Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
domenica, 30 settembre 2012
Vedere il progresso (1)
A partire dalla seconda metà del XX secolo si sono avuti i primi segnali, oggi visibili a occhio nudo, su come Il futuro abbia cambiato natura. Dapprima fisicamente rappresentato, adesso si è dematerializzato, ora nell’alba transumana già lancia le prime occhiate sul postumano. La tecnofilosofia di Nick Bostrom o di Max More, il pensiero di Ray Kurzweil con la sua Teoria della Singolarità (oggi studiata nell’Università da lui fondata con i finanziamenti della Nasa e di Google), la genetica, le nanotecnologie, la robotica cognitiva, sono elementi che vanno a formare un futuro non più affidato al dinamismo dell’immaginazione ma a laboratori dove sono in corso ricerche – alcune più avanzate , altre meno – che cambieranno non soltanto la società e le sue regole, le psicologie di gruppo e il pensiero politico, ma la stessa creatura umana (se così ancora la si potrà definire, e in parecchi ne dubitano) sempre più derivata dall’ibridazione Uomo-Macchina. In un momento, come l’attuale, la figura del robot già ricopre molteplici ruoli: nell’assistenza medica (diagnosi, chirurgia, riabilitazione), nella domotica, nello sport, e perfino nell’eros. Si pensi, ad esempio, come scrive Francesca Tarissi, “Alla ’esperienza animatronica’ di Andy, umanoide femmina inventata da Michael Harriman. Ha al suo interno un cuore artificiale che accelera i battiti durante il rapporto sessuale, un radiatore che alza la temperatura corporea a simulare l’eccitazione, una voce collegata al cuore artificiale che produce ansimi in modo direttamente proporzionale al ritmo dell’amplesso, un dispositivo azionabile in remoto per muovere i fianchi, un sistema per l’emissione di finte secrezioni vaginali e un silicone ultra morbido che riproduce la sensazione del contatto con la pelle umana. Dulcis in fundo, un microchip nelle orecchie: basta pronunciare alcune frasi standard e Andy amorevolmente risponde al suo interlocutore umano”. Per le signore ci sono androidi di simile configurazione tecnica, ma, ovviamente, con le opportune specificità.
“Di tutti i miti creati dall’uomo” – afferma Gian Paolo Ceserani in “I falsi Adami” – “quello dell’automa è uno dei più antichi: e nello stesso tempo è il più vicino a problemi che sono vivi ancora oggi: è un mito, quindi, che ha saputo perpetuare il proprio fascino mantenendo intatte determinate strutture […] Il mito della creatura artificiale è un mito moderno: si realizza infatti nella tecnica”. Parole che ci ricordano che presente e futuro non possono esistere senza un passato, qui dalle origini mitiche che va inverandosi con il progredire della tecnologia. Ecco anche perché è da definire imperdibile la pubblicazione della Casa Due Punti Edizioni del libro: Vedere il progresso Mostri, bambole e alieni nel romanzo illustrato dell'Ottocento. Questo volume straordinario, del quale è autrice Michela Mancini, rintraccia, attraverso quanto indica il sottotitolo, la storia e i plurali segni di creature artificiali. Nell’introduzione la Mancini scrive: Mostri, bambole e alieni sono alcune delle icone inquietanti del progresso scientifico ottocentesco connesse ai vari tentativi di sperimentazione di vita artificiale e alla rappresentazione della diversità. Servono per esorcizzare il senso della complessità di un contesto culturale in mutamento e della sua percezione […] I corpi dei mostri – creature assemblate all’interno di laboratori scientifici –, i corpi degli automi e delle bambole – costruiti come simulacri del desiderio amoroso e di perfezione –, i corpi di esseri alieni – immaginati grazie all’utilizzo di strumenti ottici –, sono icone per costruire ‘format’ narrativi ricorrenti tra Ottocento e Novecento. Segue ora un incontro con Michela Mancini.
Vedere il progresso (2)
Michela Mancini (Arezzo, 1971) studia i rapporti tra immagine e narrazione. Ha insegnato presso l’Università di Siena Storia dell’Illustrazione del libro e tiene seminari nei corsi di Semiotica del testo, Sociologia dell’arte e della letteratura e Teoria e critica letteraria. Tra le sue pubblicazioni: Immaginando Ivanhoe (Bruno Mondadori, 2007); Mattia Preti e la storia di san Giovanni (Aracne, 2008); Leggere le immagini (Scriptaweb, 2011).
A Michela Mancini – in foto – ho rivolto alcune domande. Perché hai fissato la tua attenzione sul mondo degli automi privilegiando il romanzo illustrato dell’Ottocento? Nell’Ottocento si assiste per la prima volta ad una produzione di massa dell’immagine stampata. Gran parte delle illustrazioni circolano anche nel settore della divulgazione scientifica e servono per esplicare e far apprendere ad un pubblico semianalfabeta come quello dell’Ottocento. Il discorso sugli automi interessa due settori della produzione libraria che adottano il supporto dell’illustrazione, quello scientifico e quello della finzione. È un tema di cui si occupano le riviste di divulgazione scientifica e anche alcuni romanzi illustrati dove la rappresentazione visiva dell’automa, attraverso l’illustrazione, soddisfa la richiesta di apprendimento grazie alla spiegazione visiva dei marchingegni e, nello stesso tempo, appaga la curiosità. Non solo, l’immagine stampata che correda i romanzi di proto-fantascienza, permette di esercitare una proiezione fantasmatica relativa alla possibilità di ricreare la vita artificialmente. La letteratura si occupa proprio di questo e l’illustrazione ottocentesca facilita il processo immaginativo. Il tuo libro si apre dedicando vertiginose riflessioni sul mito di Prometeo; il motivo che ti ha portato a dargli largo spazio? Il progresso scientifico ottocentesco è sinonimo della fiducia provata di fronte allo sviluppo tecnico e alla crescente meccanizzazione della vita sociale. L’immagine del progresso è duplice: la fiducia riposta sulle possibilità di ampliare il benessere, migliorare le condizioni di vita verso la felicità, alimenta anche domande, dubbi e inquietudini su questioni etiche e sociali. Anche il mito di Prometeo è duplice. Prometeo crea gli esseri umani, ruba il fuoco agli dèi e civilizza l’umanità attraverso l’utilizzo delle arti e la libertà di scelta dettata dalla coscienza. Il racconto di Prometeo compare nell’Ottocento come un mito adatto a sviluppare anche un discorso sulla industrializzazione e sui suoi fondamenti. Quale ruolo assume l’automa nello scenario culturale nell’Ottocento? Nel 1818, nel primo volume dell’”Allgemeine Encyclopädie der Wissenschaften und Kunst” si definisce con il termine ‘Automa’ una: “costruzione meccanica, di solito raffigurante un uomo o un animale che, mossa da un meccanismo nascosto al suo interno, sembra comportarsi come un essere vivente”. Gli automi nascono come esercizi dell’ingegno da cui si sviluppano i principî fondamentali della tecnica. Nell’Ottocento, quando prevarrà la valutazione puramente economica dei manufatti, gli automi si trasformeranno in macchine di intrattenimento. Questa concezione lascia sempre meno spazio alla costruzione di automi poiché essi hanno fornito la prova concreta che certe macchine sono possibili. Alla letteratura ottocentesca, spetterà ora il compito di sognare e progettare l’inverosimile. Iniziata da enunciazioni cartesiane che daranno luogo al pernicioso specismo , con “L’uomo macchina” di Lamettrie abbiamo una costruzione meccanica dell’uomo senza differenziarlo dall’animale. Oggi il cyborg è una realtà fisica (si pensi ad esempio a Kevin Warwick che studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo