Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
venerdì, 30 novembre 2012
Genio
Tanti filosofi hanno tentato di definire il Genio. Immanuel Kant elabora la sua concezione del Genio ammettendone l’esistenza nelle arti e negandola nelle scienze perché ritiene che un’importante scoperta sia in realtà il risultato di un metodo, già elaborato da altri, che può essere insegnato o imitato. Per Friedrich Schelling, che pone l’arte alla sommità del suo pensiero filosofico, Genio è l’artista capace di cogliere l’Assoluto nella sua unità indifferenziata di natura e spirito. Hegel la fa corta: il Genio, secondo lui, fa parte solo di una “romantica fantasticheria” e gli preferisce il Talento, cioè una risorsa tecnica. Per Schopenhauer il Genio è assimilabile al folle capace di un folgorante intuito durante il suo delirio estetico. Arriviamo a Nietzsche che ritiene il Genio quello slancio che permette all’uomo di superare la noia e il disgusto per la vita quotidiana. Tante definizioni da rendere incerto il giudizio, allora affidiamoci al dizionario che lo definisce in due battute. La prima: “Per genio (dal latino genius, dal verbo genere, generare, creare) s'intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale”. Più interessante ancora, e meno elitaria, è la seconda parte della definizione: “Tale attitudine naturale può anche essere portata alla luce con l'educazione”-. Ecco, è quanto è capitato a un matematico americano inventore del metodo Brainetics (brain + athletics = atletica del cervello). La casa editrice Vallardi ha pubblicato il libro d’esordio di questo personaggio protagonista d’imprese difficilissime; il suo nome è Mike Byster che, in collaborazione con Kristin Loberg, ha scritto Genio Metodi e tecniche per potenziare la mente. Preciso sùbito che non si tratta del solito manuale per potenziare la memoria, anzi nelle pagine si arriva ad affermare che dimenticare è un’abilità che aiuta perfino a ricordare. Abilità divenuta, specie oggi che siamo bombardati da tante informazioni, di vitale importanza per evitare di congestionare il cervello di molte cose inutili per la sopravvivenza e d’ostacolo per continuare ad apprendere. Byster è capace – come fa alla radio, alla tv, durante incontri col pubblico – d’elevare mentalmente al quadrato qualsiasi numero di tre o quattro cifre, di dividere all’istante numeri di tre cifre per numeri di due cifre; d’anagrammare parole lunghissime o di ordinarne alfabeticamente un gran numero in un baleno. In molti griderebbero alla potenza del paranormale, altri a un particolare caso di autismo sul tipo di quello ricordato nel film “Rain Man”. Niente di tutto questo. “Confesso” – dice Byster – “che non sono nato con quelle doti, non sono un matematico, uno psicologo, un alieno ultraintelligente; non sono laureato in medicina e non ho mai studiato neurologia […] da ragazzo non sono mai stato il primo della classe”. E allora? Vi risponde che ha solo imparato ad allenare il suo cervello, addestrandolo con esercizi da lui stesso inventati e che potrebbero non funzionare per altri perché ciascuno di noi può inventare formule mnemoniche che lo aiutino; Byster c’informa solo su come cercarle. Infatti, scrive “Uno degli insegnamenti più importanti di questo libro è imparare a notare l’esistenza di schemi ovunque: nella matematica, nel linguaggio, ma anche in altri àmbiti come la storia o le scienze, e nelle attività di tutti i giorni”. Basta leggere questo libro per diventare un Genio? No. Il primo ad andarci cauto è l’autore stesso: “Diventerete il prossimo Einstein, Steve Jobs, o il capitano d’industria ritratto sulla copertina della più prestigiosa rivista di economia? Non posso promettervi niente […] sono convinto, però, di aver qualcosa da insegnare anche a voi, non solo per intrattenervi, ma anche per accrescere le vostre capacità mentali”. Non invidio la traduttrice che ha dovuto sudare le famose 7 camicie (forse più altre 7) per tradurre questo libro e, specialmente, il capitolo dei giochi linguistici ed enigmiistici. Se l'è cavata benissimo e in una nota spiega ai lettori come ha fatto, quali criteri ha seguito. Per una scheda sul libro: CLIC! Mike Byster Kristin Loberg Genio Traduzione di Ornella Ciarcià Pagine 288, Euro 15.90 Vallardi
mercoledì, 28 novembre 2012
L'occhio del regista
Ma il cinema cos’è? Breve viaggio attraverso grandi testimoni. Partiamo da una previsione pessimistica: “E’ un’invenzione destinata a non avere alcun successo commerciale, credetemi”. Parole di Louis Lumiére. Passiamo a un momento non troppo felice di un grande: “Cinema: persiane di ferro chiuse davanti agli occhi”. E’ di Franz Kafka. Si sa, gli incidenti possono capitare a chiunque. Si migliora di molto da un punto di vista oculistico con il filologo Joseph Bédier che afferma: “Il cinema è un occhio aperto sul mondo”. Poi affidiamoci a una serie di registi famosi. “Il cinema migliore è quello in cui l'azione è lunga e i dialoghi brevi”. John Ford “Il cinema è uno dei tre linguaggi universali; gli altri due sono la matematica e la musica”. Frank Capra “Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio”. Federico Fellini “La televisione crea l'oblio, il cinema ha sempre creato dei ricordi”. Jean-Luc Godard Tante opinioni che portano ad una sola conclusione, il cinema, come tutte le arti, si presta a definizioni le più diverse le une dalle altre. E’ ciò che ha sperimentato Laurent Tirard che in un libro pubblicato da minimum fax intitolato L’occhio del regista 25 lezioni dei maestri del cinema contemporaneo ha raccolto attraverso interviste con grandi firme testimonianze sulla natura del cinema, su che cosa significa farlo, quali domande pone un’arte che per inverarsi ha bisogno del concorso di un fitto numero di artisti, artigiani, tecnici. Senza trascurare i problemi finanziari che investono ben tre momenti: produzione, distribuzione, esercizio. Dopo aver conversato con tanti grandi nomi, che cosa conclude Tirard? Che c’è una cosa, al tempo stesso, rassicurante e inquietante per lui (che è anche un regista) ed è detta in modo semplice ed efficace: Ci sono migliaia di modi di fare un film. Ognuno può affrontare la regìa secondo il proprio stile; in effetti dovrebbe. Tutto ciò che occorre è un punto di vista, istinto e determinazione. Anche il talento ha un ruolo, ma non necessariamente nella misura che la maggior parte della gente crede. Per esempio, per quanto Jean-Luc Godard e Martin Scorsese possano spiegare con chiarezza come e perché fanno un film, di fatto nemmeno loro si sono svegliati una mattina dotati di quella impressionante capacità: l’hanno acquisita attraverso anni di esperienza, guadagnata a caro prezzo. E questo è ciò che ho cercato di mostrare nel libro, attraverso le lezioni piuttosto tecniche di ciascun regista. “L’occhio del regista” è un libro utilissimo per chi vuole affrontare professionalmente il cinema, ma è d’interessante lettura anche per chi vuole solo sedere in poltrona e fissare gli occhi sullo schermo. Prima dicevo dei grandi nomi intervistarti da Tirard. Eccoli. Woody Allen • Pedro Almodóvar • Bernardo Bertolucci • Tim Burton • Joel ed Ethan Coen • David Cronenberg • Milos Forman • Jean-Luc Godard • Alejandro Iñárritu • Jim Jarmusch • Wong Kar-wai • Mathieu Kassovitz • Takeshi Kitano • Emir Kusturica • David Lynch • Michael Mann • Arthur Penn • Roman Polanski • Sydney Pollack • Martin Scorsese • Steven Soderbergh • Oliver Stone • Lars von Trier • Wim Wenders • John Woo. Mica male, non vi pare? Per una scheda sul libro: CLIC! Laurent Tirard L’occhio del regista Traduzioni di: Annalisa Garavaglia Paola Biggio Tiziana Lo Porto Lorenza Pieri Pagine 293, Euro 16.00 minimum fax
lunedì, 26 novembre 2012
Volando si impara
