezionate. Tutto questo avviene anche grazie ad un gruppo di lavoro di prim’ordine di cui la Nori s’è circondata. Ricordo la grande professionalità di Fiorella Nicosia espressa nel suo strategico ruolo di Registrar; l’impeccabile coordinamento organizzativo curato da Riccardo Lami; le diligenti ricerche svolte da Cristiane Feser; il perfetto coordinamento degli allestimenti di cui si occupa Rita Scrofani… mi scuso con altri qui non citati, ma ognuno nei loro diversi ruoli concorrono al successo delle mostre.
Mostre che hanno tutte, ma proprio tutte tutte, la caratteristica di far riflettere chi le visita, non appartengono cioè a quel tipo di esposizioni da vedere con sguardo distratto (sempre manifestando ammirazione, si capisce), robe che sembrano musei delle cere o luna park, che ne esci nascostamente annoiato o moderatamente divertito, ma che non rischiano nulla, peggio che vada un tiepido applauso. Poi i visitatori passano presto a pensare ad altro, la cena da preparare per la sera, il colloquio col capoufficio il giorno dopo.
No, alla Strozzina questo non può accadere. Le mostre possono piacere o non piacere, suscitare entusiasmo o repulsioni (di solito prevale l’entusiasmo), ma tutte, proprio tutte tutte, invitano, e costringono, a interrogarsi, a discutere, perché indicano temi e problemi della nostra epoca che ci toccano da vicino, ci riguardano, talvolta lambendoci, più spesso travolgendoci.
Non mi pare poco… avercene in giro!


Asap (2)


“La mostra” – come si legge sul sito web del Centro – “affronta la tematica del tempo all’interno della cosiddetta ‘high speed society’, il modello di vita caratterizzato dalla rapidità di comunicazione e produzione dettata dalle possibilità delle nuove tecnologie”.
Tema, quindi, di grande attualità sul quale da “As soon as possible” emergono lucidi ragionamenti e critiche, talvolta anche molto aspre; quei pensieri li presenterò nella successiva nota di questo “special”.

In foto: Julius Popp, bit.fall, 2001 - 2006; (acciaio inossidabile, componenti elettronici, computer, software, acqua).

Poiché sono prevalenti i giudizi negativi, ben articolati e motivati, su di una velocità che provoca tic sociali ispirati da rapidità cui, spesso, sfugge il fine stesso di tanta celerità, mi piace notare anche qualche merito di tanto correre purché, s’intende, non sia fatto da automi bendati.
Un solo esempio: lo sfrecciare dell’informazione sulle reti telematiche ha consentito, spesso, alle opposizioni, di sbugiardare il Potere; così, in soli 140 cinguettii, in twitter la cosa è avvenuta più volte: da Teheran all’Aquila.
Afferma il filosofo Remo Bodei: “Il tempo della vita è il bene più prezioso che abbiamo. Se noi finiamo per consumarlo tutto in una vampata, moriremo senza esserci accorti di vivere”. Oso umilmente replicare: “E chi te l’ha detto che è una disgrazia?”.
D’accordo, c’è il rischio che un ritmo tanto travolgente generi dentro di noi solo Caos. E Nietzsche: “Bisogna avere un Caos dentro di sé, per generare una stella danzante”.
All’orizzonte, già annunciato anni fa dalla cultura cyberpunk, si profila concretamente il postumano, se lo affrontassimo con lentezza, finiremmo col non capire l’anima del futuro.
Da anni, Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della Natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli.
Provate a immaginare tutto ciò attraverso la lentezza; non credo s’andrebbe troppo lontano.
Il fatto è che ogni epoca ha il suo tempo e il suo modo d’interpretarlo. E’ interessante, forse, notare – per fare un esempio recente – come alla fine degli anni ’60 tornò una maniera di capire il mondo attraverso le lente volute di fumo dell’hascisc e oggi, invece, fiondandosi sui pattini della coca.
Non voglio, però, far pensare a quei lettori che, generosamente, mi hanno fin qui seguito che non apprezzi la lentezza, soprattutto riferita ai piaceri della fisicità come cibo, sesso, e altro; consumarli velocemente è un delitto. Né desidero passare per uno dai movimenti afflitti dalla sindrome di Tourette. E allora chiudo questa nota citando, e condividendo, i seguenti versi di Michele Serra: “Un giovane James Dean di Borgospesso / Tutto velocità Rayban e sesso / volle provare col turbocompresso / se era possibile abbattere un cipresso. / Personalmente considero un successo / l'ennesima vittoria del cipresso”.


Asap (3)


Ecco alcuni brani dalle riflessioni sui temi di “As soon as possible”.
Li estraggo dal catalogo bilingue (italiano-inglese) edito da Alias - Mandragora.

In foto: Marnix de Nijs, "Accelerator", installazione interattiva, 2006; sound: Boris Debackere; (componenti meccanici, sensori, computer, proiezioni).

James M. Bradburne, Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi.
La consapevolezza del tempo è il motore della società contemporanea. Essere sempre più efficienti è l’obiettivo fondamentale che invade le nostre vite anche nella sfera privata con invenzioni quali lo “speed dating” (per la via amorosa), i “power naps” (per la salute e l’esercizio fisico), il “quality time” (per la vita in famiglia) e il fast food (per placare la fame). Il desiderio di controllare e ottimizzare ogni aspetto della nostra vita trova una corrispondenza nella fastidiosa sensazione di non avere mai abbastanza tempo […] Oggi ci stiamo avvicinando all’ultimo grado di questa crescita accelerata, come testimonia sia il graduale collasso dell’ecosistema naturale, che non ha più il tempo di rigenerarsi, sia il senso diffuso di ansia e depressione per cui le persone vivono al limite delle proprie capacità in un mondo ad alta velocità.


Hartmut Rosa, sociologo e filosofo tedesco.
Per comprendere il reale mutamento delle caratteristiche percettibili del tempo in epoca moderna, dobbiamo indagare in modo più approfondito la natura del processo di accelerazione tipico della modernità. L’opinione, spesso espressa in modo irriflessivo (anche in trattati scientifici) e con una valenza di critica culturale, secondo la quale nella società moderna tutto procede più velocemente a causa di una “accelerazione universale” dei processi sociali, è sia palesemente ingannevole sia semplicemente falsa.


Andrea Ferrara, professore associato di Cosmologia, Normale di Pisa.
La percezione del tempo nell’essere umano è in parte condizionata dalla sua struttura neuronale e psicologica. Nei secoli l’uomo ha dimostrato di vivere secondo la convinzione che esista un tempo “assoluto”, misurabile grazie alla creazione di sistemi cronometrici sempre più perfezionati. Man mano che le ricerche scientifiche in questo campo sono andate avanti, questa convinzione si è sempre più rivelata come soggettiva e illusoria.


Zygmunt Bauman, sociologo polacco; dal ’71 in Inghilterra a causa della campagna antisemita del governo comunista.
”E’ altamente probabile” – osserva Andrzej Stasiuk – “che il numero di esseri digitali, di celluloide e analogici incontrati nel corso di una vita normale si avvicini a quello che potevano offrire solo la vita eterna e la resurrezione della carne”. Grazie al numero infinito di esperienze terrene che si spera di poter fare, non si sente la mancanza dell’eternità: anzi la sua perdita può persino passare inosservata. Ciò che conta è la velocità non la durata.


Alessandro Ludovico, critico dei nuovi media e direttore della rivista “Neural”.
Negli anni Ottanta, Theodore Roszak nel suo ‘Cult of Information’ scriveva: “Una copia qualsiasi del New York Times contiene più informazioni di quante una persona media nell’Inghilterra del Seicento avrebbe potuto ricevere in una vita intera”. E Internet non esisteva ancora […] nella febbrile e incessante produzione e fruizione di contenuti esiste un elemento chiave: il ritmo. L’accelerazione come è normalmente percepita (insieme alla perdita del tempo libero per lo svago) è strettamente correlata al tempo di esposizione al flusso informativo […] Una delle conseguenze più probabili è una modifica dei comportamenti: maggiore è è la quantità dei dati da elaborare, minore sarà la nostra capacità di valutarli in profondità.

Sandra Bonfiglioli, docente di Progettazione architettonica dei luoghi e dell’Urbanistica dei tempi presso il Politecnico di Milano.
La nostra vita di abitanti della città è costretta da orari crudeli. Potere degli orari. Essi possono governare contemporaneamente la vita collettiva della città intera e la mia vita personale […] Sono gli orari pubblici che istituiscono la cronologia moderna, non il fiume incontrollato del tempo.


Antonio Glessi, è docente a Firenze di Progettazione digitale multipiattaforma presso l’ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche).
Se dici accelerazione pensi alla velocità. Se immagini la velocità la proietti in avanti, a ciò che ti aspetta e a cui vai incontro. Einstein non pensava mai al futuro. “Arriva sempre così presto”, diceva. Eppure era uno che guardava lontano. Ma dal secolo scorso è indubbio che il futuro ci è sempre stato addosso. Qualche decennio più tardi un autore di fantascienza, William Gibson, creatore del cyberspazio, ci confermava che “Il futuro è già qui. Solo che non è egualmente distribuito”. Certo è che fin dove riusciamo a immaginare il futuro, esso ci appare più come fonte di incertezza piuttosto che come veicolo di speranza. Quasi una minaccia più che un’opportunità.


