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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Arrivederci a settembre

Cosmotaxi non cambia verso. Come fa da sempre chiude per ferie.
Auguri di buone vacanze a chi le fa
.


L'Africa di Manganelli

Questo 2015 ci ha offerto finora due nuovi titoli di Giorgio Manganelli (1922 – 1990) uno dei più grandi scrittori italiani del secolo scorso.
Il primo, a cura della figlia Lietta, pubblicato da Aragno: Catatonia notturna e un altro edito da La Vita Felice intitolato Africa con una postfazione di Viola Papetti che ricordo autrice di una serie di fulminanti microsaggi sullo scrittore intercalati da ricordi degli anni trascorsi con lui, raccolti sotto il titolo Gli straccali di Manganelli.

Questo libro è il reportage di un viaggio. Già, un viaggio. Proposto proprio a lui, escursionista della propria camera, esploratore di pagine lette in pigro raccoglimento.
Un curioso lavoro che gli fu commissionato dall’ingegner Carlo Castaldi, dirigente fantasioso della Società Bonifica, una multinazionale per la quale progettò una strada lungo la costa dell’Africa Orientale, dal Cairo a Dar es Salam, la Transafricana1 (in sigla TA1). Quest’ingegnere ebbe l’idea di avvalersi di un dato storico-antropologico, oltre che tecnico, delle terre dove sarebbe stata tracciata quella strada e perciò scritturò una fotografa, un ingegnere e uno scrittore, da mandare in Africa per circa due mesi.
Lo scrittore fu scelto – pare dopo una consultazione di tarocchi – nel sospettoso Manganelli che firmò il contratto il 9 febbraio 1970. Aveva allora 48 anni.
Fu “un viaggio splendido e massacrante” come scrisse in una lettera alla Papetti che nella postfazione scrive: “Nei mesi caldi che seguirono, Manganelli e Castaldi ridiscussero a lungo i contenuti della relazione, e ne venne fuori una seconda relazione, in qualche modo un compromesso. La prima aveva mirato al cuore del progetto neocolonialista di Bonifica, e ne aveva criticato le ragioni antropologiche profonde. La costruzione della TA1 avrebbe reso quella parte di Africa più comodamente vendibile alle agenzie turistiche: nuovi alberghi, i nativi arruolati come personale alberghiero sotto una nuova forma di apartheid, centri ferroviari che avrebbero generato nuove città in incerto rapporto con il mondo tribale alle spalle. La città africana non si lega all’ambiente, lo stato africano non è nazione, le guerre per i confini restano una triste eredità coloniale. Cosa può portare la modernità a questa Africa segnata da angosciose contraddizioni? «Catturato nel suo spazio vasto e intransitabile, irretito in una splendida e angosciosa trama di animali, insetti, alberi, argilla e rupi, l’africano è prigioniero dei suoi luoghi senza confine».
In luglio un Manganelli in canottiera, accaldato e maldisposto, si rimise alla macchina da scrivere e batté nervosamente una relazione lunga il doppio della prima, dove con pacatezza dava conto delle tante letture, distendeva il groviglio delle emozioni […] Manganelli dà prova di genialità sartoriale nel tentativo di ricucire la nascente poetica postcoloniale di rivendicazione e riconoscimento al pragmatico neocolonialismo ferroviere e alberghiero, portatore di moneta. «È il primo ideogramma destinato a integrarsi in un nuovo mondo linguistico, un mondo nuovo per l’Europa, liberata dalla sua solitudine coatta, e la prima indicazione di un linguaggio con cui l’Africa sarà in grado di sperimentare e progettare il proprio destino nei termini della civiltà moderna».
Castaldi non abboccò, e lo considerò, a torto, un banale trattatello storico-sociologico-economico che non avrebbe lanciato la sua avventura africana nei cieli della fattibilità. Non ci fu infatti una TA1, e tantomeno una TA2 o 3 o 4”.

