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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

I peggiori criminali del nostro tempo


Il titolo non tragga in inganno, non scriverò di Mafia Capitale o dei tanti malfattori ben vestiti che scorrazzano pure con la scorta.
Voglio informare, chi già non ne fosse al corrente, di una raffinata pubblicazione delle Edizioni Clichy che dispongono di un catalogo ricco di ghiottonerie, v’invito a visitarlo attraverso l’elenco dei suoi autori: QUI.
Ha pubblicato, fra altre gemme, I peggiori criminali del nostro tempo, un libro che contiene cinque racconti scritti fra il 1724 e il 1729; tre ormai introvabili in italiano e due inediti nella nostra lingua.
L’autore è il famoso scrittore inglese Daniel Defoe (Stoke Newington, 3 aprile 1660 – Moorfields, 21 aprile 1731) ricordato per opere quali “Le avventure di Robinson Crusoe”, “Lady Roxana”, “Moll Flanders”.

Spero di non attribuire a Gianfranco Contini una frase che non sia sua, ma mi pare che quel maiuscolo saggista sia stato proprio lui a dire che nei grandi autori non esistono opere minori, queste appartenendo solo agli autori minori.
“I peggiori criminali del nostro tempo”, passa, forse ingiustamente, come opera minore di Defoe. Fondatore con questa deliziosa operina del romanzo poliziesco? Forse. Di sicuro fondando la rivista “The Review”, pietra miliare nella storia del giornalismo, egli creò quello che oggi conosciamo come giornalismo tabloid. Con i suoi romanzi, poi, si è iscritto fra i grandi della letteratura di ogni epoca.
I peggiori criminali del nostro tempo – le loro turpi avventure, tra furti, coltellate, risse, taverne, prostitute – sono descritti con una grafia breve, a scatti, e fanno venire in primo piano figure che sembrano uscite da una delle nere tele di Hoggart ambientate nel manicomio di Bedlam o tra i violenti cenciosi nelle scene di John Gay.
Defoe descrive ambienti e prigioni che conosceva essendo stato incarcerato più volte per bancarotta e avendo subito in due occasioni perfino l’umiliazione della gogna.

Splendida la traduzione curata da Fabrizio Bagatti editor, saggista, narratore e traduttore letterario; pur scorrevole in lettura conserva la grazia della polvere del tempo.
Del testo ne è anche curatore e nell’Introduzione scrive: I testi qui riuniti in primo luogo documentano il vivo interesse che l’autore di Robinson Crusoe aveva dedicato per tutta la vita alle condizioni sociali dell’Inghilterra tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo […] C’è però un secondo aspetto che va sottolineato e che rende questi testi di notevole importanza per la letteratura moderna. Questi scritti documentano anche la nascita di una diversa maniera nella prosa narrativa. I resoconti di crimini e delitti esistevano già ma erano inquinati da approssimazioni, falsi sensazionalismi e vaghezze […] Defoe si rese conto che la realtà effettiva degli eventi accaduti era ancora più ricca dell’invenzione e trasportò la prosa inglese dalla ”cronica” di stampo medievale (prendo a modello il termine di Giovanni Villani) verso il romanzo moderno.

Daniel Defoe
I peggiori criminali del nostro tempo
A cura di Fabrizio Bagatti
Pagine 240, Euro 10.00
Edizioni Clichy


Bibi-la-Bibiste

Ci voleva l’ingegno di Antonio Castronuovo, finissimo indagatore d'atmosfere notturne della letteratura, per portare, inedito finora in Italia, un romanzo di sole 5 pagine, 37 righe in tutto, di cui mi accingo a scrivere.
Voglio, però, prima tornare a Castronuovo per ricordare che a lui dobbiamo ghiottonerie di cellulosa quali la prima edizione della “Commedia dei filosofi” di Albert Camus; la storia di macchine fantastiche e di macchine assassine; luci che illuminano tratti nascosti oppure obliati di alcune figure, da Joe Bousquet a Irene Némirovsky, da Emil Cioran a Isabelle Rimbaud fino al recente viaggio attraverso un cervello che non ha pudore .

Ora cura un saggio introduttivo e traduce – edito da Stampa Alternativa – quel fulmineo e fulminante romanzo intitolato Bibi-la-Bibiste di Raymonde Linossier (1897 – 1930).
Linossier… femminista e orientalista, donna amata (senza mai dichiararglielo, per la quale era disposto a rinunciare alla sua omosessualità) dal suo grande amico il musicista Francis Poulenc che volle ci fosse nella bara di Raymonde la partitura del balletto “Les Biches” che le aveva dedicato; fu amica di Adrienne Monnier e Sylvia Beach, di Léon-Paul Fargue ed Erik Satie; fu tra le nove dattilografe che battevano a macchina l’Ulisse di Joyce il quale, riconoscente, la nomina nell’episodio di Circe; con il suo ultrasintetico romanzo entusiasmò Ezra Pound (a quell’epoca non indossava ancora la camicia nera) che lo pubblicò nel 1920 sulla prestigiosa “The Little Review” dopo che c’era stata nel 1918 un’uscita dello scritto in plaquette con dedica a Francis Poulenc.

Quel che attrae in Bibi-la-Bibiste – scrive Castronuovo – non è solo la massima brevità ma anche l’enigma del titolo. Bibi, nell’argot francese, sta per “me stesso”. Alla domanda ‘chi ha combinato questo pasticcio?’, qualcuno potrebbe rispondere ‘c’est bibi’, cioè: sono stato io […] Ma si potrebbero proporre altre ipotesi. In francese Bibi è un cappellino di paglia femminile, con tesa corta […] Nell’argot ”bibi” indica pure una falsa chiave usata dagli scassinatori e un coltellino. Non basta: esiste anche il nome proprio affettuoso di Bibi, derivato forse dalla famiglia dei Bibelot. Ma sono similitudini con tutta probabilità soltanto suggestive. Più solida è un’altra ipotesi: il nome di Bibi rammenta quello di Bubu de Montparnasse.
Sta di fatto che a Parigi si diffuse il “Bibismo”.
Ancora Castronuovo: Ci troviamo al cospetto della nascita di una vera e propria dottrina, della nascita di una corrente, una delle tante che all’epoca percorsero le strade di Parigi […] La differenza col dadaismo si misurò sul non dare eccessiva importanza alle proprie azioni creative, ed essere anche capaci di sorriderne. Altra cosa dal dadaismo, il bibismo fu un movimento spumeggiante a tendenza patafisica piuttosto che protodadaista, minuscolo movimento incline alla tenerezza delle cose piccole: se c’è un suo dadaismo, questo si misura sull’inclinazione a desacralizzare il prodotto artistico, ma non in senso nullificante. Al contrario: il bibismo adora tutto ciò che rende soffice e colorata la vita parigina.
Il bibismo generò, poi, un nuovo gruppo, quello dei Potasson che divideva col bibismo la natura giocosa, cordiale e un po’ segreta. Dei Potasson fece parte la Linossier col titolo “La potasson più giovane al mondo”. Adrienne Monnier ricorda: “Nessuno prese sul serio più di Raymonde la compagnia dei Potasson e contribuì meglio di lei al suo benessere”.

Inedito in Italia, Bibi-la-Bibiste è accompagnato oltre dal saggio di Castronuovo che ne ripercorre le vicende, da foto e da un’estesa appendice di documenti d’epoca.

Raymonde Linossier
Bibi-la-Bibiste
a cura di Antonio Castronuovo
Pagine 112, Euro 12.00
Stampa Alternativa


Occhio!


Anche i grandi possono dire delle cospicue castronerie. Ne volete un esempio? E’ di Paul Gauguin: “Sono entrate le macchine, l’arte è uscita... sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile”.
Con Walter Benjamin, ben altra la musica: “Non colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l'analfabeta del futuro”.
Ecco ora il pensiero di due grandi fotografi.
Helmut Newton: “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia".
Henri Cartier-Bresson: “Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento”.
Alla fotografia dedica attenzione critica ed esemplificazioni espositive l'Associazione Occhio! guidata dal critico Ferruccio Giromini (lo ricordo citato in questo sito quando firmò la prefazione a “Minus Habens” di Squaz) con nel comitato direttivo le fotografe Stella Lombardo e Cristina Piccardo.
Teoria e pratica dell’Associazione: QUI.