Asap (4)


Le opere degli artisti selezionati sono espressioni sintomatiche di una delle condizioni del mondo presente. Ciascuno di essi è stato scelto secondo la propria diversa modalità di affrontare le tematiche del tempo, della velocità, dell’accelerazione o di una controreazione a tutto ciò.
I nomi: Tamy Ben-Tor (Israele, 1975) - Marnix de Nijs (Olanda, 1970) - Mark Formanek (Germania, 1967) - Marzia Migliora (Italia, 1972) - Julius Popp (Germania, 1973) - Reynold Reynolds (USA, 1966) - Jens Risch (Germania, 1973) - Michael Sailstorfer (Germania, 1979) - Arcangelo Sassolino (Italia, 1967) - Fiete Stolte (Germania, 1979).

Tutti hanno presentato opere di alta qualità e vanno elogiati in blocco.
Non voglio, però, sottrarmi, a qualche segnalazione particolare dettata, ovviamente, dal mio gusto personale.

Arcangelo Sassolino è in mostra con una strepitosa installazione (in foto) intitolata Dilatazione pneumatica di una forza viva, realizzata appositamente per la Strozzina.
Vediamo un box di vetro antiproiettile dal volume di 1,5 m3 al cui interno è disposta una bottiglia di vetro su un tubo collegato a bombole di azoto. Passando attraverso il tubo, il gas va a riempire lentamente la bottiglia, che raggiunta la massima capienza BUM! esplode con un fracasso infernale (un cartello avvisa i visitatori affinché non si spaventino pensando a un Bin Laden di passaggio) polverizzando la bottiglia stessa. Il processo è ciclico, l’esplosione avviene circa una volta l’ora. Lo spettatore è testimone di una trasformazione che avviene così rapidamente da non poter essere percepita ad occhio nudo. Lo (sfortunato) custode di turno, dopo il botto, spegne i meccanismi, apre il box, sostituisce la bottiglia esplosa con un’altra, richiude il box, s’assicura che stia tutto a posto, riavvia il meccanismo.
Questo fanno i custodi.
Poiché oltre a stimare Sassolino da tempo, e piacendomi tantissimo questo suo lavoro, tengo anche alla sua salute, mi fiderei poco dell’affetto di quei custodi nei suoi riguardi. Mi terrei, insomma, alla larga da Palazzo Strozzi; Firenze è attraversata dall’Arno e le sue acque sono profonde e gelide.

Felicissimo il ritorno dell’olandese Marnix de Nijs, che già fu ospite alla Strozzina due anni fa con Exploded wiews.
Stavolta presenta Accelerator un’installazione composta di una sedia girevole metallica montata su di una struttura motorizzata. Il visitatore, se vuole, nessuno lo obbliga, può accomodarsi su quella sedia e controllarne direzione e velocità tramite un joistick. Davanti a lui si susseguono le immagini notturne di un’anonima metropoli e dovrà tentare di sincronizzare le immagini del filmato con la rotazione della sedia, mettendo quindi in gioco proprie abilità e capacità di reazione. Se ci riuscirà, la sedia si fermerà, potrà vedere le immagini correttamente e non avvertirà più il disagio del disorientamento dovuto al movimento rotatorio asincrono fra il sedile e lo schermo.
Splendido lavoro questo di de Nijs da sempre attento agli effetti della tecnologia sulle percezioni sensoriali tramite dispositivi interattivi in cui il pubblico è il diretto protagonista.

Altra maiuscola installazione che spazia tra arte e scienza è quella ideata da Julius Popp intitolata bit.fall. Un dispositivo formato da una serie innumerevole di valvole dalle quali cadono gocce d’acqua a brevissima distanza l’una dall’altra. Come pixel su di uno schermo, esse visualizzano singole parole tessute d’acqua leggibili solo per un istante sospese nell’aria. Il tutto è dovuto a un algoritmo di ricerca in connessione con Google News.

Irresistibile il video dell’israeliana Tamy Ben-Tor che si produce in un monologo intitolato Normal. Con una mimica facciale fatta di vertiginosi cambi d’espressione (è sempre inquadrata in primo piano) dà significato a un testo che di significato nessuno ne ha essendo composto di frasi tratte da mail ricevute dall’artista, da volantini pubblicitari, scritte murali e altri materiali occasionali e mutilati da Tamy che s’esibisce recitandoli con incredibile velocità. Godibilissima operazione.

Nostalgia, memoria, perdita e ossessione nell’opera di Marzia Migliora nata ad Alessandria. Artista che si misura su più mezzi, dal video al suono, dalla performance all’installazione, dal disegno alla fotografia.
Quando la strada guarda il cielo è il titolo del lavoro che espone ad “As soon as possible”, un tappeto che rappresenta un tratto di strada su cui è scritta in lettere bianche, in fuga prospettica, una frase del ciclista Marco Pantani:

vado così
forte in
salita per
abbreviare
la mia
agonia

Il tragico destino del corridore diventa il simbolo della “condition humaine” nella società accelerata in cui noi viviamo.

Accanto a questi lavori che più mi hanno coinvolto, va di nuovo detto che anche gli altri sono di eccellente qualità.

Guardate questo video e così darete uno sguardo a tutta la mostra.


Asap (5)


Siamo al finale.
E, come tutti i finali vogliono, la scena ora è tutta, e solo, per la Star.
Nel nostro caso, è Franziska Nori.

A lei (qui nella foto scattata da Cesare Cicardini), ho rivolto qualche domanda

L’attualissimo tema della mostra da te ideata pone plurali questioni filosofiche e politiche. Ad esempio: sono oggi le tecnologie, veloci fino alla simultaneità, a guidare le relazioni sociali oppure sono quest’ultime ad essere cambiate, a reclamare sempre più rapidità e, quindi, a creare strumenti che soddisfino tale esigenza?

Nella sua storia ancora breve, Internet è diventato non solo un mezzo di comunicazione e informazione sempre più di successo, ma il cuore stesso del mondo globalizzato. Attraverso la sua infrastruttura tecnica scorrono flussi di denaro internazionali o processi di controllo del commercio di beni e merci. E non solo l’economia, ma anche la scienza e la ricerca, la politica e la cultura si svolgono in misura sempre più crescente in Internet o attraverso Internet. In ogni caso, alla maggioranza dell’umanità l’accesso alle tecnologie dell’accelerazione rimane interdetto. Solo l’8% della popolazione mondiale dispone di un’automobile, il 3% di un computer, appena un quinto dell’umanità può utilizzare un telefono personale. La velocità, dunque, è strettamente legata alla ricchezza, così come è elemento cruciale nel settore dell’informazione, il principale strumento di controllo dell’opinione pubblica. Nel giornalismo, che si serve dei mezzi di comunicazione di massa, si richiedono temi sempre attuali e notizie sempre più nuove e scottanti.
Ancora più significativa ed espressiva è la dilagante ossessione per la comunicazione dell’attimo presente e per la conversazione in tempo reale tramite chat o social network. Twitter è la più veloce e immediata di queste nuove piattaforme: flussi incessanti di comunicazione di contenuti istantanei e quotidiani, privi spesso di una reale esigenza di informazione. Poiché il tempo per una vera e propria riflessione si accorcia, aumenta di conseguenza l’incertezza e l’inesattezza delle informazioni e dei contenuti, mentre le conoscenze già acquisite si diradano. Poiché ogni certezza viene rapidamente messa da parte da innovazioni e nuove mode, progettare il futuro sembra particolarmente difficile e la promessa di flessibilità del tempo che le tecnologie digitali avevano garantito sembra non essere stata mantenuta
.

Esiste una differenza, concettuale, fra la velocità come la propugnavano i futuristi e la velocità com’è intesa oggi? Se sì, in che cosa ne scorgi la differenza?

Si, assolutamente. ll Futurismo, movimento culturale che ormai data un secolo, era espressione del profondo desiderio di rottura con una società di stampo pre-industriale vivendo l'euforia di un'idea di 'tempi moderni', delle conquiste della tecnologia, celebrando l'accelerazione in tutte le sue forme come una promessa di un futuro migliore.
Fin qui il Futurismo. Oggi, però, quella promessa sembra essersi tramutata in una patologia collettiva. L'idea stessa di linearità e progresso come fattori essenzialmente positivi hanno subito un ribaltamento di connotazione. Al credo della crescita costante, che caratterizzava fortemente anche la società post guerra mondiale degli anni ‘50 fino agli ‘80, si é lentamente insinuato prima il sospetto, poi la certezza, che ogni crescita abbia un suo limite massimo. Le società di stampo occidentale sono a un punto in cui il ritmo vitale non può più essere incrementato. Gli eccessi di velocità arrivano a rompere gli equilibri economici, ecologici, sociali e psicologici. La frenetica crescita economica scardina la capacità di rigenerazione degli ecosistemi e sono sempre più numerose le persone che si ammalano o cadono in depressione a causa delle condizioni di lavoro. Anche la recente attenzione rivolta alla “lentezza” (slow food, slow city, eccetera) è un fenomeno che deriva da tutto ciò. E per assurdo la sostenibilità sociale e ambientale delle attività agricole e industriali dovrà essere attuata invece "il più in fretta possibile" appunto ‘Asap’, prima che il collasso ecologico sia totale
.