o alle performances estreme di Stelarc), com’è cambiato il nostro modo di vedere la natura artificiale? I casi di ibridazione uomo-macchina di Warwick, possono rappresentare il prossimo passo dell’evoluzione in quanto aumentano le potenzialità del sistema nervoso come nel caso della comunicazione diretta tra cervello a cervello in una sorta di telepatia. Sono esperimenti che sollevano molti dubbi e questioni etiche ma offrono anche molte opportunità soprattutto in campo medico come succede nel caso di Sterlac che ha utilizzato strumenti medici, protesici, sistemi di realtà virtuale per esplorare e amplificare il corpo umano. Sono portata a interpretare questi tentativi come commoventi ed eroiche prove di superamento della condizione di esseri mortali. Per restare in campo letterario mi piace concludere con il finale apocalittico del romanzo di Michel Houllebecq ‘Le particelle elementari’, un romanzo che mi ha fornito alcune chiavi di lettura per comprendere la realtà che ci circonda: “La storia esiste; essa si impone, essa domina, il suo imperio è inesorabile… l’ambizione ultima di quest’opera sta nel rendere omaggio a questa specie sventurata e coraggiosa che ci ha creati. Questa specie tormentata, contraddittoria, individualista e rissosa, di un egoismo sconfinato, talvolta capace di inaudite esplosioni di violenza, ma che tuttavia non cessò mai di credere nella bontà e nell’amore. Questa specie che altresì, per la prima volta nella storia del mondo, seppe considerare la possibilità del proprio superamento; e che, qualche anno dopo, seppe mettere in pratica tale superamento. Nel momento in cui i suoi ultimi rappresentanti sono sul punto di estinguersi, riteniamo dunque legittimo, rendere all’umanità quest’ultimo omaggio”. Michela Mancini Vedere il progresso Pagine 216 con 52 tavole b/n Euro 15.00 Due Punti Edizioni
venerdì, 28 settembre 2012
La macchina si ferma
No, non si tratta della Fiat e di Marchionne, ma della raffinata Editrice Portaparole, guidata da Emilia Aru con la collaborazione di Renato Virdis, che nella collana “Maudit” diretta da Elisabetta Sibilio ha pubblicato, con testo a fronte, La macchina si ferma di Edward Morgan Forster (Londra, 1º gennaio 1879 – Coventry, 7 giugno 1970). Un racconto (QUI in una versione tv prodotta dalla BBC e diretta da Philip Saville) scritto nel 1909 che, come scrive Maria Valentini (ha curato la lodevole traduzione e un’altrettanta encomiabile Introduzione critica di quest’edizione): … risente del clima culturale della reazione antipositivistica, caratterizzato da una critica all’ottimismo, fondato sulla fiducia negli effetti civili ed etici del progresso scientifico e tecnologico […] Il racconto “The Machine Stops” continua idealmente quel filone distopico inaugurato da Swift, e fa si che Fortser si collochi quindi – con questo racconto – accanto a quegli scrittori, quali Aldous Huxeley e George Orwell, divenuti poi classici per i loro romanzi politico-fantascientifici; è forse proprio il successo di “Brave New World” e “1984” che hanno reso i temi esposti in questo racconto quasi luoghi comuni della distopia anti-tecnologica e ha relegato “The Machine stops” tra i racconti meno apprezzati della narrativa forsteriana.
Invece si tratta – come la stessa Valentini fa notare nel suo scritto – di un piccolo capolavoro che, tra l’altro, anticipa sia “Brave New World” (1932) sia “1984” (1949) e pure Karel Capek prima che coniasse il termine “robot” nell’opera “R.U.R.” (1920). Un piccolo capolavoro che non sfuggì a Daniela Guardamgna autrice di “Analisi dell’incubo” (Bulzoni, 1980) – il migliore saggio che io abbia letto sulla distopia – che, analizzando proprio “La macchina si ferma”, dedica a Forster largo spazio; la Guardamagna tornerà poi su questo racconto in “Viaggi in Utopia” (Angelo Longo Editore, 1996). La trama vede protagonisti una madre e un figlio in un mondo in cui tutti, come loro due, vivono sottoterra in ambienti separati mentre il mondo esterno è detto inabitabile. Vite e gesti sono governati da una Macchina che a tutto capillarmente provvede: dal cibo all’istruzione, ai contatti virtuali fra gli abitanti; tutto è riproducibile su di un monitor. Kuno, il figlio, si ribella e ha la sciagurata idea di convincere Vashti, la madre, ad incontrarlo fisicamente, eludendo la Macchina. Mal gliene incoglie, a lui e all’incolpevole mammà. La Macchina dopo primi segnali di guasti collassa. Succede un gran casino, tutto crolla, i due muoiono (doverosamente abbracciati), ma Washti teme che un giorno qualche pazzo farà ripartire la Macchina. Kuno, prima di tirare le cuoia, trova il tempo di rassicurarla (“- Mai, mai! L’umanità ha imparato la lezione”). Forse un giorno il mondo farà a meno della Macchina e una nuova umanità vivrà finalmente libera e contenta… immagino ripartendo da quella felice epoca delle caverne, libera ancora da fastidi come per fare due soli esempi: l’anestesia (che, orrore, ci rende per un certo tempo incoscienti) e la luce elettrica (che, cattivona, serve pure alla sedia elettrica). Se è vero – e lo è – che ci troviamo di fronte a un pregevole esempio letterario che ben merita la lettura, va pure detto – come la Valentini ha già notato – che, insieme ai tanti meriti, nascono in quelle pagine tanti dei luoghi comuni che attraverseranno successive pagine di altri autori. Da parte mia ne elenco alcuni: una visione terroristica del futuro, un attaccamento quasi mistico a epoche passate, uno scriteriato elogio della Natura. In breve: la paura del progresso tecnologico visto come inevitabile, fatale, portatore di mancanza di libertà, fino alla schiavitù impostaci da dèspoti o addirittura da noi a noi stessi. Naturalmente c’è chi vede nella nostra epoca il Computer come una materializzazione profetizzata dagli incubi distopici, ma questa gag ispessisce soltanto la storia del Varietà. Da ateo sostenitore della filosofia transumanista non mi coinvolgono le idee di Forster del quale apprezzo soltanto l’abilità scrittoria. Quanto al resto, mi piace ricordare un motto di John Cage: “Molti sono spaventati dal nuovo, a me terrorizza il vecchio”. Edward Morgan Forster La macchina si ferma Cura e traduzione di Maria Valentini Testo a fronte, pagine 156, euro 16.00 Edizioni Portaparole
giovedì, 27 settembre 2012
Il Bo
Il bove non è soltanto carduccianamente pio, ma anche – almeno come “Bo” – dinamico gazzettiere. Un nuovo strumento di comunicazione è nato all’Università di Padova, si chiama, infatti, Il Bo: in foto il logo della testata presentata QUI dal Rettore Giuseppe Zaccaria. Si muove fra didattica e ricerca, scienza e letteratura, società e articolati dossier su temi e problemi dell’università in Italia. Tante firme valorose concorrono a renderlo agile e di piacevole lettura, fra quelle noto con piacere due amiche da anni di Cosmotaxi: Maria Teresa Carbone e Silvia Veroli . Redattore capo del webmagazine è Fabrizio Tonello Docente di Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. È stato Visiting Fellow della Columbia University di New York. Sul rapporto tra mass media e politica, dopo La nuova macchina dell'informazione (Feltrinelli 1999) ha pubblicato Il giornalismo americano (Roma 2005). Sulla storia degli Stati Uniti contemporanei ha dato alle stampe Da Saigon a Olahoma City, (Arezzo-Milano 1996). Collabora inoltre a numerose riviste scientifiche, tra cui “Acoma - International Journal of American Studies”, “Contemporanea”, “Storia Urbana”, “Teoria Politica” e “Problemi dell'informazione”.
