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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Le difese del mio corpo

La scuola italiana, si sa, soffre di una grave carenza sull’informazione scientifica.
E’ un vecchio malanno che viene da lontano per poi essere codificato, nel 1923, dall’infausta riforma del ministro fascista Giovanni Gentile e che, mantenuta negli anni con occasionali peggioramenti, ha visto poi programmi e insegnamento naufragare con la signora Maria Stella Gelmini, quella che dal Ministero della Pubblica Istruzione scambia i neutrini per corridori in corsa da Ginevra al Gran Sasso in un oscuro tunnel, pronuncia in Parlamento nemèsi innovando la vecchia dizione di nèmesi, pubblicherà domande sbagliate per due terzi nei concorsi per Presidi e via dilegheggiando la cultura.
Insomma la nostra è una scuola che guai a non conoscere una poesia di un certo autore, ma è ben tollerato il fatto che non si sappia che cos’è il pancreas… è un dolce?... il centrattacco ungherese di un club calcistico?... una montagna delle Alpi retiche? Poco importa saperlo, ma guai a non conoscere a memoria “La pioggia nel pineto”!

Lodevole è, quindi, l’impegno di chi dedica ai ragazzi strumenti che possano informarli su essenziali cose del mondo fisico che abitano. A partire dal proprio corpo come fa ad esempio la casa editrice Dedalo che nella preziosa collana Piccola Biblioteca di Scienza ben diretta da Elena Ioli ha pubblicato Le difese del mio corpo di Laurent Degos, professore di Ematologia all’Università Denis-Diderot - Paris VII, già presente nel catalogo di Dedalo con altri suoi titoli.

Il libro attraverso un dialogo immaginato fra alcuni personaggi che si muovono intorno alla piccola Chiara che s’è sbucciata un ginocchio, propone domande e fornisce rapide, comprensibilissime risposte a domande quali: “Cos’è il pus?”; “Cos’è l’immunità?”; Qual è la differenza tra virus e batterio?” “Come si difende il corpo dai microbi?”; Che cos’è un vaccino?” e altre ancora.
Il volume si conclude con un glossario nonché essenziali bibliografie e webgrafie che permettono approfondimenti.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Laurent Degos
Le difese del mio corpo
Traduzione di Manuela Carbone
Illustrazioni a colori di Sophie Jansem
Pagine 64, Euro 6.50
Edizioni Dedalo


Metamorfosi della scrittura

In quest’epoca delle “pisicotecnologie” – definizione di Derrick de Kerckhove – s’assiste a una rivoluzione forse superiore a quella che accadde con Gutenberg.
La scrittura, non solo d’informazione, ma anche creativa, s’è evoluta per tempi, stili e forme in un modo che perfino chi professionalmente pratica la Rete non sempre ha colto. Si nota, infatti, in molti siti, un modo di scrivere che altro non è che la vecchia pagina su cellulosa trasposta in formato elettronico.
C’è ancora troppo amore per la carta tanto che càpita di leggere di taluni che nati con una propria rivista sul web, esultano nell’annunciare “finalmente” il loro passaggio alla carta stampata; come dire, possedevamo un aereo e ora, “finalmente”, un carretto. Tutto questo mentre Arthur Sulzberger Jr, editore e presidente del “New York Times”, annuncia che fra qualche anno quel famoso giornale più non sarà stampato e vivrà solo on line.
La storia della nuova scrittura è recente, ricordo, ad esempio, che il primo romanzo ipertestuale a essere pubblicato sul Web fu, nel 1994, “Delirium”, di Douglas Cooper, che permetteva di navigare all'interno di quattro storie incrociandole e dissezionandole con movimenti visivi e random usando software come Storyspace e Hypercard.
Oppure, altro esempio, In “The set of the U” del francese Philippe Bootz, grazie a un apposito programma, la mescolanza di suoni, immagini e testo varia a ogni riproduzione.
Oltre 500 combinazioni, invece, in “Bromeliads”, opera in prosa dell'americano Loss Pequeño Glazier, ritenuto con Bootz e Michael Joyce tra i principali autori di eLiterature.
Ecco perché il libro che sto per presentare ha una particolare importanza perché, avvalendosi di un’esposizione scorrevolissima, con grande acutezza di riflessioni e rigorose e plurali documentazioni “esplora il tema della scrittura intesa come un complesso lavoro di ‘incisione’ di segni nel mondo, attraverso le svariate forme che la comunicazione va assumendo nella nostra epoca”.

Titolo: Metamorfosi della scrittura Dalla pagina al web.
Edito da Progedit, ne è autrice Patrizia Calefato che ho avuto già il piacere d’ospitare in queste pagine web per sue precedenti pubblicazioni.
E’ professore associato nell'Università degli studi di Bari Aldo Moro, dove insegna Sociolinguistica e Linguistica informatica. E' Affiliated Professor dell'Università di Stoccolma, Center for Fashion Studies. Tra le sue più recenti pubblicazioni, in italiano: "La moda oltre la moda", Milano, Lupetti, 2011; "Lusso", Roma, Meltemi, 2003; Che nome sei?, Roma, Meltemi, 2006; "Mass moda", Roma, Meltemi 2007; Gli intramontabili, Roma, Meltemi, 2009.
Nel catalogo Progedit anche un suo saggio contenuto nel recente volume I segni del corpo.

A Patrizia Calefato ho rivolto alcune domande.
Apri il tuo libro citando Italo Calvino. Che cosa intuì sul futuro della scrittura?

Calvino intuì in modo speciale i valori che la scrittura avrebbe dovuto preservare nel millennio presente. Le sue “Lezioni americane” parlavano di “leggerezza”, “rapidità”, “esattezza”, “visibilità”, “molteplicità”: parole chiave che si potrebbero oggi mettere a confronto con le loro possibili realizzazioni rese realtà dalla civiltà delle tecnologie e delle connessioni planetarie.
La “leggerezza” appartiene al ‘potere leggero del software’ di cui già lo scrittore ben individuava la portata epistemologica.
La “rapidità” concerne – come dice Calvino richiamandosi in questo a Leopardi – il rapporto tra la velocità mentale e quella fisica che evoca l’idea di infinito e che costantemente mettiamo alla prova quando valutiamo quali effetti produca sul nostro quotidiano “lavoro segnico” la velocità di un processore; quando verifichiamo la velocità di funzionamento di un motore di ricerca; quando esigiamo velocità nello scambio comunicativo in una chat o nella posta elettronica.
L’ ”esattezza” riguarda invece per Calvino la precisione, la nitidezza, la definizione dei concetti: una prerogativa che oggi fa i conti con il mare di informazioni in cui siamo immersi che ci pone direttamente l’esigenza da un lato di trasparenza, dall’altro di selezione dei significati: il mare di file che WikiLeaks ha reso disponibili in rete nel dicembre 2010 e che hanno messo in difficoltà i rapporti tra le potenze mondiali esprime proprio questa duplice esigenza.
La “visibilità” si conferma a pieno come quel “mondo, o golfo mai saturabile di forme e di immagini”, che potrebbe oggi essere il mondo dei blog e dei social network.
La “molteplicità” ha a che vedere infine con le connessioni, l’enciclopedia del sapere, le reti “tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo”: un’immagine che rende efficacemente, senza certo che lo scrittore italiano lo sapesse, i tratti essenziali del web
.

Dalla tradizionale scrittura sequenziale a quella reticolare dell'ipertesto qual è l’elemento che in modo più evidente segna quel passaggio?

Parto dalla “serendipità”, una parola che ben sintetizza le modalità di lettura degli ipertesti della rete, la navigazione attraverso di essi che spesso ci apre strade impreviste rispetto alla destinazione verso cui originariamente eravamo partiti. La serendipità nella lettura di quel meta-ipertesto che è il web non esclude la lettura (e la corrispettiva scrittura) sequenziale, la linearità di significanti, ma la oltrepassa nella dimensione della complessità e della simultaneità della lettura, della scrittura e della visione. A interessarmi in modo particolare nel passaggio dalla sequenzialità all’ipertestualità è il ruolo dei nodi delle connessioni, dei crocevia: i link, le finestre, le aperture.

La domanda in due parti che segue ha l’intenzione di capire le tue più radicate convinzioni sulla scrittura “dalla pagina al web”, così come recita il sottotitolo del libro.
A chi consigli la lettura del tuo volume? E a chi lo sconsigli?

Lo consiglio a chi navigando, smanettando, chattando, usando apps, ipad e vari social network, ogni tanto si chiede: Ma cosa sto facendo?
Lo sconsiglio a chi ha fretta
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Per una scheda sul libro: CLIC!
Sito web dell’autrice: QUI.

Patrizia Calefato
Metamorfosi della scrittura
Pagine 128, Euro 16.00
Progedit


Alfabeta 2

“Il potere come natura morta” è il titolo della conversazione di Marco Dinelli con il grande poeta russo Lev Rubinstejn, tra i materiali che compongono il numero14 di alfabeta2 che si avvale del coordinamento redazionale di Andrea Cortellessa e Maria Teresa Carbone

L’’idea del potere – di un certo potere – da osservare come oggetto obsoleto, attraversa tutta la rivista, a partire dai tre testi in apertura (Renato Nicolini, Andrea Fumagalli, Stefano Rodotà) che propongono le riflessioni in corso al Teatro Valle Occupato (“Sherazade che inganna la crisi”), un confronto con l’esperienza francese (Intermittenti e precari, a parlare è il sociologo Maurizio Lazzarato), un’analisi della crisi italiana inserita nel contesto europeo (la firma è di Vincenzo Visco) e un reportage di Claudia Bernardi dall’altra parte dell’Atlantico (“Occupy Wall Street? Occupy USA!”).
Ma in un certo senso ci costringono a fare i conti con l’obsolescenza del mondo così come si è (si era) definito negli ultimi trent’anni anche i due focus, uno sul “Tramonto del postmoderno” (intervengono Omar Calabrese, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Stefano Cristante e Fausto Curi), l’altro “Sull’impossibilità della guerra” (Furio Colombo, Paolo Fabbri, Alberto Burgio, Danilo Zolo, Angelo d’Orsi, Letizia Paolozzi, Vladimiro Giacché). E nello stesso raggio di orizzonte si iscrivono la conversazione con Luca Rastello intitolata Piccola apologia della vivisezione, seconda puntata del ciclo “Intellettuali e potere” a cura di Enrico Donaggio e Daniela Steila, i brevi saggi di Enrico Menduni e di Franco Voltaggio su due temi sensibili del nostro presente, l’esplosione dei social network e l’evoluzione della medicina istituzionale, l’acuta ricognizione di Elena Casetta sulla famiglia contemporanea.
A illustrare questo numero è Giuseppe Penone, di cui la rivista propone anche una lunga intervista con Bruno Corà.