Manganelli, dopo il 1970, prese a viaggiare, visitò l’India e il più domestico Abruzzo (ne abbiamo una testimonianza QUI), confidando le sue ansie a cartoline che inviava a se stesso. Mai più, però, tornò in Africa.

Giorgio Manganelli
Africa
Postfazione di Viola Papetti
Pagine 84, euro 10.00
Edizioni La Vita Felice


La Guarimba


Quiz: che cos’è la Guarimba?
Un ballo sudamericano?
Un rito iniziatico huiciol?
Un’erba allucinogena colombiana?
Se non sapete quale delle tre soluzioni scegliere, avete vinto, perché la Guarimba è nessuna delle tre cose proposte dalle sdrucciolevoli domande.
Se volete sapere che cosa significa quella parola: CLIC!
Ora che sapete i vari significati di quel vocabolo, credo non sia difficile scegliere quello che meglio si attaglia all’Associazione così chiamata e ai suoi operatori che sul web tracciano quest’autoritratto.

L'Associazione culturale La Guarimba ha come obiettivo riportare il cinema alla gente e la gente al cinema. Questa motivazione ci ha portato a riparare l’Arena Sicoli, un vecchio cinema all'aperto di 938 posti ad Amantea; ad organizzare un Festival del cortometraggio internazionale a ingresso libero che quest’anno arriva alla sua terza edizione; a creare Artists For La Guarimba, una mostra di 30 illustratori da tutto il mondo che ogni anno reinterpretano la nostra locandina; a creare La Scuola Delle Scimmie in Puglia, un processo di formazione di cinema e di illustrazione indipendente per 45 ragazzi; ci ha fatto creare La Guarimba On Tour per portare la nostra selezione di cortometraggi e la mostra in giro per il mondo; e infine, nel prossimo agosto di quest’anno ad organizzare la prima conferenza europea di Vimeo, il più grande distributore di cinema online diretto.

Tutto questo nasce in una regione difficilissima per ragioni tragicamente ricordate spesso nei notiziari stampati, radiotv, web, e la sua realizzazione si deve alla vocazione, e alla testardaggine, di un giovane italo-venezuelano: Giulio Vita.
Per conoscere la sua avventurosa storia e sapere com’è nato questo Festival, credo che la cosa migliore sia dare la parola proprio a lui cliccando QUI.
Con Vita lavora un gruppo mosso dalla gioiosa volontà di rompere la pesante atmosfera sociale della Calabria, portando in quella terra dal paesaggio bellissimo (straziato da una selvaggia cementificazione) lo slancio e la freschezza di un cinema indipendente prodotto da giovani professionisti.

La selezione dei lavori sarà giudicata da una giuria composta da Sam Morrill di Vimeo, protagonista anche di una conferenza dal titolo “Vimeo On Demand: il futuro della distribuzione indipendente”; Tomas Sheridan, regista di documentari irlandese-americano cresciuto a Torino; El Tornillo De Klaus, collettivo spagnolo di cinema indipendente.

Cliccare QUI per il programma.

La Guarimba Film festival
Amantea (Cosenza)
Info: info@laguarimba.com
+39 339 – 20 86 981
dal 7 all’11 agosto


Exponential Organizations (1)