A Fabrizio Tonello ho rivolto alcune domande. Quando nasce questa pubblicazione“? "Il Bo" è una testata storica dell'università di Padova, uscita in formati e con gestioni diverse per decenni. Ora il tentativo è di avere uno strumento di comunicazione adatto ai tempi. Quali sono oggi gli obiettivi di comunicazione di questo webmagazine? Lo webmagazine è stato fortemente voluto dal rettore Giuseppe Zaccaria. Il nostro obiettivo è quello di dare alla comunità universitaria italiana un luogo di riflessione, di dibattito, di notizie. Non vogliamo fare un bollettino padovano, al contrario ci occupiamo degli studenti americani, delle ricerche in altri atenei, di avvenimenti scientifici come gli esperimenti del CERN di Ginevra, di libri di saggistica e di narrativa, del futuro di Venezia. Oltre che, naturalmente, di tutti gli argomenti che toccano da vicino gli studenti: le tasse, i fuoricorso, il lavoro e magari l'emigrazione all'estero dopo la laurea. Tutte le università hanno dei loro siti per fornire informazioni sulle proprie attività, noi vorremmo tenere aperta la discussione sul ruolo della scuola, dell'università, della ricerca nel futuro dell'Italia. Ho ricordato prima la tua biografia e i tuoi libri. Incontrarti è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Ti chiedo: a tuo parere, qual è, fra i tanti, il peggiore difetto della stampa italiana? E qual è – se ne ha – un suo pregio? Il difetto peggiore è il conformismo professionale (tutti parlano delle stesse cose) e la vocazione filogovernativa, basti guardare all'atteggiamento verso il governo Monti. Difetti ugualmente gravi sono la tolleranza verso le imprecisioni, le cialtronerie, le scopiazzature di giornali stranieri. Un pregio è la presenza di molti giornalisti coraggiosi e dotati di senso civico, che non si arrendono e continuano a fare il loro lavoro in condizioni difficili.
Move off da Motus
"Nella fitta mappa della Toscana coreografica" - ha scritto Silvia Poletti - " il territorio senese sta esprimendo con forza un’attività produttiva fino a qualche tempo fa inimmaginabile. Merito va a chi, come le sorelle Simona e Rosanna Cieri di Motus Danza, da molti anni si impegna con passione a imporre un’idea di spettacolo che superi gli antichi e rassicuranti confini del genere di intrattenimento". Di queste parole si ha conferma in un ambizioso progetto internazionale di collaborazione artistica tra la Compagnia Motus diretta da Simona Cieri e la Compagnia Odissey Dance Theatre di Singapore del coreografo Danny Tan. I due gruppi daranno vita a un interessante calendario d’incontri, workshop e spettacoli in programma dal 29 di questo mese al 3 ottobre nell’appendice autunnale di “Move off”, la rassegna di danza contemporanea creata da Motus in collaborazione con il Comune di Castelnuovo Berardenga e inserita nell’àmbito del SienaFestival. Il programma di appuntamenti avrà inizio sabato 29 settembre alle 11.30 nella Sala Aurora del Palazzo della Provincia, in Piazza Duomo a Siena, dove avrà luogo un incontro - aperto al pubblico - nel quale sarà presentata la compagnia Odyssey Dance Theatre con proiezione video di alcuni dei suoi spettacoli più importanti e la presentazione del volume “Dance Odyssey – A Decade of Brilliance” pubblicato nel 2010 per illustrare 10 anni di attività della Compagnia asiatica. Lunedì 1 ottobre alle 19:00, invece, nell’àmbito del SienaFestival, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Siena, si terrà la prima nazionale a ingresso gratuito dello spettacolo Hi Heaven! dell’Odyssey Dance Theatre. Danny Tan, considerato il più importante coreografo di Singapore, presenta in “Hi Heaven!” la sua riflessione circa il continuo interrogarsi di ciascun uomo su ciò che più conta nella vita. Ispirata ad un dipinto realizzato durante ‘Dun Huang’ (una sua performance, en-plein-air, tenutasi a Singapore nel 2008), “Hi Heaven!” rappresenta la passione e il dinamismo della danza di Tan. Lo stile di questo coreografo integra spesso la tradizione delle danze cinesi e asiatiche nell'area espressiva prettamente contemporanea, fondando lo sviluppo di movimenti non convenzionali con l’obiettivo di porre in comunicazione Oriente e Occidente. A seguire, Martedì 2 ottobre, a Castelnuovo Berardenga presso il Teatro Alfieri alle 21.30 andranno in scena le prime nazionali degli spettacoli Hi Heaven! & Art of Faking dell’Odyssey Dance Theatre e Hope di Motus, quest’ultimo firmato da Simona e Rosanna Cieri su musiche di Daniele Sepe, spettacolo che ha debuttato in prima mondiale il 6 settembre scorso proprio a Singapore come primo risultato della collaborazione artistica tra i due gruppi. Chiude il programma di appuntamenti legati alla presenza della Compagnia di Singapore a Siena, un workshop per danzatori tenuto da Danny Tan; si svolgerà mercoledì 3 ottobre dalle 14.00 alle 16.00 presso il Centro Internazionale d’Arte a Siena. Press: Natascia Maesi, natascia.maesi@gmail.com ;+39 338.3423462 – 335.1979414 Promozione Motus Greta Sartarelli, promozionemotus@yahoo.it ; 0577.286980 e 347 – 17 58 248
mercoledì, 26 settembre 2012
Nessun Dogma