Tra i materiali del supplemento alfalibri un ampio nucleo tematico sulla critica letteraria (ne scrivono tra gli altri Umberto Eco, Gabriele Pedullà, Giancarlo Alfano, Paolo Godani, Clotilde Bertoni), un bel reportage di Giorgio Vasta dall’Islanda e la divagazione finale di Alessandro Bergonzoni, Primo acchito.
Immagini di Enrico Cattaneo.

Rivolgersi a Nicolas Martino - ufficiostampa@alfabeta2.it - per informazioni e interviste.

Ancora una notizia, giovedì primo dicembre ore 18:00, Teatro Valle Occupato (via del Teatro Valle 21, Roma) incontro con Omar Calabrese, Stefano Chiodi, Paolo Godani, Angelo Guglielmi, Massimiliano Fuksas
Conducono il dibattito: Andrea Cortellessa e Maria Teresa Carbone.


Double Espace

Nella storica Galleria La Nuova Pesa di Roma, domani inaugura la mostra Double Espace.
Il curatore è Bruno Di Marino (Salerno 1966), storico dell’immagine in movimento, è tra i maggiori studiosi italiani di sperimentazione audiovisiva, new media e rapporti tra il cinema e le altre arti. Tra i suoi libri: “Animania. 100 anni di esperimenti nel cinema d’animazione” (Il Castoro, 1998); “Sguardo inconscio azione. Cinema underground e d’artista a Roma (1965-1975)” (Lithos, 1999); “Interferenze dello sguardo. La sperimentazione audiovisiva tra analogico e digitale” (Bulzoni, 2002); “Studio Azzurro – tracce, sguardi e altri pensieri” (Feltrinelli, 2007); “Pose in movimento. Fotografia e cinema” (Bollati Boringhieri, 2009); “Film oggetto design – la messa in scena delle cose” (Postmedia Books, 2011). Ha scritto per molte testate di quotidiani e riviste specializzate. Da tre anni è titolare della rubrica 'Tube Attack' su "il Manifesto".
I suoi saggi sono stati pubblicati in Francia, Belgio, Portogallo, Germania, Russia, Giappone, Cina e Ungheria.

Double Espace è da lui così presentata: La mostra raccoglie opere tematiche commissionate a 10 giovani artisti sul binomio realtà/interpretazione. Il doppio sguardo si tramuta così in un doppio spazio, quello del reale e quello del virtuale, il luogo del fatto, dell'evento concreto da un lato e quello dei cosiddetti "fattoidi" (come li definisce Dorfles) e quindi delle interpretazioni della realtà, dall'altro. Non è una semplice distinzione tra oggettivo e soggettivo, ma qualcosa di molto più fondante che continua a condizionare la nostra epoca, lacerata tra l'essere e l'apparire. Il postmoderno, che ha sempre lavorato sulla citazione, sul rapporto tra vero/falso, cacciato dalla porta rischia di ritornare dalla finestra. L'unica possibilità è allora di far convivere insieme due tendenze opposte attraverso una serie di rappresentazioni artistiche (pittura, fotografia, video, installazioni) che possono (rin)tracciare un percorso artistico e concettuale.

In foto: Marta Roberti, da “In che punto sono ferma”, installazione site specific 2010/2011.

La mostra si avvarrà di una colonna sonora appositamente composta per la mostra da Raffaele Costantino (Costa), suoni contenuti anche in un Cd accluso al catalogo dell’esposizione.
Partecipano a Double Espace: Cristina Falasca – Donato Maniello – Andrea Nicodemo - Andrea Pizzalis – Elettra Ranno – Valerio Ricci Montani – Marta Roberti – Viviana Russo – Danilo Torre – Debora Vrizzi.
Della Vrizzi questo sito ha presentato tempo fa alcuni lavori QUI.

Prossimamente sarà dedicato un numero di Nadir a un’altra artista presente in “Double Espace”: Marta Roberti, vincitrice l’anno scorso con il suo video “Lacuna” del concorso Metrocubo promosso dall’Associazione Culturale Quattrocentometriquadri.
Marta Roberti presenta a La Nuova Pesa “In che punto sono ferma” un’installazione site specific.
A lei ho chiesto di parlare di questo suo lavoro.
”In che punto sono ferma” è una installazione composta da una video animazione realizzata con 200 disegni impressi su altrettanti fogli di carta copiativa, con cui ho riprodotto una medesima immagine di partenza, raffigurante una donna in stato di contemplazione e di attesa in una vegetazione rigogliosa. Sotto il monitor ci sono tre mensole su cui sono riposti i disegni con cui è stata realizzata l'animazione stessa e un taccuino dove ho ricalcato con la medesima carta copiativa lunghi frammenti del testo che ha ispirato la nascita di questo lavoro: “Il tempo vissuto. fenomenologia e psicopatologia”, di Eugene Minkowsky.

Per chi volesse saperne di più sullo psichiatra francese Minkowsky: CLIC!

Double Espace
A cura di Bruno Di Marino
Galleria La Nuova Pesa
Via del Corso 530, Roma
Info: 06 – 36 10 892
Da domani all’8 dicembre ‘11


L'Ateo

E’ il bimestrale dell’Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) diretto da Maria Turchetto (in foto, mentre dà sapienti consigli a un sorridente personaggio) che è diventato un punto di riferimento per chi è interessato ai temi e alle proposte culturali e associative laiche e contro ogni forma di condotte confessionali.
Credo che il motivo di principale successo che arride alla rivista risieda nell’avere colto un punto essenziale del dibattito fra Ragione e Fede: il dissidio scientifico fra i due termini.
Infatti, nelle pagine di questo periodico la pluralità dei temi affrontati - dal cinema all’animalismo, dal femminismo alla storia, e altro ancora – ruota prevalentemente su perni di scienze.
Scriveva Albert Einstein in una lettera a Max Born del 4 dicembre 1926: “Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato”. Ecco un buon esempio di umiltà (forse perfino eccessiva) che manca completamente fra i credenti, specie se monoteisti. Costoro, infatti, su di un episodio favolistico, quindi, del tutto inverificabile, pretendono di conoscere il mondo, le sue leggi fisiche, morali, sociali e, quel che è peggio, imporle anche a chi non crede.
Mario Grilli – professore ordinario di Fisica generale presso l’Università La Sapienza di Roma – durante un’intervista sul suo libro “Gli scienziati e l’idea di Dio”, mi disse. “Circa l'influenza prodotta dalle religioni sull'etica sociale e individuale, mi sembra si possa dire, sinteticamente e amaramente, che millenni dominati dalle religioni monoteiste non hanno modificato il comportamento profondo dell'uomo. L'affermarsi di una etica laica porterebbe l'uomo a vivere in un mondo migliore dell'attuale (ci vuole poco!), in cui si agisce in base a intime convinzioni proprie e non alla minaccia di castighi o la lusinga di premi dopo la morte. Un tale clima aiuterebbe, inoltre, l'uomo a costruire una visione scientifico-razionale della realtà”.

Non è allora un caso che molti collaboratori dell’”Ateo” siano donne e uomini impegnati in campo scientifico o nella Filosofia della Scienza.
Lo dimostra anche questo numero – presentato da Raffaele Carcano… a proposito, non perdetevi il suo Uscire dal gregge scritto con Adele Orioli – in cui sono presenti alcune delle relazioni presentate durante il convegno In un mondo senza Dio tenutosi a Genova nel maggio di quest’anno.
Le pagine sono scandite, da divertenti vignette, oltre a recensioni su libri di recente uscita e concluse da una frizzante rubrica di posta con i lettori.

La rivista è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di euro 2.80.


Neovideoludica


Che cos’è un videogioco?
Così risponde Matteo Bittanti: Il videogame è una macchina della felicità: è appositamente sviluppato per soddisfare il giocatore per mezzo di una gratificazione istantanea.
L'ideale ludico è fortemente meritocratico: se sei bravo, fai strada. Non contano conoscenze, amicizie e raccomandazioni. I videogiochi producono endorfine e riducono i livelli di stress, ansia ed irritabilità. Non dimentichiamo che la prassi videoludica è performativa: richiede abilità, dedizione, pratica. Il videogame si colloca a metà strada tra lo sport e la danza, tra la narrazione e l'esplorazione. Quello che mi affascina di questo medium è che contiene tutti i linguaggi e i codici degli altri, ma non è per questo una forma espressiva inferiore o “minore”. L'errore da evitare è di applicare al videogame i criteri qualitativi dei media tradizionali, analogici e lineari
.

Cosmotaxi, nel 2009 dedicò uno special ad Art of Games, una grande mostra curata da Debora Ferrari e Luca Traini che per cinque mesi (da maggio a novembre di quell’anno) ospitò opere, dibattiti su quel mezzo espressivo dei nuovi media, presenze di alcuni fra i protagonisti dei videogiochi del mondo.
Ora il tandem ha presentato a Venezia Neovideoludica.
Cliccare QUI per una breve videointervista a tema.


Le donne dei dittatori

Il rapporto tra le donne e il potere maschile è stato studiato dalle neuroscienze, dalla psicanalisi, dall’antropologia, ma se è vero che esistono basi che accomunano (come avviene per i maschi) alcuni comportamenti, non si può affermare che esistano condotte univoche. Esistono, però, rischi comuni per noi umani a qualunque sesso s’appartenga.
Circa le donne, si pensi, ad esempio, alla femminista Betty Friedan che nel suo “La mistica della femminilità” già nei primi anni ’60 del secolo scorso avverte i pericoli delle suggestioni prodotte dai media che tendono a formare un modello femminile subalterno a quello maschile.
Mussolini diceva “La folla è femmina”. In quel pensiero c’era tutta la violenza (e il disprezzo) per chi aveva, secondo lui, un destino naturale di sottomissione.
Pare che avesse letto (a modo suo) un famoso saggio del 1895 (“Psicologia delle folle”) di Gustave Le Bon che, invece, analizzava radici e approdi antropologici dei nostri comportamenti di gruppo in modo ben differente, tanto da ottenere riconoscimenti da personaggi lontani dal maestrino di Predappio, cioè da Freud a Jung, da Schumpeter a Merton, da Horkheimer ad Adorno.
Sta di fatto che molti dittatori sono stati idolatrati da alcune, e non poche, donne che oltre ad esserne ammiratrici, talvolta, hanno unito i propri destini ai tiranni di turno, e fino a condividerne la morte violenta.
Parliamo qui di veri, grandi amori e non già di escort che si accompagnano a qualche demagogo riccastro per ottenerne denaro oppure vantaggi sociali: intelligenti pauca.