A esporre adesso è Peikwen Cheng (in foto un suo lavoro), nato nel 1975 negli USA, un fotografo autodidatta e artista visivo laureato in Product Design presso l'Università di Stanford, che ora risiede in Cina, a Pechino. Sue opere sono state esposte in Cambogia, Canada, Cina, Grecia, Polonia, Singapore, Svezia, Siria, Gran Bretagna e Stati Uniti. È stato selezionato per Flash Forward – che premia i fotografi emergenti nei Paesi anglosassoni – e per Singapore’s Photography Biennial SIPF 2010.

Dichiarazioni di Peikwen Cheng.
Nel 2000 sono andato nel Black Rock Desert del Nevada, sul letto di un lago preistorico racchiuso da monti. È un luogo estremamente suggestivo, ma anche molto inospitale, flagellato da tempeste di sabbie alcaline. Tutti gli anni lì si raccoglie una comunità spontanea, che per una settimana condivide compagnia e creazioni artistiche, e poi ognuno per la sua strada. Vi abbonda la creatività, che si sparge al vento con audacia. Ciascuno dà forma ai suoi più svariati sogni e capricci, e non importa quanto possano essere distanti dalla realtà. È stata appunto l'idea della realizzazione dei propri sogni a ispirarmi profondamente e a spingermi ad affrontare progetti impegnativi, ad esempio la serie Lost and Found (2000-2010) […] Davanti alla foto Lamp Mobile, spesso mi si chiede se è stata scattata in Cina. In effetti, tra biciclette e nebbia, potrebbe anche essere... finché ci si accorge che c'è un ciclista vestito da mucca, e sullo sfondo un veicolo-drago di 25 metri che sputa fuoco, e in primo piano una scultura mobile di bizzarre lampade appese. La foto, che non è manipolata digitalmente, cattura e rende palpabili i sogni di tante persone: medici, avvocati, artisti.

CLIC per vedere immagini scattate da Peikwen Cheng.

Occhio!
info@associazioneocchio.it
Via Cassa di Risparmio 4/8
16123 Genova


L'Ateo

Il bimestrale "L’Ateo" dell’Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti), stavolta dedica lo “special” che apre ogni numero a un tema che interessa certamente gli atei, ma, credo (o voglio immaginare) anche i credenti.
Si tratta di uno studio a più firme sulla figura e l’opera di Gregor Mendel.

Francesco D’Alpa così presenta lo special: In questo numero scriviamo di Mendel, inopinatamente osannato da certi apologeti credenti come esempio di buona scienza cristiana. Lungi dal voler ridimensionare il mito di Mendel, come hanno proposto recentemente alcuni biologi e genetisti, abbiamo preferito celebrare l’uomo per ciò che realmente è stato: uno scienziato ben attento al dato sperimentale (secondo il modello galileiano) che si è felicemente avvalso di metodi analitici (secondo il modello cartesiano); un Mendel senza abito talare, insomma […] un’occasione per sottolineare ancora una volta quanto fosse pregnante il pensiero evoluzionista (e dunque anti-teologico) nella cultura ottocentesca che prelude alla nostra modernità.

Seguono articoli su Mendel di Maria Turchetto – Angelo Abbondandolo – Alessandro Minelli – Pietro Omodeo.

Anche altre pagine mi sono sembrate di notevole spessore, quelle di Raffaele Carcano che s’interroga sull’esistenza di una spiritualità atea partendo da alcuni autori del new atheism (Sam Harris, Richard Dawkins, Dan Bennett, Christopher Hitchens) e di Stefano Bigliardi che traccia un ritratto dei Raeliani e di Scientology.

Come in ogni numero della rivista, recensioni di libri, vignette, lettere dei lettori.

La rivista "L'Ateo" è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di 4.00 euro


L'anima delle macchine

Trattare un tema serio con leggerezza (… leggerezza, la parola più amata da Italo Calvino), è arte difficile, ma c’è anche in Italia – paese che troppo spesso usa, specie nei libri scientifici, un linguaggio sussiegoso e dottorale – chi riesce a praticarla assai bene.
Uno di questi pochi è Paolo Gallina, lo dimostra un suo recente libro pubblicato dalle Edizioni Dedalo dal titolo: L’anima delle macchine Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale.
L’autore, nato nel 1971, è professore di Robotica presso l’Università di Trieste e autore di numerosi articoli scientifici. È stato volontario internazionale in Sudan.
Nel 2011 ha pubblicato La formula matematica della felicità.

In "L'anima delle macchine", sostiene una tesi da molti avversata. Afferma, infatti, con mia grande gioia, che abbiamo bisogno di macchine e tecnologia come di amore e ossigeno.
Attraverso le sue pagine si analizzano i meccanismi consci e inconsci con i quali la nostra mente si misura e si adatta ai robot, ai prodotti digitali e agli innumerevoli sistemi di realtà virtuale che ci circondano.
Lo stile dell’autore è di grande scorrevolezza e accanto ai numerosi casi scientifici che cita, nella lettura v’imbatterete, ad esempio, pure in un’intervista a uno studioso dei fumetti manga per capire perché gli scienziati giapponesi investano tante energie nella realizzazione di robot umanoidi.
In una densa prefazione scrive Giuseppe O. Longo: “Il succo del libro è la tesi che, seguendo l’impulso alla comunicazione, l’aspirazione alla felicità e il bisogno di aumentare la realtà data attraverso la costruzione di mondi artificiali, l’uomo si è creato e continua a crearsi intorno un guscio di protesi – materiali, cognitive, e informazionali – una sovrastruttura ibridativa e simbiotica di cui non può più fare a meno, pena l’infelicità o addirittura l’incapacità a sopravvivere”.

A Paolo Gallina ho rivolto alcune domande.
Quando ti sei accinto a scrivere questo libro qual è la prima cosa che hai deciso era da farsi e quale la prima da evitare?

La prima da evitare? Beh, l’esperto che propone riflessioni inerenti la tecnologia ha sempre il dubbio di apparire troppo banale. Per evitarlo, capita che si lasci andare a riflessioni complicate e barocche, a volte incomprensibili. In questo saggio mi sono sforzato di non cadere in tentazione.
E cos’era da farsi? Quello che ho sempre voluto fare, fin dalle prime pagine, è stato cercare una connessione tra il mondo della tecnologia e i sentimenti. E, in particolare, i miei sentimenti. Per questioni lavorative – come hai ricordato, mi occupo di ricerca scientifica nel settore della robotica – ho quotidianamente a che fare con le macchine. Mi sono reso conto che la razionalità con cui credo di dominare e sviluppare la tecnologia è pregna di sentimenti, istinti e atteggiamenti irrazionali. La cosa sconvolgente è che mi ci sono voluti quarant’anni per capirlo, … oltre a due anni in Africa, … e a due figli
.

Nel condurre le tue tesi a quale corrente filosofica ti senti più vicino o meno lontano?

Non sono un filosofo e non credo di poter essere in grado di inquadrare le mie consapevolezze in un apparato filosofico preciso. Credo tuttavia che il saggio, in più punti, strizzi l’occhio ad alcune correnti della filosofia della mente, in particolar modo, al riduzionismo.
La maggior degli scienziati che si occupa di intelligenza artificiale è convinta che, prima o poi, la tecnologia riuscirà a produrre una “mente sintetica” in grado di “avvicinarsi” a quella di un uomo in carne e ossa. Per certi versi credo sia possibile. Ma credo anche che i dibattiti che questo tema scatena siano alimentati da una mancata condivisione di definizioni. Quando si afferma che un robot umanoide potrà essere simile a un uomo un domani si dà per scontato cosa sia un uomo. La scienza, al di là degli aspetti biologici, non lo sa ancora
.

Perché – come scrivi – la pornografia è l’esempio più eclatante di come l’uomo sia predisposto alla virtualità?