Fin da quando nacque questo sito, nel 2000, si è qui sostenuto la colpevole mancanza d’attenzione agli studi scientifici sul mercato, e alle loro evoluzioni, da parte di quanti si occupano di letteratura, arti visive, spettacolo, materie alle quali sono dedicate le varie sezioni di questo website.
Non sorprenderà, quindi, se oggi dedico questa nota a un libro che riflette proprio sulle più recenti strategie consigliate alle aziende per affermarsi in un mondo che conosce vertiginose trasformazioni.
So che in molti non condividono questo mio punto di vista. Quotidiani, libri, web, sono pieni di geremiadi di chi grida allo scandalo nel vedere prodotti della cultura considerati come merce, ma è proprio questa visione verginale (quando è sincera, e non sempre lo è) a far dire poi a un ministro italiano buontempone, falciando contributi, “con la cultura non si mangia”. Invece, all’estero, con la cultura e l’arte banchettano alla grande.
Libri, opere d’arte, accessi nei musei, nei teatri, nei cinema, hanno un prezzo? Sì? Allora di merce si tratta, merce è.
Altra critica: obbedire al mercato significa omologazione, abbassamento della qualità. Giusto. Ma qui non si consiglia di farsi gregge, ma di rompere le regole del gregge.
Quando Duchamp espose il suo famoso orinatoio non innovò soltanto ma creò un nuovo mercato. E i surrealisti? Che forse non crearono tecniche promozionali studiate in pubblicità ancora oggi? E i futuristi? Non furono forse – si pensi, ad esempio, a Depero – protagonisti di un nuovo modo di vendere? Gli esempi sono tanti, da Dalì a Warhol fino ai giorni nostri con Damien Hirst.
“Nel fare film” – cito a memoria – “non bisogna dimenticare il profitto e farlo coincidere con l’arte”, così diceva il regista e produttore Roger Corman: dalla sua scuola sono usciti Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich, Jonathan Demme, James Cameron, Joe Dante.
Le righe di Stefano Monti che seguono non sono state pubblicate in un bollettino di Confindustria, ma giorni fa su Art Tribune: “Quando si parla di cultura aziendale, si ha sempre l’impressione di essere in un’aula universitaria o, peggio, in una tavola rotonda diretta e rivolta ai soliti “colletti bianchi”, che annuiscono annoiati in presenza delle alte cariche del management. Eppure la cultura aziendale è un elemento chiave non solo nell’efficienza delle organizzazioni, ma ha un peso notevole nella selezione dei prodotti, nella definizione dei processi di produzione, nell’individuazione del proprio segmento di mercato e nell’immagine complessiva con la quale l’organizzazione sceglie di comunicare”.
E che cosa sono se non ‘organizzazioni’ (o dovrebbero esserlo) una casa editrice, una galleria, produzioni cinematografiche o teatrali?
Da rilevare, poi, che particolarmente dovrebbero occuparsi di strategie d’innovazione e comunicazione proprio quelli che operando in piccole sigle più se ne tengono sciaguratamente lontani.

Veniamo al libro cui accennavo in apertura. Lo ha pubblicato Marsilio, è intitolato Exponential Organizations Il futuro del business mondiale . Ne è autore Salim Ismail con Michael S. Malone e Yuri van Geest.
Il volume si avvale di una presentazione di Fabio Troiani di cui ci occuperemo diffusamente nella seconda parte di questa nota.
Salim Ismail è uno stratega della comunicazione e imprenditore della Silicon Valley. Tra i campi di ricerca del suo lavoro c'è l'impatto delle tecnologie sulla società. Salim ha dedicato i più recenti anni della sua vita alla costruzione della Singularity University, di cui ora è Direttore Esecutivo e Ambasciatore nel mondo.

La filosofia esposta nel volume può essere sintetizzata nella frase “Non aspettare il cambiamento, ma realizzarlo”.
In passato ci volevano vent’anni per creare un business da un miliardo di dollari. Groupon l’ha fatto in diciotto mesi. Quella che abbiamo davanti è una nuova tipologia d’imprese: le «organizzazioni esponenziali», che polverizzano i tempi di crescita mediante le tecnologie, riducendo i costi in modo esponenziale. Gli autori hanno studiato questo fenomeno e individuato dieci caratteristiche delle organizzazioni esponenziali. Una svolta storica, paragonata a una «nuova esplosione cambriana», che impone di pensare in grande, prefigurando un mondo in cui la domanda fondamentale diventa quella suggerita da Larry Page: «Stai lavorando a qualcosa in grado di cambiare il mondo?».