Diceva il conduttore radiotelevisivo americano Milton Berle: “Non vado mai in aereo perché nel tragitto da casa all'aeroporto mi viene il mal d'auto”. Chi di voi riesce a superare la difficoltà provata da Berle, e sedersi al posto prenotato, sappia che durante il viaggio – oltre i soliti innocenti passatempi: per i credenti ininterrotte preghiere, per gli atei continue imprecazioni – è bene che ricordiate le cifre seguenti. Il rischio di rimanere uccisi in un incidente aereo è pari a 125 milioni di tragitti. In pratica, i viaggi aerei sono tre volte più sicuri di quelli ferroviari e andare in automobile è 12 volte più pericoloso di un volo. Per rilassarvi, inoltre, potete porvi una serie di domande, che, dall’arrivo in aeroporto all’atterraggio, coinvolgono tante scienze: dalla fisica alla matematica, dalla biologia alla medicina. E’ proprio questo che ci suggerisce la Casa Editrice Zanichelli attraverso il più recente volumetto della indovinatissima collana Chiavi di lettura, diretta Lisa Vozza e Federico Tibone. Titolo: Volando si impara Scoprire la scienza mentre si viaggia in aereo. Autore: Brian Clegg. Ha studiato fisica e matematica applicata, poi ha lavorato a lungo per British Airways. In seguito ha creato un’azienda che offre consulenze sullo sviluppo di nuove idee e prodotti e sulla soluzione creativa dei problemi aziendali. È autore di molti libri divulgativi e dirige il sito Popular Science. Dall’aeroporto all’atterraggio, scrivevo prima. Già, perché mentre, spesso distrattamente, attraversiamo l’ingresso, ci rechiamo al ceck-in, affrontiamo il controllo bagagli, camminiamo nelle aeree d’imbarco, senz’accorgercene c’imbattiamo in una serie di tecnologie che il libro di Clegg puntualmente spiega. Così come illustrerà come fa un gigantesco aereo ad alzarsi in volo, risponderà alla domanda se c’è vita a 10 000 metri di quota, a quante radiazioni si è esposti durante il volo, come si svolge la vita in cabina. E i pericoli? Uno dei più temuti da molti viaggiatori è il rischio che un fulmine colpisca l’aereo. Don’t panic, please!, la cosa è stata prevista e ci sono molte ragioni per cui non finirete flambè. Semmai, preoccupatevi nel caso di eruzioni vulcaniche perché se molto intense possono oscurare l’aria, ma in tal caso – ancora una volta – niente paura: gli aerei non partono. Così come accadde nel 2010, per colpa di quel vulcano che col suo nome aspira a diventare un seviziatore degli appassionati di parole crociate: Eyjafiallajökull. Concludendo, un libro di piacevolissima lettura che raccontando un normale viaggio fra e sopra le nuvole fa capire in modo scorrevole tante cose sul mondo delle scienze che ci circonda. Cliccando QUI si può leggere il primo capitolo del libro. Brian Clegg Volando si impara Traduzione di Luisa Doplicher Pagine 232, Euro 12.20 Zanichelli
venerdì, 23 novembre 2012
Contaminazioni (1)
La letteratura per l’infanzia dimostra ai nostri giorni – come peraltro dimostra (cosa ancor più grave) anche la scuola – di non aver compreso i segnali della nostra epoca che con la tv, la Rete, l’animazione cinematografica, lo smartphone, i videogiochi, ha reso la percezione che oggi hanno i ragazzi, sia della realtà sia della fantasia, diversa da quella di un tempo. Siamo in un’epoca in cui è protagonista la crossmedialità stimolando un processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato in un’evoluzione che dal multicodice è convertita in intercodice. Un libro straordinario su questo tema è stato pubblicato da Apogeo, è intitolato Contaminazioni Letteratura per ragazzi e crossmedialità; ne è autrice Anna Antoniazzi. Studiosa del rapporto narrativo e immaginativo che lega il libro agli altri media, è ricercatrice di Storia dell’educazione presso il Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Genova. Ha scritto monografie, saggi in volumi collettivi e alcune voci dell'Enciclopedia dei ragazzi Treccani. Suoi sono i volumi: Romagna incantata (2003); Nella stanza dei bambini (con Adalinda Gasparini, 2009); Romagna notturna (2011). Per Apogeo, ha pubblicato Labirinti elettronici. È autrice del video Lo sguardo di Chamsous. Bambine nell'immaginario (MeLa, 2010). Consiglio di vedere anche questo video. Plurali soni i pregi di “Contaminazioni”. Su tutti ne spiccano due. Interpretare i tempi tecnologici che viviamo non rinnegando la pagina scritta ma studiandone la sua estensione nei media digitali; operazione che è permessa all’autrice in virtù di una vastissima conoscenza che ha della letteratura per l’infanzia d’ogni tempo congiunta a quella dei fumetti, dei videogames narrativi, dei libri interattivi. Altro merito è trattare tale materia in modo complesso e mai complicato attraverso una scrittura scorrevolissima, lontana dal birignao accademico. Nell’Introduzione l’Antoniazzi scrive: “Anche quando la narrazione non supera i confini del testo, in molti casi si avverte il rimando ad altre forme di linguaggio e in particolare a quello videogiocabile. Romanzi come Hunger Games di Suzanne Collins e Roar di Emma Clayton, per esempio, hanno il ritmo frenetico degli Shoot’em up e degli Adventures più crudi, ma lungi dal distogliere il lettore dalla trama lo gettano direttamente nelle pieghe della narrazione. In questo modo la scrittura – e di conseguenza la lettura – diviene il momento di aggregazione di una pluralità di linguaggi mediatici diversi e si riposiziona, senza alcuna soggezione, nell'ambito delle narrazioni contemporanee. Dalla Prefazione di Emy Beseghi: "Ancora una volta la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, prima e forse più efficacemente di altri media, propone la necessità di un cambiamento di paradigma come irrinunciabile ipotesi esistenziale. Gli scenari che si prospettano, però, non sono esclusivamente apocalittici, perché al di là di ogni distopia inseguono il sogno di un futuro migliore. L’impresa appassionata e carica di sorprese conoscitive di chi studia la Letteratura per l’infanzia porta a varcare molte soglie: il libro per bambini è un vasto universo comunicativo dai confini aperti capace di offrire allo sguardo dello studioso un immenso potenziale. In particolare l’autrice, con il coraggio di un’autentica pioniera sa coniugare radici e mondi possibili, varca quelle soglie che nascondono i fertili territori immaginativi della crossmedialità offrendoci irrinunciabili chiavi interpretative". Per leggere l’Indice del volume: CLIC! Segue ora un incontro con Anna Antoniazzi.
Contaminazioni (2)
Ad Anna Antoniazzi (in foto), ho rivolto alcune domande. Quale la principale motivazione che ti ha spinto a questo lavoro? Sono grande appassionata di storie e la curiosità mi spinge ad esplorarle attraverso strumenti narrativi diversi: la letteratura, il cinema, il teatro, il videogioco, le app, eccetera. In questi ultimi anni molti indizi mi hanno indotto a pensare che fosse in atto un processo di ridefinizione dei territori stessi della narrazione, attraverso un sempre maggiore rimescolamento e una sempre più profonda contaminazione sia tra generi e media, che tra la letteratura dedicata ai ragazzi e quella adulta. L’immaginario contemporaneo è in pieno fermento e la crossmedialità diviene lo strumento privilegiato per raccontare la complessità e la gravità del presente attraverso metafore ben riconoscibili attinte da fiabe, miti, leggende e opere letterarie, spesso dedicate ai bambini e ai ragazzi. In virtù di quale meccanismo i personaggi dai fumetti ai videogiochi, da Dylan Dog a SuperMario a Lara Croft e altri, hanno conquistato uno spazio nell'immaginario collettivo pari, o addirittura superiore, ai personaggi della letteratura per l'infanzia? Si tratta, in primo luogo, di personaggi che hanno saputo, meglio di altri, incarnare la propria epoca, facendosi metafora viva e palpitante del presente. Non si tratta, però, di personaggi completamente inediti perché conservano su di sé le tracce dei protagonisti delle fiabe antiche e della migliore letteratura per l’infanzia. Come quelli si trovano soli ad affrontare pericoli e prove terrificanti, a combattere contro nemici potenti e a cercare di tornare a casa; in altri termini compiono veri e propri percorsi iniziatici, dai quali escono diversi da come erano partiti; trasformati. Fra tutti è Lara Croft a rappresentare la vera icona dell’immaginario contemporaneo, divenendo paradigma dei cambiamenti epocali e della svolta immaginativa che si affaccia al nostro orizzonte di esperienza. Cambiamenti che si possono leggere non solo sulla superficie del suo corpo virtuale, spesso oggetto di restyling, ma anche nella sua personalità. Non a caso è nell’ultimo titolo della serie che Lara acquisisce caratteristiche estetiche e caratteriali nuove, volte a renderla più umana, ma anche a facilitare l’immedesimazione del videogiocatore in un personaggio ormai divenuto mito. Aldilà dei tagli finanziari subiti dalla scuola che, secondo alcuni, ostacolano gravemente l'ammodernamento degli strumenti didattici, mi pare ci sia da parte di molti insegnanti un ritardo culturale (e, in certi casi, addirittura dell'ostilità) verso fumetti, videogiochi, e altre tecnologie che, invece, potrebbero essere messe al servizio dell'insegnamento. Sei d'accordo oppure no? Se sì o no, perché? La scuola, in generale, è sempre stata refrattaria all’utilizzo dei nuovi media (prima il fumetto e la televisione, poi il videoregistratore, il computer, le console, i tablet…) all’interno delle aule scolastiche, ma adesso il problema sembra assumere caratteristiche ancora più gravi dal momento che, a livello sociale, esiste un vero e proprio ritardo culturale di un’intera generazione adulta che non conosce – e pertanto snobba o dileggia – le nuove tecnologie. Al di là e, in parte, anche come conseguenza dei tagli finanziari, il paradosso delle attuali disposizioni in materia scolastica è l’inserimento “forzoso” nella didattica di LIM e tablet, senza l’attivazione di un vero e proprio “sistema culturale” in grado di favorire lo sviluppo di competenze, una curiosità esplorativa nei confronti delle potenzialità dei media (vecchi e nuovi) e la capacità di riconoscere (e quindi di poter scegliere) la qualità e il valore di una proposta didattica, qualunque sia il medium di riferimento. Anna Antoniazzi Contaminazioni Prefazione di Emy Beseghi Pagine 174, Euro 14.00 Apogeo