Il desiderio sessuale è stato istituito dalla natura per rendere la procreazione efficiente. Miliardi di anni di evoluzione hanno affinato il processo. Più si prova piacere, più gli individui sono spronati ad accoppiarsi. Ora, l’uomo, attraverso la tecnologia (la stampa, la digitalizzazione, i video, la realtà virtuale…) ha trovato il modo di aggirare gli ostacoli posti dalla natura al soddisfacimento del desiderio. La pornografia è una sorta di by-pass: permette di soddisfare il desiderio senza dover necessariamente conquistare una compagna/o. Il punto è: perché la pornografia è così diffusa? Lo è perché fa leva sulla predisposizione che c’è in ognuno di noi a simulare mentalmente scenari irreali ricavandone piacere. L’uomo è per definizione insoddisfatto. Da una parte l’insoddisfazione è il motore delle nostre azioni. Dall’altra, fornisce un terreno fertile per quelle tecnologie di realtà virtuale che riescono a strappare la mente dell’uomo dal quotidiano.

Paolo Gallina
L’anima delle macchine
Prefazione di Giuseppe O. Longo
Illustrazioni di Salvatore Modugno
Pagine 256, Euro 16.00
Edizioni Dedalo


Lettera di Abruzzese a Mattarella


Sono tra i destinatari di una lettera di Alberto Abruzzese (ricordo qui il blog da lui condotto in Rete) che informa su di una sua iniziativa.
Volentieri rilancio accettando l'invito contenuto nelle righe che seguono.


Cari amici,


sul mio indirizzo FB, ho di recente inviato una lettera aperta a Mattarella con qualche secca motivazione, inoltrandogli anche la lettera che anni fa avevo scritto a Napolitano sullo stesso argomento. Si trova ancora nel sito on line dell'Espresso.
Il contenuto? La crisi irreversibile della ricerca scientifica e della formazione scolastica e universitaria in campo umanistico: il suo fallimento quanto più le istituzioni si sono accanite a "riformarle" (così almeno a partire da Berlinguer). Un fallimento da cui dipende la scarsa reputazione delle nostre classi dirigenti e il disastro che ne consegue. Nessuna risposta dal comunista Napolitano e nessuna risposta dal cattolico, Mattarella. Non c’è stato giornalista – figuriamoci docente o intellettuale – che, scrivendo di università e formazione, abbia ripreso questo mio fallimento con i vertici dello Stato.

Chi sono io per farmi riconoscere tra i tanti che, in questi giorni, proprio a tale proposito sono entrati in mobilitazione contro i disegni riformatori del Governo? Soltanto un testimone tra molti, certamente. Ma il mio vero intento è un altro, e se lo vedessi realizzato, sarei disposto a scomparire da una scena in cui comunque risulto invisibile. Il mio scopo è semplicemente quello di sollecitare la stampa e i media ad adottare una strategia di comunicazione più avanzata e responsabile, più corrispondente alla drammaticità della situazione. La funzione che essa svolge è infatti soltanto quella di fare da cassa di risonanza del vocio popolare, corporativo, istituzionale e politico in merito ad un dibattito che gira intorno a se stesso da decenni e per di più arretratissimo, senza picchi di ingegno e senza profonde ragioni civili.

A mio avviso si tratta di ristabilire una sequenza: a) inchiodare i vertici dello Stato a anteporre ad ogni altra questione quella della scuola e dell’università, stabilendo e firmando una sorta di patto con i cittadini, patto in cui si fanno garanti del rispetto dei principi di assoluta priorità della formazione dei giovani; b) promuovere un ripensamento radicale dei mezzi e contenuti dell’insegnamento, poiché – senza questa operazione di giustizia e bonifica tecnica e morale dell’esistente – il terribile vincolo di almeno quaranta anni di errori e inadempienze resterebbe invalicabile e sarebbe impraticabile una prima fase di ricerca e formazione dei formatori; c) fissare le procedure e le agende di lavoro necessarie a dare inizio ad un processo innovativo in cui ragione economica e ragione sociale riescano a combinarsi insieme, accettando l’idea che dell’istruzione non si possono tagliare ed anzi vadano aumentati i costi. Sulla base naturalmente di una loro resa in termini di qualità del sistema formativo nei propri obiettivi e negli strumenti adeguati a realizzarli.

Per farmi capire sino in fondo: se ciascuno dei direttori di testate giornalistiche e di blogger attivi su questi temi, e magari di quanti funzionano come leader di opinione, inviasse una lettera al Presidente della Repubblica e alle massime autorità in cui si invita a procedere nella direzione che ho appena detto, non avremmo risolto certamente il problema ma daremmo inizio al tentativo di evitare l’universalismo populistico e l’opportunismo politico e professionale ai quali da troppo tempo è affidata la vita sociale del Paese. Ciascuno dei proponenti di questo patto con gli italiani farebbe la sua parte in prima persona assumendo le proprie responsabilità. In un gesto del genere, il valore simbolico e quello operativo dell’iniziativa personale di chi conta, o è reputato contare, si toccano tra loro.

Un caro saluto,
Alberto Abruzzese


Walkabout


Si chiama Walkabout, è una nuova agenzia letteraria.
Il logo è opera di Silvia Ghelardini.
Il significato del nome dell’agenzia è spiegato dai fondatori come segue.
Walkabout è il lungo viaggio rituale che gli aborigeni intraprendono attraversando a piedi le grandi distese delle praterie australiane.
Bruce Chatwin ha raccontato i Walkabout nel suo Le vie dei canti: “…si credeva che ogni antenato totemico, nel suo viaggio per tutto il paese avesse sparso sulle proprie orme una scia di parole e di note musicali, e che queste Piste del Sogno fossero rimaste sulla terra come ‘vie’ di comunicazione fra le tribù lontane. Un canto faceva contemporaneamente da mappa e da antenna. (…) E un uomo in walkabout si spostava seguendo sempre una Via del canto…"
.
Naturalmente non è soltanto la spiegazione della denominazione di un’impresa, ma è, com’è chiaro, anche, in trasparenza, una connotazione del lavoro che intende svolgere.

I fondatori sono: Fiammetta BiancatelliOmbretta BorgiaPaolo Valentini.

Conosco ognuno di loro, tre grandi professionisti dell’editoria, e li stimo da anni; scommetto una bottiglia di “Barbaresco Gaja 2004” che centreranno gli obiettivi che si propongono.
Ai tre, ho rivolto alcune domande.
Li sentirete rispondere con una voce sola: prodigi della tecnologia di cui Cosmotaxi dispone a bordo.

Nella vostra presentazione in Rete affermate che l’editoria è cambiata.
Qual è la nuova direzione che in essa avete individuato?

L'editoria soffre la crisi economica come gli altri settori. L'editore mecenate è quasi sparito, e le case editrici hanno bisogno di avere i bilanci in ordine per potersi ritenere soddisfatte. I grandi gruppi hanno l'esigenza di pubblicare libri che funzionino dal punto di vista delle vendite, e sempre meno spazio è lasciato alle sperimentazioni. Questo da un lato porta gli editor ad essere più razionali nelle scelte; dall'altro rischia di minare la creatività che dovrebbero avere. Perché malgrado le razionalizzazioni continua ad essere un mestiere creativo. Il grande sforzo di oggi è quello di andare incontro al lettore, attraverso generi e trend che assecondino le loro esigenze. Esiste sempre ed esisterà sempre un mercato per i lettori forti, ma c'è sempre più bisogno di storie che tocchino le corde emotive; storie ben scritte e ben pensate per il maggior numero di lettori possibili.

Alla luce di questo cambiamento che avete profilato, qual è il ruolo che interpreterà la vostra agenzia?

Noi come agenzia cerchiamo di adattarci alle trasformazioni del mercato editoriale. In Italia ci sono molte persone che scrivono, ma non sempre l'autore è consigliato adeguatamente per arrivare ad un buon risultato. Le case editrici hanno sempre meno tempo di seguire gli esordienti e gli autori già pubblicati ma che non sono autori di bestseller. L'agenzia assiste, promuove e decide le strategie più consone a ciascun autore. Inoltre svolge un servizio prezioso alle case editrici: fa da scout letterario e da filtro, cercando di regolare come meglio ritiene il grande imbuto dell'industria culturale. Noi proviamo a tenere insieme due pilastri dell'editoria di oggi. La qualità e l'accessibilità delle storie.

Quali sono le caratteristiche che deve avere uno scrittore affinché voi lo rappresentiate?