Segue ora un incontro con Fabio Troiani.


Exponential Organizations (2)


Come detto precedentemente, il libro Exponential Organizations è presentato da Fabio Troiani (in foto).
Dopo aver conseguito significative esperienze all'estero in primarie banche e un MBA negli Stati Uniti, ha maturato una consolidata esperienza nella consulenza di direzione aziendale per i più importanti gruppi italiani ed europei. Fin dal 1986 ha avuto la responsabilità di grandi clienti e progetti di strategia e trasformazione organizzativa e tecnologica, nei settori Telecom e Consumer Business e Finance. È stato coinvolto nel processo di privatizzazione ed avvio-consolidamento della competizione nel settore telecomunicazioni in Italia e in Europa, collaborando alla trasformazione dei principali gruppi per lo sviluppo e il consolidamento del business, la razionalizzazione dei processi, la pianificazione e il governo dei sistemi informativi. Dal 2000 è stato responsabile Europeo dell'Industry Communication di un grande gruppo multinazionale di consulenza, dal 2003 è socio fondatore e Amministratore Delegato di Business Integration Partners. Fa parte degli alunni della Singularity University ed è autore di diversi libri e articoli in materia di organizzazione dei dipartimenti IT e di tecnologia come leva effettiva di business. Guida un team di esperti della convergenza Telco, Media, Entertainment e IT, che vanta esperienze significative e ripetute con i principali operatori europei

A lui ho rivolto alcune domande.
Quale ritiene sia stato il primo effetto che ha avuto sulla percezione della realtà che ci circonda il passaggio dall’analogico al digitale?

Il passaggio al digitale non riguarda soltanto il settore tecnologico, ma è una rivoluzione che tocca tutte le aree di business, dalle telecomunicazioni al manifatturiero, dal settore finanziario a quello energetico e sanitario. Le aziende che non riescono a guardare oltre e a puntare sulle potenzialità del digitale vengono tagliate fuori. La velocissima diffusione delle tecnologie innovative, infatti, rende obsoleta l’equazione alla base dello stile di gestione di molti dirigenti – ovvero grande e complesso uguale stabile, di successo e sicuro. Al contrario, vengono premiati gli imprenditori e i manager che affrontano il cambiamento a testa alta, considerando l’evoluzione della realtà che ci circonda come un'opportunità e non come un ostacolo.

Qual è il peso, nella formazione culturale, che impedisce ai dirigenti italiani di raggiungere l’altezza di operatività proposte dai nuovi media?

Bisogna puntare tutto sull'education, in particolare sulle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), da noi poco diffuse, sin dalla giovanissima età e poi continuare con la formazione in azienda, con stimoli che aiutino i manager a sviluppare pensiero laterale.

Salim Ismail, nei ringraziamenti ricorda la Singularity University come “fonte di ispirazione, informazioni e guida per le nostre riflessioni” e lei stesso nella Presentazione definisce ‘Exponential Organizations’ figlio di Singularity University”.
Quali sono i tratti principali dell’originalità di quell’Università?

La Singularity University non è una università tradizionale, ma una realtà piena di stimoli, capace di fornire contenuti solidi ma anche di trasmettere lo spirito di come si vive nella Silicon Valley. Una caratteristica che traspare direttamente dai nomi e dai curricula dei suoi fondatori, che vivono il nostro futuro immediato come se fosse passato: il futurologo di Google Ray Kurzweil, l’inventore dell’Xprize Peter Diamandis e lo stesso Salim, imprenditore e manager seriale. La Singularity University si focalizza in particolare sui principali temi che ruotano attorno al tema “disruption” – cioè quando una nuova tecnologia origina il cambiamento di una determinata attività modificandone il modello precedente – prendendo in considerazione grandi cambiamenti tecnologici che hanno un forte impatto in ambito sociale, legislativo ed etico. Dice l’editore statunitense Steve Forbes: “Se non sarete i disruptor di voi stessi, lo sarà qualcun altro.