Ufficio Stampa e Comunicazione: CLP Relazioni Pubbliche; press@clponline.it

Promozione: Susanna Holm, 055 – 23 40 742; susannaholm@cscsigma.it

“As soon as possible”
Centro di Cultura Contemporanea Strozzina
Palazzo Strozzi, Firenze
Info: +39 055 – 26 45 155
Fino al 18 luglio 2010


Vivo altrove


Sulla fuga dei giovani dall’’Italia è stato detto e scritto tanto, sembrava difficile, quindi, dire qualcosa di nuovo. E, invece, c’è riuscita Claudia Cucchiarato giornalista freelance, da cinque anni residente a Barcellona; scrive per il Gruppo l’Espresso e L'Unità in Italia, per La Vanguardia in Spagna.
Il suo libro – edito da Bruno Mondadori – è intitolato Vivo altrove Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi.
Com’è riuscita la Cucchiarato nell’impresa cui mi riferivo poco fa? Rinunciando a grafici, tabelle, osservazioni e ragionamenti dall’esterno, dando voce proprio a chi ha deciso di vivere altrove.
Il volume, infatti, racconta le storie di giovani tra i 25 e i 40 anni che hanno deciso di andare via, ragazzi cresciuti sentendosi cittadini del mondo, che male tollerano il nostro Paese preso in mille guerriglie interne – politiche, geografiche, sociali, ma soprattutto generazionali – cercando all’estero opportunità che mai avrebbero in Italia.
N’è venuto fuori un libro non solo di storie, ma di Storia. Perché chi, in un futuro vorrà interpretare questi sciagurati anni italiani, dovrà anche leggere “Vivo altrove” per ben capirli.

A Claudia Cucchiarato ho rivolto alcune domande.
Perché gli effetti della crisi, soprattutto in Italia, li pagano particolarmente i giovani?

Gli effetti della crisi li pagano i giovani anche in Spagna, se è per questo. Ma ci sono differenze abissali nel modo in cui si considerano i giovani in Italia rispetto agli altri Paesi del mondo. In tempi di crisi, si tende a proteggere le fasce di reddito più alte per garantire nelle famiglie (l'unico ammortizzatore sociale funzionante, soprattutto nei Paesi mediterranei) almeno lo stipendio più cospicuo. In Italia, più che in altri Paesi, i giovani, e le donne, soffrono perché sono una categoria poco considerata. Essere giovane in Italia sembra una penitenza più che un valore o un patrimonio da proteggere e incoraggiare. Purtroppo, da tutte le interviste che ho fatto per il mio libro, emerge una stanchezza e una disillusione difficile da sradicare. Se hai meno di 40 anni in Italia sembra quasi scontato che il tuo stipendio debba essere al di sotto della soglia di sopravvivenza, che tu debba lavorare gratis o quasi, perché nulla ti è dovuto. Tutto questo non sarebbe sbagliato, in teoria, se dall'altra parte ci fosse comunque la volontà di insegnare qualcosa a chi sta crescendo. Ma il problema in Italia, soprattutto nel campo medico e scientifico, per esempio, è che i giovani non vengono nemmeno formati, perché chi ha già un lavoro fisso e una posizione consolidata vede in loro una minaccia più che un germe di futuro.

Precisi nel tuo libro che non tutti quelli che se ne vanno dall’Italia lo fanno per trovare lavoro (che pur sappiamo d’altronde manca), ma anche per lasciarsi alle spalle un Paese che non piace loro. Quali le cose di quest’Italia che soprattutto non piacciono ai giovani?

La gerontocrazia, il pessimismo imperante, le scarse possibilità di essere valutati in base alle proprie capacità e non in base alle conoscenze o parentele, la paura di chiedere qualsiasi cosa perché sicuri di ottenere una risposta negativa, il fatto che tutto sembra dovuto e nulla può essere ottenuto... Stando all'estero si sente nostalgia soprattutto delle cose buone: il clima, la bellezza del paesaggio. Tutto il resto: la mentalità chiusa nei confronti del diverso, la tendenza ad emettere giudizi a priori, spesso senza cognizione di causa, il fatto che ciò che è pubblico è per definizione corrotto e inefficiente... tutte queste cose si scoprono in tutta la loro evidenza solo quando non vi si è immersi. E risultano talmente insopportabili da pensare di non poter più viverci in mezzo.

Dal tuo osservatorio tanto documentato, puoi dirci qual è, prevalentemente, la prima sensazione che prova un giovane appena lasciata l’Italia?

La prima sensazione spesso è quella di “liberazione”. Andando all'estero ci si emancipa sempre, è inevitabile. Ci sono difficoltà, qualcuna in più rispetto a chi cambia città all'interno dello stesso Paese (penso ad esempio ai siciliani che si trasferiscono tuttora a Milano o a Roma), ma nel momento in cui si riesce a superarle ci si sente più forti, più liberi, in grado di farcela da soli in un contesto sconosciuto. Le persone crescono all'estero molto di più e molto più in fretta di chi rimane a casa. È normale, logico e addirittura consigliabile. Peccato che anche chi poi decide di tornare in patria per portare la propria capacità ed esperienza acquisita, venga trattato come o peggio di come veniva trattato prima di andarsene.

Che cosa un governo (evidentemente non questo che abbiamo) per prima cosa dovrebbe fare per esercitare un richiamo al ritorno fra noi di tanti talenti ora dispersi?

Un ragazzo di Venezia che ho intervistato per il mio libro e che ora vive a Monaco mi ha detto che l'unica cosa potrebbe convincerlo a fare ritorno è una “bomba atomica culturale”. Dovrebbe cambiare la mentalità stessa inculcata da anni di berlusconismo, leghismo e tv spazzatura. Pensa che chi vive all'estero da più di un anno non riesce più a sopportare nemmeno un minuto di Tv italiana, pubblica o privata che sia. Non si ride più alle battute, non si capisce il senso di quello che si discute con tanto fervore, molte cose appaiono talmente incomprensibili che è veramente difficile farsi tornare la voglia di viverci immersi. Dall'altra parte, si conserva un'immagine comunque positiva della famiglia, gli amici, le belle persone che ancora stanno in Italia e nel loro piccolo cercano di cambiare le cose. Anche solo per non defraudare queste persone, chi sta all'estero conserva la speranza di tornare prima o poi, soprattutto poi, dopo la rivoluzione culturale e di mentalità di cui si parlava qui sopra. Il Governo potrebbe iniziare anche solo prendendosi minimamente cura di queste persone: sapere quante sono e dove stanno, per esempio, è una cosa alla quale non si è ancora nemmeno interessato.

Il libro s’avvale di un suo blog in Rete.

Claudia Cucchiarato
“Vivo altrove”
Pagine 240, Euro 18.00
Bruno Mondadori


Nobody

Nata nel 1963, Charlotte Link è ampiamente pubblicata in Italia dalla casa editrice Corbaccio che ora ha mandato in libreria uno dei più recenti lavori di questa scrittrice tedesca: Nobody.
A proposito di questo libro su Die Zeit si legge: ''Nel mare dei bestseller, spicca come un gioiello solitario il nuovo libro della Link, che non solo si distingue per la consueta finezza psicologica, ma anche per capacità drammaturgica''.
La traduzione italiana porta la firma di un germanista illustre: Umberto Gandini.
A proposito, mi piace ricordare un suo “giallo” di tempo fa: “Le indagini abusive di Marlòve, investigatore precario” (Robin Edizioni).

A Umberto Gandini ho chiesto: quale originalità troverà il lettore italiano in “Nobody”?

L’ambientazione innanzi tutto. La Link si è spostata dalla Germania, il suo paese, in Inghilterra, dove ha dovuto guardarsi attorno a lungo per riuscire a collocare credibilmente la vicenda che aveva in testa. E ha scoperto un’Inghilterra inconsueta, fuori mano, rurale, impostata sulle lunghe distanze, sui silenzi, sul vento, sulle brughiere, ovvero un mondo di per sé misterioso e quindi perfetto per collocarci una storia fosca tutta basata sui sensi di colpa che, per varie ragioni, tormentano ciascun personaggio .

La Link è un’autrice prolifica eppure balza sempre in cima alle classifiche appena pubblica un nuovo libro. Quale il segreto del suo successo?

Non bisogna cercare nella Link lo stile letterario, che è relativamente scarso. Invece è una maestra nel costruire personaggi profondamente diversi, nell’intrecciarne le sorti e soprattutto nel collocarli in un contesto ambientale in cui essere umano e natura si confrontano e si scontrano dialetticamente. Inoltre sa continuamente sorprendere il lettore, non solo con l’inconsueta soluzione finale del mistero, ma anche - per così dire - strada facendo. I suoi libri – e «Nobody» in particolare – sono impostati su un groviglio avvincente di fatti e di circostanze e sulla minuziosa elaborazione psicologica degli uomini e delle donne che vi compaiono. Sono facili da leggere e ricchi di suggestione, due ingredienti fondamentali della letteratura d’intrattenimento.

Prima di lasciarci, vorrei una tua riflessione sul ‘giallo’ essendo, inoltre, tu stesso autore di un ‘giallo’ come ho ricordato nelle righe iniziali di questa nota.
A che cosa si deve il grande successo che questo genere letterario ha riscosso in Italia e come collochi il tuo Marlòve, in questo scenario?