Sembra una risposta banale ma deve avere qualcosa che ci piace, che sia un testo commerciale o letterario. D'istinto deve essere un romanzo o un testo di non fiction che aggiunge qualcosa, in cui percepiamo un talento autentico. Poi certo contano anche le potenzialità (commerciali, letterarie, d'attualità), la scrittura, il modo in cui l'autore decide di raccontarci una storia.

Editing. Una delle cose che può determinare il successo di un testo.
A vostro avviso, nell’accingersi in questo lavoro, qual è la prima cosa da fare?

Ci sono testi che hanno delle potenzialità letterarie o commerciali inespresse, trame che si perdono nel finale, personaggi ibridi, incipit stentati che nascondono delle buone idee e che possono essere sviluppati meglio. In fondo quella dell'editing è un'arte maieutica. Si aiuta l'autore a costruire meglio la sua "voce", cercando di evitargli il più possibile ingenuità tipiche dell'esordiente. La prima cosa da fare, quindi, è pensare come un testo possa tirare fuori le sue migliori potenzialità.

La prima cosa da suggerire agli autori?

La prima cosa da suggerire loro è non pensare di essere dei grandi scrittori o grandi artisti incompresi. I capolavori sono pochi e ogni testo ha dei difetti.

Per visitare il sito web di Walkabout: CLIC!


Il 1933 secondo Muzzioli

Il Teatro Porta Portese, è una realtà romana che dal novembre scorso svolge un’articolata programmazione come illustra il suo direttore artistico Tonino Tosto in questo video.
Attualmente è in prova lo spettacolo 1933 di Francesco Muzzioli.
Il testo è tratto da un libro (166 pagine, Euro 16.00) dello stesso Muzzioli (pubblicato dalle Edizioni Tracce nel 2012, nella collana ‘Segni del suono’ a cura di Anna Maria Giancarli), intitolato “Verbigerazioni Catamoderne”.
Verbigerazioni… ecco una parola misteriosa… che cosa vorrà dire?
Illumina sul suo significato il sussidiarietto di lettura - Parole e frasi notabili di Verbigerazioni catamoderne scelte e commentate da Marcello Carlino.

Verbigerazioni – “Termine scientifico non discaro agli psichiatri, s’adopera per segnalare (i benpensanti per solito stigmatizzando) discorsi sconnessi, falotici, privi di senso, non di rado ossessivi (e percussivi). Chi accosta pericolosamente psicopatologia a creatività, presceglie ad esempio Hölderlin supponendo che, ricoverato nella torre sul Neckar di Tubinga, egli verbigerasse. Verbigerare però, verbigrazia, prima ancora di migrare oltralpe (dove soprattutto si trova medicalmente testato e normato), è stato latinissimo lemma, “attante” per etimo. E che l’Apuleio dell’Apologia risulti tra i pochi a usarne, tagliato per conversari senza ordine, irregolarmente espressivi e in nessun caso eterodiretti – l’Apuleio scrittore di una tradizione anticlassica, “straniera” nell’età imperiale – vuol dire pur qualcosa; è indicativo, per sovrappiù, che egli lo faccia in un testo di autodifesa, di controversia, di pronuncia dibattimentale. D’altronde la verbigerazione, anche presso i soggetti attori di follia, perfino i catatonici, accade che si porti un tono più su, come in una requisitoria o in una concione polemica o in una pièce a destinazione pubblica di un teatro politico; di fatto in origine, giù nelle radici, vi è incistato gero, il quale è riferito apertamente alla prassi, significando imbastire, condurre, guidare. Che è lo stesso di accompagnare a proprio modo, riconvertire industriosamente, caricare di tendenziosità. Qui riempire tendenziosamente quel che appare (o quel che si spaccia per ironia, per humour) come un vuoto verbigerare”.

Come?... che cosa significa “catamoderne”?... ah, ma siete pignoli!...'katà' è vocabolo greco e uno dei significati è 'sotto'... c'è, però, un'altra traduzione, cioè 'contro'. Comprate il libro “Verbigerazioni catamoderne” e scegliete quale sia secondo voi la dizione più acconcia in questo caso.
Altra soluzione è recarvi al Teatro Porta Portese di Roma, nelle date che troverete alla fine di queste righe, e rendervi conto meglio di che cosa si tratta assistendo allo spettacolo 1933.
1933… perché questo titolo? L’ho chiesto all’autore Francesco Muzzioli (in foto) che mi ha così risposto.

Realizzo come concerto di parole in versi per voci, immagini e suoni il mio testo “1933” che è compreso, come hai ricordato, nel libro Verbigerazioni catamoderne, pubblicato dalle Edizioni Tracce.
Con me saranno in scena gli attori Susy Sergiacomo e Tonino Tosto.
Lo spettacolo è diviso in sei quadri, in cui si muovono i grandi intellettuali europei, tutti in acque assai cattive: In Italia, Gramsci è in carcere, sta male; sul lato anglofono, Joyce è sotto processo per l'Ulisse; in Francia, Artaud ha rotto con i surrealisti e si avvia verso la follia; Bachtin è al confino in Kazakistan; in Spagna, c'è Garcia Lorca che dopo qualche anno sarà fucilato; in Germania, Benjamin parte per l'esilio, dopo l'avvento di Hitler.
Cosa voglio dimostrare? Intanto che i pensieri migliori nascono dalle situazioni peggiori e, quindi, coraggio, ancora uno sforzo e potremo essere anche noi "grandi intellettuali". Ma più ancora voglio mostrare la forza antagonista di quel Novecento, duro e rigoroso, che credo faremmo bene a riprendere.
Perché proprio il 1933? Poteva essere anche l'anno prima o quello dopo... Ti dirò: mi suonava bene: gli anni di Cristo, dica 33, e i "trentini” che entrarono a Trento...
.

Con l’autore in scena: Susy Sergiacomo e Tonino Tosto.
In via di programmazione le date della prevista tournée.

1933 di Francesco Muzzioli
Teatro Porta Portese
via Portuense 102, Roma
Luci e fonia: Francesca Foglietta
Regìa dell’Autore
Venerdì 20 marzo - h 21:00
Sabato 21 marzo – h 18:00
Info: 320 949 8901


... per esempio, la pietra


La pietra: quante ne sono state dette sul suo conto o prendendo spunto da essa.
Quella cattiva lingua di Ambrose Bierce, la usò perfino nel suo infernale dizionario scrivendo: “Lapidare. Rimproverare a suon di pietre”.
Carlo Levi titolò un suo famoso libro non privo d’indignazione “Le parole sono pietre”, aveva ragione, ma è accaduto anche il contrario. Le pietre, infatti, diventano parole attraverso architettura e scultura trasformandosi in poesie sassose, brividi di roccia.
È quanto propone una mostra fotografica che prossimamente inaugura a Roma presso il Centro Elsa Morante che ospita "… per esempio, la pietra Aristotele aveva torto" a cura di Barbara Martusciello; una protagonista nello scenario del multicodice come qui che vede architettura, fotografia e studio del materiale lapideo confrontarsi in questo primo appuntamento su di un tema sul quale prossimamente tornerà la curatrice.
L’interesse per la fotografia, peraltro, si era già manifestato in Tortureallestita a Roma dalla Martusciello che ha al suo attivo oltre un centinaio di mostre con scoperte di nuove figure e presentazione di nomi noti: da Nanni Balestrini a Pablo Echaurren, da Nato Frascà a Mario Sasso, da Luca Patella a Mario Schifano, a tanti altri.
È redattore capo del webmagazine Art a part diretto da Isabella Moroni.

Al Centro Morante espongono: Guido Laudani - Claudio Nardulli - Claudio Orlandi - Rita Paesani - Giovanna Zinghi.
In foto: “Trittico”, di Claudio Nardulli.