Saluto con gioia la nascita di una nuova sigla editoriale laica: Nessun Dogma. Nascita necessaria specialmente oggi perché, stiamo assistendo da una parte alla crescente aggressività stizzosa del pensiero cattolico (e di altri monoteismi non meno temibili) e dall’altra a non poche incertezze del pensiero laico proprio in un momento in cui l’agnosticismo e l’ateismo sono in crescita e, specie in Occidente, il pensiero religioso è in crisi. Riferisce un’inchiesta condotta da Cinzia Meraviglia (Università del Piemonte Orientale) che tra il 1991 e il 2008 gli atei sono cresciuti del 3,2%, i credenti sono diminuiti del 10,5%. Del resto, lo dimostrano chiese deserte e crisi delle vocazioni. E’ lo stesso organo ufficiale della Santa Sede, l'Osservatore Romano, a snocciolare i dati che indicano nel biennio 2005-2006 un meno 10% e più recenti cifre (ancora non ammesse da oltre Tevere) parlano di successivi, maiuscoli, crolli. Un’ulteriore dimostrazione nel nuovo programma Google ngram laddove mettendo in ricerca le parole religion,science per analizzarne il trend si avrà quanto vedrete in questa pagina. Eppure le tonache, soprattutto in Italia, hanno gran voce. Questo accade perché chi dovrebbe rappresentare il laicismo nelle sedi politiche, si è ammutolito nella prospettiva di accordi con il Vaticano. Ben venga, dunque, Nessun Dogma e i suoi volumi
Segue ora un'intervista con Raffaele Carcano, Segretario Nazionale dell’Uaar e uno dei responsabili del comitato editoriale dell’Editrice. Mi piace ricordare che è autore, con Adele Orioli, di un magnifico libro su plurali temi del laicismo: Uscire dal gregge. Da quali urgenze culturali nasce “Nessun Dogma”? “Nessun Dogma” è il marchio editoriale dell’Uaar, e nasce quindi dalle stesse esigenze culturali da cui sono scaturiti “L’Ateo” e la nostra Biblioteca. In Italia c’è purtroppo una drammatica assenza di informazione attendibile sul mondo laico-razionalista: i mezzi radiotelevisivi lo ignorano, i giornali lo trattano – quando lo trattano – con sufficienza, l’editoria non va oltre titoli di cassetta. Non deve pertanto stupire che per la stragrande maggioranza della popolazione l’immagine più diffusa del non credente sia ancora quella del mangiapreti che di fronte alla Chiesa reagisce come il vampiro davanti all’aglio. Cambiare questa immagine è il primo obbiettivo dell’associazione, perché senza questo mutamento sarà impossibile conseguire i nostri scopi sociali: la difesa dei diritti degli atei e degli agnostici e l’affermazione del principio di laicità dello Stato. Un’adeguata conoscenza del valore del pensiero non religioso è pertanto una strada obbligata del nostro impegno, e una casa editrice un veicolo fondamentale per concretizzarlo. Qual è il primo obiettivo che vi siete posti con la pubblicazione dei primi 6 titoli? Abbiamo cominciato con autentici classici come Mauthner e Shelley, che incredibilmente non erano ancora stati pubblicati in Italia, con la ristampa del libro del nostro fondatore Martino Rizzotti (un’opera che consente di capire quanto le linee-guida dell’Uaar siano il frutto di un’elaborazione lunga venticinque anni), e con il libro sull’eugenetica di Angelo Abbondandolo, uno dei più importanti genetisti italiani. In questo modo abbiamo dato spazio a due dei filoni su cui vogliamo impostare le nostre pubblicazioni: la diffusione di opere del passato di indubbia qualità e l’intervento articolato su tematiche “calde” per le quali manca un autorevole punto di vista laico. Abbiamo accelerato la stampa di questi volumi per poter essere presenti all’ultimo Salone del Libro, e poter quindi cominciare a farci notare. Ci siamo anche riusciti: il Corriere della Sera ha dedicato una pagina al progetto-Mauthner. Noto che uno dei libri finora pubblicati (“La necessità dell’ateismo” di Percy Bysshe Shelley) è prevista la vendita in e-book. E’ una linea che intendete sviluppare? Nell’ultimo decennio l’Uaar ha notevolmente ampliato il suo seguito, e questo risultato è stato ottenuto in prima battuta attraverso la sua presenza sul web. Sappiamo inoltre che al nostro interno l’attenzione verso la tecnologia è decisamente più elevata rispetto alla media della popolazione. Non sappiamo – non siamo profeti - se l’e-book prenderà realmente piede nel nostro paese, che sconta atavici ritardi nell’innovazione culturale, ma quel che è certo è che un supporto da sperimentare. Ed è quello che abbiamo fatto: non abbiamo certo alcun dogma “cartaceo”. Programmi per il futuro? Ci sono altri due filoni che vogliamo avviare. Il primo è quello della traduzione di testi contemporanei che per qualche motivo non sono mai arrivati nelle librerie italiane. Non è facile (raramente le vendite consentono di ammortizzarne i costi), ma è una strada che vogliamo percorrere, anzi, che dobbiamo percorrere se vogliamo contribuire a sprovincializzare l’Italia. Un altro campo di cui vorremmo occuparci è quello di testi per giovani, giovanissimi e genitori di bambini. Un settore in cui in Italia c’è un autentico vuoto pneumatico, ma per il quale riceviamo numerose sollecitazioni. Anche in questo caso è un’impresa non facile da imbastire da zero, ma ci proveremo. Del resto, l’Uaar è nata per rispondere a sfide ritenute impossibili da vincere.