giovedì, 22 novembre 2012
Messina Sotterraneo Moderno
Impropriamente la parola “artista” è associata a qualche specifico campo estetico (preferibilmente alle arti visive o al bel canto), ma se si consulta un dizionario ecco che quella parola conosce la sua vasta estensione, infatti, leggiamo: “É definito artista un creatore di opere dotate di valore estetico in campi come la pittura, la musica, l'architettura, il disegno, la scrittura, la scultura, la danza, il canto, la regia, la fotografia, la recitazione”. Fu alla fine degli anni ’60 del secolo scorso che, sulla spinta della pratica del multicodice, nacque la parola “poliartista” per definire quel personaggio che agiva in più campi e, spesso, in ognuno di quei campi intrecciando più linguaggi. Così stando le cose, ecco che la parola “poliartista” s’addice perfettamente a Sergio Messina il quale da anni invade e pervade più aree espressive facendo registrare successi dalla musica – suo campo di partenza – alle arti visive, dalla radio alla web performance, dal sound design alla scrittura, sempre impegnandosi impagabilmente nelle aree più estreme dei linguaggi. Per entrare nel suo sito web, bussare QUI. Ora è presente, come scultore, a Subterranean Modern dal Punk all’Urban Art con due pezzi, entrambi con lo stesso titolo: Love is Pain. In foto, il dettaglio di una delle due opere. Subterranean Modern è un percorso ideato da Giacomo Spazio nei meandri dell’arte contemporanea italiana attraverso i lavori di 50 artisti, dove musica, cultura pop, illegalità diffusa ed estetica del ‘fai da te’ offrono una visione unica ma multistratificata della realtà. Così il curatore presenta il suo lavoro: “In questo preciso momento storico non penso ci sia realmente nessuna persona in grado di stabilire con certezza cosa sia arte o cosa essa potrebbe essere e tanto meno quale sia la direzione che essa stia prendendo. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che l’arte in questo nuovo secolo potrà assumere qualsiasi forma ma da ora in poi, non sarà mai più elitaria”. Subterranean Modern, dai suoi organizzatori è detto inoltre: Un percorso culturale ed estetico dell’arte italiana attraverso un arco temporale lungo 30 anni. I protagonisti di questo mondo variopinto […] pur avendo quasi tutti studi accademici alle spalle, preferiscono esprimere intensamente le loro referenze provenienti dai fumetti, dai graffiti, dalla fantascienza, dall’architettura, dai manga, dai cartoni animati e naturalmente anche dalla musica, sia essa punk, reggae, new wave, jazz, hip-hop. […] Subterranean Modern è una prima occasione per gettare uno sguardo scevro da pregiudizi sul panorama artistico nazionale, mettendo in risalto sia il lavoro di ogni singolo artista sia la relazione che intercorre e lega il lavoro di ognuno a quello degli altri attraverso il contesto culturale in cui tutti sono cresciuti e nel quale la loro arte si è nutrita e evoluta pur sapendo che è impossibile raggrupparli tutti con un nome collettivo che riesca a definirli come corrente artistica. Don Gallery presenta “Subterranean Modern” Via Tortona 32, Milano Da oggi al 15 dicembre 2012
mercoledì, 21 novembre 2012
Storia sentimentale dell'astronomia (1)
La parola “divulgazione”, al suono, non ha buona fama eppure la sua funzione comunicativa è nobilissima; dallo Zingarelli: “Esposizione di argomenti, spec. scientifici, in modo accessibile a tutti”. Esposizione assai difficile a farla bene nel campo delle scienze anche perché ancora soffriamo del deleterio influsso dell'idealismo di Croce e Gentile con la prevalenza dell’umanesimo sulla scienza e sulla tecnica. Forse anche per questo abbiamo pochissimi divulgatori (gli inglesi li chiamano "scientific explainer”) veramente efficaci. Tra le poche firme italiane di valore va registrata quella di Piero Bianucci (in foto) che con il suo più recente libro Storia sentimentale dell’astronomia, pubblicato da Longanesi conferma le doti già espresse in precedenti volumi e con i suoi articoli su “La Stampa”. È, infatti, giornalista scientifico per quel giornale, responsabile editoriale del mensile “le Stelle” e docente di Comunicazione scientifica all’Università di Torino. È autore di una trentina di libri che trattano di astronomia, energia, telecomunicazioni e tecnologie avanzate. Nel catalogo Longanesi figura anche Le macchine invisibili. La International Astronomical Union gli ha dedicato il pianetino 4821 in orbita tra Marte e Giove. Per visitare il suo sito web: CLIC!
Storia sentimentale dell’astronomia è strutturato in tre parti: “A occhio nudo” che va da ‘L’uomo di Neanderthal sotto le stelle’ fino al rogo cristianamente voluto dal Vaticano sul quale arse Giordano Bruno con la lingua serrata nella mordacchia. La seconda parte, “Con l’occhio al telescopio”, va dalla supernova apparsa nel 1604, cosa che traccia il confine tra il cielo osservato un tempo ad occhio nudo e da allora col cannocchiale, fino all’avvento della fotografia, del cinema e dei loro preziosi contributi all’astronomia. La terza parte tratta la nascita dell’astronomia dell’invisibile e con essa l’astrofisica moderna arrivando fino ai giorni nostri. Ma dietro questi avvenimenti, che scorrono attraverso secoli e secoli, quali furono coloro che li resero possibili? Quali vite hanno avuto? Quali particolari episodi segnarono la svolta delle loro ricerche? Chi amarono? Chi odiarono? Qui Bianucci sfodera, attraverso capitoli brevi, veloci, una pirotecnica abilità di dare risposte alle domande di cui sopra. C’informa su contesti storici e angoli privati degli scienziati visitati in quella galoppata attraverso il tempo illustrandone momenti ora buffi ora tragici con una scrittura rapida e seduttiva che rende prezioso questo volume. Segue ora un incontro con Piero Bianucci.
Storia sentimentale dell'astronomia (2)
A Piero Bianucci ho rivolto alcune domande. Quale la principale motivazione che è all’origine di “Storia sentimentale dell’astronomia”? Avvicinare all'astronomia un pubblico diverso da quello che di solito mi legge. Non quello gli appassionati di cose scientifiche, non gli astrofili che hanno telescopi e scaffali interi di libri astronomici, non chi va in edicola ad acquistare riviste come "le Stelle" e "Orione". Volevo invece parlare a chi è curioso di storie umane, a costo di cadere nel pettegolezzo o, come ora si usa dire, nel gossip. Volevo raccontare le scoperte astronomiche che hanno cambiato la nostra visione dell'universo nel corso dei secoli, ma partendo dagli uomini che quelle scoperte le hanno fatte. La divulgazione è prima di tutto racconto. Se hai una buona storia, hai un pubblico che da quella storia è anche disposto a imparare qualcosa. In fondo questa è la stessa operazione che ho cercato di fare scrivendo "Le macchine invisibili": raccontare tecnologie che usiamo tutti i giorni senza sapere come funzionano né chi le ha inventate. Perché nel titolo del volume compare l’aggettivo “sentimentale”? Ho usato l'aggettivo "sentimentale" in senso ampio, e forse un po' improprio. Un primo significato si avvicina a quello della parola "emotivo", legato a emozioni, e quindi a sentimenti. Quali? La meraviglia, lo stupore, lo smarrimento, la percezione indistinta del sublime, talvolta la paura che suscita la notte con un cielo pieno di stelle. Il secondo significato è più letterale. Per raccontare le vite degli astronomi sono andato a frugare nella loro vita affettiva. Amori, gelosie, ambizioni, magnanimità e miserie. In questo gli astronomi non sono diversi da tutti gli altri uomini. Nel loro caso però colpisce il contrasto tra la grandiosità delle domande sull'universo a cui cercavano di rispondere e la piccolezza di certe situazioni umane. Il suo libro termina con uno sguardo al futuro, il capitolo è intitolato ”Alla ricerca di E.T.” Paul Davies, direttore del Progetto Seti nel dichiarare che in mezzo secolo di ricerca non siano stati raggiunti finora risultati, afferma che, forse, si è sbagliato l’approccio cercando vita simile alla nostra mentre questo potrebbe essere un errore. Il suo pensiero? Credo che Davies abbia ragione. Quando pensiamo ad eventuali creature intelligenti extraterrestri la cosa più difficile è liberarsi da una prospettiva antropomorfa. E' vero che le leggi della fisica, della chimica e della biologia sono probabilmente le stesse in ogni luogo dell'universo ma basta vedere come la vita si è diversificata sulla Terra, dai batteri estremofili agli uccelli, ai pesci, all'uomo, per renderci conto che la natura ha molta più fantasia di noi. Se in un ambiente ristretto e uniforme come il nostro si sono sviluppate forme di vita così diverse, chissà quali organismi possono essersi evoluti nel cosmo. Certo, la chimica del carbonio ci sembra più flessibile della chimica del silicio. Questo però è ancora un modo di ragionare provinciale, basato sulla sola esperienza terrestre. Lo stesso discorso vale per i mezzi di comunicazione. Noi pensiamo alle onde radio, o più in generale alle radiazioni elettromagnetiche. Ma che ne sappiamo dei mezzi di comunicazione di una civiltà più evoluta? Noi stessi meno di due secoli fa non sapevamo nulla delle onde radio. Per una scheda sul libro: QUI. Piero Bianucci Storia sentimentale dell’astronomia Pagine 312, Euro19.90 Longanesi