Noi viviamo continuamente, in Italia, alle prese con vicende gialle. Da quando la libertà di stampa consente di riferire anche da noi, minuziosamente, delle cose che accadono, la cronaca d’ogni giorno ci offre un mistero dopo l’altro: dalle malefatte della criminalità organizzata ai torbidi fatti di sangue, dalle disonestà del mondo economico a quelle della politica. I «gialli» letterari non sono che una proiezione di questa realtà. In tempi recenti questa narrativa «gialla», in Italia e altrove, è diventata sempre più sanguinosa. Non ci si accontenta più di un delitto, ma ci sono i serial killer, i quali a loro volta gareggiano e si superano in crudeltà. Nelle pagine dilaga, come nella società, la violenza. Ma esiste anche, parallela, una società non violenta, minuta, che si arrabatta attorno a piccole cose. Ecco, nello scrivere, io mi soffermo su questo mondo minore, nel quale non ci si ammazza, non ci si picchia, non si sanguina, e che pure offre spunti per descrivere e risolvere piccoli, ma non per questo meno affascinanti misteri.

Per una scheda su “Nobody”: QUI.

Charlotte Link
“Nobody”
Traduzione di Umberto Gandini
Pagine 540, Euro 19.90
Corbaccio


Il diritto della musica


E' da poco in distribuzione un libro intitolato Il diritto della musica Diritto d'autore, diritto connessi e tutela della proprietà intellettuale, edito da Hoepli, firmato da Patrizio Visco e Stefano Galli, avvocati esperti in proprietà intellettuale, diritto d'autore e copyright nell'àmbito musicale.
Per commentare questa pubblicazione ho invitato il musicista e musicologo Guido Zaccagnini (in foto). Autore di colonne sonore per il cinema, la radio, la tv, da molti anni uno dei più noti e apprezzati fra i conduttori di Radiorai 3; autore di un saggio su Berlioz ch’ebbe grande successo: Hector en Italie. Inoltre, Zaccagnini vanta anche una sua pluridecennale attività di Consulente Tecnico in processi incentrati su - veri o presunti - casi di plagio musicale.

A lui ho rivolto alcune domande. Quali i principali meriti di questo libro?

Innanzitutto, un sintetico commento di carattere generale: era ora! Finalmente, anche in Italia abbiamo adesso a disposizione un testo di riferimento - chiaro, esauriente e aggiornato - che permette di affrontare un tema che, soprattutto negli ultimi anni, è stato ed è cruciale sia per la diffusione di prodotti creativi, sia per la salvaguardia (non da ultimo, economica) degli artefici di tali prodotti. Per la prima volta abbiamo la possibilità non solo di conoscere l'attuale legislazione nelle sue singole e particolari applicazioni, ma anche di comprendere le vicende storiche, sociologiche e culturali che le hanno determinate. Veniamo messi in grado, cioè, sia di capire i termini in cui un compositore possa veder tutelati i propri diritti, sia come e perché i parametri legislativi ancora oggi - nonostante trattati, convenzioni, accordi e protocolli d'intesa internazionali - evidenzino, tra nazione e nazione, disparità di trattamenti, di tutele, di interventi giuridici. Faccio solo un esempio. Negli U.S.A. esiste il copyright, la vendita da parte di un compositore, per un certo prezzo, della propria creazione e la sua contestuale rinuncia a futuri, eventuali, guadagni; In Italia, commissione a parte, i guadagni di un autore sono invece commisurati ai proventi della commercializzazione (vendita di cd/dvd, di biglietti per concerti live, di biglietti per sale cinematografiche nel caso di colonne sonore di film, eccetera.). Ma, per tornare a una valutazione complessiva del libro, ricordo le sue Appendici: quaranta pagine dedicate a "Legislazione e Normativa", alla "Giurisprudenza" (cioè, a sentenze e pareri di Tribunali, Corti d'Appello, Corte Costituzionale, Preture e Corte di Cassazione) e alla "Bibliografia". Un apparato del genere sta a dimostrare una serietà di approccio e una completezza quali mai avevamo verificato in studi precedenti pubblicati nel nostro Paese.

Hai usato, all'inizio della tua risposta, l'aggettivo "aggiornato", aggiungendo che "negli ultimi anni" il tema del rapporto diffusione/salvaguardia di un'opera dell'ingegno, in questo caso musicale, è "cruciale". Puoi dire di più su questo tema?

Consideriamo la situazione in Italia. Sino a una trentina d'anni fa, era relativamente semplice quantificare - e, di conseguenza, remunerare - il valore economico di un'opera musicale, tanto a livello pubblico quanto a quello privato. Di una canzone (o di una sinfonia, di una colonna sonora, di un'opera lirica), si contavano i dischi venduti (audio-cassette, lp, cd, VHS. eccetera.), o il numero di passaggi in programmi radiotelevisivi, oppure l'ammontare di spettatori di quel film (o spettacolo teatrale) e, in base a determinati parametri, a seconda della quantità di acquirenti, il compositore si vedeva riconosciuta una certa cifra.

Poi che cosa è accaduto?

E’ accaduto che con il computer e Internet, le cose si sono complicate a dismisura. Da un lato, la facoltà di ascoltare gratuitamente brani musicali, o filmati, diffusi, più o meno legittimamente, nel web; dall'altro, la possibilità di acquisirli stabilmente, sempre a costo zero, nella propria audio-videoteca. Sono sufficientemente noti i casi di vertenze giudiziarie intentate negli anni da case editrici, autori, etichette discografiche, distributori cinematografici contro diversi responsabili di tale diffusione. Ma a tutt'oggi il problema è ben lungi dall'essere risolto, sotto diversi profili: non da ultimo, per l'appunto, sotto quello di un equo compenso per gli autori di tali opere. Se a questo aggiungiamo i fenomeni più recenti del podcasting e dello streaming, ci rendiamo conto che il problema della regolamentazione dei diritti d'autore è obiettivamente di estrema complessità. Ebbene, proprio di tali argomenti, del "cyberspazio", delle misure tecnologiche di protezione, del "file sharing", del "webcasting", il libro si occupa diffusamente, dedicandovi gli ultimi suoi tre capitoli. In poco meno di cento pagine, ci vengono chiariti gli aspetti tecnici della questione, le progressive tappe di una codificazione ancora “in progress”, i criteri secondo i quali ci si trova al di qua o al di là della legge.

Per concludere?

Due brevissime considerazioni. La prima, seria, attiene l'aggiornamento. Mi auguro che di questo testo vengano pubblicate periodiche riedizioni aggiornate, data la materia in costante e rapida evoluzione: basti per tutti l'esempio dell'IMAIE (l'istituto di riferimento per artisti, interpreti ed esecutori) le cui funzioni e competenze sono radicalmente mutate a seguito del recentissimo decreto-Bondi (quello che ha scatenato un putiferio nelle fondazioni lirico-sinfoniche). La seconda, scherzosa, riguarda la vidimazione della SIAE - con applicazione di relativo bollino - su tutti i prodotti (cd, libri, dvd, ecc.) meritevoli di tutela giuridica. Orbene, il libro di cui ci siamo occupati si intitola "Il diritto della musica" ma sul bollino SIAE applicato sulla sua prima pagina è riportato il titolo "L'avvocato e la musica". A chi dare retta?

Patrizio Visco – Stefano Galli
“Il diritto della musica”
Pagine XVIII – 620, Euro 38.40
Hoepli


Far Game (1)


Ma che cos’è un videogame? Di definizioni ne sono state date molte.
La mia preferita è quella dell’amico Matteo Bittanti: E’ una macchina della felicità: è appositamente sviluppato per soddisfare il giocatore per mezzo di una gratificazione istantanea […] I videogiochi producono endorfine e riducono i livelli di stress, ansia ed irritabilità. Non dimentichiamo che la prassi videoludica è performativa: richiede abilità, dedizione, pratica. Il videogame si colloca a metà strada tra lo sport e la danza, tra la narrazione e l’esplorazione. Quello che mi affascina di questo medium è che contiene tutti i linguaggi e i codici degli altri. L’errore da evitare è di applicare al videogame i criteri qualitativi dei media tradizionali, analogici e lineari.

Il 23 marzo dell’anno scorso, all’interno di una delle più efficienti strutture culturali del nostro paese: la Cineteca di Bologna – Presidente Giuseppe Bertolucci e Direttore Gian Luca Farinelli – nacque, primo nel nostro Paese, l’Archivio Videoludico realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Discipline della Comunicazione e del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna, con Aesvi (Associazione Editori Software Videoludico Italiana), le associazioni e i principali publisher italiani.
Per la prima volta, in Italia, il videogame, si vide riconosciuto, in sedi istituzionali, come medium artistico e quest’Archivio, lavorando a stretto contatto con l'industria e con l'àmbito accademico, ha puntato a dar vita ad un polo di tutela e promozione del mezzo videoludico permettendo non solo di rintracciare e conservare il patrimonio storico esistente ma disperso in tante località e presso tanti appassionati, ma di promuoverne la fruizione e lo studio, di realizzare incontri d’approfondimento, di coinvolgere a scopo educativo i più giovani e le scuole.
L’impresa è perfettamente riuscita e da quel 23 marzo ‘09 ad oggi, oltre a registrare un notevole incremento del patrimonio di titoli oggi custoditi nell’Archivio, si sono avuti incontri di studi, interviste con ospiti, convegni tutti tesi ad analizzare giochi, serie e generi, approfondire il linguaggio del videogioco, le convenzioni estetiche e narrative che lo caratterizzano, e le relazioni che questo intrattiene con gli altri media.