Su questa mostra, Barbara Martusciello così scrive: Il progetto muove da un interrogativo: Aristotele aveva torto, sostenendo – nella sua Etica Nicomachea, nel Libro II detto del Giusto mezzo, IV sec. a.C. – che “Nulla di ciò che è per natura può assumere abitudini ad essa contrarie: per esempio, la pietra che per natura si porta verso il basso non può abituarsi a portarsi verso l’alto, neppure se si volesse abituarla gettandola in alto infinite volte”? Poiché è provato, invece, quanto il materiale lapideo sia manipolabile e come l’uomo sia riuscito a lavorarlo portandolo ad altezze vertiginose, sfidando la legge gravitazionale, allora sì: Aristotele, da tale punto di vista, aveva torto. Questo è lo spunto alla base di questa esposizione fotografica – la prima a fare in tal modo il punto su questo argomento – titolata, appunto, "… per esempio, la pietra: Aristotele aveva torto".
Attraverso lo sguardo di cinque autori sono fermate immagini della città moderna e contemporanea (in questo caso: Roma) lontanissime da una visione oleografica e vicine a un'analisi dei materiali dei suoi edifici e delle sue architetture di pietra; queste sono considerate nei dettagli tanto che la riconoscibilità delle strutture rappresentate non è più – e volutamente – agile in favore di un'ambiguità che emerge grazie al peculiare punto di vista fotografico. Tutte le fotografie immortalano la realtà selezionata con una pratica della decontestualizzazione figurativa in funzione di una semplificazione e di un minimalismo compositivi che svelano l'astrazione delle architetture. Che si tratti del Foro italico (Paesani, Orlandi), dell’Eur (Zinghi), della Città Universitaria La Sapienza (Nardulli) o della banalità del quotidiano dei palazzoni romani, di androni e scale di comprensori di quartiere (Laudani) è secondario, per i nostri fotografi: quel che spicca è ciò con cui tali manufatti sono prodotti o ricoperti – travertino, granito, ardesia, tufo, marmo, porfido – e che concorre a una visione che restituisce un ritmo cadenzato e le tensioni dinamiche evidenziate sino alla loro estrema sintesi geometrica
.

La mostra, oltre al testo della curatrice si avvale di contributi critici di Alfonso Acocella.

Sostengono la mostra: Assessorato alle Periferie, Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma Capitale; Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica di Roma Capitale; Assessorato alla Scuola, Infanzia, Giovani e Pari opportunità; Municipio IX di Roma Capitale; Incontragiovani-Informagiovani di Roma Capitale; Biblioteche di Roma; Zetema Progetto Cultura.

Light and Exhibit Design: Paolo Di Pasquale
Grafica e comunicazione visiva: KGfree
Mediapartner:
Architettura di Pietra Journal
Material Design
Sponsor tecnico: Officina Agricola Terra di Sapori e di Saperi
terradisaporiedisaperi@gmail.com - cell: 342 161 41 99

… per esempio la pietra
Centro Culturale Elsa Morante
Piazzale Elsa Morante, Roma
Orari: 9-19 dal lunedì al venerdì
11-19 sabato e domenica.
info.elsamorante@zetema.it
Tel. 060608 dalle 9.00 alle 21.00
Dal 22 al 31 marzo 2015


Come invecchiare senza diventare vecchi

Eugenio Montale: “Gli uomini sono come il vino: non tutti i vini invecchiando migliorano; alcuni inacidiscono.”
Ecco, se non volete inacidire invecchiando uno dei rimedi lo propone la casa editrice Ponte alle Grazie che ha pubblicato Come invecchiare senza diventare vecchi La scienza della longevità felice.
Non si tratta delle solite pagine che consigliano diete miracolose, salvifiche condotte ginniche, adesioni a filosofie orientali, no, niente di tutto questo.
L’autore, Rudi Westendorp, affronta il tema della senilità allargando il suo discorso con plurali forze che vanno dalla biologia alla statistica, dall’economia alla sociologia, dalla psicologia alla sessuologia.
Ha fondato e dirige la Leyden Academy on Vitality and Ageing. Il suo istituto organizza corsi e conduce ricerche volte al miglioramento della vita delle persone anziane. Ha diretto il dipartimento di Gerontologia e Geriatria del Leiden University Medical Center e dal 2015 insegna medicina geriatrica all’Università di Copenaghen.

Demolendo molti luoghi comuni sulla senilità, scrive: “Quando immaginiamo come invecchieremo, il nostro pensiero corre subito ai nostri genitori, ai nostri nonni e ad altri personaggi importanti del passato. Da ciò che ci hanno raccontato e da come li conosciamo, proviamo a figurarci come può essere invecchiare ed essere vecchi. Però guardare al passato significa guardare dalla parte sbagliata: è avanti, che si deve guardare”.
Da un secolo a questa parte, l’aspettativa di vita media degli esseri umani è salita da quaranta a ottant’anni, e promette di crescere ancora: un’impressionante conquista, risultato della lotta contro la fame, le malattie, le guerre.
Pensare al benessere com’era inteso tempo addietro, significa consegnarsi a un destino che più non esiste; ne abbiamo migliori da godere e altri da temere, come, ad esempio, stili di vita sociali prima ancora di quelli alimentari sui quali si accaniscono tanti gerontologi. Non che sia poco importante, col passare degli anni, adeguarsi, ad esempio, ad un diverso tipo di consumo dei cibi e dell’alcol, ma mentre l’aspettativa di vita media è molto aumentata, la società – anche dei paesi più avanzati tecnologicamente – non è ancora attrezzata a farvi fronte e questo crea premesse per un cattivo invecchiamento. Perché non prevede offerte abitative adeguate, occasioni di lavoro già per gli ultracinquantenni, ancora scarse le risorse, rispetto alle necessità, per studiare le patologie dell’invecchiamento. In altre parole: la vita si è allungata (i 75 anni di oggi, pare, si possano paragonare ai 65 di appena mezzo secolo fa), ma per non diventare vecchi quando la vecchiaia ci raggiunge, è ancora necessario difendersi da soli. Uno dei metodi è usare con maggiore parsimonia le comodità offerte dalle nuove tecnologie, ma soprattutto usare una flessibilità sociale e psicologica, capire che molte esperienze da noi vissute e credute permanenti, possono essere state superate, non rifiutare aprioristicamente tendenze che erano, ovviamente, ignote, o ritenute d’estrema avanguardia, nella nostra gioventù.
Da tutto ciò proviene una lezione che investe tutta la vita dell’anziano: non rifiutare (come in molti fanno) la propria età ma accettarla come un’ulteriore risorsa che la vita – ben più lunga d’un tempo, come già ricordato – ci offre.

Dopo tanto diffuso e ben ragionato pensiero dell’autore, lasciate che concluda questa nota con una goccia di amaro inchiostro della penna di Phyllis Diller: “Sii sempre gentile con i tuoi figli, ricordati che sono quelli che sceglieranno il tuo ultimo inferno: la casa di riposo”.

Rudi Westendorp
Come invecchiare senza diventare vecchi
Traduzione:
Claudia Cozzi – Maria Cristina Coldagelli
Pagine 308, Euro 18.00
Disponibile in Ebook a Euro 9.99
Ponte alle Grazie


Curre curre guagliò


La casa editrice Baldini&Castoldi ha pubblicato un libro che ha il titolo di un grande successo discografico di vent’anni fa, ancora oggi richiesto nei concerti e ben inciso non soltanto su vinile e Cd ma soprattutto nella memoria di tanti: Curre curre guagliò, sottotitolo Storie dei 99 Posse cioè un gruppo che ha dato voce, in tutti i sensi, alla cultura antagonista.
L’autore è Rosario Dello Iacovo, nato a Napoli nel 1966, da sempre l’agente dei 99 per i quali ha scritto alcuni testi. Giornalista, ha collaborato a “il Manifesto”, è uno degli amministratori dei canali social ufficiali della band.