martedì, 20 novembre 2012
Da Pinocchio a Harry Potter
Aveva 28 anni nel 1862 Adriano Salani quando aprì un piccolo stabilimento tipografico a Firenze città in cui era nato. Presto s‘aggiunse la casa editrice che ancora oggi, inserita nel Gruppo Mauri - Spagnol, è in fiorente attività e festeggia quest’anno, i 150 anni di vita. Lo fa con la mostra Da Pinocchio a Harry Potter 150 anni di illustrazione italiana dall’Archivio Salani promossa e prodotta dal Comune di Milano, Castello Sforzesco e Palazzo Reale con Adriano Salani Editore. E' curata dallo storico dell’arte Giorgio Bacci. La mostra nasce da un progetto scientifico, portato avanti da Adriano Salani Editore e dal Laboratorio di Arti Visive della Scuola Normale Superiore di Pisa, che punta allo studio e alla digitalizzazione dei disegni originali conservati. La struttura dell’esposizione prevede tre sezioni, che integrano l’aspetto cronologico e quello tematico, privilegiando di volta in volta i singoli titoli, oppure la sequenza associata alla collana. Ogni sezione consiste di una panoramica generale concernente le diverse edizioni del periodo preso in esame, di approfondimenti tematici e tematico-diacronici, e di ‘carte d’archivio’. L’archivio della casa editrice Salani, caso straordinario in Italia e in Europa, conserva un patrimonio di circa 30.000 disegni preparatori per edizioni illustrate dalla fine dell’Ottocento agli anni Settanta e Ottanta del Novecento, con alcune appendici che si affacciano sul nuovo millennio, con la celebre collana de “Gl’Istrici” e con le immagini della produzione recente. Si passa dai primi librettini illustrati a pochi centesimi, grazie ai quali Adriano Salani intraprese la sua prima attività, alle fortunatissime «Biblioteca Illustrata» (1894) e «Biblioteca Economica» (1874), dai «Librini del Cuccù» (1934) alla «Biblioteca dei miei ragazzi» (1931), per arrivare ad Heidi, tradotta dallo schermo televisivo sulle pagine, ormai a colori smaglianti, dei libri illustrati. È un viaggio che diventa un’esplorazione inedita dell’immaginario visivo italiano, attraversando il processo di alfabetizzazione ottocentesco e il ventennio fascista, l’arrivo della TV e lo sviluppo del fotoromanzo, ma anche i personaggi Disney, che Salani era stato tra i primi a importare in Italia negli anni Trenta. Cambia la percezione e la nozione di fiabesco e mutano i colori e i tempi di ricezione delle immagini, secondo un meccanismo di lettura delle figure che si fa sempre più veloce. La Salani pubblicava non solo libri per l’infanzia, ma anche collane dedicate a un settore di pubblico costantemente in ascesa, quello femminile, che legge i romanzi dell'Invernizio alla fine dell’Ottocento nella “Biblioteca Salani Illustrata”, proseguendo con la Delly nella “Biblioteca della Signorine” e nei “Grandi Romanzi Salani” negli anni Trenta e Quaranta e gli scritti della Magalì nei “Romanzi della rosa” nella seconda metà del Novecento. Protagonisti assoluti sono ovviamente gli illustratori: da Carlo Chiostri ed Ezio Anichini a Luigi e Maria Augusta Cavalieri, da Carlo Vitoli Russo a Ugo Signorini, da Fiorenzo e Giovanni Faorzi a Gastone Rossini, solo per citarne alcuni, per arrivare ad artisti contemporanei quali Dalì, Quentin Blake, Emanuele Luzzati, Mimmo Paladino, Tullio Pericoli, Sergio Staino e Altan. Alla mostra è associata una serie d’incontri fino al 20 dicembre, vedi QUI.
Per una guida alla mostra: CLIC! Ufficio Stampa: Simona Scandellari simona.scandellari@salani.it; tel. 02.34597632 – 335.7513146 Ufficio eventi Salani: Giulia Tonelli, 02.34597632 Da Pinocchio A Harry Potter Palazzo Sforzesco, Milano Fino al 20 dicembre ‘12
lunedì, 19 novembre 2012
Siamo spiacenti
Sui rifiuti editoriali si è scritto e detto tanto producendo l’indesiderato effetto che ogni autore respinto si sente autorizzato a ritenersi un grande come, in effetti, a tanti grandi autori è capitato d’essere respinti. Le cose, però, non stanno così. Tanti rifiuti sono giusti e, probabilmente, soffriamo, invece, la presenza di tante pagine che meritavano d’essere rimandate ai tanti mittenti. Ma, come dicevo, di rifiuti errati ce ne sono molti, e come non ricordare il “Dolenti declinare” di Umberto Eco in “Diario minimo” dove è satireggiato un immaginario redattore che sconsiglia all’editore la Divina Commedia e il Don Chisciotte, è scettico sui Promessi Sposi, e vada per la Bibbia ma solo per i primi cinque libri e a condizione di cambiare il titolo in “I disperati del Mar Rosso”. Nel rifiutare un libro possono accadere anche delle gag, di una sono testimone: una nota casa editrice mi mandò, con molto ritardo sull’invio del mio manoscritto, il suo “dolenti declinare” mentre il libro era già uscito per altra editrice, e recensito dal Corsera a Repubblica, da programmi radio e tv.
Sui rifiuti editoriali sono usciti molti libri, ma credo che nessuno (non me ne vogliano i loro autori) abbia raggiunto l’estensione e la documentazione di Siamo spiacenti Controstoria dell’editoria italiana attraverso i rifiuti pubblicato da Bruno Mondadori. Ne è autore Gian Carlo Ferretti, uno dei grandi riferimenti del mondo letterario italiano contemporaneo. Giornalista, critico, autore di saggi illuminanti su diversi giganti del Novecento – quali Pasolini, Calvino, Vittorini - e di una fondamentale “Storia dell’editoria” dal ’45 ad oggi. In "Siamo spiacenti", ricchissimo di notizie, testimonianze, e aneddoti, è tracciata una controstoria dagli anni Venti del secolo scorso ad oggi con riferimento particolare alla narrativa italiana contemporanea. Perché controstoria? Perché fa luce su molti fatti che la vulgata ha distorto imponendo notizie non vere. Un solo esempio: Vittorini passa come un persecutore del libro di Tomasi di Lampedusa “Il Gattopardo” che l’autore mai vide pubblicato perché uscì postumo. A Vittorini, c’informa Ferretti, mai piacque quel libro ma ne intuì la portata commerciale e ne consigliò a Mondadori la pubblicazione, altri mondadoriani si opposero. Poi capitò anche che Vittorini riebbe tra le mani quel libro, ma lui allora dirigeva per Einaudi ‘I gettoni’ e stavolta lo rifiutò perché – ed era verissimo – l’opera era lontana dalla linea di quella collana. Quindi, semmai, Vittorini fu bravo due volte: la prima nel consigliarlo e nel secondo nel non accettarlo perché nei Gettoni sarebbe stato fuori posto e non avrebbe avuto la fortuna che invece ebbe con Feltrinelli. E’ solo un esempio, ma il libro indaga, tra gli anni di boom e i nostri di crisi, quanto è avvenuto in tante case editrici da Rizzoli a Bompiani, da Adelphi a Garzanti, da Rusconi a Vallecchi e in altre ancora. Ferretti, inoltre, fa notare che “negli ultimi anni le possibilità di uscire dall’inedito su carta o in Rete sono aumentate vertiginosamente". In “Siamo spiacenti” è ricostruita una storia dell’editoria italiana e dei fatti politici e di costume che le fanno da sfondo, dalle censure fasciste ai partiti che dal dopoguerra ad oggi, talvolta, hanno condizionato scelte e linee editoriali. Tutto questo senza mai fare gossip, ma scrutando epistolari, riferendo fatti cui l’autore è stato testimone, operando una stringata cronaca di ciò che è avvenuto nelle officine letterarie e pervenendo a una conclusione: Niente di meglio di un rifiuto. Se leggerete, come vi consiglio di fare, verrete a capo del perché. Per una scheda e l’Indice del libro: CLIC! Gian Carlo Ferretti Siamo spiacenti Pagine 176, Euro 20.00 Bruno Mondadori
venerdì, 16 novembre 2012
Sfortunato il paese che non ha eroi