La più recente manifestazione, intitolata Far Game Le frontiere del videogioco tra industria, utenti e ricerca, s’è tenuta giorni fa.
Si è parlato di sociologia, letteratura, pedagogia, pubblicità, sviluppo tecnologico, cross-medialità e User generated content: applicazioni a contenuti prodotti dagli utenti.
Tanti gli ospiti impegnati in brillanti interventi, due nomi per tutti: il megagalattico direttore di ‘Wired’ Riccardo Luna e una star della pubblicità come Annamaria Testa.
Né è mancata una serata, intitolata “Eat & Play”, incentrata sull'accostamento tra enogastronomia e videogioco.
Per saperne di più su Far Game, leggete la nota che segue dove intervengono i curatori dell’Archivio Videoludico.


Far Game (2)


L’Archivio Videoludico è guidato da Andrea Dresseno ideatore e curatore del progetto e Matteo Lollini che ha il ruolo di consulente e si occupa dei rapporti con l'Università.
A loro ho chiesto di tracciare un sintetico bilancio di Far Game.
Li sentirete rispondere con una voce sola: prodigi della tecnologia di bordo su Cosmotaxi.

Al di là della soddisfazione personale, Far Game ha rappresentato per l'Archivio Videoludico un grande traguardo. A distanza di poco più di un anno dall'inaugurazione dell'Archivio (un anno passato ad arricchire il materiale liberamente disponibile al pubblico e a proporre iniziative di approfondimento sul medium), siamo riusciti a realizzare una due giorni di studio e gioco dedicata ai videogame molto impegnativa dal punto di vista dell'organizzazione ma coerente con la vocazione del progetto originario. “Far Game” è stato prima di tutto un momento di incontro tra l'università, l'industria e il grande pubblico, una tipologia di manifestazione a cui siamo poco abituati in Italia: inseguendo la necessità di posizionamento, si rischia spesso di dare vita a iniziative troppo circoscritte all'ambito accademico (quindi autoreferenziali) o eccessivamente votate al puro divertimento. All'opposto, durante “Far Game” si sono avvicendate tavole rotonde composite che hanno messo in dialogo professionisti dell'industria videoludica, esperti di comunicazione, cinema e nuovi media, giornalisti e professori universitari di diversa formazione. Al centro del dibattito non solo il mercato e le nuove frontiere tecnologiche, ma anche il potenziale formativo del medium, i gender studies, le contaminazioni tra media. Poi – doverosamente – il gioco, perché è di questo che si parla: gli spazi di gioco e i momenti ludici non sono mancati, come nel caso dell'omaggio a Super Mario.
Insomma, un bilancio assolutamente in positivo, in attesa della prossima edizione
.

Ufficio Stampa Cineteca di Bologna: Patrizia Minghetti: 051 – 21 94 831
cinetecaufficiostampa@comune.bologna.it
Andrea Ravagnan: 051 – 21 94 833; cinetecaufficiostampa2@comune.bologna.it

Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna, via Azzo Gardino, 65
tel: 051- 21 95 328; archiviovideoludico@comune.bologna.it


Viaggiando nel Cosmo


Perché ci sono il giorno e la notte?
Il Sole si spegnerà mai?
Perché le comete hanno la coda?
Che cos’è un meteorite?
Esistono esseri simili a noi su altri pianeti?

A queste e a tante altre domande risponde un libro di Editoriale Scienza, casa editrice specializzata in pubblicazioni di divulgazione scientifica per ragazzi, mestiere che fa come meglio non si potrebbe.
Le risposte di cui dicevo – a partire da quella contenuta nel titolo del libro Perché le stelle non ci cadono in testa?, sottotitolo: E tante altre domande sull’Astronomia – vengono fuori da un’intervista assai ben condotta da Federico Taddia rivolta all’astrofisica Margherita Hack, intervista di cui potete avere un assaggio su questo divertente videotrailer.
Per saperne di più su Taddia: QUI.
E per informazioni sulla Hack: CLIC!

La grande Margherita – e lo dico con orgoglio – è stata anche ospite di questo sito nella sezione Enterprise.
Le indovinate illustrazioni contenute nel volume sono del fumettista Roberto Luciani, un tipo che così si presenta: “da ragazzo faceva scarabocchi sui libri e veniva sgridato; oggi che è grande continua a farlo, ma nessuno gli dice nulla”; anzi, aggiungo io, giustamente, lo lodano.
Il testo – esce nella fortunata collana Teste toste – riesce a raccontare un sacco di cose sull’Universo, sia su quelle che la scienza è riuscita a scoprire sia sui tanti misteri sui quali gli scienziati ancora indagano. Lo fa con un taglio veloce, un montaggio di curiosità, stranezze e singolarità (molte utili anche per noi adulti) tutte spiegate con semplicità e, spesso, in modo divertito.
Ad esempio, c’è un passaggio a proposito di quella turlupinatura che sono gli oroscopi sui quali s’esercita una canzonatura della Hack.
Il libro consente ai lettori anche d’intervenire ponendo domande, basta inviarle a un indirizzo segnalato nelle pagine e si avrà risposta sul sito web dell’Editrice.
Ecco un regalo per ragazzi intorno ai dieci anni utilissimo sia nei corsi scolastici e sia per saperne di più sul pianeta dove viviamo e sulle stelle che, per fortuna non ci cadono sulla testa.

Margherita Hack – Federico Taddia
“Perché le stelle non ci cadono in testa?”
Illustrazioni di Roberto Luciani
Pagine 96, Euro 11.90
Editoriale Scienza


Tre secondi


Sul mercato editoriale è un momento assai favorevole al “giallo” e ai lettori di quel genere.
In Italia, poi, straripa. Credo che autrici e autori di libri gialli (o noir) superino per numero quello degli evasori fiscali. Ma, si sa, anche nella disgrazia s’accende, talvolta, un momento di gioia. Nel nostro caso, gioia di lettura. E’ quanto accade con un “giallo” pubblicato da Einaudi intitolato Tre secondi.
Ne sono autori due svedesi che firmano i loro libri come una sigla d’impresa: Roslund & Hellström.

Anders Roslund & Börge Hellström sono il nuovo fenomeno del crime svedese. I loro libri sono oggetto di culto da parte dei lettori scandinavi. Tradotti in venti lingue, i due hanno ricevuto premi importanti come il Glasnyckeln e il Pocketpris. “Tre secondi” ha vinto, con pieno merito, l'ambito Swedish Academy Crime Writers' Award per l'anno 2009 e The Great Reader's Prize come miglior romanzo crime dell'anno.
Questo libro si distacca nettamente dal panorama “giallo” (panorama spesso più grigio che “giallo”) per una godibilissima scrittura che sfreccia veloce sulla pagina, per un taglio di grande asciuttezza e per una visione del Pericolo che qui diventa qualcosa di più di un elemento strettamente narrativo tipico di quel genere letterario, per assurgere a simbolo di una minaccia che va oltre la trama, di un allarme e di un rischio che va oltre la storia.

Il libro s’avvale di una luminosa traduzione di Anna Airoldi. Piemontese, da una decina d’anni si occupa di traduzione letteraria e di scouting editoriale. Legge e traduce dalle tre maggiori lingue scandinave (svedese, norvegese e danese), oltre che dall’inglese.
“Tre secondi” è il più recente libro che ha tradotto.
A lei ho chiesto: qual è la particolarità di questo libro che, come ho detto in apertura, mi pare si distacchi di molto dalla scrittura giallistica tanto (troppo!) diffusa ai nostri giorni?

Credo che l’originalità di “Tre secondi” stia nel ritmo concitato della narrazione e in una scrittura secca, rapida e molto coinvolgente che in tanti hanno definito “hard boiled”, o più genericamente “all’americana”, e che ho fatto del mio meglio per mantenere nella traduzione italiana. Nel panorama ormai piuttosto affollato del “crime” scandinavo, i romanzi del duo Roslund&Hellström si distinguono proprio perché non sono tipicamente “nordici”, cioè non puntano né sull’aspetto atmosferico della desolata ma seducente natura boreale, né sullo scavo accurato ma lento delle psicologie dei personaggi e della scena sociale, caratteristici di vari scrittori svedesi. Pur essendo quasi interamente ambientato a Stoccolma, “Tre secondi” ha un intreccio (solidissimo) e un respiro davvero internazionali, al livello dei migliori autori del genere. Lo definirei un mix entusiasmante di poliziesco svedese classico, con tanto di caustica critica sociale à la Sjöwall&Walhöö, e action thriller sul modello di le Carré, pieno di suspense e colpi di scena. Non saprei dire se ci siano oggi in commercio troppi gialli; senz’altro, “Tre secondi” è tra i più forti e validi. È un gran bel giallo!

Al di là della giallistica che sta vivendo in Svezia un momento particolarmente felice, che cos’altro si muove oggi nella letteratura svedese?