martedì, 25 settembre 2012
Matematica per gioco
Diceva Ruggero Bacone (1214-1294): "Trascurare la matematica è un'offesa al sapere, poiché chi la ignora non può conoscere le altre scienze o le cose del mondo". E in epoca moderna, Paul Adrien Maurice Dirac (1902-1984): "Il matematico gioca un gioco in cui egli stesso inventa le regole". Nonostante le parole citate di quei due grandi nomi che elogiano la matematica, essa è vista da tanti come un mondo arcigno e inospitale dal quale ricevere torture mentali. Tutto il nostro mondo concettuale e sensoriale è governato dalla matematica, ma la gran parte di noi - non solo i giovani studenti - arretra di fronte ad essa, la temiamo, ci sgomenta, perché? Lo chiesi durante un'intervista su questo sito a Piergiorgio Odifreddi che così mi rispose: In parte le difficoltà sono oggettive. La matematica usa un suo linguaggio particolare, che bisogna imparare prima di poterne usufruire. Ma lo stesso vale per la musica: chi non l'ha studiata, non può leggere uno spartito, e può fruirne soltanto a livello superficiale. Ora, imparare una tecnica non è mai divertente o piacevole: non lo è fare scale al pianoforte, e non lo è risolvere espressioni algebriche. Ma serve, per impratichirsi con lo strumento. Ci sono poi difficoltà soggettive. non tutti sono "portati" per la matematica, o per la musica. Ma molta colpa ricade sull'insegnamento e sui media. I professori delle scuole hanno per anni insegnato malamente programmi antiquati e poco interessanti, mai come un gioco, e i giornalisti che controllano i media portano con sé le cicatrici di questa mala educazione. Proprio Odifreddi presenta un libro di Federico Peiretti da poco mandato in libreria da Longanesi – Matematica per gioco Oltre duecento giochi e rompicapo per scoprire la magia dei numeri – dicendo: La matematica per Peiretti è prima di tutto, e sopra di tutto, un grande gioco, appassionante e sempiterno. Quindi un grande libro di divulgazione che ci avvicina all’universo dei numeri in modo non terroristico come molti di noi l’hanno vissuto nelle aule scolastiche.
Federico Peiretti, docente di Matematica e Fisica al Liceo classico Cavour di Torino, giornalista, collabora da molti anni al quotidiano La Stampa. È autore o coautore di una ventina di testi di matematica e informatica e di un volume dedicato al Numero d’oro, un Libro d’Artista con venti serigrafie di Ugo Nespolo. Nel 2004 ha vinto il Premio Internazionale Pitagora per la divulgazione della matematica. Direttore di Polymath, il progetto didattico per le medie superiori del Politecnico di Torino, è vicepresidente dell’Associazione Subalpina Mathesis. Sulla Stampa ha curato per alcuni anni la rubrica “Alberi e dintorni”, dedicata agli alberi monumentali d’Italia. È stato inoltre tra i fondatori del Museo del Cinema di Torino, dell’Associazione Italiana Amici Cinema d’Essai e membro del direttivo di diverse associazioni culturali torinesi quali l’Unione Culturale e l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza. Che per Peiretti la matematica sia un gioco lo conferma anche un altro suo titolo nel catalogo Longanesi: Il matematico si diverte. Come lo stesso autore scrive nella Premessa: “In questo libro, accanto ai giochi inventati dai grandi matematici, si trovano quelli più popolari, come i giochi con i fiammiferi, le monete o i dadi, che nelle mani dei matematici hanno acquistato nuove divertenti dimensioni […] è molto lungo l’elenco dei matematici innamorati del gioco, e vedremo insieme, fra gli altri, i giochi e le magie inventate da Luca Pacioli frate amico di Leonardo e Piero della Francesca che, con l’aiuto del primo, fece un eccezionale lavoro in cui convivono arte e matematica. Fra i moderni troviamo Giuseppe Peano. Ha sempre affermato il valore culturale della matematica, e ha anche scritto un libro di giochi e problemi interessanti, in parte ripresi nelle pagine di questo libro”. Il volume si articola in 9 capitoli con alla fine di ciascuno di essi le soluzioni ai quesiti proposti nonché una bibliografia e webgrafia per chi volesse saperne di più. Per una scheda sul libro: CLIC! Federico Peiretti Matematica per gioco Pagine 224, Euro 14.90 Longanesi
La parola che danza
La Divina Commedia fin da tempi lontani ha ispirato immagini presso pittori e scultori, e con la nascita del cinema quelle immagini hanno tentato più registi come si può osservare cliccando QUI.
Né mancano elaborazioni ispirate alle più recenti tendenze dell’arte contemporanea, ne è un maiuscolo esempio quanto la Società Dante Alighieri, in collaborazione con il Teatro Olimpico di Roma e Massimo Gallotta Productions, proporrà al pubblico: un percorso tecnologico, originale e affascinante, attraverso la cantica più popolare del Poeta: i canti dell'Inferno dantesco, interpretati dalla visionarietà di Emiliano Pellissari. Dopo una tournée italiana, lo spettacolo approderà a Boston nell’autunno del 2013. Ora, dopo tre stagioni di successi al Teatro Olimpico, torna per il quarto anno consecutivo la compagnia di danzatori aerei di Pellisari con lo spettacolo Inferno. Dalle note di regìa. Nato nel 2007 - e ora proposto con due coreografie inedite - è un caleidoscopio di immagini ispirate ai più famosi canti danteschi e portate in scena da sei danzatori acrobati che sfidano le leggi della fisica, trasformando lo spazio teatrale in una nuova dimensione: quella del sogno. Uno spettacolo fortemente innovativo in cui il disegno della luce, la musica e gli effetti speciali si coniugano poeticamente con la danza. Immagini straordinarie appaiono dal buio in una carrellata senza sosta di effetti come in un quadro di Bösch: Paolo e Francesca, rapiti nel turbine infernale, volano nel cielo eternamente abbracciati; schiere di dannati cadono al suolo come foglie; le anime dei grandi del passato fluttuano nell’atmosfera sospesa del limbo; angeli e diavoli si affrontano nello spazio in duelli aerei, accompagnati dal ritmo della musica etno-world. Un Inferno paradossale come Escher, assurdo come Magritte, crudelmente caravaggesco, che trascina lo spettatore in uno spiazzante e coinvolgente sogno ad occhi aperti. QUI un trailer con un commento di Pellissari. La Società Dante Alighieri promuoverà l’intera trilogia della Divina Commedia in tutto il territorio nazionale, seguendo la tournée di città in città. Ufficio stampa per Emiliano Pellisari Studio Midas di Michele Mondella Maria Antonietta Mille e Silvana Casato, tel. 06/37351203, cell. 3486699725, a.mille@midaspromotion.com Ufficio Stampa Teatro Olimpico Sara Maccheroni, tel. 06.32.65.99.21, cell. 327.6916605, press@teatroolimpico.it Ufficio Stampa Società Dante Alighieri Pierpaolo Conti, cell. 3346755306, p.conti@ladante.it Emanuela Gregori, cell. 3383599693, e.gregori@ladante.it Emiliano Pellisari Inferno Teatro Olimpico di Roma Piazza Gentile da Fabriano 17 Dal 2 al 14 ottobre 2012
lunedì, 24 settembre 2012
Sul cinema
"Certe persone sostengono che il nostro lato selvaggio non esista più e che abbiamo raggiunto l’ultimo stadio della civiltà, dove tutto è già stato detto e dove è ormai troppo tardi per mostrarsi ambiziosi. Ma questi cosiddetti filosofi hanno presumibilmente dimenticato il cinema, o, perlomeno, non hanno mai avuto modo di vedere i ‘selvaggi’ del XX secolo guardare i film. Non si sono mai seduti di fronte allo schermo e non hanno mai pensato a quanto poco siano dissimili da quegli uomini nudi che picchiando due barre di ferro tra loro, ascoltavano in quel clangore un’anticipazione della melodia di Mozart".