Gli eroi che siamo abituati a conoscere si battono per ideali ora patriottici ora sociali, le loro figure si ergono maestose nelle pagine di libri di storia, nelle inquadrature di molti film, rispondono tutti a un ruolo che corrisponde a quello desiderato da chi li osserva. L’eroe tradizionale, nella realtà ma pure in molte opere di fantasia, dà sempre quello che ci si aspetta da lui. Ecco perché Garrone – “un leoncello furioso pareva” – è visto come un eroe e Umberto Eco, più giustamente, lo considera un figlio di mignotta. L’editrice Ponte alle Grazie ha mandato in libreria un nuovo libro di Simone Regazzoni intitolato Sfortunato il paese che non ha eroi Come di solito, Regazzoni presenta tesi sul vissuto in cui la cultura di massa è indagata con gli strumenti della filosofia, ma si va oltre: diventa essa stessa percorso filosofico. Ricordo ai più distratti alcuni suoi tratti bibliografici. Filosofo, allievo di Jacques Derrida, si occupa di filosofia politica e filosofia della cultura di massa. Per Il Melangolo ha pubblicato La decostruzione del politico (2006); Nel nome di Chora (2008); Harry Potter e la filosofia (2008, il link precedente contiene anche un video); Derrida. Biopolitica e democrazia (2012); Martin H. Martin H. Live in New York City(2012); Nel catalogo di Ponte alle Grazie figurano – oltre a “Sfortunato il paese che non ha eroi” – anche La filosofia di Lost (Qui un’interessante videointervista sul libro) e Pornosofia. A Simone Regazzoni ho rivolto alcune domande. Da quale riflessione nasce questo tuo recente libro? Il libro è una risposta al clima di ritorno all’ordine adottato recentemente in filosofia. Penso in primo luogo al nuovo realismo di Maurizio Ferraris, la cui giustificazione ultima, non a caso, è di tipo morale. In questo senso il nuovo realismo è una forma di pericoloso moralismo che occorre decostruire. Contro il neo moralismo di questi dinosauri della filosofia, occorre elaborare nuove risposte etiche. Il mio eroe è un tentativo di rompere con le risposte reattive e i ritorni all’ordine per porre la questione etica come questione di una decisione di eccezione, di una decisione che eccede qualsiasi norma data o definizione del bene, per produrre un evento. L’etica eroica è così il tentativo di liberare l’etica del suo asservimento al legale per ridare all’etica la sua dimensione creativa. In questo mi richiamo in particolare a Derrida e Lacan. In polemica con la riduttiva lettura di Lacan proposta di Recalcati in “Che cosa resta del padre” propongo di pensare un’etica eroica come etica dell’atto al di là della Legge. Se questo può sembrare pericoloso non dimentichiamo che Eichmann si giustificò dicendo di aver obbedito alla legge. Di quale eroismo ti occupi? Cioè chi è l’eroe che disprezzi e, invece, qual è quello che ti garba? Critico come superata, e pericolosa, la visione dell’eroe che si batte per il bene comune, la nazione, la patria e più in generale per una Causa. Per questo tipo di eroi non c’è più spazio oggi, per fortuna. E’ in infatti in nome del bene e delle grandi Cause che si commettono spesso i crimini più atroci. Guardando alla cultura di massa, dal “Dirty Harry” di Clint Eastwood al “Batman” di Nolan, propongo di pensare l’eroe come un soggetto che non cede sul proprio desiderio assoluto, singolare: vale a dire sul proprio godimento. Il godimento non è il piacere o il tornaconto personale, ma la cifra ultima della mia singolarità. Perché hanno avuto tanto successo quelle parole di Brecht: “Fortunato il paese che non ha bisogno di eroi”? Perché una certa retorica della normalità democratica ha sempre il fascino del politicamente corretto. In verità le cose sono più complesse, e le decisioni importanti richiedono sempre una rottura con la normalità e le norme, altrimenti non avrebbero nulla di etico. Abbiamo bisogno di eroi perché abbiamo bisogno di soggetti che si prendano la responsabilità di compiere atti etici, e non solo di predicare la morale. Non c’è niente di etico nel limitarsi ad applicare semplicemente una norma, ha scritto Derrida. L’atto etico come atto eroico è quello che si prende la responsabilità, e il rischio, di decidere al di là della legge. In questo senso, nel momento della decisione, non c’è distinzione tra eroe e criminale, e un giudizio potrà essere dato solo a posteriori, sulla base degli effetti dell’atto. Simone Regazzoni Sfortunato il paese che non ha eroi Pagine 115, Euro 10.20 Ponte alle Grazie
mercoledì, 14 novembre 2012
Vulcano di Kantor
Già altre volte in Italia abbiamo visto opere di Maxim Kantor artista nato a Mosca nel 1957, vicino alla tradizione dell’espressionismo tedesco ereditandone i temi e le forme della sofferenza della condizione umana. E’ stato nel 1988 presso lo Studio Marconi Milano, ha partecipato nel 1997 alla XLVII Biennale di Venezia con la mostra “Criminal Chronicle” (cui fu completamente dedicato il Padiglione Russo) e nel 2005 alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia. Sue opere sono esposte in alcuni tra i più importanti musei del mondo, tra cui il British Museum di Londra, lo Städel Museum di Francoforte, la Galleria Tretjakov di Mosca, la South Australia Gallery di Adelaide. Kantor è anche scrittore, autore di cinque opere letterarie, alcune in corso di traduzione in italiano e inglese, di diverse pièce teatrali e di tre raccolte di saggi. L’artista collabora con il giornale inglese online “Open Democracy”, col mensile parigino “Le Monde Diplomatique”, e con i giornali moscoviti “Novaya Gazeta”, “Rossiiskaja Gazeta” ed “Expert”. Viaggiatore inquieto, vive tra l’Île de Ré (Francia), Oxford, Berlino e Mosca.
Ora è possibile vedere per la prima volta in Italia in maniera completa l’opera di Maxim Kantor, infatti, la Fondazione Stelline di Milano, in collaborazione con il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, presenta una panoramica dell’artista russo. Il cuore dell’esposizione, a cura di Alexandr Borovsky e Cristina Barbano, è il portfolio Vulcanus. Atlas realizzato nel 2010, cui fanno da cornice un nucleo di lavori degli ultimi anni e alcuni esempi rappresentavi dell’intera attività di Kantor (1980-2012). La mostra, è accompagnata da un ricco catalogo (Palace Edition), con testi dei due curatori dell'esposizione, una prefazione di Camillo Fornasieri, un saggio introduttivo di Erik Hobsbaum, interventi di Vittorio Hosle, Ulrike Göschenen, Alexander Zinoviev e dello stesso Kantor. L'occasione costituisce uno spunto prezioso per riflettere sul nostro presente; per i ragazzi del triennio della scuola secondaria di secondo grado e per tutti i visitatori adulti Ad Artem offre visite guidate gratuite la domenica pomeriggio alle ore 16.00 e visite guidate su prenotazione a pagamento per il pubblico organizzato. Per visitare Il website dell’artista, con una versione in inglese: QUI. Ufficio Stampa Mostra: Studio Pozzi, Alessandra Pozzi pozzicomunicazione@gmail.com; T. +39 02 – 76 00 39 12; Cell +39 338 – 59 65 789 Maxim Kantor Vulcano A cura di Alexandr Borovsky e Cristina Barbano Fondazione Stelline Corso Magenta 61, Milano Infoline: +39.0245462.411 Fino al 6 gennaio ‘13
L'Ateo
Il bimestrale "L’Ateo" dell’Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti), diretto da Maria Turchetto, stavolta dedica lo “special” che apre ogni numero ad un tema che interessa certamente gli atei, ma, credo (o voglio immaginare) anche i credenti. Si tratta degli altri ateismi, in contesti culturali e politici diversi dal nostro. Gli approfondimenti che vi proponiamo – scrive nell’editoriale la direttrice – riguardano tre punti principali: la posizione dell’islam nei confronti con l’apostasia (l’articolo di Valentina Fedele, che è un’esperta di diritto islamico) e della scienza (affrontato da Stefano Bigliardi attraverso il pensiero critico del fisico Taner Edis, autore del volume “An Illusion of Harmony. Science and Religion in Islam”); il pensiero materialista e razionalista indiano, che presenta un filone filosofico di tutto rispetto ancorché snobbato dagli occidentali (nel lungo contributo di Fabrizio Gonnelli); infine, la questione dell’”ateismo cristiano”, ossia di quelle scelte intermedie tra credenza e incredulità che riguardano una parte rilevantissima dell’umanità (Francesco D’Alpa declina il tema per il solo cristianesimo, ma il fenomeno è davvero cospicuo: le statistiche dicono che se si sommano i credenti convinti agli atei altrettanto convinti non si raggiunge la metà della popolazione mondiale e che il paese simbolo di questa tendenza è il Giappone, dove i credenti dichiarati sono il 4,3% ma gli atei raggiungono appena l’8,7%). Insomma, vengono illuminati territori di pensiero che per molti di noi sono oscuri anche perché non è data loro visibilità nei media. Altri articoli interessanti: “Il riso di Dio” scritto da Ferdinando Maria Vallania, dove, apprendiamo che non è Dio che ride, bensì Sara, e prima di lei Abramo che ridono dell’annuncio, fatto da Dio, della gravidanza della novantenne Sara (Gn 17,17); “La ricchezza della satira” di Giancarlo Colombo; “Nichilismo ed ateismo in Albert Caracao” (per notizie biobibliografiche su questo filosofo QUI). La rivista "L'Ateo" è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di 4.00 euro
lunedì, 12 novembre 2012
FUOCOfuochino 2
Ci voleva la fantasia di un artista qual è Afro Somenzari per inventare una casa editrice che edita in poche copie scritture brevi, cioè quelle più difficili da scrivere. E ci voleva la pazienza di Afro (degna dei primi editori italiani quali Nicolò d'Aristotele o Francesco Marcolini da Forlì) per guidare in porto FUOCOfuochino. Già una volta Corraini distribuì in volume quegli scritti diagonali e discoli, ora lo fa in un secondo libro dove ci sono 19 pezzi nuovi. Le pagine sono scandite dalle illustrazioni di una grande matita, quella di Guido Scarabottolo; per visitare il suo sito web: CLIC!