Un gran bel libro che descrive, con documentazioni attente e diffuse, grandi passioni che legarono donne a tiranni di epoca contemporanea l’ha pubblicato Garzanti, s’intitola Le donne dei dittatori.
La trentenne autrice si chiama Diane Ducret, è al suo primo libro che segna un felicissimo debutto.
Ducret, giornalista, storica, filosofa, dopo aver studiato storia e filosofia all’École Normale Supérieure, ha prodotto e condotto programmi televisivi per History Channel e altre reti televisive.
Ha consultato archivi di vari Stati ricavandone documentazioni inedite così come una grande quantità di lettere – riportate nel volume – che in molte indirizzarono a capi autoritari di varia misura in quanto a spietatezza.
Un assaggio lo trovate QUI.
Ed ecco storie e angoli piccanti che vedono protagonisti Clara Petacci e Mussolini, Nadia Krupskaja e Lenin, Ekaterina Svaridze e Stalin, Christine Garnier e Salazar, Josefine e Bokassa, Mao e più sue mogli, Elena Ceauceșcu e suo marito Nicolae.
Il libro si apre e si chiude con Hitler. Proprio così, perché – per quanto incredibile possa oggi sembrare - il führer, come nota l’autrice, “ricevette più lettere di ammiratori di Mick Jagger e dei Beatles messi insieme”.

In apertura scrivevo che non esistono condotte univoche segnate dall’appartenenza a un sesso o a un altro. Perciò mi piace chiudere questa nota con una lettera non di fremiti amorosi, ma di ben diverso tenore. Sta in una delle pagine del libro. Scritta da una donna.
E’ indirizzata a Mussolini. E non anonima.
Il popolo italiano si batte per l’onore. Duce, la dichiarazione di guerra alla Francia è un’azione ignobile. Un uomo d’onore non uccide un ferito. Voi passerete alla storia coperto d’infamia dalla storia.
Lina Romani, Trento 15 giugno 1940
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Per una scheda sul libro: CLIC!

Diane Ducret
Le donne dei dittatori
Traduzione di Giuseppe Maugeri
Pagine 408, Euro 22.60
Garzanti


Eros, Cybersex, Neoporn

Nel 1991, quando studiare la pornografia, le sue motivazioni, le sue espressioni, sembrava – specie al mondo accademico – qualcosa lontanissima da uno studio serio, ci fu un giovane sociologo che pubblicò L'osceno di massa.
La cosa gli costò parecchio, perse un concorso, fu guardato come figura poco decorosa.
Fu il primo in Italia ad occuparsi di quel tema oggi tanto diffuso e dibattuto in plurali ambienti scientifici.
Com’è chiaro quei parrucconi avevano torto, ed ecco che per fortuna di noi lettori quel sociologo, proseguendo nei suoi studi, ha dato alle stampe – sempre presso Franco Angeli che fin dal ’91 aveva coraggiosamente, e con felice intuito culturale, mandato in libreria ”L’osceno di massa” – un suo nuovo lavoro: Eros, Cybersex, Neoporn nuovi scenari e nuovi usi in Rete.
Quel sociologo si chiama Renato Stella.
Insegna Sociologia delle comunicazioni di massa presso l'Università di Padova. E’ autore di Box populi (Roma 1999); L'immagine della notizia (Milano 2004); Media ed Etica (Roma, 2008); ha curato con Pina Lalli e Mario Morcellini il volume Spazi comunicativi contemporanei (Roma 2008).
Attualmente si occupa delle nuove forme di produzione e diffusione della cultura di massa.

A Renato Stella ho chiesto: a vent’anni da “L’osceno di massa” quale la principale motivazione che ti ha spinto a questo nuovo lavoro?

Ho scritto questo libro per completare un percorso di ricerca e per rispondere alla stessa domanda che mi ponevo allora. Perché si sia giunti a una diffusione di massa così ampia di materiali pornografici. Oggi la risposta è più semplice che in passato, anche se necessariamente più complessa. Internet e il web 2.0 hanno trasformato una parte non piccola di consumatori in produttori di materiali “hard-core”. Al punto che forse non è nemmeno più il caso di chiamare foto e video che si trovano nei vari siti amatoriali “pornografia”, dal momento che non sono realizzati solo al fine di mostrarsi ed esibirsi, ma sempre più spesso per allacciare rapporti, scambiare esperienze, mettere in moto processi eminentemente sociali che connettono tra loro individui che si riconoscono in nicchie sottoculturali a volte piccolissime. Tante minoranze messe in insieme che “prendono la parola” non fanno naturalmente una maggioranza, ma cominciano a essere un numero cospicuo di persone che non si può far finta di non vedere. Il cuore del libro è un’esplorazione di questa dimensione del desiderio e della sessualità, a volte anche dell’affettività, che sancisce il superamento dell’industria pornografica degli anni ’70-’90, per lasciare uno spazio nuovo all’iniziativa di uomini (soprattutto) e donne capaci di mettersi in gioco spudoratamente e oscenamente. Il tutto in un quadro di secolarizzazione e di normalizzazione del pornografico che in occidente è ormai una cifra ineludibile della nostra contemporaneità.

In una delle prossime pubblicazioni mensili della Sez. Enterprise di questo sito, nel 2012, Stella sarà mio ospite e con lui approfondirò i temi di questo suo imperdibile volume.

Per una scheda sul libro e l’Indice: CLIC!

Renato Stella
Eros, Cybersex, Neoporn
Pagine 208, Euro 24.00
Franco Angeli


L'idiota

La Casa Editrice Le Lettere ha mandato in libreria un volume di valorosa riflessione su di una figura che appare su più ribalte letterarie e sociali.
Titolo: L’idiota Una storia letteraria.
L’ha scritto Paolo Febbraro (Roma 1965), poeta e critico letterario. Fra le sue opere in versi, Il Diario di Kaspar Hauser (2003), Il bene materiale (2008), Deposizione (2010). Come saggista, ha curato la raccolta dei Poeti italiani della “Voce” (1998) e un’ampia antologia della Critica militante (2001). Recenti sono le monografie La tradizione di Palazzeschi (2007), Saba, Umberto (2008) e La poesia di Primo Levi (2009).
Cura con Matteo Marchesini l’Annuario di Poesia fondato da Giorgio Manacorda e collabora al ‘Manifesto’.

Febbraro, è riuscito nell’impresa d’incrociare critica letteraria, riflessione politica e meditazione filosofica facendole ruotare attorno a un personaggio, l’Idiota, che nella storia (e non solo della letteratura) di volta in volta è visto ora come l’Illuminato ora come l’Ottuso, ma sempre alieno sia che ci si genufletta religiosamente davanti a lui sia che sprezzantemente lo si irrida.
In quest’attraversamento tematico, l’autore nel suo percorso va dagli antichi greci fino a Kafka bussando alle porte di molti: da Shakespeare a Cervantes, da Dostoevskij a Palazzeschi.

A Paolo Febbraro ho rivolto alcune domande.
Quale l’obiettivo che ti sei posto nello scrivere questo lavoro?

Volevo scrivere un bel libro, che raccontasse un’intuizione critica e i vari svolgimenti che essa ha inaugurato nella mia memoria letteraria. Lentamente ho anche capito che questo libro sarebbe stato anche un atto d’amore nei confronti della letteratura, da condurre col maggior rispetto possibile, ma anche con il coraggio che deve presiedere alle scoperte. Partendo dall’”Idiota” di Dostoevskij e tornando indietro, grazie anche a un libro come “Lo stolto” di Diego Lanza, ho capito molte cose su chi è il poeta, lo scrittore, e su chi è stato nel corso della Storia. E soprattutto, ho compreso che l’idiota è un personaggio letterario, non è il poeta che scrive nel mondo concreto, ed è mutevole come sono mutevoli gli uomini, ma anche uguale a sé stesso, come le costanti della nostra immaginazione.

Nei dizionari dei sinonimi e contrari alla parola “idiota” troviamo tra i sinonimi: “stupido, deficiente, sciocco, insensato, imbecille, cretino, beota, ebete, citrullo, mentecatto, microcefalo, scemo, scimunito, stolido, stolto, tonto”.
Tra i contrari: “intelligente, accorto, acuto, avveduto, genio”.
Da quali di quelle dizioni – del primo e del secondo gruppo – senti maggiore lontananza dalla figura dell’idiota studiata nel tuo libro?

Credo che nessuno scrittore usi passivamente le parole. Da parte mia, cerco di capirle meglio, attraverso la loro etimologia. In greco, “idios” voleva dire “uomo privato”, “uomo che fa per sé stesso”, contrapposto a “uomo pubblico”. Così, l’idiota, prima di diventare lo «stupido, deficiente, sciocco» dei vocabolari, era colui che più intensamente di altri attivava il contatto con la sfera interiore, spesso arcaicamente abitata da voci, presagi o intuizioni, come il celebre dèmone di Socrate. Se così stanno le cose, il “mio” idiota etimologico non è l’insensato imbecille ma si avvicina all’accorto, al genio. Eppure, il mio libro è la storia letteraria che segue questo tipo di personaggio ‒ e questo tipo di verità antropologica ‒ nella Storia, ovvero in una vicenda in cui l’ispirato trova ordini politici e culturali sempre più compattamente alieni dal suo modo di vedere il mondo. Dunque, pian piano, il genio accorto diventa, per gli altri, lo sciocco e lo stolto, cade nel disprezzo e deve simulare un’appartenenza che intimamente non può condividere.

Scrivi: “Gli invasamenti e le visitazioni divine che punteggiano questa storia letteraria nulla hanno a che fare con l’odierna, stucchevole revanche della religione contro la scienza”.
Puoi spiegare il perché hai tenuto a questa precisazione?