E’ questo il fulminante inizio del primo di due saggi di Virginia Woolf pubblicati dalle Edizioni Mimesis e raccolti sotto il titolo: Sul cinema. La Woolf è stato il nome più famoso del circolo di Bloomsbury; nata a Londra il 25 gennaio 1882, morì suicida a Rodmell il 28 marzo 1941. Ispirerà con la storia della sua vita e con le pagine delle sue opere alcuni film: “Orlando” del 1992 di Sally Potter con Tilda Swinton e “The Hours” del 2006 con Nicole Kidman nel ruolo della scrittrice. E’ bene ricordare che il primo dei saggi – intitolato “Il cinema” – fu pubblicato nel 1926 prima della diffusione del cinema sonoro che conoscerà popolarità, con “Il cantante di Jazz”, solo nel 1927. Il secondo saggio, intitolato "The Craftmanship", è tratto da un intervento a un programma della Bbc del 1937. E' dedicato alle parole, ma bene è stato raccogliere i due scritti insieme perché rappresentano due riflessioni sulla percezione; su di un nuovo linguaggio, quello del cinema, e quello più vecchio del mondo: il suono della parola. Perciò è giustissimo il titolo – “Con gli occhi delle parole” – che la curatrice Sara Matetich ha dato al suo luminoso saggio che conclude il librino. La scrittrice inglese coglie con vertiginoso anticipo le possibilità espressive dello schermo e del suo primo specifico: l’immagine riprodotta in movimento. A differenza di quanto capitato al grande Kafka che scrisse “Se l’occhio è una finestra sul mondo, il cinema è una persiana di ferro”. La Woolf si sofferma a lungo mettendo in guardia (tema ancora oggi dibattuto) dalle trasposizioni cinematografiche dei romanzi: Il cinema si avventa sulla sua preda con enorme rapacità e fino ad oggi ha sempre continuato a nutrirsi largamente del corpo della sua sfortunata vittima. Ma, per entrambi, i risultati si sono rivelati disastrosi. L’alleanza è innaturale. L’occhio e il cervello vengono spietatamente staccati mentre cercano di lavorare in coppia. Un piccolo prezioso libro questo della Woolf, un parallelo tracciato da una grande firma, tra cinema e letteratura che ci fa vivere l’attualità e la potenza della parola e la suggestività e il simbolismo delle immagini. Virginia Woolf Sul cinema A cura di Sara Matetich Pagine 42, euro 3.90 Edizioni Mimesis
sabato, 22 settembre 2012
Timeline
La scuola in Italia è stata da sempre il bersaglio preferito di personaggi che hanno fatto a gara nel danneggiarla. Dopo Croce e Gentile (esempi apparsi un tempo imbattibili nel perverso scopo), le cose si sono, invece, ulteriormente aggravate fino ad arrivare alla signora Gelmini grazie all’operato della quale la storia della scuola è entrata a far parte della storia del Varieté. Oggi Il piano Scuola digitale procede a zig zag: così, mentre il ministro del Miur Francesco Profumo annuncia 40 milioni per fornire le classi di strumenti digitali, arriva la doccia fredda per mezzo di una nota della Direzione generale per gli studi, la statistica e i sistemi informativi dello stesso Ministero: dal 20 ottobre di quest'anno per mancanza di fondi finisce il progetto Sistema Pubblico di Connettività per le scuole con la conseguenza di tagliare la connessione a 3.800 istituti. Sembra un paradosso, ma la spiegazione è semplice: la connessione allo Spc aveva permesso a tutte queste scuole di essere connesse con un operatore a banda larga a spese dello Stato. Ma i fondi, appunto, sono finiti. La connessione verrà staccata a meno che le scuole non la confermino a proprie spese. A rendere più goffa la situazione è che in tanti sproloquiano sui nuovi strumenti informatici, di nuove formule didattiche, mentre negli Istituti mancano perfino di docenti. Eppure la necessità di un radicale rinnovamento esiste, eccome! Scrive Roberto Poggi dell'Università di Torino: "Secondo Alvin Toffler, l'analfabeta del futuro non sarà la persona che non saprà leggere, bensì la persona che non saprà come imparare. Introdurre l'informatica nella didattica comporta una nuova alfabetizzazione culturale. Un esempio può essere offerto dall'ideazione e realizzazione di ipertesti, ovvero testi elettronici che possono essere sfogliati in più direzioni in base all'interesse ed alle conoscenze dello studente, con spostamenti tematici e cognitivi. La creazione di un ipertesto presuppone una serie di passaggi e operazioni molto differenti rispetto alla scrittura di un testo sequenziale: organizzazione dei concetti principali in una struttura reticolare, raggruppamento dei nodi contenutistici secondo una struttura gerarchica, inserimento di strumenti per la navigazione (links e menù), creazione di un testo aperto modificabile da altre persone".
Uno strumento che risponde alla nuova concezione della didattica è stato ideato dalla casa editrice Garzanti, si chiama Timeline – Cronologia Universale. E’ un’app che innova il modo di studiare la storia contestualizzando avvenimenti, date e personaggi in un’efficace cronografia. Come illustra l’Ufficio Stampa La Timeline con i suoi 1300 eventi e 14.000 personaggi che coprono l'intera storia dell'umanità, è l'applicazione Garzanti per iPad (ma anche Smartphone) nata dalla banca dati delle Garzantine che consente di esplorare 5000 anni di storia. Una struttura grafica immediata e intuitiva permette di visualizzare a colpo d'occhio gli eventi storici fondamentali e di metterli in relazione con i personaggi della politica, delle arti, delle lettere e delle scienze che ne sono stati protagonisti o testimoni. Uno speciale motore di ricerca seleziona in un database di 14.000 schede biografiche il personaggio desiderato e lo colloca nel periodo in cui è vissuto, accanto agli altri grandi personaggi che hanno caratterizzato l'epoca. Permette, quindi, comparazioni, raffronti, incroci impossibili nelle enciclopedie e nei manuali cartacei. E dagli sviluppatori si apprende: Al centro dello schermo c’è la “linea del tempo” dall’antichità a oggi. Sotto di essa, secolo dopo secolo, la successione degli eventi chiave della storia, distinti per area geografica (Italia, Europa, Mondo). Toccando lo schermo, appare una cronologia completa e dettagliata dei più significativi avvenimenti storico-politici del periodo selezionato. Sopra la “linea del tempo”, un pulsante permette di selezionare sei diverse cronologie tematiche, con le “linee della vita” dei principali: • personaggi storici; • scrittori e letterati; • artisti e architetti; • filosofi; • scienziati e inventori; • musicisti. Nel database si possono ricercare le schede biografiche di 14.000 personaggi, che vengono automaticamente inserite al posto giusto nella “linea del tempo”. Fino al 12 ottobre a metà prezzo; Qui > Garzanti per approfondimenti e scaricare.