Di libri che raccontano la storia di un gruppo musicale ce ne sono tanti, ma questo un’originalità ce l’ha, anzi due.
La biografia dei 99 Posse, pur descritta anno per anno dagli inizi ad oggi, è strettamente intrecciata dapprima con lo scenario sociale e politico degli anni Novanta che videro la nascita della band e poi seguendo il suo tracciato stilistico che si evolve non assecondando lo scenario dell’Italia che cambia (e come cambia, Dello Iacovo ne fa attenta notazione) ma esercitando una corrosiva critica della crisi morale in cui il paese precipita.
Ecco perché è un libro che può interessare anche quelli che non sono particolarmente interessati a quell’area musicale, perché è un libro di storia vissuta da una parte scomoda delle storie.
Due originalità, dicevo. Altro merito, infatti, è il linguaggio scelto per raccontare quegli anni, quei personaggi e tanti aneddoti. Un linguaggio schizzato che ricorda il graffiante scatto del fumetto, lo scorrere di una graphic novel che racconta un viaggio attraverso gli occhi di ragazzini cresciuti in fretta in quartieri popolari, in quei paesi dell’hinterland, dove si affacciano alla vita, s’innamorano della musica e della politica.
Sulla bandella è scritto: “Quei ragazzini sono Luca ‘o Zulù, Massimo Jrm, Marco Messina e Sacha Ricci e di quelli che condividono pezzi di strada del loro cammino, come Meg, i Bisca e Sergio Maglietta, Speaker Cenzou e Valerio Jovine, Rosario Dello Iacovo e Diego Magnetta. La base di partenza è il centro sociale Officina 99, l’anno il 1991, quando una band nata quasi per caso – con un forte imprinting politico – inizia il percorso che la porterà a diventare fenomeno mediatico e campione di vendite. “Curre curre guagliò” è anche la storia degli ultimi decenni, vista dalla prospettiva di tutti i protagonisti: ci sono gli anni settanta e gli echi della rivolta; gli ottanta, con la sconfitta del sogno rivoluzionario e la Resistenza sotterranea; il punk, le prime esperienze all’estero, gli squat di Londra, il vecchio Leoncavallo, il Tienament di Soccavo. Ci sono gli autonomi e gli anarchici, i comunisti e gli operai, i disoccupati, il movimento per la casa e gli squatter, le posse, la Pantera e Officina 99, i No Global e la Terra dei Fuochi. C’è l’impegno internazionalista in Palestina, in Medio Oriente e in Chiapas. Ci sono Genova 2001 e Carlo Giuliani. Sempre come parte di quella voce collettiva che contesta i potenti della Terra. Un’opera corale, dove in certi casi si fa fatica a ricordare tutti quelli coinvolti, quelli che si sono persi per strada, quelli che non ci sono più, perché tutti insieme sono davvero tante e tanti”.
Per uno di loro, in buona salute ad Amsterdam, qui non nominato – citato però nelle pagine interne – viene da me un aiuto: l’impagabile Sergio Messina (per reciproco danno siamo amici) che curò la produzione proprio di “Curre curre guagliò”.
Il testo della canzone è stato inserito in un’antologia della letteratura italiana per scuole superiori, "Le basi della letteratura", edito da Bruno Mondadori nel 2013.

Per quei pochi che non conoscessero il brano e per quei tanti che volessero riascoltarlo don’t panic please! basta un CLIC!

Rosario Dello Iacovo
Curre curre guagliò
Pagine 304, Euro 16.00
Baldini & Castoldi


Due o tre cose che so di lei


Questo titolo non tragga in inganno, non sto per intrattenervi sul film di Godard del ’67, anche se Parigi ricorrerà nelle prossime righe come in tante sequenze di quella pellicola.
Sto per scrivere di un delizioso libro edito dalla casa editrice L'Orma.
Secondo equivoco da dissolvere: il volumetto, nella prefazione presenta la figura di una pipa nella quale si riconosce quella famosa di Magritte nel quadro intitolato Questa non è una pipa, così come la prefazione stessa, parafrasando, afferma: “Questa Guida non è una Guida”.
Titoli che deragliano il lettore, un’immagine che si beffa di chi la guarda, e, come se non bastasse, nelle prime righe dell’introduzione, pure un richiamo a Perec, e al suo testo Tentativo di esaurimento di un luogo parigino.

L’autore di queste malandrine trappole è Eusebio Trabucchi. Vive, lavora e traduce a Roma. Ha firmato la curatela di alcune selezioni dagli epistolari di Napoleone, Woolf, Pessoa e Verdi (… a proposito, Marco Filoni notò: “Sarà forse un caso, ma Eusebio era il nome con il quale Gianfranco Contini chiamava Montale; e Trabucco era l'epiteto con il quale Montale apostrofava Contini").
Basta con questi misteri. Di che cosa parla Due o tre cose che so di lei?
Parla di uno dei più celebri monumenti dell’epoca moderna: La Torre Eiffel.
Pubblicato nella collana ”I Pacchetti” (… niente spiritosaggini, quel modo di dire per indicare raggiri qui è fuori luogo), ha un’originale veste tipografica dovuta ad Antonio Almeida che cura sovraccoperta e progetto grafico interni.

Greci e Romani ritennero sette le meraviglie del mondo: La Piramide di Cheope a Giza; I Giardini pensili di Babilonia; La Statua di Zeus a Olimpia; Il Tempio di Artemide ad Efeso; Il Colosso di Rodi; Il Mausoleo di Alicarnasso, Il Faro di Alessandria.
Si sono persi la Tour Eiffel. Peggio per loro.
In quell’aureo librino, troverete tutto quanto inutilmente cerchereste su Internet (o comunque non nella pur utilissima Wikipedia), perché Trabucchi è andato a pescare personaggi, fatti, aneddoti, documenti, angoli nascosti della storia di quella torre costruita in più di due anni, dal 1887 al 1889 (in 2 anni, 2 mesi e 5 giorni, ad essere pignoli) per l'esposizione universale del 1889 (… siate misericordiosi: niente paragoni con quello che ci attende quest’anno a Milano), che si tenne a Parigi per celebrare il centenario della Rivoluzione francese, e che prende il nome dal suo progettista, l'ingegnere Gustave Eiffel (1832 – 1923), che costruì anche la struttura interna della Statua della Libertà. Uno, insomma, che nello swiftiano paese di Lilliput si sarebbe sentito male.
Non fu solo nella gigantesca impresa. Collaborarono altri ingegneri e architetti: Maurice Koechlin. Émile Nouguier, Stephen Sauvestre.
Mica il progetto fu accolto bene. Per niente. Contro si mobilitarono in tanti, alcuni nomi: Alexandre Dumas figlio, Guy de Maupassant, Sully Prudhomme (che, però, una volta vista la realizzazione, ritrattò pubblicamente), Victorien Sardou, altri ancora. Si ebbero una dura risposta dall’ingegner Eiffel che si troverà al fianco gente del calibro di Édouard Lockroy, Gino Severini, Le Corbusier. Tutti i documenti, tradotti nella loro versione integrale, si trovano nel libretto. Così come in quelle pagine in un dizionarietto dalla A alla Z scorrono avvenimenti, feste e crucci che danzano sopra e intorno alla Torre: da una beffa a Hitler a una vendita truffaldina della Eiffel come Totò fa con la Fontana di Trevi in un suo film, da tuffi arditi a uno strano xilofono, da corridori discesisti a virtuosistici calligrammi.
Né mancano testi di poesie e canzoni dedicati a quei 319 (oggi) metri d’altezza.

Torre Eiffel. Due o tre cose che so di lei, un piccolo libro d’interesse, in tutti i sensi, monumentale.

Eusebio Trabucchi
Torre Eiffel, Due o tre cose che so di lei
Pagine 104, con foto in b/n
Euro 8.00
L’Orma Editore


Giuseppe Neri


Ci ha lasciato Giuseppe Neri, Peppino per gli amici.
In foto, la copertina del suo ultimo libro: “Elogio della penna stilografica”.
Nato a S. Apollinare (Frosinone), collaborò, giovanissimo, a Il Mondo di Pannunzio, poi a Tempo presente, a Nord e Sud, a Il Messaggero.
Il suo debutto letterario si ebbe presso l'editore Bastogi, nel 1983 con il romanzo dalla scrittura sperimentale "L'uccello di Chagall" finalista al Premio Viareggio opera prima; "il testo sembra governato" - come notò Franco Cordelli - "da una sorta di furore lessicale che s'impossessa della pagina e sommerge ogni possibilità di raccontare fino a spezzarsi nell'ultima parola rimasta tronca".
Nel 1987, per Rusconi, pubblicò "Verso il terzo Millennio", interviste veloci, ma non per questo meno pensose, a 25 tra filosofi e scienziati.
Nel '90, da Sansoni, uscì "L'ultima dogana" - Premio Selezione al "Piero Chiara" - che s'avvalse di un'entusiastica presentazione di Giampaolo Rugarli: "Nove bellissimi racconti, che si muovono sul filo del paradosso, sempre attraversati da una sottile ironia. I materiali di narrazione sono trasalimenti, bagliori, ectoplasmi. La scrittura ha la sensualità e la levigazione del barocco berniniano, un narratore autentico".
Sul sottofondo delle note ipnotiche di Ravel, è narrata la crisi esistenziale di uno scrittore, personaggio protagonista di "Bolero", stampato da Marsilio nel '99.
“Il sole dell'avvenire” è del 2003, editore Manni, romanzo corale che prende lo spunto da un evento realmente accaduto negli Anni Venti.
Nel 2005, pubblica, ancora con Manni, “Il letto di Procuste”, un libro d’interviste, che forma un dittico di vaticini con “Verso il terzo millennio” indagando su tendenze e contraddizioni, speranze e percorsi del pensiero contemporaneo.