La narrativa svedese è molto vivace e ha alle spalle una lunga e ricchissima tradizione da cui attingono, non di rado in maniera polemica e fieramente sperimentale, le nuove generazioni di autori e autrici. Anne Swärd, Kjell Westö, Sara Stridsberg, Daniel Sjölin, Maria Sveland, Karolina Ramqvist (per fare solo qualche esempio…) sono tra i nomi più interessanti e innovativi della fiction svedese contemporanea, che mi auguro di veder presto tradotti in italiano. C’è, insomma, tutto un mondo da esplorare intorno al fortunatissimo fenomeno del giallo svedese. Un lavoro importante è stato svolto in Italia fin dagli anni Ottanta dalla casa editrice Iperborea, ma ora tutti i grandi editori guardano con rinnovata attenzione a Nord.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Roslund & Hellström
“Tre secondi”
Traduzione di Anna Airoldi
Pagine 662, euro 21.00
Einaudi – Stile Libero


Al paese dei libri

Esiste un paese che sembra immaginario, ma non lo è.
Ha una libreria ogni quaranta abitanti e sta nel Galles.
E’ posto sul fiume Wye al confine con la contea inglese di Herefordshire non lontano dalla catena del Brecon Beacons. Il villaggio ha solo poco più di milleottocento abitanti ma è divenuto universalmente conosciuto come una meta per appassionati di libri, specialmente di quelli usati.
Quel luogo si chiama Hay-on-Wye.
Lo sviluppo turistico del villaggio ha avuto inizio nel 1961 quando Richard Booth nel vecchio edificio dei vigili del fuoco aprì il suo primo negozio di libri usati. Il successo fu notevole e negli anni seguenti altre librerie di libri usati furono aperte nella cittadina tanto da essere proclamata “Book Town” negli anni '70.
Il primo aprile (fate attenzione al giorno e al mese) del 1977, con gesto patafisico di grande risonanza pubblicitaria, Richard Booth proclamò Hay-on-Wye principato autonomo e si autoproclamò re del nuovo stato.
Il primo aprile (fate di nuovo attenzione al giorno e al mese) del 2000, ancora Booth nominò, nelle sale del castello di Hay, trasformato anch'esso in libreria, i membri della locale "Casa dei Lord". Con gli anni il successo di Hay come destinazione per bibliofili si è ulteriormente affermato, arrivando a ospitare mezzo milione di turisti l'anno.
Poteva mai sfuggire questo luogo di cellulosa all’attenzione dello scrittore e bibliofilo Paul Collins? Certo che no.

Paul Collins vive nell’Oregon, negli Stati Uniti, e oltre a essere scrittore e divulgatore storico e scientifico, è un vero “biblioholic”, un innamorato dei libri, la cui vita gira sempre intorno a essi. E’ il fondatore ed editore della Collins Library, una collana della McSweeney’s Books, impegnata nella riedizione di libri ingiustamente dimenticati dall’industria editoriale. Ha anche sostenuto per qualche tempo un negozio di libri antichi proprio a Hay-on-Wye.
Quest’esperienza l’ha raccontata nel volume Al paese dei libri edito di recente da Adelphi che ha già pubblicato dello stesso autore “La follia di Banvard”, tredici storie di uomini e donne che non hanno cambiato il mondo, una galleria di personaggi storici sorprendenti che hanno conosciuto soltanto il fallimento nelle loro imprese vitali, e “Né giusto né sbagliato” un’immersione nel mondo dell’autismo attraverso la vera esperienza da lui attraversata con suo figlio Morgan.
Al paese dei libri è una deliziosa lettura, che dimostra come si possano raccontare cose profonde passando sulla superficie dell’esistenza senza superficialità.
In un’intervista condotta da Luciano Minerva, alla domanda “Com’è iniziata la sua passione per i libri?”, Collins rispose: Credo sia cominciata con i miei genitori, non perché leggessero molto, ma perché collezionavano oggetti di antiquariato. Andavano alle aste pubbliche per comprare un mobile e spesso nel lotto che acquistavano era inclusa una pila di libri che non volevano, quindi li davano a me. Si dicevano: "Vai a metterli nella stanza di Paul". Da bambino avevo centinaia e centinaia di libri, totalmente casuali, trovati nelle vecchie librerie di qualcuno. Persone forse morte. Quei libri erano lì nella mia stanza e non li avevo scelti io. Nella lettura sono cresciuto come un onnivoro, leggevo praticamente di tutto. Per questa quantità di libri che per sbaglio, a causa di un'asta, erano finiti nella mia stanza.

Per una scheda sul libro: QUI.

Paul Collins
“Al paese dei libri”
Traduzione di Roberto Serrai
Pagine 216, Euro 19.00
Adelphi


Workshop allo Studio Sinatti

Conoscete Claudio Sinatti… no?... male. Vi siete persi le cose che fa, ma don’t panic please! sta preparando nuove cose e le potrete vedere prossimamente. Intanto per conoscere il suo pensiero e alcune sue realizzazioni potete cliccare anche in questo mio sito web nella sez. Nadir.

Il suo Studio ospiterà nei prossimi giorni un workshop ideato e curato da Daniele Ciabattoni, giovane sperimentatore delle arti elettroniche ed avanzatissimo esperto di Quartz Composer in applicazioni artistiche e professionali.
Durante il laboratorio si esploreranno le possibilità espressive del live media con l'utilizzo di Quartz Composer, un potente ambiente di programmazione a oggetti orientato alla gestione e la generazione di video e grafiche in tempo reale.
Quartz Composer sta velocemente diventando un nuovo standard in produzione televisiva, teatrale, convegni, dimostrazioni aziendali, presentazioni di prodotti.
Partendo dalle basi del software gli iscritti verranno accompagnati passo dopo passo nella costruzione di una composizione audioreattiva e controllabile via midi.

Daniele Ciabattoni segue da molti anni una propria ricerca nel live media, producendo esperimenti interessanti tra i quali Manscape e Segnali di ripresa.
È un prezioso collaboratore della Clonwerk per cui ha realizzato i sistemi di video mappature di diversi eventi come lo spettacolo teatrale "Il Pianeta Proibito" e la tourneé della cantante Elisa.

Il workshop avrà una durata di 3 giornate di 8 ore ciascuna.
Non è necessaria alcuna conoscenza del software Quartz Composer, né esperienza di programmazione.
È necessario essere equipaggiati di un proprio computer Mac OS 10.5 o più recente, assieme ai cd di installazione del proprio sistema.
È possibile, ma non obbligatorio, portare un proprio controller Midi.

Informazioni e iscrizioni: workshop@claudiosinatti.com

Realizzato con il supporto di Roland e REW.

Date: 18/19/20 Giugno 2010
Orari: dalle 10.30 alle 18.30
Costo: 150.00 + Iva a persona
Partecipanti: massimo 15 fino ad esaurimento posti
Indirizzo: Studio Sinatti, via Lomazzo 58, Milano


ll segreto delle tre pallottole


Sembra il titolo di un libro giallo e un giallo in qualche modo lo è. Solo che in questo volume, si parla di cose realmente accadute che girano intorno a un avvenimento scientifico che tempo fa fece clamore: l’annuncio dato il 23 marzo 1989, da Martin Fleischmann dell'Università di Southampton e Stanley Pons dell’Università dello Utah, dell’avvenuta realizzazione della fusione fredda.
Più tardi fonti governative americane smentirono i due scienziati, ma cliccate sui puntini sospensivi che seguono e avrete qualche sorpresa ...

Le Edizioni Ambiente nella collana VerdeNero, di cui una volta, a proposito di un altro giallo tragicamente vero, mi sono occupato QUI, hanno adesso pubblicato un lavoro di Maurizio Torrealta - col quale ha collaborato Emilio Del Giudice - intitolato ll segreto delle tre pallottole.

Maurizio Torrealta, nato nel 1950, giornalista, redattore del programma televisivo Samarcanda e poi del Tg3, attualmente capo redattore a Rainews24 si è già distinto per altri brillanti lavori d’inchiesta. Ha pubblicato con i genitori di Ilaria Alpi e Mariangela Gritta Grainer “L’esecuzione, l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin” (Kaos Edizioni, Premio Saint Vincent); “Ultimo. Il capitano che arrestò Totò Riina” (Feltrinelli); “La trattativa” (Rizzoli).
Emilio Del Giudice è un fisico, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell’International Institute of Biophysics di Neuss (Germania). Ha al suo attivo molte pubblicazioni in àmbito scientifico.

Questo libro è il risultato di anni di lavoro che hanno portato alla luce prospettive inquietanti sulle connessioni tra usi civili e militari del nucleare.
Ad esempio, l’esistenza di pallottole che hanno la potenza di miniatomiche in grado di buttar giù un solo palazzo. Studi su come inquinare il terreno nemico e altre cose di cui si è parlato talvolta, quasi sussurrando, e che qui trovano esclamative affermazioni.
Bene illustra il lavoro degli autori un’intervista di Enrico Turcato che potete leggere qui oppure potete ascoltare in questo video da Torrealta come, in un clima da giallo spionistico, parte l’avventura dell’inchiesta.