Perché sento attorno a me un gran desiderio di criticare l’Illuminismo e di tornare alla religione, ai suoi rituali conforti, alla “Tradizione” con la lettera maiuscola e l’unicità solenne del peggior conservatorismo. Invece, l’idiota è un reazionario radicale, nel senso però che resta attaccato alla sua intuizione della Natura, che è anche musica variabile della mente, rifiuto delle rendite di posizione, malinconia della continua mutevolezza e caducità delle cose. L’idiota mi ha fatto pensare che una cosa è adeguarsi alla Natura, ben altra è tradirla con le istituzioni religiose che vogliono amministrare il sacro, impoverendolo. Il sacro è il manifestarsi concreto della grandezza e infinità dell’esistente, è un manifestarsi che esalta e terrorizza; il religioso viceversa è l’insieme delle convenzioni che uniformano le coscienze in un rito.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Paolo Febbraro
L’idiota
Pagine 334, Euro 18.00
Le Lettere


Valle Giulia

L’Associazione Temperamenti presenta, in prima nazionale, una nuova produzione intitolata Valle Giulia.
Protagonisti due autori e interpreti che stimo da anni, fra i primi a muovere il rinnovamento del teatro italiano avvenuto nella metà degli anni ’70: Marco Solari e Alessandra Vanzi (ritratta in foto).
In questo lavoro, testo, scena e regìa sono di Marco, ad Alessandra è affidata l’interpretazione.

“Temperamenti” pubblica una nota di regìa che qui replico: Valle Giulia è un luogo inevitabilmente mitico, ma in questo lavoro non c’è nessuna riattualizzazione rituale. No, quello a cui si assiste è un gesto assurdo del quale sono stato una volta spettatore attonito, il gesto di una donna che portava da mangiare a una miriade di uccelli.
Attorno a lei, che tirava fuori da grossi sacchi di plastica neri pezzi di pane recuperati nei bar e nei ristoranti, volavano e si posavano cornacchie e passeri, gabbiani e merli, storni e ballerine. Sotto gli occhi di pappagalli verdi.
Mentre assistevo a questa strana scena, ho fatto qualche disegno e me ne sono andato. Poi è venuto questo monologo che ho pensato fin dall'inizio per Alessandra.
Così sono pensieri violenti rabbiosi ironici amari quelli che escono dalla donna, tutta presa nel suo compito e nella misurazione del tempo: del prima e del dopo, cioè dell’ora, della trasformazione delle cose e dei rapporti, una prefigurazione dell’incerto futuro
.

Lo spettacolo si avvale dell’ambientazione musicale di Piergiorgio Faraglia, con interventi in voce e chitarra di Alessandra Parisi e quelli video di Adi Gianuario.
Il tutto nell'àmbito del Festival Internazionale Ellen Stewart (la fondatrice del Cafè La Mama) nel teatro diretto da Dario D'Ambrosi. Organizzazione di Adriana Migliucci.

“Valle Giulia”
di Marco Solari con Alessandra Vanzi
Teatro Internazionale di Roma
Via Cassia 472
Info: teatro.inter.roma@live.it ; 06 – 33 43 40 87
Da giovedì 24 a sabato 26 ore 21:00; domenica 27, ore 18:00
Poi in tournée


La Lisca di Madonna


Lo so, il titolo può suonare blasfemo, ma vuole indica indicare il nome di un cuoco, Angelo Madonna, e di un ristorante: La Lisca.
Stimo da anni Angelo che, pur giovane, vanta un curriculum di tutto rispetto.
Qualche rapido cenno: la sua formazione comincia alla scuola alberghiera di Teano seguita dalle prime esperienze in zona. Poi conosce il bistellato chef Bruno Barbieri presso il quale svolge un lungo stage. Questa esperienza è stata ovviamente importante perché è in quel periodo che ha appreso tecniche, serietà, umiltà.
Quando Barbieri si è trasferito a Villa del Quar si è spostato in Puglia con Vito Netti, secondo di Barbieri, e con lui ha perfezionato lo studio delle materie prime.
Nel 2003 è stato inserito da “who's who international chefs” una raccolta di biografie dei migliori mille chef nel mondo.
Nel febbraio 2006 la prestigiosa rivista “Monsier” lo inserisce tra i migliori 10 chef italiani sotto i 30 anni.
Quattro anni dopo, Ciro Vestita invita Angelo (in foto) a produrre ricette per il libro “Coltiviamo la salute” edito da Giunti.
Ora è Prato a godere delle sue nuove invenzioni e del suo entusiasmo.

Sì Armando, mancavo da Prato da circa un anno e con piacere lavoro in questo bellissimo ristorante “la Lisca” proprio in centro città. Roberto Guglielmi (Restaurant Manager) mi ha chiesto di diventare lo chef di questa struttura. Il mio lavoro sarà puntato su molte innovazioni alcune già realizzate altre allo studio. Questo sarà un lavoro che integra le tradizioni locali, assolutamente rispettate.

I tuoi piatti oggi più richiesti?

”L’acquario di mare”, antipasto colorato e variopinto con diversi tipi di crostacei e molluschi, oppure il crudo di mare. Noto molto interesse degli avventori anche per gli “Scialatielli con vongole bianche e fiori di zucca” e apprezzamento per i pesci con cottura al sale e all’Isolana. Ancora una cosa: mai manca dal nostro menu la Tempura.
Consiglio di telefonare per riservare il tavolo; Il prezzo medio è di 35-50 euro
.

“La Lisca”
Via Bovio 2/b
Prato
mail: info@ristorantelalisca.it
Tel. 0574 - 60 44 29
Chiusura: sabato a pranzo


Spatola a Verona


Purtroppo non è più con noi, avrebbe oggi 70 anni Adriano Spatola uno dei personaggi che ha rinnovato lo scenario espressivo italiano sia come autore e sia come agitatore culturale.
A lui (in foto) si deve, inoltre, alla fine degli anni ‘60, la scoperta di allora giovani autori che trovarono pubblicazione nelle edizioni Geiger fondate con il fratello Maurizio.
E proprio Maurizio Spatola è il protagonista oggi di un’assidua, attenta, partecipe (ben oltre il legame familiare) attenzione e storicizzazione dell’opera di Adriano.
Ne è testimonianza la fondazione di un prezioso Archivio on-line con sezioni dedicate ai libri delle Edizioni Geiger, alla rivista Tam Tam e ai libri pubblicati come suoi supplementi, a documenti storici di varia natura, concernenti sempre la Neoavanguardia letteraria e artistica.
Negli ultimi due mesi l’Archivio si è arricchito di prezioso testo sonoro di Adriano e di altri documenti che riguardano Franco Beltrametti, Gianni Bertini, Arrigo Lora Totino, Vladimir Majakovskij.

E ancora a cura di Maurizio è in corso a Verona, presso la Sala Farinati della Biblioteca Civica una mostra di poesia visiva, manoscritti e altri documenti di Adriano Spatola.
Per informazioni: info@anteremedizioni.it

Concludo questa nota ricordando quanto di recente ha scritto Niva Lorenzini: “Guglielmi, riferendosi a Spatola parla di scrittura poetica come 'luogo di una continua formazione e deformazione di sé', di un’identità sospesa, di una 'instabilità provocata', ottenuta rinnovando ogni volta i processi possibili di associazione, facendo convivere stilizzazione e sorpresa, stacchi e scarti tonali, a un passo dalla pittura, dalle sue tecniche. Questa la sfida, che tutte le riassume; una sfida vitale, per nulla indebolita dal tempo e dalle stagioni”.

Per contatti con Maurizio Spatola: Via Usodimare 11/8, 16039 Sestri Levante (Genova).
Tel. (39).0185 – 43 5 83; Mobile 333 – 39 20 501


Ritmi Visivi

In un momento in cui parole come “intercodice”, “intermedia”, sono usate per connotare i nuovi segni delle arti contemporanee, giunge quanto mai opportuna la mostra Ritmi visivi in corso presso la lucchese Fondazione Ragghianti dedicata a Luigi Veronesi (1908 – 1998) che della multimedialità è stato un precursore usando e incrociando linguaggi iconici, musicali, teatrali e cinematografici.
Veronesi fu al centro del movimento dell’Astrattismo e accanto alle sue opere sono esposte altre di Kandinskij, Klee, Moholy-Nagy, Albers, Vantongerloo, Max Bill, El Lissitskij, Léger, Hofmann, Domela, Del Marle, Florence Henri, Munari, Fontana, Ballocco, Ghiringhelli.
E film di Eggeling, Richter, Ruttmann, Fischinger, Len Lye, McLaren, Léger, Moholy-Nagy, Man Ray.

In foto Luigi Veronesi, Studio cinetico, 1987, fotogramma.

La mostra è a cura di Paolo Bolpagni, Andreina Di Brino, Chiara Savettieri.

In un’intervista del 1983 Luigi Veronesi dichiarò: Posto che il problema centrale è organizzare una visione in movimento, uno spazio dinamico, concreto e sensibile, ogni esperienza in diversi campi può contribuire a dare maggiore chiarezza e complessità a questo fine.
Tale affermazione racchiude il senso profondo della ricerca artistica di Veronesi, che, ha accordato nella propria arte un’instancabile sperimentazione delle tecniche più svariate, dalla pittura alla silografia, dalla scenografia teatrale alla fotografia; uno sperimentalismo che lo condurrà a cimentarsi nel cinema e a elaborare un metodo per visualizzare la musica.
L’importanza di questa mostra (rispetto a retrospettive precedenti) è data anche dalla presentazione al pubblico di quattro cicli completi di “visualizzazioni cromatiche della musica”, per un totale di ben 45 opere (tra cui vari inediti), e, per la prima volta, l’integrale del cinema di Veronesi, attraverso la proiezione dei suoi sette film superstiti (alcuni andarono distrutti nel 1943), realizzati tra il 1940 e il 1985.
L’installazione multimediale presente in sala permette tra l’altro ai visitatori di leggere per la prima volta le partiture musicali e contemporaneamente di ascoltare i brani corrispondenti alle visualizzazioni cromatiche, seguendone “sismograficamente” la corrispondenza con il linguaggio di forme e colori elaborato da Veronesi.
Infine, conclude l’esposizione una ricca serie di documenti che completano l’indagine multimediale sull’universo creativo dell’artista, tra cui le ideazioni grafiche per l’editoria fotografica e cinematografica e una missiva inedita di Veronesi a Henry Langlois, che dimostra la fecondità del rapporto dell’artista col fondatore della Cinémathèque Française.

Ed ecco come Maria Teresa Filieri, Direttore della Fondazione Ragghianti, sintetizza le linee portanti del lavoro espositivo in corso in questa videointervista.

Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, i rapporti sono curati da Elena Fiori: 0583 – 46 72 05; e-mail: elena.fiori@fondazioneragghianti.it

Ritmi Visivi
Fondazione Ragghianti
Via San Micheletto 3, Lucca
Fino all’8 gennaio 2012
Lunedì chiuso.
info@fondazioneragghianti.it
Ingresso gratuito


Sadiesfaction

E’ possibile fare incontrare Madame de Saint-Ange protagonista dell’opera “La Philosophie dans le boudoir” del Marchese de Sade con Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones autori del noto brano “Satisfaction”? In fondo in entrambe le opere di sesso si parla, ma c’è la difficoltà per quei signori di darsi appuntamento perché la protagonista sadiana agisce in un libro del 1795 e i musicisti inglesi in una canzone del 1965.
Si può tentare, però, di farli incontrare in un nuovo titolo di una nuova opera, come ha fatto Angelo Capasso che ha pubblicato per :duepunti Edizioni Sadiesfaction facendo con il nome del Divin Marchese e del pezzo Rolling quello che i glottologi chiamano una “crasi”.
Il motivo di questo virtuosismo linguistico ideato da Capasso è motivato dal disegno del suo originale saggio laddove i due termini che qui s’incontrano e si fondono sono la trama di una tela sfrangiata e sottile su cui poggia l’economia dell’arte: tra il sadismo (il godimento erotico feticista che trasforma l’altro in oggetto senziente e remissivo) e la ricerca indefinita di soddisfazione propria del nostro tempo.
Sadiesfaction è un’opera che si occupa della natura economica dei fenomeni artistici e dimostra la differenza sostanziale che esiste tra l’economia industriale e l’economia del bene culturale, anche quando si manifesta sotto la forma del simulacro del prodotto industriale.

L’autore, nato a Roma nel 1966, è critico d’arte, docente e curatore di mostre.
Direttore editoriale di “Exibart”, membro del Comitato scientifico e curatore della Collezione Farnesina Design, e Segretario dell’AICA. È docente di Arte Contemporanea, Economia e Mercato dell’Arte e Nuovi Media presso La Sapienza, Roma, l’accademia BB.AA. di Roma, Perugia, Urbino, il Conservatorio Tartini di Trieste, l’Istituto Europeo di Design di Roma, la LUISS Management, Roma. Ha pubblicato diversi libri tra cui: ABO. Le arti della critica (2001); AA. L’arte per I’arte (2002); Ombre e fantasmi (2004); Opere d’arte a parole (2007); L’orlo del vuoto. Vita arte e morte di Luigi Di Sarro (2008); (con Paolo Balmas) Arte e le teorie di turno. Omaggio a Achille Bonito Oliva (2011). Ha collaborato con RAI News 24, RAI Sat Arte, RAI Utile, RAI DOC, FoxLife.

Tra poco rivolgerò alcune domande ad Angelo Capasso, ma prima voglio ricordare che sia la casa editrice sia l’autore indirizzano un particolare ricordo a Vettor Pisani che nei mesi precedenti la sua tragica scomparsa, ha seguito con partecipazione la lavorazione di questo libro ed è autore dell’immagine di copertina con una sua opera originale.

Quale la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere questo libro?

E' un libro importante a mio avviso. Sia nel mio percorso personale, sia per l'attualità generale. Per quanto riguarda la mia storia personale, è il libro che esemplifica il mio interesse verso la psicanalisi lacaniana. Un passaggio importante della ricerca che ha portato a questo libro è stato la domanda sul reale. Che cosa è il reale? In che modo il reale si esprime attraverso l'oggettività, in che modo l'oggettività è oggettificazione, e in che modo quindi l'arte può avere un valore economico, di scambio, in quanto oggetto. La teoria del "piccolo oggetto a" di Lacan, nel mio libro si trasforma in teoria dell'oggetto A(rte). Su questo binario, seduzione ed economia si congiungono con l'arte. Lacan è molto probabilmente lo studioso di psicanalisi che ha avuto maggiori contatti con l'arte. Non si comprende bene perché Lacan sia così poco considerato in Italia. E' stato appena tradotto il Ventesimo seminario (per Einaudi) dal titolo "Ancora". Ecco questa "compulsione a ripetere", che Freud considera all'origine del "principio del piacere" è la compulsione che appartiene al collezionista, vero deuteragonista dell'artista nel lavoro dell'arte. La mia teoria è che il critico d'arte è lo psicanalista che interviene in questo rapporto specchiante, tra artista e collezionista. Se manca il critico, il dialogo genera compulsione insensata, entropia. Il critico lavora sulla qualità dell'inconscio, sulla qualità della creazione, sulla qualità dell'arte. Del resto il mio libro si apre con una citazione da Lacan "Sii all'altezza del tuo desiderio". E' molto rischioso quando al desiderio, si sostituisce l'investimento, il godimento spicciolo, quello del denaro.

Fra i tanti momenti interessanti del tuo saggio, c’è un passaggio che ritengo molto importante, quando affermi che “Abbiamo dato per scontato una verità inoppugnabile: l’opera d’arte è priva del valore d’uso. L’arte è inutile”.
Ma contiene oppure no una sua necessità?

Quando si parla di inutilità, si dichiara semplicemente che l'arte esiste di per sé. E' una seconda natura. La natura è stata inutile finché l'uomo non ne ha compreso l'utilità. L'arte è utilissima, ma non utilizzabile. Anche in questo caso, il riferimento è all'economia, alla politica. Ogni qualvolta l'arte è stata utilizzata per fini "secondi" è caduta nell'ideologia, o scaduta nella comunicazione. L'arte non ha un contenuto, ma è un contenitore. E' un cannocchiale aristotelico attraverso il quale scrutare altre verità. E' necessaria. Anzi indispensabile, come l'acqua. E' parte del nostro DNA. La sua utilità va verificata, si trasforma a seconda dei contesti. Il suo uso è impossibile.

Le autostrade telematiche, i networks tv, internet, il multiverso, e altre tecnologie, avranno un peso sul rapporto Arte-Mercato?

Il mio libro parla di Economia. Non di mercato. Anche se i termini "mercato dell'arte", "sistema dell'arte", sono inevitabilmente ricorrenti, come dati del panorama corrente. Il digitale ha certamente trasformato l'arte. Nell'ultimo capitolo parlo di multimodalità (e non di multimedialità), perché l'articolazione di quello che chiamo Oggetto A(rte) si è realizzata attraverso modalità differenti, e non solo attraverso media diversi. Ovviamente esistono le aste online, le vendite online, ma questi sono fenomeni marginali. Anche l’"uso" stesso del digitale va ancora esplorato a fondo e sta cercando una sua identificazione con la parola Arte. Il termine Digital Art è abusato, e mal utilizzato: definisce qualcosa fatto attraverso le tecnologie digitali, quindi, ancora una volta, ponendo l'accento sui media. Arte e digitale invece stanno evolvendo parallelamente su una qualità multimodale che riguarda il fare e il fruire l'arte, come oggetto misterioso relazionale (e non), sociale (e non), economico (e non).

Per una scheda sul libro: CLIC!

Angelo Capasso
Sadiesfaction
con 45 tavole
Pagine 256, Euro 20.00
:duepunti Edizioni


L'nvenzione del Dio cristiano

Quanti libri sono stati scritti su Gesù?
Neppure Google può rispondere in maniera esaustiva a questa domanda.
Sulle tendenze circa l’interpretazione della figura, si può sicuramente dire di più.
“Da circa due secoli” – scrive Corrado Augias – “la ricerca storica su Gesù detto il Cristo ha molto lavorato, giungendo a risultati che in buona parte si discostano dalla ricostruzione ufficiale della dottrina cattolica. I due tomi scritti dal papa regnante Benedetto XVI miravano proprio a questo: portare di nuovo a far combaciare la figura storica di Gesù figlio di Giuseppe (Johshua ben Joseph) e la figura mistica e divina del Cristo, l’Unto, il Messia”.
Un libro che smonta a pezzo a pezzo tale interpretazione lo dobbiamo a Paolo Flores d’Arcais che per Add Editore ha pubblicato Gesù L’invenzione del Dio cristiano.

Paolo Flores d’Arcais (Cervignano del Friuli, 11 luglio 1944) è filosofo e giornalista. Animatore del movimento studentesco nel ’68, e dei “girotondi” nel 2002. Fondatore e direttore della rivista "MicroMega", editorialista di “Il Fattoquotidiano”, collaboratore di “El Pais” e “Gazeta Wyborcza”. Tra le sue pubblicazioni: Il sovrano e il dissidente (Garzanti, 2004), Hannah Arendt (Fazi 2006), Atei o credenti (Fazi, 2007), A chi appartiene la tua vita? (Ponte alle Grazie 2009), Albert Camus filosofo del futuro (Codice, 2010), La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger (Ponte alla Grazie 2010).

La tesi del libro tratta dalle stesse parole dell’autore: Gesù non era cristiano. Non si è mai proclamato Messia. Gesù era un profeta ebreo apocalittico itinerante, che annunciava nei villaggi della Galilea la prossima fine del mondo e l’incombente trionfo del Regno dove gli ultimi saranno i primi. Il suo euaggelion proclamato infine anche a Gerusalemme, lo mette in contrasto con una parte dell’establishment. I romani lo giustiziano sulla croce insieme a due sovversivi. I suoi discepoli, che si sono dispersi, finiscono per convincersi che è “ancora in mezzo a noi”. Ebrei osservanti, vogliono convincere i correligionari. La loro fede tutta ebraica fa però proseliti soprattutto fra i gentili […] Questo per quanto riguarda la storia. Altra cosa è la fede, ovviamente, che orgogliosamente Paolo considerava follia e i cristiani dei primi secoli proclamavano orgogliosamente nel “credo quia absurdum”.

Circa gli strumenti di lavoro usati, così scrive Flores d’Arcais: Questo libriccino deve tutto a grandi studiosi contemporanei del Gesù storico come Geza Vermes, Ed Parish Sanders, Paula Fredricksen, Bart D. Ehrman, John Dominic Crossan, Bruce M. Metzger, Gerd Theissen, Petr Pokorny, Étienne Trocmé, François Vouga, e a molti altri che però non hanno avuto per il mio lavoro la stessa importanza. Il mio è infatti solo un lavoro di divulgazione di tesi storiografiche ormai largamente consolidate fra gli studiosi, pur nel permanere di divergenze e polemiche che li dividono su questioni anche non marginali. Ho tenuto presente naturalmente i grandi testi cattolici, a partire dai volumi di John P. Meier, tanto esibiti da Ratzinger nei suoi libri su Gesù, per tutte le obiezioni possibili sollevate contro le tesi qui divulgate. Ma soprattutto ho voluto far parlare direttamente le fonti del Nuovo Testamento. Sono più che sufficienti per fare giustizia di ogni pretesa di storicità della dogmatica che si è affermata dal Concilio di Nicea in poi.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Paolo Flores d’Arcais
Gesù
Pagine 128, Euro 5.00
Add Editore


Perché i vulcani si svegliano?