Il volume di avvale della prefazione di Ernesto Ferrero che scrive: Il diluvio è già cominciato da un pezzo, e probabilmente è solo all’inizio. Per questo Afro Somenzari sta imbarcando sull’arca di FUOCOfuochino alcuni campioni di specie da portare a salvamento. Sono tutte rigorosamente lontane e anzi opposte ai modelli imperanti, quelli che hanno propiziato il disastro e lo assecondano con una protervia pari soltanto alla loro insipienza, voracità, mafiosità e cecità. A bordo non possono salire gli omologati d’ogni categoria, i praticoni dei romanzi di genere, i venditori di patacche filosofiche, i pensatori da talk-show, gli insaccatori di wurstel culturali, gli arpisti dei buoni sentimenti, i retori istituzionali, i manieristi travestiti da sperimentali, i faccendieri dell’organico e del monumentale, gli appiattiti del ribasso, i frequentatori di social network, i preziosi ridicoli di un’accademia ingessata e incipriata. Ammessi invece oulipiani ruspanti, patafisici casual, metafisici portatili, amletici leggeri, surrealisti non griffati, giocolieri e frombolieri verbali, artigiani del nonsense, del limerick e del wit, aforisti ben temperati, clown autodidatti, collezionisti di frammenti apocrifi, equilibristi del paradosso, scienziati di soluzioni immaginarie e rigorosamente improduttive oltreché manifestamente e gustosamente impossibili, acrobati del volo rovesciato, teorici dell’eccezione e della marginalità, irregolari & irriducibili, teneri misantropi che si ostinano a difendere le ultime ragioni dell’umano come nessun altro. Tutta gente che “vive alla nottata”, cioè nella zona franca di una creatività combinatoria che esplora i liberi territori delle associazioni mentali. Che rifiuta la logica del branco e non desidera assomigliare ad alcuno, e al massimo si riconosce vaghe parentele liberamente scelte. Chi rende visita all’arca di Afro sappia di essere esposto ai rischi del contagio. Volevo scrivere “risate con retrogusto amaro” e mi è capitato di digitare “rosate”, che provo a definire come “colpi sferzanti inferti con una rosa (meglio se antica o almeno inglese, opportunamente deprivata delle spine onde poterla meglio maneggiare)”. Cento, mille di queste “rosate”, Afro, e voi tutti amici di FUOCOfuochino. AA. VV. FUOCOfuochino 2 Prefazione di Ernesto Ferrero Illustrazioni di Guido Scarabottolo Pagine 176, Euro 18.00 FUOCOfuochino Editore
venerdì, 9 novembre 2012
Martha Nasibù
La casa editrice Beat ha mandato in libreria uno straordinario libro di Martha Nasibù. E' intitolato Memorie di una principessa etiope. Non si tratta di un romanzo, ma della ricostruzione fatta a sessant’anni di distanza da una tragedia. Quei ricordi riguardano da vicino noi italiani perché le sofferenze e i lutti patiti da questa donna le furono inferti dall’aggressione fascista al suo paese, senza nessuna dichiarazione di guerra, nel 1935. Martha aveva allora quattro anni e viveva in uno splendido palazzo ad Addis Abeba essendo figlia di un grande dignitario (degiac) dell’Imperatore d’Etiopia. Un paese, a larga maggioranza cristiana, invaso (con assoluto silenzio del Vaticano) solo a scopo di rapina. Inoltre, attaccando l'Etiopia, che era membro della Società delle Nazioni, l'Italia aveva violato l'articolo XVI dell'organizzazione medesima; altre violazioni seguiranno come ad esempio l’uso di armi chimiche pur vietate dalla Convenzione dell'Aia del 1907 e dal Protocollo di Ginevra del 1925 e le feroci fucilazioni di massa ordinate da Graziani. In quella guerra, uno degli eroici protagonisti fu il padre di Martha, Nasibù Zamanuel, che, a quarantadue anni, si spegnerà con i polmoni bruciati dall’iprite, in un sanatorio svizzero. Oggi, con le falsificazioni revisioniste della Storia si tenta di far passare come momenti gloriosi tanti momenti di autentica vergogna. Il libro s’avvale di un grande studioso sia del revisionismo – si legga QUI – sia di quei terribili anni vissuti da Martha Nasibù: Angelo Del Boca.
Nella prefazione scrive: “Di questo bellissimo, struggente, libro di ricordi sono fiero di potere assumere in parte la paternità, avendo io persuaso la marchesa Martha Nasibù a vincere ogni riluttanza a esplorare il passato e a ripercorrere vicende in gran parte tristissime […] Sono occorsi cinque anni per mettere a punto questo documento, che non ha soltanto valenza storica per gli episodi assolutamente inediti che rivela, ma ha anche il grande pregio di condurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta, in bilico fra le suggestive eredità del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernità”. Il volume, infatti, è un prezioso, quanto inquietante, specchio nel quale si riflette la nostra immagine d’un tempo fatta di soprusi e vigliaccheria (il nostro esercito era venti volte superiore per numero agli abissini e ciò nonostante ci vollero ben sette mesi di stragi per vincerne la resistenza), un monito affinché non ci si gingilli o ci si glori degli orrori di allora. A questo s’aggiunga che il libro, scritto in italiano, ha una grande grazia letteraria. Oltre a una bibliografia “Memorie di una principessa etiope” s’avvale di un glossario che traduce parole che appaiono nella lingua originale (ad esempio: Azai = “attendente reale). Martha Nasibù oggi ha 81 anni e vive a Perpignan dove dipinge e scrive. Per una scheda sul libro: QUI. Martha Nasibù Memorie di una principessa etiope Prefazione di Angelo Del Boca Pagine 272, Euro 9.00 Beat Edizioni
giovedì, 8 novembre 2012
Ronchi e Schifano (1)
A parte le biografie romanzate che detesto e vorrei che fossero proibite per decreto legge, sono da sempre un appassionato lettore della letteratura biografica, potrei perfino spacciarmi per un esperto anche se proprio così non è. Eppure mai mi era capitato di leggerne una dalla struttura tanto originale e tanto aderente al personaggio narrato quanto quella pubblicata da Johan & Levi intitolata Mario Schifano Una biografia. Il merito va a Luca Ronchi (Milano, 1956), autore e regista tv, amico del pittore (in foto). Tra le sue produzioni, nel 2001 ha realizzato e presentato alla 58a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il documentario Mario Schifano. Tutto di cui questo libro è la continuazione. La prima cosa azzeccata sta nel sottotitolo “una biografia”, nell’uso di quell’articolo indeterminativo che nella nostra grammatica indica una cosa generica, indefinita, che si considera come non ancora nota. Tale scelta è perfettamente aderente a quanto sostenuto da molti circa l’impossibilità d’inquadrare Schifano in un solo precisato, definito carattere. Scrive, infatti, Achille Bonito Oliva in una nota introduttiva al volume: “Riprendendo Licini, eretico, erotico, erratico è stato Mario nella sua parabola artistica ed esistenziale insieme”. I meriti di Ronchi proseguono oltre quell’indeterminativo, perché fa agire in senso drammaturgico le testimonianze di quanti accanto al pittore vissero o lavorarono, fino a presentare in apertura del libro una lista dei “personaggi” che incontreremo nella lettura come accade nei testi teatrali (ma anche nei “gialli” Mondadori) dove accanto al nome troviamo il “chi è”. Ad esempio, in questa biografia: Anthony Foutz – Scrittore e filmmaker americano e così via via per i tanti che intervengono nel libro, anche in modo contraddittorio fra loro: offrono una scheggia della loro esperienza con Schifano, poi lasciano la parola ad altri per ritornare a parlare più in là con una tecnica di montaggio che nel cinema è detta “a schiaffo”. Le pagine scorrono così veloci, incalzanti, come fu la storia di Schifano. Il ricchissimo apparato fotografico (in b/n e colore) è a cura di Monica De Bei Schifano.
Per una scheda sul libro: CLIC! Segue ora un incontro con Luca Ronchi Luca Ronchi Mario Schifano Pagine 432, Euro 29.00 Johan & Levi
Ronchi e Schifano (2)
A Luca Ronchi ho rivolto due domande.