Maurizio Torrealta
Emilio Del Giudice
“Il segreto delle tre pallottole”
Pagine 240, Euro 15.00
Edizioni Ambiente – VerdeNero


Logicomix

Da tempo sostengo che le nuove forme di linguaggio narrativo non stanno più sulla carta, ma altrove. Ad esempio nell’interattività dei videogiochi. E, inoltre, se di cellulosa deve trattarsi, ecco profilarsi il digiromanzo o il vook (neologismo da video+book), oppure la graphic novel. E in quest’ultima direzione mi sembra di rilevare cose notevoli.
Chi ha imboccato con decisione e meritorio tempismo questa strada è la casa editrice Guanda che ha dedicato a questo genere una collana che il direttore editoriale Luigi Brioschi così la presenta al pubblico.

Da Guanda Graphic è in distribuzione un’ottima storia – anche e soprattutto per com’è narrata - d’innovativo linguaggio che, non a caso, vede uno dei suoi due autori del testo in Apostolos Doxiadis, il quale ha studiato matematica alla Columbia University ed è un pioniere nello studio dell’interazione tra matematica e narrativa.
L’altro è Christos Papadimitriou, professore di Informatica all’University of California di Berkeley; ha vinto numerosi premi internazionali per il suo originale contributo alla teoria della complessità computazionale e alla teoria degli algoritmi.
Logicomix è il titolo dell’opera che s’avvale dei disegni di Alecos Papadatos e dei colori realizzati da Annie Di Donna. Si tratta, quindi, di quattro autori i quali, spesso protagonisti di se stessi nel libro, narrano l’affascinante percorso della ricerca dei fondamenti della matematica che conobbe la sua fase apicale a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Il tutto visto attraverso gli occhi di Bertrand Russell che ricorda la propria vita scientifica, politica, sentimentale.
Ritmo sostenutissimo ben assecondato dalla traduzione di Paola Eusebio.

Il libro – oltre ad una complessa (forse troppo) introduzione di Giulio Giorello - si giova di un essenziale glossario, assai ben fatto, che illumina su termini citati nel volume (ad esempio: Algoritmo, Assioma, Intuizionismo, etc.) e sulla vita dei tanti filosofi e scienziati che appaiono in Logicomix (da Aristotele a George Boole, da Giuseppe Peano a Henri Poincaré, a tanti altri).
E tra le pagine spira anche il vento della follia che ha travolto tanti personaggi che a quell’avventura scientifica hanno dedicato la propria vita: Georg Cantor morto in manicomio dov’era stato ricoverato contro la sua volontà; Gottlob Frege travolto da una paranoia antisemita suggerendo una “soluzione finale” per la “questione ebraica”; Kurt Gödel lasciatosi morire di fame in ospedale per paura d’essere avvelenato; ad altri casi ancora.

Bella la copertina di Guido Scarabottolo.

Per una scheda sul volume: CLIC!

Apostolos Doxiadis
Christos H. Papadimitriou
“Logicomix”
Disegni di Alecos Papadatos
Colori di Annie Di Donna
Traduzione di Paola Eusebio
Introduzione di Giulio Giorello
Pagine 352, Euro 23.00
Guanda


Minima Animalia


Il titolo di questa nota cita quello di un libro di Giuseppe Pulina e lo utilizzo per introdurre la segnalazione del numero maggio-giugno della rivista L’Ateo bimestrale dell’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti).
Questo numero, infatti, è largamente dedicato al mondo degli animali, al loro rapporto con noi, alla loro esistenza così com’è vista dalle religioni e dall’ateismo.
Già in un precedente numero (il 2 del 2009), c’era stato uno special sul tema animalista ed ora ne abbiamo un altro che si apre con uno stralcio da un volume a me caro: ”Nella mente degli animali”, scritto dall’etologo Dànilo Mainardi che è anche uno dei Presidenti onorari dell’Uaar.
Altri interventi di valore provengono dall’entomologo Piero Sagnibene, dal biologo Vincenzo Caputo, dallo studioso di zoosemiotica Dario Martinelli, dallo scrittore Luca Alessandro Borchi, da altri studiosi quali Marco Accorti e Francesco D’Alpa.
Per l’intero indice di quest’uscita: CLIC!
“Dobbiamo dare noi agli animali la voce che non hanno” – ha detto Umberto Veronesi – “per fare valere i loro diritti”.

La direzione del periodico è affidata all’epistemologa Maria Turchetto di cui noi lettori da tempo godiamo dei suoi effervescenti editoriali; se cliccate sul suo nome, avrete accesso al suo sito web e ne leggerete di cose frizzanti sulla politica, la letteratura, i costumi dei nostri anni.
In altra parte della rivista c’è anche un’interessante discussione che va oltre “L’Ateo” perché investe tante pubblicazioni su carta dell’associazionismo culturale e il ruolo delle nuove tecnologie di comunicazione.
Bisogna dare più spazio al notiziario delle attività dei vari circoli italiani e stranieri oppure (come fa questo bimestrale) soffermarsi sul pensiero che muove l’associazione (in questo caso l’Uaar) di cui il fascicolo è portavoce?
Credo che nei casi in cui l’Associazione abbia un proprio website sia da preferire la seconda soluzione affidando i notiziari alla Rete. L’informazione, più ancora della riflessione, è velocità e la Rete è imbattibile. Disporrei – semmai ripetendolo in più pagine – un riquadro che invita i lettori a visitare il www. ics o ipsilon per informarsi delle attività correnti svolte in Italia e all’estero.

QUA l’elenco delle librerie in cui è in vendita L’Ateo.
QUI la lista delle biblioteche in cui è possibile consultare la rivista.


Arte Postale al Mart

Arte Postale! (con punto esclamativo) è il nome della rivista di Mail Art che Vittore Baroni ha prodotto per trent’anni - dal n. 1 apparso nell’Ottobre 1979 al n. 100 del Dicembre 2009 - pubblicando e assemblando lavori originali di centinaia di artisti internazionali attivi nella rete della corrispondenza creativa. Una raccolta completa dei cento numeri della rivista e stata di recente acquisita dalla Biblioteca del Mart diretto da Gabriella Belli, complesso museale noto per la ricca collezione di opere verbovisuali e rare pubblicazioni d’artista (vedi il volume “Mart - Guida all’Archivio del ‘900. Biblioteca e fondi archivistici”, Skira 2003.)
Per l’occasione, i 100 numeri di “Arte Postale!” sono stati raccolti in uno speciale cofanetto in cartone ricoperto di buste e opere di Mail Art. È stata inoltre prodotta una ristampa fedele del n. 53 della rivista, realizzato in origine in copia unica, facendo in questo modo del Mart l’unico spazio pubblico al mondo in grado di offrire ai visitatori l’accesso alla raccolta completa della pubblicazione.

A Vittore Baroni ho rivolto qualche domanda.
Quando è nata l’idea di una rivista dedicata alla mail art?

L'idea mi è venuta nel 1979, due anni dopo il primo contatto col mondo dell’arte per corrispondenza, dovuto al fortuito incontro col noto collezionista ed artista postale Guglielmo Achille Cavellini. Ho chiamato il mio periodico autoprodotto semplicemente ‘Arte Postale!’, con un punto esclamativo finale ad indicare l'esuberanza e calore della "Rete Eterna" (come l’artista Fluxus Robert Filliou aveva battezzato la rete creativa in rapido sviluppo), un circuito amichevole ed aperto di autori impegnati nel libero scambio di qualunque genere di idee e lavori, superando qualsiasi differenza razziale, ideologica e linguistica. Una sorta di “social network” che ha anticipato Internet col semplice uso di lettere, cartoline e francobolli.

Hai pubblicato la rivista per trent’anni. Periodicità? Tiratura?

Entrambe molto irregolari, adottando spesso formati e configurazioni diverse. Nei primi due anni, sono riuscito a rispettare una cadenza quasi mensile, con una certa ruvidità di impaginazione “taglia-e-incolla”, sulla stessa lunghezza d’onda delle fanzine punk dei tardi Settanta. Gradualmente, le uscite si sono fatte meno frequenti e più complesse nella struttura e confezione. I primi cinquanta numeri di Arte Postale! sono stati prodotti in edizione limitata di 100 copie, adottando la strategia ad "assemblaggio" avviata a New York dal poeta sperimentale Richard Kostelanetz nella sua seminale pubblicazione ‘Assembling’: ogni partecipante spediva cento copie di una pagina, cartolina, francobollo d’artista o altro contributo, i materiali venivano poi da me raccolti assieme all’aggiunta di una copertina e di alcune pagine redazionali.

Temi dominanti?

Musica, badges, adesivi, fotografie, Neoismo, eccetera. Oppure, altro tema, alcuni numeri erano dedicati a singoli artisti postali viventi o scomparsi (Ray Johnson, David Zack, Lon Spiegelman, Piermario Ciani), altre uscite invece avevano un tema libero ma richiedevano contributi in format specific (ad esempio il n. 24 era un numero speciale in 3D, con piccoli oggetti contenuti in una scatola di cartone; il n. 49 era dedicato a opere in miniatura, con i piccoli lavori raccolti in una custodia da audio-cassetta). La tiratura variabile andava dall’unica copia del n. 53 (un numero speciale preparato da Mark Pawson come omaggio alla mia pubblicazione) fino alle 600 copie del n. 63, contenente un singolo 7” in vinile del gruppo Le Forbici di Manitù con l'inno del ‘Congresso Decentralizzato del Networker’ del 1992. In trent’anni, hanno partecipato alla rivista circa mille autori da sessanta paesi.