L’editrice Editoriale Scienza si occupa esclusivamente – sottolineo esclusivamente – della divulgazione scientifica per ragazzi.
Un solo, specializzato, definito, precisato obiettivo. Finalmente!
In un lontano dibattito che si tenne a “Galassia Gutenberg”, quando dissi questa cosa mi fu obiettato che pure altri editori avevano, e da anni, anche una collana scientifica per ragazzi.
Appunto, anche.
In quell’anche c’è un guaio non da poco, si comincia col non specializzare, per citare la faccenda più importante, il lavoro della casa editrice con probabili approssimazioni (leggi: cadute di qualità), e si finisce con non creare presso i lettori certezza sull’equazione marchio-prodotto.
Editoriale Scienza conferma, di titolo in titolo, la sua vocazione a stampare libri che tengano conto del diverso modo, oggi, di leggere dei ragazzi che sono otticamente e concettualmente a contatto con nuovi mezzi d’informazione: dalla tv al computer ai videogames.

Buona testimonianza ne è anche questo recente Perché i vulcani si svegliano? E tante altre domande sulla Geologia.
Le risposte sono molte e rapide, ma se qualche ragazzo ne vuol porre una nuova può inviarla via mail a testetoste@editorialescienza.it, ecco un modo per rendere le pagine autenticamente interattive.
Il libro è strutturato in una veloce e ben condotta intervista di Federico Taddia a Mario Tozzi, laureato in Scienze Geologiche, che dal 1996 si occupa di divulgazione scientifica esperto sia di carta stampata (ha scritto una decina di volumi) sia di tv (conduce “La Gaia Scienza” su La7) sia di radio (“Tellus” su RadioRai 2).
Le pagine sono scandite da divertenti illustrazioni dovute alle matite di Roberto Luciani.

Oltre alla domanda che dà il titolo al volume, eccone qualche altra che può interessare anche chi ha lasciato da tempo gli anni dell’infanzia.
“Perché l’acqua del mare non finisce mai?”
“Da dove viene la sabbia?”
“La terraferma è davvero ferma?”
“Quante terra c’è sulla Terra?”
“Possono nascere nuovi minerali?”

Per affacciarsi sulle pagine del libro, basta un CLIC!

Federico Taddia – Mario Tozzi
Perché i vulcani si svegliano?
Illustrazioni di Roberto Luciani
Pagine 96, Euro 11.90
Editoriale Scienza


Storia curiosa della scienza


Oggi è una data (11.11.’11) che ha una sua innegabile singolarità; meglio sarebbe stato pubblicarla on line alle ore 11 e 11 minuti, ma a quell’ora altri impegni mi aspettano e mi accontento di quanto ho finora scritto.
Data singolare per un libro singolare di cui fra poco dirò.

Investigare la storia di noi umani attraverso la Scienza è cosa che, pur dispiacendo ai monoteisti, illumina su molte delle cose accadute e lancia sguardi sul futuro.
Chiarissima al proposito la definizione di “Scienza” che ne dà il linguista De Mauro nel suo Vocabolario della Lingua Italiana: “Insieme di conoscenze rigorosamente controllate e sistematicamente ordinate che consente di giungere a verità obiettive intorno a un determinato ordine di fenomeni e concetti”.
Ed è proprio la storia della scienza (e non quella dei libri cosiddetti “sacri”) che ci permette di capire come dalle caverne della preistoria ad oggi siamo riusciti a interpretare e a trasformare la realtà del mondo.
Tutto è diventato meraviglioso? No, ci si sono messi in mezzo il sistema nervoso centrale che indossiamo e i libri cosiddetti “sacri”.
Dice Einstein in ‘Pensieri degli anni difficili’: “A perenne vanto della scienza sta il fatto che essa, agendo sulla mente umana, ha vinto l'insicurezza dell'uomo di fronte a se stesso e alla natura”.

A ben spiegare il valore del pensiero scientifico è un libro tanto pensoso quanto divertente scritto da Flavio Oreglio, pubblicato da Salani, intitolato Storia curiosa della scienza Le radici pagane dell’Europa.

L’autore è già noto agli spettatori delle platee teatrali e televisive come cabarettista, ma, forse, non tutti sanno che è laureato in Scienze Biologiche (ecologia).
Ex insegnante di matematica, è appassionato di Storia e Filosofia. Dopo gli “Scritti giovanili” (1976-1977) e l’opera prima “Ridendo e Sferzando” (1985-1995), ha proseguito con “Il momento è catartico” (2000-2005) e con “Siamo una massa di ignoranti. Parliamone” (2006-2011). Cultore del teatro canzone, ha ideato e dirige il progetto "Musicomedians" attraverso la realizzazione di un Centro Studi attualmente attivo con analisi e ricerche di carattere storico-culturale e tecnico sul mondo del cabaret e della canzone d’autore.

Ecco un brano che credo ben illumini sul tono corrosivo e scorrevole che connota le pagine del volume qui presentato perché l’umorismo è il modo migliore per dimostrare che si fa sul serio: Se siete pronti, iniziamo. Come primo atto, Urano feconda Gea che dà alla luce 12 Titani (6 maschi e 6 femmine), 3 Ciclopi e 3 Centimani. Uno normale no. Urano, per paura, li rinchiude nel Tartaro (l’Abisso, nelle viscere della Terra), ma Crono, uno dei Titani, lo evira e diventa il sovrano degli dei. Gli altri Titani vanno a formare la sua corte. Le gocce di sangue di Urano cadono su Gea, facendo nascere le Ninfe, i Giganti, le Erinni e Afrodite (che altre storie considerano invece figlia di Zeus).
Riassunto: fin qui abbiamo avuto un incesto, una serie di parti mostruosi, un padre borderline che rinchiude i figli perché ha paura di loro, il taglio di un pisello (in stile Lorena Bobbitt) e un’usurpazione. Poi dicono che la società di oggi fa schifo. Ma se tanto mi dà tanto, siamo ancora lontani dal seguire l’esempio degli dei
.
Piccolo dissenso da Oreglio: no, noi, in Italia, siamo riusciti a creare decine di stragi impunite, leggi a favore della criminalità, e a fare in modo che la stessa s’impadronisse di nostri governi di ieri e di oggi. Ma Oreglio – vi assicuro – questo lo sa benissimo e lo fa pure capire in modo più elegante di quanto abbia fatto io in queste vicine righe.
Il volume attraversa la scienza degli antichi attraverso Astronomia, Matematica, Medicina.
Studia il mondo greco-romano e la sua filosofia, passa attraverso l’ellenismo prima e dopo di Cristo, arrivando al Medioevo e alle sue scuole neoplatoniche non trascurando esempi cruenti che dimostrano l’avversione per le scienze dei cattolici com’è dimostrato dalla crudele uccisione di Ipazia .

Il libro termina con una promessa di continuare attraversando le epoche successive.
Mi auguro che Oreglio mantenga la promessa.

Ancora una cosa. Se volete visitare il suo sito web: QUI.

Flavio Oreglio
Storia curiosa della scienza
Pagine 210, Euro 14.00
Salani Editore


Declining Democracy (1)


Il CCCS, Centro di Cultura Contemporanea, è parte della Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze.
Lo spazio espositivo si trova sotto il cortile di Palazzo Strozzi, negli ambienti noti come “La Strozzina”.
Il Centro comprende undici sale di dimensioni diverse, per una superficie totale di 850 metri quadrati.
Ha aperto i battenti nel 2007 e in quattro anni ha dato a Firenze una ribalta d’arte contemporanea che ha assunto un profilo internazionale attirando positive e maiuscole critiche dall’Italia e dall’estero.
Tutto ciò si deve al sapiente lavoro di Franziska Nori che ha ideato una piattaforma (oltre alle esposizioni, programmazione di film e video, workshop, performances, lectures che integrano le mostre in corso) aperta alle varie pratiche e ai diversi approcci che caratterizzano la produzione di arte e cultura contemporanee e proiettata attraverso sia network locali sia internazionali.

Attualmente, arte contemporanea e riflessione politica e sociale si riflettono al CCCS in Declining Democracy Ripensare la democrazia tra utopia e partecipazione (aperta fino al 22 gennaio '12) proponendo opere di dodici artisti contemporanei internazionali in un percorso che riflette su valori, contraddizioni e paradossi che caratterizzano la società di oggi e sulle possibili declinazioni dei principi della democrazia, in un momento in cui la loro validità sembra essere messa in discussione.
"La mostra" - è detto in presentazione - "nasce dal confronto con l’attuale situazione internazionale. Se nei paesi occidentali la crisi finanziaria del 2008 ha prodotto un profondo malcontento sociale, portando a una crisi di fiducia e di credibilità dei valori democratici, nei paesi del Nord Africa o del Medio Oriente sembra aver preso spazio un nuovo senso di utopia politica rivoluzionaria, diversa ma apparentemente parallela al fenomeno europeo, in cui molti gruppi di cittadini stanno combattendo per la conquista di fondamentali valori di partecipazione politica.
Le posizioni degli artisti invitati fanno emergere tematiche come lo scontro tra individuo e collettività, la crescente distanza tra cittadini e classe politica, il potere e l’influenza delle lobby economiche e dei mass media, il problema dell’immigrazione e della condivisione o esclusione di diritti civili e politici, ma anche le nuove possibili forme di partecipazione democratica".

Declining Democracy si avvale della consulenza scientifica di Piroschka Dossi (curatrice e autrice), Christiane Feser (curatrice e artista), Gerald Nestler (ricercatore e artista), Franziska Nori (direttore CCCS Strozzina).

Artisti: Francis Alÿs (Belgio/Messico), Michael Bielicky & Kamila B. Richter (Germania), Buuuuuuuuu (Italia), Roger Cremers (Paesi Bassi), Democracia (Spagna), Juan Manuel Echavarría (Colombia), Thomas Feuerstein (Austria), Thomas Hirschhorn (Svizzera), Thomas Kilpper (Germania), Lucy Kimbell (Regno Unito), Cesare Pietroiusti (Italia), Artur Żmijewski (Polonia).

Il catalogo (bilingue: italiano/inglese), con 178 illustrazioni a colori, è di 140 pagine e costa 25.00 euro. L’ha pubblicato Silvana Editoriale.