L'Ateo
Il bimestrale "L’Ateo" dell’Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti), diretto da Maria Turchetto, stavolta si presenta con un numero doppio dedicato alla satira. Doppio perché contiene, in omaggio, un supplemento – Le pentole del diavolo – dedicato a sei divertenti, e doverosamente infernali, scritti enogastronomici in chiave laica di Marco Accorti che, purtroppo, ci lasciato. Aveva 65 anni. Era laureato in Scienze Naturali. Dotato di cultura finissima al servizio di una scrittura festa della pagina per acume critico e umorismo. Lo special della rivista è dedicato, come dicevo, alla satira. Scelta tematica da elogiare specie in questi tempi cupi pieno di ghigni e scarso di risate. La satira: l’arma più potente in tutti i tempi contro il potere. Che già nel 424 a. c. spingeva Aristofane, nell’opera “I cavalieri”, ad affermare: “Ingiuriare i mascalzoni con la satira è cosa nobile: a ben vedere, significa onorare gli onesti”. Nell’editoriale, la direttrice coglie felicemente uno dei momenti centrali dello scontro fra due comportamenti: La satira non è equamente distribuita. La satira sta da una parte sola: la nostra. Non ci sono di qua gli atei che si fanno beffe dei credenti e di là i credenti che prendono in giro gli atei così che si possa dire: ma che bello, pari e patta, ridiamoci tutti addosso che fa buon sangue ed evviva la tolleranza. Macché. La situazione è molto più delicata: di qua gli atei sghignazzano, di là i credenti s’incazzano (scusate il termine, ma la rima veniva bene). I credenti non tollerano o mal tollerano le beffe. I credenti si offendono, e parecchio. I musulmani si offendono a morte, letteralmente. Vi ricordate quando il danese “Jyallands Posten” pubblicò alcune vignette su Maometto? Proteste, crisi diplomatiche, minacce di morte, assalti alle ambasciate danesi, scontri di piazza… Ma anche i cattolici non scherzano: lanciano anatemi e denunce, pretendono censure. Nessuna reciprocità, è uno scontro. Lo scontro – appunto – tra diversi stili di pensiero: lo stile di chi vuole certezze e rassicurazioni e soprattutto di chi le dispensa dall’alto; lo stile di chi pratica sistematicamente il dubbio, fiuta l’inganno e punta il dito sulle incongruenze.
Parole, scritte prima delle più recenti incazzature islamiche, che hanno avuto tragica conferma proprio in questi giorni. Altri valorosi interventi sulla satira sono prodotti da Giordano Vintaloro, Francesco D’Alpa, Maurizio Di Bona, Sergio Staino, Enrica Rota, Federica Turriziani Colonna, Paolo Piazzesi, Attilio Geva. Sono presenti anche estratti da Paradisi di Mark Twain. Su altri temi della laicità si misurano importanti contributi di Daniele Mucci, Bruno Borgio, Bruno Gualerzi, Enrica Rota. Nel numero non mancano recensioni a libri che ovviamente mai troveremo segnalati nei supplementi letterari e scientifici dei quotidiani e una serie di divertenti vignette. Ancora una notizia. L’Uaar ha assegnato anche quest’anno il premio Brian (dal titolo della commedia dei Monty Python, 'Life of Brian') giunto quest’anno alla settima edizione. Il premio è stato attribuito al film di Marco Bellocchio “Bella addormentata” (QUI il trailer). La pellicola, scrive la giuria, “affronta il tema del ‘fine-vita’ con spirito laico, sottolineando l’importanza del rispetto delle scelte individuali. Mette in luce l’arroganza del potere politico e la grettezza dei pregiudizi religiosi nei confronti di scelte che devono essere improntate al principio dell’autodeterminazione. La rappresentazione rende conto della complessità del problema del termine della vita in maniera non riduttiva né ideologica”. La rivista "L'Ateo" è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di 2.80 euro
venerdì, 21 settembre 2012
Fotografi pronti allo scatto
Partiamo dall'etimologia del termine “fotografia”: dal greco antico phôs, luce, e graphè, scrittura o disegno; cioè "disegnare con la luce". Questo è già un buon avvio per capire questo mezzo sul quale in tanti hanno lavorato sul piano pratico e teorico. Qualche riflessione di nomi celebri? Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Eccone alcune. Anche i grandi possono dire delle cospicue castronerie. Ne volete un esempio? E’ di Paul Gauguin: “Sono entrate le macchine, l’arte è uscita... sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile”. Con Walter Benjamin, la musica cambia: “Non colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l'analfabeta del futuro”. Ed ecco il pensiero di due fotografi diversissimi fra loro. Helmut Newton: “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia. Henri Cartier-Bresson: “Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso l'attimo”. Walter Guadagnini, storico dell’arte, così mi disse in un’intervista di tempo fa: “La fotografia vive all’interno di un più articolato sistema di relazioni, non è solamente una forma d’arte, è una pratica”. Se pratica è, ben difficile è spiegarla su pagina perché necessita di esperienze, e ancora più difficile è spiegarla ai più piccoli, eppure in quest’impresa a me pare siano ben riuscite le autrici di Fotografi pronti allo scatto Le tecniche, i trucchi, i giochi per raccontare con la fotografia pubblicato da Editoriale Scienza. Testi di Emanuela Bussolati (che firma anche gli efficaci disegni) e di Silvia Morara (cui dobbiamo gli incisivi esempi fotografici). Ogni pagina presenta un concetto, una tecnica, un singolo argomento. Passo dopo passo il piccolo lettore si troverà ad apprendere tecniche, trucchi e giochi, come promette il sottotitolo. Ovviamente è necessario provvedersi di una macchina fotografica, ma – com’è detto in apertura del libro – non serve una macchina costosa (addirittura sconsigliabile), soltanto una piccola camera da portare con sé. Un agile manuale per scoprire tutti i segreti della fotografia, da come usare correttamente la fotocamera (diaframma, otturatore, tempi di scatto, flash…) alle regole per una buona composizione dell'immagine. E ancora, le tecniche e i suggerimenti per giocare con prospettiva e punto di vista, creare un’atmosfera particolare grazie a luci e ombre, fare un ritratto, realizzare il reportage di una gita e creare un racconto con le immagini scattate. Il volumetto – di raffinata composizione grafica com’è tradizione dell’Editrice – nello spiegare il “come si fa” tecnico, fortunatamente non detta stili lasciando alla fantasia dei giovanissimi fotografi la più ampia libertà d’inquadrare la realtà fino a sfruttare perfino gli errori compiuti strada facendo.
Per un assaggio del libro: CLIC! E. Bussolati – S. Morara Fotografi pronti allo scatto Pagine 44, Euro 9.90 Con illustrazioni, foto e tre filtri colorati Editoriale Scienza
giovedì, 20 settembre 2012
Le cose che non sappiamo
“Penso che sia molto più interessante vivere senza sapere piuttosto che avere risposte che possono essere errate”. Proprio a questa massima di Richard Feynman, Premio Nobel per la Fisica nel 1965, sembra essersi ispirato William Hartston autore di Le cose che non sappiamo 501 casi di comune ignoranza, pubblicato da Bollati Boringhieri.