Più o meno quanto?


Tutti gli esseri umani radunati in uno stesso luogo, quanto spazio occuperebbero?
Sarebbe davvero possibile per l’Uomo Ragno fermare un convoglio della metropolitana?
Ha più potenza per kilogrammo il sole o un criceto?
A queste, ma anche a tante altre domande sicuramente più comuni (ad esempio: quanto costa davvero guidare la vostra auto?) risponde un libro edito da Zanichelli intitolato Più o meno quanto? L’arte di fare stime sul mondo.
Gli autori Lawrence Weinstein e John A. Adam sono professori rispettivamente di fisica e di matematica alla Old Dominion University di Norfolk negli Stati Uniti; il testo s’avvale di appropriati e spiritosi disegni di Patty Edwards.
Il volume esce nella collana Chiavi di lettura cliccando QUI troverete nella colonna a sinistra i precedenti titoli.
Si tratta di agili libri che, pur prevalentemente indirizzati agli studenti delle superiori, vengono incontro anche a noi adulti rivelando vari mondi di curiosità scientifiche trattate in modo da istruire divertendo chi legge.
Non a caso, quindi, questa collana – diretta da Lisa Vozza e Federico Tibone, per il secondo anno consecutivo, si è aggiudicato il Premio Galileo . L’edizione 2009, infatti, è andata a un altro libro della raccolta: “Energia per l’astronave Terra” di Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani e quest’anno a “I Vaccini dell’era globale” di Rino Rappuoli e Lisa Vozza.

Federico Tibone, nato nel 1959, è fisico di formazione, scrive libri di testo per le scuole e si occupa di progetti editoriali multimediali.
A lui ho rivolto alcune domande.

Qual è stato il principale motivo che vi ha spinto a scegliere “Più o meno quanto?” tra i tanti testi che prendete in esame per la vostra collana?

In primo luogo il fatto che è un libro divertente, con un formato inusuale e illustrazioni simpatiche, che gioca molto sul quiz e non intimorisce anche chi normalmente avrebbe paura dei numeri. In più è utile: serve per esempio ai ragazzi come stimolo per fare esercizio sulla matematica, in particolare sull’uso delle potenze di 10, imparando al contempo qualcosa su come va il mondo.

Esiste un metodo unico per misurare cose appartenenti a realtà e fenomeni anche diversi fra loro?

Il punto-chiave è che non si tratta di “misurare” in senso stretto, ma piuttosto di imparare a “stimare”, cioè a usare dati noti a tutti per valutare gli ordini di grandezza delle cose. Gli autori saggiamente invitano a non puntare a valori precisi: per prendere la maggior parte delle decisioni quotidiane, basta farsi un’idea trovando risposte accurate entro un fattore 10.
Se per esempio lei fuma e vuole stimare quanto fa male, le basta scoprire che potrà perdere tra 2 e 20 anni di vita.
Per questo genere di stime, la risposta alla domanda è sì: il libro insegna alcune tecniche semplici e alla portata di tutti
.

Dopo la terrorizzante notizia che ha trasmesso a me e a tanti altri fumatori, può fare un altro esempio possibilmente più allegro?

Non s’allarmi di come comincio la mia risposta. Supponiamo che le venga la curiosità di sapere quante persone muoiono ogni anno nel mondo. Sa che la popolazione mondiale è di quasi 7 miliardi di persone. Prenda come durata media della vita 70 anni (stima un po’ alta, purtroppo; ma semplifica i conti).
Se viviamo in media 70 anni, significa che ogni anno in media muore una persona su 70. Dunque ogni anno muoiono 1/70 di 7 miliardi, cioè un decimo di un miliardo, ossia circa 100 milioni di persone.
Il che ci porta all’esempio più allegro che mi è stato richiesto: quanti bambini nascono ogni secondo nel mondo?
Be’, se ogni anno muoiono 100 milioni di persone, in prima approssimazione nasceranno anche 100 milioni di bambini all’anno. Quanti secondi ci sono in un anno? Sono 60 per 60 per 24 per 365: se si fa il conto viene fuori un numero vicino a trenta milioni, che è facile da ricordare. Dunque dobbiamo dividere 100 milioni per 30 milioni. Così troviamo che in ogni secondo, anche ora mentre stiamo parlando, nascono tre bambini. Felicitazioni!
.

Lei ritiene che misurare la realtà che ci circonda sia una necessità, o ansietà, particolarmente dei nostri tempi? Oppure è sempre esistita, ma solo oggi abbiamo strumenti che ci permettono di dare risposta a tante domande e perciò ce le poniamo anche tra le più bizzarre?

L’esigenza credo sia naturale e diffusa, magari anche nel regno animale. Per esempio: quanto è largo quel fiume? Se faccio cadere quest’albero, arriverà sull’altra riva e potrà fare da ponte? (Questo se lo chiedono anche i castori.)
Oppure: quanto cibo devo mettere da parte per sopravvivere al prossimo inverno? (Questo notoriamente se lo chiedono anche le formiche.)
Forse la differenza è che oggi, per sopravvivere, abbiamo spesso bisogno di fare stime usando dati più astratti: Mi conviene o no passare a questo fondo pensioni? Qual è la tariffa migliore per il telefonino? Ma qui purtroppo ci vuole una laurea specialistica…

Lawrence Weinstein – John A. Adam
“Più o meno quanto?”
Traduzione di Luisa Doplicher
Pagine 264, Euro 11.80
Zanichelli


Cinema a Bellaria


Nonostante il gioioso nome della cittadina che ospita da 28 anni uno dei più interessanti festival di cinema in Italia, da noi tira una gran brutta aria per il cinema e tutto il mondo dello spettacolo, sia per i tagli imposti dal governo ai finanziamenti e sia per l’atteggiamento dei governanti stessi verso la cultura. Si pensi, ad esempio, alla figuraccia, sulla scena internazionale, rimediata dall’Italia a Cannes dove il Ministro dei Beni Culturali s’è rifiutato d’essere presente perché lì c’era un film che faceva satira sul Presidente del Consiglio.
Un po’ di storia di questo festival.
Nato nel 1983 su iniziativa dell'Azienda di soggiorno di Bellaria Igea Marina, il Bellaria Film Festival Anteprima Doc ebbe dapprima il nome di “Anteprima per il cinema indipendente italiano”, che è stato conservato fino al 2005. Già dalla sua nascita, il Festival si è caratterizzato per l'attenzione verso il cinema indipendente, fucina di nuovi talenti della cinematografia.
Con la direzione di Morando Morandini, decano della critica, padre fondatore della manifestazione, e degli altri intellettuali che lo hanno affiancato nel corso degli anni (Gianni Volpi, Enrico Ghezzi, Roberto Silvestri, Antonio Costa, Daniele Segre), il BFF ha accresciuto e consolidato il proprio ruolo diventando una delle più autorevoli manifestazioni cinematografiche italiane, contribuendo a far conoscere e lanciare registi come Silvio Soldini, Daniele Segre, Ciprì e Maresco, Roberta Torre e tanti altri.
Il festival si è assunto il compito di ricercare e scoprire i nuovi talenti del cinema italiano, rivolgendosi in particolare a quei nuovi autori non sorretti dai mezzi finanziari delle grandi case di produzione.
Dal 2006, l’incarico di direttore artistico è affidato al lavoro appassionato e competente di Fabrizio Grosoli. Anteprima aggiunge il suffisso doc di documentario. Negli anni, a Bellaria sono festeggiati molti film e grandi protagonisti del cinema italiano. Per citarne alcuni, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Dario Argento, Gillo Pontecorvo, Mario Monicelli, Paolo e Vittorio Taviani, Ermanno Olmi e nel 2006 Nanni Moretti con il suo primo lungometraggio: “Io sono un autarchico”.
Il BFF prevede tre concorsi: Concorso Anteprima Doc, per documentari italiani inediti; Premio Casa Rossa Doc, per il regista del miglior documentario della precedente stagione cinematografica; Concorso Corto Doc, riservato a cortometraggi documentari a tema libero della durata massima di 10’00”.
Dal 2010, alle tre sezioni competitive si aggiunge Crossmedia, dedicato alle nuove forme di filmmaking e storytelling, online e offline, per esplorare i confini tra media digitali e documentario. Tra le nuove rassegne che propongono documentari internazionali, si segnalano 'Nuove identità', dedicata all’inedito incrocio di civiltà e culture che definisce l’immaginario delle nostre città e 'Le opere e i giorni', rivolta al settore del documentario storico.
Per l’edizione 2010 l’Amministrazione comunale affida l’incarico di direttore artistico a Emma Neri giornalista e critico cinematografico.
Per dovere di cronaca, va riportata anche una polemica nata in seguito a questa nomina, ne trovate traccia QUI .

Ora mi concedo un angolo di patriottismo da cosmotaxista, perché noto nel programma (venerdì 4, Palazzo del Turismo, ore 15:00) una regista che ebbi il piacere di ospitare tempo fa, si tratta di Caterina Carone della quale viene presentato il suo “Valentina Postika in attesa di partire”. Ricordo anche che è stata nella cinquina finalista per il migliore documentario a lungometraggio dei David di Donatello 2010.

Per il programma generale: CLIC!

Bellaria Film Festival
Bellaria Igea Marina
Dal 3 al 6 giugno ‘10


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