Conobbi Neri nel 1975 e ho avuto la fortuna di lavorare con lui a RadioRai; diresse i programmi culturali delle tre reti radiofoniche pubbliche dal 1988 al 2000.
Il suo ultimo libro, “Elogio della penna stilografica”, raccoglie parte del suo lavoro di quel periodo: una raccolta di “pezzi” appartenenti a una rubrica in onda su Radio3.
Scritture tutte fatte con la sua amata stilografica.
Scritture anfibie perché pur essendo vergate a mano su foglio tengono conto della vocalità, del linguaggio radiofonico. Brevi, scattanti, comunicative, avrebbero avuto l’approvazione dell’ingegner Gadda poiché in linea con le auree raccomandazioni che il Gran Lombardo espresse nel suo “Norme per la redazione di un testo radiofonico”.
Anni fa, lo intervistai su questo sito. Gli chiesi di tracciare un suo autoritratto.
Così disse: Mi considero un intellettuale, anche se la parola è ormai alquanto screditata, che tenta di leggere la realtà attraverso il filtro dell'intelligenza, che non crede nelle verità rivelate e dunque antepone il dubbio alle certezze.
Da buon Capricorno, sono schivo, poco cerimonioso, di parco eloquio.
Credo di essere leale, fedele alle amicizie, tenace nei sentimenti
.
E noi così ti ricordiamo.


Autisti marziani

Marte nelle opere di fantascienza è uno dei pianeti più popolari, sia come ambientazione sia come luogo di provenienza di extraterrestri.
Dalla letteratura al cinema, dalla radio alla tv, dai fumetti ai videogiochi, Marte ha occupato tante fantasie di tanti autori. Anche disegnatori pubblicitari. Ad esempio, nel 1962 fu realizzato un set di figurine intitolato “Mars Attacks”, da vendere assieme alle gomme da masticare della Bubble; le immagini, però, erano così impressionanti che furono ritirate dal commercio a causa delle proteste di genitori. Il ricordo di quelle figurine ispirò Tim Burton a creare l'omonimo film.
No, i marziani non hanno il volto che avete visto nel filmato in link. Né altre sembianze perché i marziani non esistono. Esistono, invece, altre ricerche che a partire da qualche generoso abbaglio di Giovanni Schiaparelli passando attraverso le prime foto della superficie del pianeta scattate dalla sonda spaziale Mariner 4, nel 1965, e la prima mappatura realizzata da Mariner 9, nel 1971, arrivano fino ai nostri giorni che vedono la preparazione di un volo umano su Marte.
Lì la vita non è proprio facilissima. Per dirne una soltanto, è consigliabile agli astronauti di portare su un pulloverino perché la temperatura media è di 63 gradi Celsius sotto lo zero.
Le difficoltà da risolvere per raggiungere quel pianeta, i problemi per guidare i rover sul suolo marziano sono numerosi e mentre state leggendo questa nota poco più di 4500 umani stanno lavorando affinché si possa sbarcare lassù.
In prima fila ci sono 16 persone impegnate in simulazioni di guida marziana dei rover. Fra loro anche un italiano di cui dirò fra breve.
Tutto quanto è ben spiegato in uno dei preziosi piccoli libri editi da Zanichelli nella collana Chiavi di lettura diretta da Lisa Vozza, di recente anche coautrice di un libro assai ben fatto sui farmaci e conduttrice del blog scientifico Biologia e dintorni.
Il titolo del volume è Autisti marziani Come costruire un robot spaziale e guidarlo su Marte .
Ne sono autori Paolo Bellutta e Stefano Dalla Casa.

Bellutta, fisico e informatico, è uno, come prima dicevo, dei 16 rover driver del JPL (Jet Propulsion Laboratory), il laboratorio della NASA al Caltech di Pasadena da cui si guidano i veicoli robotici che esplorano Marte. Attualmente è membro della squadra di sbarco del Mars Science Laboratory e sviluppa sistemi visivi per veicoli spaziali e per missioni non umane di veicoli a terra, come i rover marziani. Di recente ha messo a punto un metodo per valutare la traversabilità dei rover sulla superficie di Marte e ha contribuito alla selezione del sito di atterraggio di Curiosity.

Stefano Dalla Casa, naturalista e divulgatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, su Oggi Scienza e collabora con Pikaia, il portale dell’evoluzionismo in Italia.

Com’è riuscito Bellutta a diventare autista marziano? Rispondendo a un annuncio su Internet. Ha mandato il suo curriculum vitae e un quarto d’ora dopo ha ricevuto una telefonata per fissare un colloquio… come dite?... sì, proprio come succede in Italia, tale e quale.
Nel volumetto si trovano risposte a tante curiosità: da qual è, ora per ora, la giornata di un guidatore spaziale, quali sono i suoi còmpiti, quanto guadagna, com’è fatto quel veicolo che scruta oggi Marte per rendere più sicura la missione futura. Naturalmente non troverete informazioni riservate – su quelle impera il segreto – però è ben spiegata un’infinità di cose, compresi miti da sfatare e molte notizie su quel pianeta rosso così detto
a causa del suo colore caratteristico dovuto alle grandi quantità di ossido di ferro che lo ricoprono.

Paolo Bellutta
Stefano Dalla Casa
Autisti marziani
Pagine 192, Euro10.80
EBook 7.80
Zanichelli


Scienza al Luna Park


Tutto ciò che ci circonda e usiamo quotidianamente lo dobbiamo alle scienze e alle tecnologie: dalla tv al cellulare, dal navigatore satellitare alle macchine fotografiche digitali, dalle attrezzature mediche che analizzano il nostro corpo alle mail che ci scambiamo, dalla musica che ascoltiamo nei compact disk ai film che vediamo nei dvd.
Spesso, purtroppo, le materie scientifiche sono insegnate in maniera da annoiare la platea degli studenti, eppure basta poco per fare appassionare a numeri, atomi, formule.
Basterebbe vederne gli effetti che stanno intorno a noi, perfino facendo una visita a un luna park.
È quello che propone Editoriale Scienza (seguendo una linea che la vede protagonista nell’informazione scientifica per infanzia e adolescenza) con Scienza al Luna Park di Chris Oxlade.

L’autore così si presenta in Rete: Sono esperto di libri informativi per ragazzi, e ho scritto più di centocinquanta titoli per il mercato della scuola. Gran parte del mio lavoro l'ho svolto spiegando idee scientifiche complesse e moderne tecnologie a giovani lettori. Ho anche scritto di sport, come il cricket e il calcio. Ho lavorato per molti editori, tra cui Franklin Watts, Dorling Kindersley, Heinemann e Hodder Wayland.
Oltre a scrivere libri, sono istruttore di roccia. La maggior parte delle mie ore libere, infatti, le spendo arrampicandomi in montagna, mi piace pure giocare a tennis e fotografare.
Ovviamente seguo gli sviluppi della tecnologia, materia in continua evoluzione
.