Tu che hai avuto una lunga amicizia con Schifano dedicandogli anche, come dicevo poco prima, lavori cinematografici e letterari, puoi darci un’immagine della sua personalità? A lui interessava vivere intensamente la vita non ottenere una specie di immortalità attraverso la sua arte. Ecco un aneddoto inedito (raccontato da Robertino Ortensi) preso dalla numerosa mitologia schifanesca, un episodio che somiglia molto al "giudizio di Paride": Primi anni sessanta: durante un'estate torrida Schifano viene invitato dal barone F. a passare un weekend in una villa sulla costiera amalfitana. Qui trova tre ospiti: una collezionista napoletana, una gallerista americana e una tra le donne più belle a Roma in quel tempo. Una sera, dopo cena, il barone per gioco chiede a schifano di giudicare chi tra loro fosse la più bella. Le donne in coro promettono di rimettersi alle sue decisioni. Schifano chiede che si mostrino nude "per giudicarle meglio". La collezionista napoletana è la prima a mostrarsi, ma le altre le chiedono di togliersi anche le scarpe con i tacchi "perché le danno un vantaggio". Lei acconsente, ma chiede alla gallerista americana di togliersi le ciglia finta (che allora si usavano). Schifano: "Ora se non vi dispiace vorrei esaminarvi una ad una per non essere distratto dalle discussioni... avvicinati... voi due sarete gentili da lasciarci per qualche minuto?" La collezionista si mette in mostra girando su se stessa per mettere in luce i suoi lati migliori e dicendo: esaminami coscienziosamente. Ricordati che se mi giudicherai la più bella farò di te un ragazzo ricco. Potrai permetterti tutto. Comprerò tutti i tuoi quadri per la mia collezione. Te li pagherò molto, moltissimo, più di quanto puoi immaginare. E Mario: io non mi lascio comprare, grazie, ho visto quanto basta. Viene avanti la gallerista americana con modi decisi e risoluti. Dice: ascoltami, se sarai tanto furbo da assegnarmi il premio io farò di te l'artista più famoso e ammirato. Con il mio aiuto diventerai immortale, entrerai nella storia dell'arte... Schifano mentre la guarda le risponde: sono ancora confuso, non sono sicuro che valga la pena diventare famoso. Troppe preoccupazioni, troppe cose inutili. Io vorrei concentrarmi solo sulla mia pittura, però prometto di tenere in considerazione le tue legittime pretese. Ora puoi rivestirti e rimetterti le ciglia. Arriva la donna romana che gli scivola accanto dicendo: guardami bene e che nemmeno un particolare ti sfugga... stamani appena ti ho visto mi sono detta: questo è il ragazzo più bello e interessante in circolazione... peccato che si voglia seppellire dentro a uno studio pensando solo ai suoi colori... che ci perderesti a frequentare N. che è bella quanto me e non meno sensuale. Sono certa che se ti vedesse abbandonerebbe la sua casa e la sua famiglia per diventare la tua amante. Ora è moglie del principe R., ma ciò non crea ostacoli, può essere tua se lo vorrai. E Mario: ma come è possibile se è già sposata? Lei: non sai che sono brava a sistemare questioni del genere? Ti consiglio di tornare a Roma sotto la guida di mio fratello. Appena sarai arrivato io farò in modo che N. si innamori pazzamente di te. Puoi giurarlo? le chiede Schifano. Lei pronuncia un giuramento solenne e Mario senza pensarci due volte la giudica "la più bella". Schifano, anche da ragazzo, desiderava la vita, non l'immortalità eroica. A tuo avviso, quale importanza ha Schifano nella storia delle arti visive contemporanee? Posso solo dire che Schifano non ha rispettato le regole rigide del sistema dell'arte internazionale (un numero certificato di quadri, una produzione controllata...) e questo comportamento lo ha sempre molto penalizzato. Vedremo nei prossimi anni se ci sarà una riscoperta del suo lavoro.
mercoledì, 7 novembre 2012
Zingarelli
Segnalo oggi la nuova edizione del famoso vocabolario Zingarelli che ogni anno Zanichelli propone in libreria. Una testimonianza sul dizionario di ogni lingua, viene da una raccolta di aforismi che ho consultato, è del filosofo e poeta statunitense Ralph Waldo Emerson sul vocabolario: “E’ poesia fossile”. Una testimonianza personale. Intervistai tempo fa un maestro del giornalismo italiano, Enzo Golino, che tra l’altro mi disse a proposito della lingua italiana oggi: “Consiglio a tutti, cittadini italiani di ogni età, e anche agli immigrati, la lettura quotidiana di una pagina di vocabolario. Anzi, mi piacerebbe sancire questa raccomandazione con una proposta: qualcuno ne avesse voglia e ne avesse la volontà politica e culturale di farlo, potrebbe istituire la Giornata del Vocabolario Italiano con adeguate manifestazioni”. Proposta troppo saggia e intelligente per essere accolta in un’Italia in cui appena ieri una signora bresciana ministro della Pubblica Istruzione pronunciava per due volte in Parlamento 'Nemèsi', (proprio così con l’accento sulla seconda ‘e’), altri suoi colleghi alla Camera e al Senato ne hanno sfornato di tutti i colori in questi anni, per non dire su come sono scritte le avvertenze sui cartelli, le istruzioni sui documenti da compilare, etc. La Zanichelli fin dalla sua fondazione, nel 1859, ha sempre riservato grande attenzione alla lingua italiana e, ad esempio, sul suo sito c’è un interessante Osservatorio prodigo di utili consigli.
Lo Zingarelli nell’edizione 2013 è anche disponibile in supporti digitali: DVD, licenza online e in app per iPhone, iPad e tutti gli smartphone e tablet con sistema Android. Nella versione digitale il vocabolario è accompagnato dall’Enciclopedia Zingarelli 2013 con oltre 70.000 voci, aggiornata ad aprile 2012; il Dizionario della lingua italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini; l'Analizzatore morfologico che fornisce l'analisi grammaticale delle forme coniugate dei verbi e delle forme flesse di sostantivi, aggettivi e pronomi. Insomma in un DVD tutto il sapere completo in materia. Per conoscere prezzi e formati cartacei e digitali, cliccate QUI. Questo vocabolario è anche attento a raccogliere nuove parole, anche di origini dialettali, che dal parlato quotidiano e dai media sono diventati tanto d’uso da meritare l’inserimento nelle oltre 143.000 voci della nuova edizione (con 377.000 significati, 44.000 locuzioni e frasi idiomatiche; 72.000 etimologie). Alcuni esempi. Gabbio (per indicare “prigione”); Daspo (misura che vieta l’ingresso a manifestazioni sportive a certi ultras che, invece, volentieri metterei al Gabbio); ’Ndrina (cosca della ‘ndrangheta calabrese che, però, non solo in Calabria agisce perché, secondo malelingue, più di una ‘ndrina è approdata in Consigli Regionali perfino a nord della nostra penisola); Tanoressia (quella perniciosa tendenza compulsiva ad abbronzarsi talvolta fino al punto da rendere il volto come un cosciotto al forno); Giassai (un sintetico, fin troppo sintetico, ’sai bene come stanno le cose’); Vaiassa (femmina volgare e sguaiata nel dialetto napoletano; espressione prepotentemente rilanciata da tv e stampa quando riferiscono battute scambiate fra donne in politica durante sereni dibattiti); e anche dal napoletano proviene un’altra voce: Aumma Aumma. Che cosa significa? Lo capirete dall’esempio musicale che Cosmotaxi vi propone. Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli Zanichelli
Cravero a Paratissima
Da oggi si svolge a Torino l’ottava edizione di Paratissima; nata come manifestazione off di Artissima, fiera internazionale di arte contemporanea, è rapidamente cresciuta diventando uno dei punti espressivi di rilievo nello scenario nazionale delle arti. Arti. Al plurale. Perché ospita performers, fotografi, musicisti, illustratori, videomaker, pittori, stilisti, scrittori, registi, designer. Per l’edizione 2012 Paratissima avrà come scenario principale l’ex M.O.I. (anche da qui il titolo della presente edizione: Paratissima… c’est Moi!) e invaderà, inoltre, le strade, le piazze, le botteghe, i negozi sfitti e i locali storici di Borgo Filadelfia. Per i nomi degli artisti, chiedete QUI e vi sarà risposto. A Paratissima noto con piacere che partecipa un vecchio amico di questo sito: il fotografo Claudio Cravero (in foto) che ospitai tempo fa nella Sez. Nadir, cliccare per vederne lavori e leggere anche un suo autoritratto biografico e artistico. Un’altra esperienza stilistica, con lo sguardo sul paesaggio, lo ha portato ad esporre alla rassegna torinese. A proposito di Cravero, è convalescente, reduce da un bruttissimo incidente, travolto da un bus mentre andava in bicicletta (lui, non il bus), Cosmotaxi qui gli augura una completa e veloce guarigione. Sia come sia, seppure allettato (nel senso di ‘costretto a letto’) è riuscito a rispondere ad alcuni degli inviti pervenutigli partecipando così alla Biennale di Fotografia del Piemonte, e, inoltre, a vincere un primo premio più un secondo premio in due concorsi fotografici svoltisi rispettivamente a Latina e Torino: Chapeau! CLIC per visitare il suo sito web. Paratissima Torino Da oggi fino all’11 novembre
domenica, 4 novembre 2012
Miodini e Lucas (1)
Anche i grandi possono dire delle cospicue castronerie. Ne volete un esempio? E’ di Paul Gauguin: “Sono entrate le macchine, l’arte è uscita... sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile”. Ben diversa la musica con Walter Benjamin: “Non colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l'analfabeta del futuro”. Colto, infatti, è un grande fotoreporter italiano che con i suoi scatti fa narrazione sociale e psicologica raccontando la Storia: Uliano Lucas. Oggi ha 70 anni e non poteva trovare migliore riconoscimento del lavoro fin qui compiuto se non nel libro che presento oggi mandato in libreria da Bruno Mondadori e che reca per titolo solo il nome dell’artista: Uliano Lucas. A firmarlo è Lucia Miodini che è riuscita nell’impresa di scrivere contemporaneamente una biografia e un saggio perché nel narrare in modo vivace vita ed esperienze di Lucas ne tratteggia la valenza di segno negli scatti, il valore dell’inquadratura, la luce che illumina tragedie di guerre, malattie, povertà, temi sui quali si sofferma l’obiettivo del fotografo milanese. Importante è ricordare le sue origini come fa l’autrice nel volume: è nato da un padre autodidatta, anarchico iscrittosi poi al Partito Comunista e arrestato nel ’37 insieme con altri militanti della cellula clandestina alla Brera dove lavorava. Dal padre eredita l’amore per i libri e il cinema; la sua università – come dice anche in questo video – è stato il famoso bar Jamaica frequentato da tanti che, poi, diventeranno nomi protagonisti nella letteratura, nelle gallerie d’arte, nel teatro, nel cinema. Riporta la Miodini queste parole di Lucas. “Nella mia storia di fotografo ho partecipato a molte ‘avventure’. Sono stato coinvolto e mi sono fatto coinvolgere, spinto dalla curiosità, dalle amicizie, dal fascino del progetto, in percorsi collettivi che hanno inciso in misura notevole nella maturazione politica e culturale di questi ultimi decenni; progetti che hanno coagulato passioni, slanci ed utopie di persone provenienti dalle più svariate esperienze e formazioni. Sono i buoni incontri della vita, quegli incontri che portano a riflessioni, domande, nuove elaborazioni, solide amicizie”.