Salim Ismail
con Michael S. Malone
e Yuri van Geest
Exponential Organizations
Traduzione di Rita Teresa O’ Connell
Prefazione e postfazione di Peter H. Diamandis
Presentazione di Fabio Troiani
Pagine 384, Euro 24.00
Marsilio


Splendor


È questo il titolo di un bel libro di cinema pubblicato da Laterza.
Splendor Storia (inconsueta) del cinema italiano è firmato da Steve Della Casa. Da vent’anni conduce “Hollywood Party” per Radio Rai, una delle poche trasmissioni ben fatte (non a caso nata in epoca lontana dall’attuale) che ha la sola colpa di far fare bella figura a dirigenti di dubbio merito.
Si è laureato in Storia e critica del cinema con Gianni Rondolino. A vent’anni ha fondato con altri giovani cinefili il Movie Club di Torino e a trenta ha partecipato alla nascita del Torino Film Festival, del quale è stato direttore dal 1999 al 2002.
È stato presidente della Film Commission Piemonte per sette anni, ha collaborato ai festival di Venezia, Locarno, San Sebastián, Taormina ed è autore di monografie su Monicelli, Mattoli, Freda, Bava e Garrel.

In questo video Della Casa offre un suo autoritratto.
Qui, l’autore presenta “Splendor”.

Della Casa, con eleganza, tiene a dire che la sua è “… una storia sentimentale del nostro cinema. Una carrellata che non ha alcuna pretesa di esaustività”. Le sue pagine, però, in modo sommesso scandiscono con esattezza critica le varie epoche della settima arte in Italia: le origini, il fascismo, il neorealismo, gli anni Sessanta, e via via fino ai giorni nostri.
Se devo ricondurre a un’osservazione che connota le pagine e tutte le guida, la rintraccio nelle parole che seguono: “… il cinema italiano non è mai stato un’industria nel senso compiuto e letterale del termine, ma un vero e proprio turbinio di creatività, artigianato e arte di arrangiarsi”.
Ecco, in poche parole, un efficace ritratto del nostro cinema, la ragione dei suoi trionfi e dei suoi tonfi.
Il racconto delle varie epoche e dei personaggi che le animano è fittamente intercalato da un’aneddotica che attraverso microstorie riflette l’epoca in cui gli episodi narrati si sono svolti. Vizi e virtù, tic e tabù di anni lontani e meno lontani che illustrano il volto di un mondo, il profilo di personaggi attori e agiti al tempo stesso.
Come molti che hanno lavorato nello spettacolo, dal basso dei miei decenni Enpals, ho particolare interesse più che per certi libroni (per carità, rispettabilissimi) di teoria cinematografica, teatrale, radiotelevisiva, per i volumi come “Splendor”. Perché è ascoltare uno che questo mestiere ha fatto – come Della Casa – e riferisce in un angolo di bar notturno, uno di quelli da me amati, cose e gossip, fatti reali e leggende metropolitane affabulando chi ascolta.
Lo sapevate che Michelangelo Antonioni, il regista intellettuale per eccellenza, si presta a girare gli interni del mitologico “Nel segno di Roma” con Anita Ekberg, che Sergio Leone non ancora famoso dirige “Il colosso di Rodi” e “Gli ultimi giorni di Pompei” e che Carlo Lizzani ha girato un western con Pasolini attore? E meno male che si trattava di un film con spari a salve perché in “Il sole sorge ancora” di Aldo Vergano, nel finale, vengono fucilati dai nazisti due nomi di punta del futuro cinema italiano: Gillo Pontecorvo e il sunnominato Lizzani (questi nei panni di un prete). E siete a conoscenza che il futuro premio Oscar Carlo Rambaldi muove i primi passi costruendo una rudimentale idra a quattro teste per "Maciste contro i mostri" ma il camioncino che la trasporta si ferma per un guasto a Roma sulla via Tuscolana tra l’ilarità dei passanti?
Tutto questo, e molto altro, Della Casa narra in questo suo intenso e delizioso libro.