Il libro, dalla copertina cartonata, consigliato dagli otto anni in su, è in due parti: nella prima c’è un testo con vivaci illustrazioni di Shaw Neilsen, nella seconda, inscatolato, un modellino da montare per ottenere montagne russe da tavolo.
Montagne russe… perché si chiama così quell’impianto in forma di ferrovia aerea?
Consultiamo Wikipedia: "Bisogna risalire al '500 e '600 per individuare le origini delle montagne russe. Perché proprio in Russia compaiono, in quel periodo, i primi scivoli ghiacciati, tra cui va menzionato – perché pare fosse il più emozionante – quello della reggia di Oranienbaum, nei dintorni di San Pietroburgo voluto dall'Imperatrice Caterina II di Russia. Strutture di legno, alte anche 15-20 metri, su cui scivolare con una slitta, a una velocità che poteva arrivare anche ai 70 km/h. L'idea piacque a un uomo d'affari francese, che volle importare l'idea nel suo Paese. Ovviamente, le temperature erano diverse: le slitte furono prima incerate poi montate su ruote. Ma l'attrazione nella sua veste definitiva compare negli Stati Uniti, più precisamente in Pennsylvania nel 1827".
Torniamo al modellino i cui elementi immaginiamo di averli estratti dallo scatolo-libro e già montati.
Ed ecco che la comunicazione scientifica passa attraverso un momento ludico per spiegare cose che alla lavagna sarebbero noiosissime.
Esempio: che cos’è la trasformazione dell’energia?
Montato il modellino, facciamo rotolare una biglia dalla partenza del tracciato. Inizialmente, mentre la biglia rotola verso il basso, “l’energia potenziale” si trasforma in “energia cinetica” (i termini sono spiegati in un opportuno glossario contenuto nelle pagine); poi quando la biglia risale il ponte, l’energia cinetica si ritrasforma in energia potenziale. Questa energia potenziale diventerà nuovamente cinetica quando la biglia rotolerà verso il basso avendo trovato una nuova discesa.

Ora, se volete viaggiare su di una vertiginosa carrozza aerea, cliccate QUI.

Chris Oxlade
Scienza al Luna Park
Traduzione di Barbara Bernato
Illustrazioni di Shaw Neilsen
Pagine 32, con modellino da montare
Euro 15.90
Editoriale Scienza


Cianographicsisters


Nell'àmbito della rassegna Maravee Corpus, curata da Sabrina Zannier, è in corso dal 16 gennaio alla Galleria Loggia di Capodistria la mostra “Corpi pubblici” che vede la partecipazione del duo
CianographicSisters formato da Emanuela Biancuzzi + Debora Vrizzi entrambe da tempo amiche di questo sito.
Lavorano insieme dal 2007. Dalle loro improvvisazioni, traggono contenuti che sviluppano in fotografie, videoarte, grafica e illustrazione. Questo tandem è nato per onorare la memoria dell'amico e compagno Piermario Ciani, scomparso prematuramente nel luglio 2006.

Nella mostra “Corpi pubblici” presentano il loro progetto PMC Talent Agency.
Di che cosa si tratta? Così nel catalogo firmato da Sabrina Zannier.
Facendo leva sull’immaginario collettivo generato dai media, che amplificano il concetto di personaggio e alimentano il processo d’identificazione per cui il personaggio stesso diviene un “corpo pubblico”, in questa mostra presentiamo in prima assoluta PMC Talent Agency.
Si tratta di un’agenzia di attori che attraverso il proprio sito web, stampe fotografiche e manifesti cinematografici promuove versatili e talentuosi attori professionisti... B.B. Warren, Lola, Serge Noac, Wenying Li Chan… sembrano fare un ironico verso ad Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Alvaro de Campos… gli eteronimi di Fernando Pessoa che hanno ispirato il filo rosso della moltiplicazione identitaria e ai quali si affiancano anche questi intriganti personaggi generati dalle CianographicSisters sotto la pelle dell’universo cinematografico. Una pelle che abbiamo sostituito alla nostra facendoci abitare da questi “altri da sé” costruiti in modo certosino, interpretando posture ed espressioni, cercando abiti e parrucche, costruendo per ognuno un credibile portfolio, il manifesto e, tutt’attorno, un’agenzia
!

Corpi pubblici
PMC Talent Agency
cianographicsisters@gmail.com
Galleria Loggia - Capodistria (Slo)
Fino al 14 marzo ’15
Tutti i giorni 11.00 – 16.00 / chiuso domenica e lunedì


Un'odissea partigiana


La Feltrinelli ha pubblicato un libro al quale auguro la maggiore diffusione perché lo merita avendo illuminato un brano di storia italiano pochissimo o per niente conosciuto.
Il volume s’intitola Un’odissea partigiana Dalla Resistenza al manicomio, ne sono autori Mimmo Franzinelli e Nicola Graziano.
Franzinelli, studioso del fascismo e di tanti angoli oscuri dell’Italia repubblicana, è autore di numerosi libri.
Per visitare Il suo sito web: CLIC!
Graziano è magistrato presso il Tribunale di Napoli, autore e curatore di numerose pubblicazioni d’argomento giuridico e amministrativo. Vive ad Aversa, dove ha sede l’Ospedale psichiatrico giudiziario, teatro delle vicende narrate nel volume, ed è da sempre impegnato nella battaglia per la tutela dei diritti civili.

La sciagurata amnistia del 22 giugno 1946, voluta e firmata dall’allora ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti (da parte della base del Pci ritenuto autore di un imperdonabile tradimento), seguì il già grave fallimento delle pratiche d'epurazione.
Quell’amnistia – che escludeva la detenzione in manicomio – liberò una massa di fascisti, ma anche dei partigiani beneficiarono del provvedimento.
Però… sì, c’è un però. Il giurista Piero Calamandrei fa notare all’amico magistrato Carlo Galante Garrone come “la Cassazione ha sistematicamente annullato il 90% e più delle decisioni contro fascisti e collaborazionisti” ma con i partigiani ha adottato criteri opposti.
Nel dopoguerra italiano non si crea discontinuità fra dittatura e democrazia.
L’ex capo dell’Ovra, Guido Leto, destituito e riabilitato dopo un breve periodo di detenzione, addirittura come ricordano gli autori: … è promosso direttore tecnico delle Scuole di polizia […] Vincenzo Eula, pubblico ministero che aveva fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli, diviene procuratore generale della Cassazione. Luigi Oggioni, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana sarà prima presidente della Corte di Cassazione, poi giudice della Corte Costituzionale. L’artefice della legislazione antiebraica della Rsi, Carlo Alliney, è promosso consigliere di corte d’appello a Milano, infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente del Tribunale della razza, Gaetano Azzariti, destinato alla presidenza della Corte costituzionale. Questi sono solo alcuni dei maggiori esempi, ma in tutte le strutture dello Stato, con il silenzio della gerarchia togliattiana del Pci, riemerge un clima sociale e politico fascista sotto i mentiti panni della democrazia.
Questo quadro è solo la premessa – necessaria quant’altre mai – di Un’odissea partigiana che nelle sue pagine illustra come tanti e tanti episodi bellici siano interpretati come delitti comuni da vari tribunali e la sorte di molti partigiani è il manicomio criminale, in particolare quello di Aversa.
È innegabile, come avviene in ogni guerra civile, che episodi di vendette private o banditismo siano stati commessi dall’una e dall’altra parte, ma è singolare assistere (e il libro lo descrive benissimo) come la bilancia anche nel giudicare reati comuni usi misure diverse come notava Calamandrei.
Il volume prende in esame tanti casi dedicando a ciascuno di essi un capitolo: ecco alla ribalta nomi di partigiani ignoti oppure ormai dimenticati: Mario Della Balma, Giuseppe Giusto, Aureliano Gabrielli, Gian Piero Carnaghi, Gustavo Borghi, Zelinda Resca “Lulù”, Guido Acerbi, Romano Bosi, Remo Manfredi. Viene anche alla luce un personaggio che in tutti quei casi si batte per ottenere giustizia e trattamenti umanitari per gli internati, il suo nome finora era sconosciuto: Angelo Jacazzi, attivista comunista di una sezione del Pci.
Dal manicomio d’Aversa partono molte lettere di detenuti verso dirigenti del Partito comunista: alcune sono bloccate dalla direzione del manicomio che non le inoltra, altre pur giunte a destinazione trovano un muro di silenzio e solo poche risposte come, ad esempio, da Umberto Terracini.
A far maggiormente risaltare i misfatti giudiziari di quel tempo, le ultime pagine del volume sono dedicate a un fascista: Luciano Luberti, noto come il boia d'Albenga favorito da ripetute scandalose sentenze e trattamenti di favore, persino quando nel 1970 uccise l’amante Carla Gruber.

“Un’odissea partigiana”, un libro da leggere non solo per conoscere storie del passato che non passa, ma anche per capire l’origine di certe derive che ci hanno portato a oggi.

Mimmo Franzinelli
Nicola Graziano
Un’odissea partigiana
Pagine 222, Euro18.00
Feltrinelli


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