Gli fa eco l’autrice concludendo il volume: “Forse è finito il tempo delle grandi narrazioni. Non esiste più una ‘Storia’, ma esistono ancora tante storie che aspettano di essere raccontate. Perché non si ricorda da soli, ma con la memoria degli altri. Nella dimensione etica della memoria condivisa giocano un ruolo fondamentale le relazioni. E in questo luogo le storie possono ancora essere raccontate”. CLIC per una scheda sul libro e l’Indice QUI per visitare il website di Lucas. Segue ora un incontro con Lucia Miodini.
Miodini e Lucas (2)
Come scrivevo nella precedente parte di questa nota, autrice del libro su Lucas è Lucia Miodini, studiosa del mezzo fotografico e degli artisti della fotografia; ad esempio, si legga Cuchi White. Un viaggio fra le illusioni della realtà. Riversa nelle sue pubblicazioni la conoscenza di un vasto territorio delle arti visive. Spazia dalla pittura alla performance, come nel volume dedicato a William Xerra, all’archittettura e al design con Giò Ponti alla poesia verbovisiva. Tutto questo, insieme con altri suoi interventi verbali e giornalistici ne fa una storica della comunicazione visiva e un’attenta osservatrice di quanto di nuovo in quell’area va profilandosi. Per una più puntuale biografia: CLIC! Lavora presso il CSAC dell’Università degli Studi di Parma. Insegna Storia della Fotografia all’ISIA di Urbino.
A Lucia Miodini, (in foto), ho rivolto alcune domande. Qual è il principale carattere stilistico che distingue l’opera di Lucas? Più che di carattere stilistico preferirei parlare di scelte di scrittura. Il percorso di Lucas è complesso: a Brera respira il clima delle avanguardie artistiche, approfondisce con passione il cinema d’avanguardia, ha alle spalle una importante generazione di freelance, attivi nel dopoguerra, tra Roma e Milano, da Garruba a Sansone, da Pinna a Dondero, ai quali guarda con attenzione. Queste esperienze, e tante altre ancora, sono rielaborate in una scrittura fotografica complessa, segnata da molti nessi culturali. Ma se vogliamo trovare un elemento distintivo, questo è senza dubbio la scelta di immagini antiretoriche. Lucas, inoltre, rinnova la tradizione della fotografia di cronaca. Il sessantotto segna il passaggio “dalla Leica alla Reflex”. Anche questa scelta esprime un significativo cambiamento di linguaggio: l’uso prevalente del grandangolo e del teleobiettivo comporta adottare una varietà di sguardi per raccontare il cambiamento e la trasformazione del paese. Scrivi nella Premessa: “Uliano Lucas è un reporter indipendente”; più avanti torni su questo tema: “Non ha mai lavorato per una testata”. Questa scelta – da te particolarmente sottolineata nel volume – quali ricadute ha avuto sul suo lavoro? Risponderei citando un passo di Walter Benjamin, caro allo stesso Lucas: “Di fronte a una svolta della storia (…) non si tratta di domandarsi quale realtà sia la migliore, né quale scelta punti nella direzione giusta. Ma unicamente: quale realtà viene a convergere intimamente con la verità? Quale verità si prepara a convergere intimamente con il reale? Solamente chi dà una chiara risposta a questo genere di domande è «obiettivo». Non di fronte ai suoi contemporanei (non si tratta di questo), ma di fronte alla storia (questo è quel che importa). Solo chi, prendendo posizione, ha fatto la sua pace dialettica con il mondo, è in grado di cogliere il reale”. La scelta di essere un reporter indipendente gli permette di prendere una posizione. A te esperta studiosa del mezzo fotografico, voglio porre una domanda che va anche oltre Lucas. Baudrillard definisce “estasi da Polaroid” quella voglia tutta nostra contemporanea di possedere l’esperienza e la sua oggettivazione. A tuo parere, questo desiderio che assilla (o anche delizia) l’uomo d’oggi è, oppure non è, all’origine del nuovo consumo delle immagini? L’effetto speciale del nostro tempo, asserisce Jean Baudrillard in Amérique (1986), è un effetto di folle autoreferenzialismo, che si sviluppa intorno alla cultura del video e dello stereo. Ogni elemento si allaccia immediatamente a se stesso, e sottolinea in pari tempo la sua intensità in superficie e la sua insignificanza in profondità. E questo l’effetto speciale del nostro tempo è come l’estasi della polaroid: avere quasi simultaneamente l’oggetto e la sua immagine, come se si realizzasse quella vecchia fisica, o metafisica, della luce, in cui ogni oggetto emette delle copie, dei cliché di se stesso, che noi captiamo con la vista. È un sogno. Baudrillard, dunque, sembra stabilire un sottile nesso tra l’autoreferenzialismo dell’epoca postmoderna e la metafisica della luce, che precede l’era moderna, quella inaugurata dal cannocchiale di Galileo. Ma la luce cui allude Baudrillard è quella intermittente e abbacinante che interrompe l’oscurità in cui è sprofondato il “condominium” di James Graham Ballard. La vera luce, quella più adatta al condominio, era il lampeggiare metallico delle polaroid, che a scatti intermittenti registravano i momenti della tanto sospirata violenza, per la gioia di poterli poi rivedere (J. C. Ballard, High-Rise, 1975, trad. it Condominium). Istantaneità dello sguardo e passione del raddoppiamento, dunque. L’estasi è così la forma dell’oscenità e di iperrealtà, raddoppiata e intensificata. Il processo di crescita infinita presenta una catastrofe per il soggetto. Il romanzo di Ballard per Baudrillard è l’esposizione più adatta di ciò che è l’implosione del sociale. Ma rivela anche il significato che assume l’estasi della polaroid nell’esplosione della crisi. L’aspetto che voglio evidenziare è l’impatto che questa ideologia dell’eccesso e della trasgressione ha sul sistema dell’informazione. Nella società postmoderna mediatica e consumatrice tutto diventa spettacolo. È facile pensare che questa sia l’epoca della “smaterializzazione” della realtà. Il reale in televisione diventa più reale del reale, ma non siamo ostaggi di questa ideologia. Ancoriamoci alla materialità dell’esperienza condivisa. Lucia Miodini Uliano Lucas Pagine 218, Euro 19.00 Bruno Mondadori
venerdì, 2 novembre 2012
Art (R)Evolution
E' il titolo dell’esposizione temporanea di Assassin's Creed presso il milanese Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia (Il più importante museo tecnico–scientifico italiano, che fin dalle sue origini favorisce il dialogo tra arte e scienza), un progetto curato da Debora Ferrari e Luca Traini legato alla Game art Gallery - lo scorso anno ha portato l’arte dei videogiochi alla 54 Biennale di Venezia - con E-Ludo e la partecipazione al concept di Riccardo Hofmann, per leggere e approfondire arte e cultura contenute nei videogames. Ancora pochi giorni per vedere in mostra quadri, filmati, installazioni, postazioni interattive e modelli storici leonardeschi per esplorare la serie di Assassin's Creed che ha fatto dell’Arte e della Storia il suo centro e la sua missione. Lanciato nel 2007, Assassin’s Creed ha venduto più di 38 milioni di unità in tutto il mondo e oggi rappresenta una delle serie più popolari e vendute per le console di nuova generazione. Acclamata per la profondità e la ricchezza della sua trama, la serie di Assassin’s Creed è andata oltre i videogiochi, conquistando altre forme d’intrattenimento come fumetti, facebook, corti cinematografici e molto altro ancora. In particolare, la mostra presenta un centinaio di opere originali firmate dagli artisti di Ubisoft, che dal 2007 a oggi hanno lavorato ai diversi episodi del videogioco. Le opere, anche se realizzate in digitale, sono proposte in materiali fedeli alla tipologia d’immagine, grazie alla partnership con Demart, e al pubblico sono presentate immagini su tela, in affresco, in plexiglass, in legno, in pelle, in fine art e in mosaico. Molti artisti contemporanei danno un importante contributo all’interpretazione della ricchezza culturale di Assassin’s Creed, ne cito alcuni. Massimo Giuntoli con l’opera "Osmosi" dà nuova vita ai video della saga con un’architetturale di luci. Samuele Arcangioli ha progettato e realizzato la "Macchina dei ritratti", una stanza di 4 metri in cui il pubblico si trova ad attraversare le diverse identità dei soggetti principali della serie. Edward Paul Quist, artista di Brooklyn, presta un’opera della sua recente ricerca sul codice genetico. All’interno dell’esposizione sono anche esposti due modelli storici di macchine di Leonardo da Vinci della collezione del Museo della Scienza, la Macchina volante ad ali battenti e l’Artiglieria a otto canne per esaltarne la presenza e la sua genialità nel videogioco. Due postazioni da gioco su PC – create da Mirco Ferrari Labs – permetteranno al pubblico di accedere a workshop specifici e vedere le interviste agli sviluppatori di Assassin’s Creed. Ecco un VIDEO in cui Luca Roncella ci guida in un’esplorazione della mostra. Assassin’s Creed Museo Nazionale Scienza e tecnica Via S. Vittore 21, Milano Info: 02 – 48 55 51 Fino all’11 novembre ‘12
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