Declining Democracy (2)

A Franziska Nori – qui in una foto scattata da Cesare Cicardini – ho rivolto alcune domande.
Qual è la principale motivazione che ti ha spinto a realizzare questa mostra?

Perché sono dell’avviso che parlare di democrazia e dei suoi differenti aspetti, aspirazioni e problematiche risulti quanto mai attuale. Mentre nei paesi occidentali il modello di democrazia, basato sulla libertà individuale, quella di espressione, l’uguaglianza e la responsabilità politica, sta vivendo un periodo di crisi, in altri paesi quella stessa democrazia è invece diventata un modello per quelle rivoluzioni che perseguono l’obiettivo di affermare principi come la partecipazione egualitaria e il diritto all’autodeterminazione dei cittadini. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assistito a come movimenti e forze politiche stiano lottando per rovesciare sistemi politici autoritari: dalla Libia all’Egitto, dalla Tunisia alla Siria. Parallelamente, negli ultimi anni, in Europa gruppi di cittadini si sono mossi in contrasto alle classi dirigenti, dalle manifestazioni No Tav o in reazione agli scandali del Presidente del Consiglio italiano, al movimento Stuttgart 21 in Germania, dalle proteste degli studenti nel Regno Unito a quelle contro le dure misure economiche attuate in paesi come la Grecia, la Spagna o il Portogallo.
Se nei paesi occidentali stiamo assistendo a una messa in discussione dei valori e del funzionamento delle forme democratiche, che la crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha ulteriormente accentuato, nei paesi del Nord Africa o del Medio Oriente sembra aver preso spazio un nuovo senso di utopia politica rivoluzionaria, diversa ma apparentemente parallela al fenomeno europeo, in cui molti gruppi di cittadini stanno combattendo per la conquista dei valori fondamentali di partecipazione politica
.

Dopo gli anni ’60 e ’70 si assiste sulla scena internazionale – e tu con largo anticipo ne hai colto i segnali – ad un ritorno dell’impegno (così lo si definiva un tempo) nell’arte con strumenti sociopolitici.
Rispetto a quel tempo, quale la nuova cifra caratterizza questo rinnovata attenzione sul sociale?

Credo che dalle avanguardie storiche ad oggi gli artisti non abbiano mai cessato di essere politicamente e socialmente impegnati. Per molti la linea politica è una costante che attraversa tutto il proprio lavoro. È vero, però, che negli ultimi trent’anni la cronaca sembra aver seguito con maggiore interesse le capriole delle aste internazionali e del mercato dell’arte, che tende ad interessarsi a proposte estetiche e concettuali diverse.
Una cosiddetta consapevolezza dell’utilità sociale dell’arte e pertanto un “ritorno dell’impegno” si sta diffondendo negli ultimi anni, e ci si auspica che sia in crescita, su vari livelli della società, coinvolgendo anche l’arte e la cultura in genere che cerca di creare un senso critico e di diffondere un’analisi più profonda della realtà. Certamente negli anni Sessanta e Settanta l’attenzione al sociale e la critica al sistema erano elementi sostenuti e diffusi a molti livelli, dai lavoratori agli studenti, fino agli operatori della cultura: artisti, intellettuali, letterati esponevano se stessi e ponevano una profonda fiducia nella ricerca dei beni comuni e dell’interesse collettivo. La risposta della società era molto più partecipe e consapevole. L’arte creava partecipazione e discussione e ciò era considerato una cosa normale. Oggi, piuttosto, i messaggi della cultura rischiano di non essere ascoltati e il linguaggio dell’arte non più decodificato. La società non è più preparata né pronta ad accogliere richieste né a modificare se stessa. Possiamo solo sperare in un lento e graduale cambiamento che, forse, inizia a farsi strada come conseguenza di una stanchezza e di un allontanamento dalla politica
.

In Italia, gli artisti godono di una maggiore libertà di denuncia rispetto ai giornalisti. Credi che sia soddisfacente il risultato ottenuto da questa situazione oppure non ancora?

Non sono del tutto certa se questa tua osservazione sia da leggere come segnale positivo per la spiccata libertà di cui le arti godono nel nostro paese o invece solo come indizio per un diffuso disinteresse nei loro confronti. Rispetto agli anni ‘60 e ’70, nell’Italia mediatica artisti, come anche gli scrittori e intellettuali in genere, sembrano essere meno ascoltati rispetto a “tronisti” o altri improbabili personaggi televisivi che dovrebbero interpretare il nostro presente.
L’arte di denuncia ha una lunga tradizione sia in Italia sia a livello internazionale e ha prodotto progetti che hanno segnato le nostre società, modificandone talvolta i meccanismi partecipativi o di consapevolezza. Personalmente sono dell’avviso che là dove la produzione artistica si avvale di metodi investigativi e linguaggi estetici più consoni al giornalismo investigativo non solo rischi di perdere la sua unicità, cioè saper cogliere, esprimere e sintetizzare esteticamente quegli aspetti che sfuggono a una verbalizzazione diretta, ma anche che così l’arte possa risultare meno efficace nel distribuire i propri contenuti al di fuori dei ristretti circuiti di settore
.

Centro di Cultura Contemporanea Strozzina
“Declining Democracy”
Palazzo Strozzi, Firenze
Info: +39 055 39 17 11
Fino al 22 gennaio 2012


Senza padrini

In un’Italia devastata nella sua economia e nella sua moralità dalla mafia e da quanti non la contrastano, anzi, di fatto, la favoriscono ideando leggi contro le intercettazioni (tanto per fare un solo esempio), è da salutare con gioia l’uscita di un libro delle Edizioni Tea firmato da Filippo Astone intitolato: Senza padrini Resistere alle mafie fa guadagnare.
L’autore è nato a Torino nel 1971, dove si è laureato in Scienze politiche. Dopo aver collaborato con diverse testate, dal 2000 fa parte della redazione del Mondo, settimanale di economia allegato al Corriere della Sera, per conto del quale segue le vicende dei grandi gruppi italiani.

Nonostante esista una buona letteratura saggistica che ragiona sul problema mafioso, questo volume si distingue da altri perché affronta un originale aspetto della questione.
In molti ambienti commerciali e industriali, è diffusa convinzione, infatti, che pagare il “pizzo” sia vantaggioso per un’azienda che altrimenti potrebbe finire male.
Filippo Astone spiega per quali motivi non è così e, come recita il sottotitolo della sua pubblicazione, invece, resistere alle mafie fa guadagnare.
Non si tratta, quindi, soltanto di una presa di posizione morale, ma anche di una precisa, e documentata, strategia ben illustrata attraverso interviste, documenti, plurali opinioni.
Tutto parte dall’esposizione di quando e come Confindustria Sicilia decise di espellere dall’organizzazione non solo iscritti collusi con la mafia, ma anche quelli che pagavano il pizzo.
Immaginare che la criminalità organizzata risieda solo al sud è cosa – come precisa Astone – d’altri tempi, ora le mani dei malavitosi strangolano anche il centro e, soprattutto, l’Italia settentrionale.
Si pensi a una piccola, operosa, città come Asti che ha conosciuto una decadenza industriale direttamente collegata alla penetrazione della ‘ndrangheta nelle aziende, ma anche in ambienti diversi, perfino nel sindacato. Cedendo alla delinquenza non c’è stato vantaggio economico di nessun tipo, anzi si è assistito al fallimento della Way Assauto e alle crisi di aziende un tempo solide quali Ibmei, Ages, Gate, L’astese, Morando Impianti, Sisa, Weber, Officina Margarino, Omsa di Sospitti, Bar, Bordignon, Pasqueo e Paventa, persino la Dierre è stata costretta a chiedere la cassa integrazione per gli operai.
Spostiamoci altrove e notiamo, invece, com’è possibile evitare guai di quel tipo.
L’esempio viene dall’Italcementi che quando ha visto l’ingresso della Calcestruzzi siciliana (al centro di trame mafiose anche prima che entrasse in Italcementi) ha ideato un codice disegnato da tre esperti (Giovanni Fianconi, penalista ed ex componente del Csm, Donato Masciandaro, economista della Bocconi; Pier Luigi Vigna, magistrato ex procuratore nazionale antimafia) che attraverso tracciabilità obbligatoria dei pagamenti, scambi assidui di dati con prefetture e organi di polizia è riuscita a rivitalizzare – anche grazie all’azione decisa di Emma Marcegaglia – aziende che sono tornate a nuova vita.
Il volume è ricco anche di racconti terribili, mi ha particolarmente colpito la narrazione che fa in prima persona Rosario Amarù (16 pagine che da sole già valgono il prezzo del libro) che si conclude felicemente con l’impresa di Amarù che risorge dopo essere stata vessata in ogni modo dalla mafia.

Scrive nella prefazione Andrea Camilleri: “Ricostruendo accuratamente i fatti, seguendo il loro svolgimento, colmando lacune e illuminando zone oscure, senza volerlo assolutamente essere, questo libro finisce anche col proporsi come un libro di storia in atto.
Per ora con la “esse” minuscola.
Ma se queste idee riusciranno a radicarsi dal sud al nord dell’Italia, cambiando una trista mentalità, allora quella “esse” di storia potrà diventare maiuscola”.

Per una scheda sul libro: QUI.

Filippo Astone
Senza padrini
Prefazione di Andrea Camilleri
Pagine 320, Euro 14.00
Edizioni Tea


Grammatica in gioco

Se sfogliamo il dizionario, la parola “grammatica” è così spiegata: “L’insieme e la descrizione sistematica delle regole riguardanti gli elementi costitutivi di una lingua, e cioè suoni, forme, parole”.
Tutto giusto, ecco sintetizzati concetti che ben illustrano la faccenda.
Sostiene l’autorevole linguista Noam Chomsky: “La conoscenza di una lingua, della sua grammatica, è la capacità di produrre e comprendere un numero virtualmente infinito di frasi, cioè anche frasi nuove, mai prodotte o udite prima, d’interpretare il mondo, di questo deve dar conto una grammatica, questo è anche il suo fine”.
Tutto giusto e più riccamente esposto.
Ma come si traduce l’insegnamento della grammatica nelle nostre scuole?
Qui cominciano i guai. Perché invece di far capire in quali mondi di plurali fantasie quelle pagine permettono l’ingresso, da molti insegnanti viene, non sempre ma assai spesso, disegnata la mappa di una sorta di carcere con le sue catene, le sue celle, i suoi sotterranei, del quale il docente è occhiuto guardiano e l’allievo il detenuto.