E’ un libro assai diverso da quelli del tipo ‘forse non tutti sanno che’ perché a molti quesiti preferisce, infatti, dichiarare l’incertezza della risposta e non piegarsi alla vulgata oppure arrampicarsi su tesi tanto originali quanto improbabili. 501 i quesiti posti, ad esempio: In che modo Socrate si guadagnava da vivere? Fino a quanto può contare un topo? Per quanto tempo resta cosciente una testa recisa dal corpo? Perché sono tanti i casi di omosessualità maschile tra le giraffe? E tanti quelli di omosessualità femminile tra gli albatros? Esistono galassie così distanti che non potremo mai sapere se esistono? E’ vero oppure no che esiste un numero infinito di numeri primi gemelli? Esiste un sudoku con 16 numeri nell’impostazione iniziale che abbia un’unica soluzione? E i batteri sanno risolvere i sudoku? E così via via tra centinaia di quesiti. Con risposte segnate spesso dal fine umorismo di questo autore londinese, nato nel 1947, campione nazionale di scacchi in Inghilterra nel 1973 e 1975, e campione olimpionico a Siegen, nel 1970. Presentatore televisivo, collabora con “The Independent” e “Daily Express”. E’ anche matematico e psicologo, laureato a Cambridge. Tra i suoi libri: Penguin Book of Chess Openings (1978), The Book of Numbers: The Ultimate Compendium of Facts About Figures (2000) e The Encyclopedia of Useless Information (2007). “Le cose che non sappiamo” è il suo primo volume tradotto in italiano. Libro che ripresenta un problema filosofico che dall’antica Grecia a oggi ha attraversato secoli di teorie ed è una delle domande che non a caso si pone Hartston. Per Platone, affinché qualcosa possa definirsi “conoscenza” deve soddisfare tre criteri: dev'essere giustificata, vera e credibile. E “Blaise Pascal” – scrive l’autore – “paragonò la nostra conoscenza a una sfera che, mano a mano che aumenta di dimensioni, accresce inevitabilmente i punti in cui essa viene in contatto con l’ignoto. Henry Miller ha espresso il medesimo concetto in forma più succinta in Il giudizio del cuore (1941): ‘Ampliando il campo della conoscenza aumentiamo soltanto l’orizzonte dell’ignoranza’. Questo libro vuole essere un tour guidato lungo l’orizzonte dell’ignoranza di Miller”. Volete conoscere il quesito 501 con cui si conclude il libro? Domanda: Se mai verrà il momento in cui sapremo tutto ciò che c’è da sapere, ce ne renderemo conto? Risposta: … oppure verrà il momento in cui l’unica cosa che non sapremo è di sapere già tutto? William Hartston Le cose che non sappiamo Traduzione di Luigi Giacone Pagine 403, Euro 16.50 Bollati Boringhieri
martedì, 18 settembre 2012
Pagine di Perec
Nel nostro tempo infestato da tanti romanzieri giallisti o nientisti che vanno dove li porta il cuore in mancanza del cervello che faccia loro da guida (oppure di altri che promettono di zompare alquanti metri sopra il cielo dopo avere nascostamente abbassato l’asticella rasoterra), è una gioia ritrovare un autore come Georges Perec (Parigi,1936 – Ivry-sur-Seine,1982) e un suo titolo quale quello pubblicato da Voland (dopo la prima lontana edizione Baskerville del 1989): Tentativo di esaurimento di un luogo parigino.che si giova di una bella traduzione e cospicue note in postfazione di Alberto Lecaldano.
Perec, lo ricordo ai più distratti, è tra i protagonisti dell'Oulipo. “Dell’Oulipo, Georges” – scrisse Italo Calvino, oulipiano anch'egli – “era diventato il maggiore esponente, e almeno due terzi della produzione del gruppo erano opera sua”. Perec, alla domanda “Chi vorrebbe essere?”, postagli da uno studente che preparava una tesi sull’opera perecchiana, rispose “Uomo di lettere”; preciserà, poi il senso che volle dare a quelle sue tre parole: “Un uomo di lettere è un uomo il cui mestiere sono le lettere dell’alfabeto”. Su quelle lettere ha lavorato creando una poetica ispirata prevalentemente a principii matematici, scacchistici, geometrici, ludonumerici e ludolinguistici. Si pensi, ad esempio, a quel suo testo lipogrammatico di trecento pagine, (La Disparition, Guida 1969); scritto senza mai usare la vocale "e" al quale fa seguito un secondo lipogramma, in forma di specchio de “La Disparition”, intitolato “Le ripetizioni” nel quale, invece, utilizza come sola vocale in tutto il testo proprio la lettera "e". Il discorso di Perec e degli oulipiani travolge tanti oziosi dibattiti fra convegni del Nulla e blog dello Strepito sui tanti inutili romanzi odierni. L’Oulipo, infatti, è, finora – in attesa di una vera scrittura elettronica e non l’attuale che, prevalentemente, è solo una trasposizione di pagine cartacee stampate in formato digitale – uno dei più avanzati esempi di letteratura che si avvale di tecniche scientifiche. Si pensi ai “Centomila miliardi di poesie”, di cui Queneau ci fa leggere solamente i dieci sonetti base che permettono di produrre cento mila miliardi di poesie, testi che per leggerli tutti occorrerebbero quasi duecento milioni di anni leggendo 24 ore su 24. Si arriva così alla realizzazione di un libro esistente ma impossibile da leggere tutto. O si pensi al diagramma di flusso usato - in modo rigoroso e comico a un tempo – da Perec in “L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento”, scritto breve che nella sua brevità contiene l’infinibile. Così come questo Tentativo di esaurimento di un luogo parigino che si svolge nell’ottobre 1974 quando per tre giorni consecutivi Perec siede ai tavolini dei caffè o sulle panchine in place Saint-Sulpice, 6° arrondissement, nel cuore di Parigi, e osserva la piazza in differenti momenti della giornata. Prende accuratamente nota di tutto quello che vede: persone, macchine, autobus, animali, nuvole, cose all’apparenza insignificanti ma che sono cataloghi ipnotici della vita che ci passa accanto. Le innumerevoli variazioni impercettibili del tempo, della luce, delle foglie, delle ombre e dei colori sono colte da uno sguardo unico e vibrante, uno sguardo che ci restituisce un testo magistrale. Il libro è arricchito da fotografie e riproduzioni offerte da Pierre Getzler amico di Perec. Georges Perec Tentativo di esaurimento di un luogo parigino Traduzione e cura di Alberto Lecaldano Fotografie di Pierre Getzler Pagine 64, euro 12.00 Edizioni Voland
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