Ecco perché è importante il lavoro di Cristiana De Santis che, nelle Edizioni Dedalo, ha pubblicato un delizioso librino intitolato Grammatica in gioco, e già il titolo fa capire com’è possibile insegnare cose anche talvolta complesse in modo ludico; non a caso si parte da una pagina carrolliana di “Alice attraverso lo specchio”, apparentemente ostica, ma che mostrandone il meccanismo di parola-valigia diventa un gioco leggerla e capirla.
Il libro – si avvale delle illustrazioni a colori di Elena Veronelli – è strutturato attraverso dialoghi che vedono diversi attori: da Clarice alla sua mamma, dalla maestra al fratellino di Clarice, ad altri ancora; questo conferisce ritmo alle pagine e permette di disporre domande e risposte in modo veloce e chiaro.
C’è un momento del libro che mi va di particolarmente elogiare: accade quando viene spiegato che i Greci con la parola “logos” indicavano sia il “discorso” sia il “calcolo”. Può sembrare cosa da poco. Non lo è. Ha una grande importanza nella storia della cultura. Ignorare la profondità di quel concetto ha portato alla drammatica spaccatura fra Umanesimo e Scienze in chi ha voluto dividere quei saperi.

Questa Piccola Biblioteca della Scienza, diretta da Elena Ioli, come dimostra anche il libro di cui ho fin qui scritto, ha un merito particolare. Perché è sì ideata e rivolta ai lettori più giovani, ma nelle sue pagine possiamo anche noi adulti trovare preziose cose che non sapevamo o che avevamo dimenticato.

Cristiana De Santis
Grammatica in gioco
Illustrato a colori da Elena Veronelli
Pagine 80, Euro 7.50
Edizioni Dedalo


Diventare lessicografo

La Zanichelli dispone di un’azzecatissima collana – diretta da Lisa Vozza – che pur rivolta prevalentemente a un pubblico giovanile tracciando percorsi per orientare nello scegliere e praticare varie professioni, ha il merito di riuscire ad appassionare anche noi adulti perché illustra lo scenario culturale, storico, scientifico in cui si muove oggi la disciplina di volta in volta illustrata nei volumi.
Ora se diventare astronauta, informatico, genetista, astrofisico, eccita comprensibilmente più interessi e fantasie, può sorprendere che fare nella vita il lessicografo possa essere un’attività elettrizzante e, invece, lo è.
Specie adesso con le nuove tecnologie da manovrare, il lessicografo è un incrocio fra un Indiana Jones e un cosmonauta alle prese con un viaggio nel paese di Verbolandia.
Viaggio ricco di scoperte e di pericoli perché ci s’imbatte in inedite espressioni da interpretare e rapide scelte da prendere su quali mostri d’inchiostro evitare per dare ai dizionari attendibilità scientifica, fruibilità per i lettori, competitività sul mercato.
Che stano mestiere quello del lessicografo! Compone un libro che contiene tutte le parole di tutti i libri e mai sarà letto come un libro dalla prima all’ultima pagina; una sorta di libro di sabbia di borgesiana memoria, più infinibile che infinito.

La collana I mestieri della scienza presenta adesso Idee per diventare lessicografo Cambiare il vocabolario dell'italiano che cambia e reca la firma di un illustre lessicografo italiano: Mario Cannella.
Figura scientifica di risalto internazionale, si occupa dal 1995 della revisione e dell’aggiornamento annuale del Vocabolario della lingua italiana Zingarelli.
Negli anni 1979 – 1980 ha anche realizzato, presso l’Università di Lingue Straniere n.1 di Pechino, un dizionario italo-cinese.

A Mario Cannella ho rivolto alcune domande.
Come e perché lei è diventato un lessicografo?

Non si è trattato di una scelta intenzionale, fatta sin da ragazzo, come uno potrebbe dire: "farò il medico" o "l'architetto". Anzi, prima del mio trentacinquesimo compleanno, se mi avessero detto "diventerai un lessicografo", avrei sorriso incredulo. E invece alle soglie dei quarant'anni sono andato in Cina a fare un dizionario italiano-cinese presso l'Istituto (ora Università) di Lingue straniere n. 1 di Pechino. Ci ho impiegato due anni, quando sono rientrato in Italia ho scritto ad alcune case editrici descrivendo sinteticamente il lavoro che avevo svolto e aggiungendo che quel lavoro mi era 'piaciuto molto'. In quella frase era racchiuso tutto, sia la soddisfazione intellettuale che il coinvolgimento emotivo. Zanichelli rispose qualche giorno dopo. Da lì è cominciata una lunga collaborazione. D'altronde, sia Tommaseo che Zingarelli, si parva licet, hanno redatto i loro vocabolari a cinquant'anni compiuti. Ciò non significa che sia indifferente ciò che fai prima di quell'età, tutt'altro... E nel libro ho cercato di argomentarlo.

Nel compilare un dizionario quale la cosa più necessaria da fare per prima e quale la prima assolutamente da evitare?

È diverso se si tratta di un vocabolario nuovo o - com'è più frequente - della revisione di un vocabolario esistente. Per esempio nel "Primo Zanichelli", vocabolario per bambini tra la scuola elementare e la media o per stranieri desiderosi di un approfondimento della lingua italiana, sono partito da una pagina bianca; nella revisione dello Zingarelli, vocabolario che si avvia a festeggiare il secolo di vita, ovviamente no. Però in entrambi i casi la prima cosa da fare è individuare "l'anima", "l'identità" del dizionario che si vuol compilare o rivedere e mettere al servizio di questa "identità" le proprie capacità; nel caso dello Zingarelli, anche allo scopo di progredire, di sviluppare, di svecchiare. Da evitare assolutamente è la autoreferenzialità, cioè l'uso di metodi, definizioni o esempi chiari solo per chi li fa e per la cerchia più o meno ristretta di chi opera nello stesso ambito. E da evitare è anche l'uso di formule lessicografiche, un tempo prevalenti, utili al compilatore ma molto meno al lettore. Si pensi che nello Zingarelli 1994 "elaborazione" era definita come "Atto, effetto dell'elaborare"... .

L'Associazione ‘La bella lingua’, ha redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto da molti autori e operatori culturali. Da chi e da che cosa va difesa oggi la lingua italiana? Ammesso che vada difesa, s’intende…

La nostra lingua va certamente difesa e ogni iniziativa in tal senso va appoggiata. Però bisogna intendersi. Si parla di un appiattimento nell'uso della lingua, di un impoverimento del lessico, di una tendenza alla eccessiva semplificazione sintattica, e così via. Però la lingua italiana non è una sorta di Fort Alamo assediato dai nemici, che poi, secondo alcuni, sarebbero in prima istanza la televisione o gli anglicismi. Mi pare un'immagine di comodo. Anche perché "la" televisione non esiste più, ci sono "le" televisioni e occorre distinguere, in modo concreto e articolato; inoltre, e non è poco, ci sono Internet e i nuovi media. E poi ogni lingua è un sistema vivo, aperto, sia in entrata che in uscita. Sempre, nella storia, le parole delle lingue di maggior prestigio (pensiamo al francese nel Sette-Ottocento ma anche all'italiano: Mozart faceva scrivere a Lorenzo Da Ponte i libretti del “Don Giovanni” o di “Così fan tutte”) hanno influenzato le altre lingue.
La lingua italiana è oggi in qualche modo posseduta, specialmente dal lato della comprensione (molto meno nella produzione attiva), dalla gran parte degli italiani: e non era mai successo prima. Si tratta ora di fare un passo in avanti, di fare in modo che un numero sempre maggiore di persone, a cominciare dai giovani, sia in grado di migliorare e approfondire la conoscenza della nostra lingua, che è tradizionalmente una lingua colta, di grande ricchezza anche lessicale. Compito questo che dovrebbe coinvolgere anzitutto la scuola, poi le famiglie, e i mezzi di informazione: ma è la consapevolezza culturale di tale questione che spesso latita. Il "nemico" sono la sciatteria e la pigrizia culturale; non sono state d'aiuto, in questo senso, anche alcune concezioni pedagogiche che hanno privilegiato talora in modo esasperato la “comunicazione”, la “socializzazione” e la “oralità” rispetto alla trasmissione di cultura, all'impegno anche gravoso e alla fatica dello scrivere e che qualche danno nel corso degli anni hanno prodotto. Al contrario, far leggere molto, anche buona letteratura, cercando di trasmettere il piacere del leggere, e far scrivere molto, mi pare possa aiutare. E naturalmente l'usare un buon vocabolario
.

Mario Cannella
Idee per diventare lessicografo
Pagine 144, euro 10.40
Zanichelli


Breathless

Parola inglese che significa “senza fiato”.
Breathless è il titolo della mostra dell’artista americana Andrea Polli (Albuquerque, New Mexico, 1968, vive a New York), in corso al Parco d'Arte Vivente di Torino nell’àmbito dell’Art Program diretto da Piero Gilardi, con il contributo della Compagnia di San Paolo e della Fondazione CRT.
Breathless è a cura di Gaia Bindi e Claudio Cravero.

In foto: Polli, NYSAE, 2007

In questa sua prima personale italiana, la Polli (considerata tra i protagonisti dell’arte ecologica cosiddetta “estrema”) presenta una serie di opere articolate sulla dialettica integrata di differenti media, offrendo diverse modalità di lettura di dati tratti da contesti naturali. Realizzati in collaborazione con Chuck Varga, i lavori in mostra nascono da rilevazioni della qualità ambientale dell’aria, raccolte lavorando in equipe con scienziati e meteorologi; si assiste così a una traduzione dei dati scientifici in suoni, colori e azioni che danno forma sensibile a fenomeni naturali altrimenti “invisibili”.
I suoni, associati alle immagini, sembrano evocare mondi lontani riflettendo su come un luogo remoto e apparentemente indisturbato come il Polo Nord possa avere impatto sulle nostre vite, a New York come a Torino, e sottolineando l'importanza di quest’area al limite del pianeta per l’equilibrio e la sopravvivenza dell'ecosistema globale.

Colgo l’occasione di questa mostra che vede tra i curatori Claudio Cravero per segnalare che tra pochi giorni sarà ospite del mese – a partire da lunedì 7 novembre – di questo sito nella Sez. Enterprise.

Per i redattori della carta stampata, radio-tv, web, l’Ufficio Stampa del Parco d'Arte Vivente è affidato a Elisabetta Palaia: press@parcoartevivente.it

Andrea Polli
Breathless
Parco d’Arte Vivente
Via G. Bruno 31, Torino
t/f (39) 011 – 31 82 235
Fino al 26 febbraio 2012


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