Steve Della Casa
Splendor
Pagine 140, Euro 9.50
Editori Laterza


Civitafestival

«La città è costruita su tufo vulcanico, nel quale m’è parso di ravvisare cenere, pomice e frammenti di lava. Bellissima la vista del castello: il Monte Soratte, una massa calcarea che probabilmente fa parte della catena appenninica, si erge solitario e pittoresco. Le zone vulcaniche sono molto più basse degli Appennini, e solo i corsi d'acqua, scorrendo impetuosi, le hanno incise creando rilievi e dirupi in forme stupendamente plastiche, roccioni a precipizio e un paesaggio tutto discontinuità e fratture».

Per chi non l’avesse riconosciuta questa è Civita Castellana vista con gli occhi di Johann Wolfgang Goethe in una pagina del suo “Viaggio in Italia”.

Tra i vicoli storici di Civita Castellana, tra aree templari, necropoli e santuari, dal 14 al 23 luglio torna per il 27esimo anno consecutivo il Civitafestival (in foto il logo).
Quindici giornate di programmazione: dalla musica alla danza, dal cinema al teatro, dalla letteratura alle arti visive.
Proposte che animeranno alcuni degli scorci più rappresentativi della leggendaria Falerii Veteres.

Si comincia con una giornata di studi – seguita da un concerto: Ensemble “Mare Nostrum”, Chiostro del Convento di San Francesco – dedicata al musicista del periodo barocco Domenico Mazzocchi (Civita Castellana, 1592 – Roma, 1665); chiuderà il Festival, nel Cortile Maggiore di Forte Sangallo, Ennio Fantastichini con un omaggio a Pier Paolo Pasolini a 40 anni dalla sua morte.
Per tutto il programma in dettaglio: CLIC!

“La XXVII edizione del Civitafestival” – dichiara il Direttore Artistico Fabio Galadini, QUI la sua bio – “coniuga tradizione e contemporaneità, forme e comportamenti creativi che vanno dalla musica alla danza passando per il cinema il teatro la letteratura e le arti visive. Questa la base di una programmazione che conferma la naturale predisposizione al pluralismo culturale e artistico, facendosi interprete della nostra epoca nella consapevolezza e nella speranza che anche l’arte debba fare la sua parte: sollecitare la fantasia facendo crescere il giudizio critico attraverso il consumo della bellezza. Particolarmente significativa è la presenza giovanile, una generazione in grado di affermare il grande valore della differenza”.

Ufficio Stampa HF4: Marta Volterra, marta.volterra@hf44.info ; 340 – 96 900 12

XXVII Civitafestival
Civita Castellana
info: 0761 - 59 03 13
dal 14 al 23 luglio
Ingresso libero


Jing Shen

“La repressione di Piazza Tienanmen” (per i più distratti, cliccare QUI, n.d.r) – scrive Daniela Palazzoli – “determina una profonda depressione fra gli artisti. Molti decidono d’andarsene. Altri restano e raccontano con fermezza la loro disperazione. Per farlo inventano uno stile psicologico, inedito nel panorama globale, ma ricco di una lunga tradizione di resistenza alle dittature in Cina. Il ‘Realismo Cinico’ si ispira ad un atteggiamento molto cinese che viene definito ‘popi’. Esso gode di grande prestigio presso gli intellettuali. Lo si può tradurre come punk, pazzoide o schizoide underground […] Grande successo ha avuto anche il ‘Pop Politico’, nato dalla mente di Wang Guangyi: un sandwich fra le iconografie popolari delle campagne di propaganda maoista e i marchi e i poster della pubblicità occidentale”.

Con il nuovo millennio l'arte in Cina si apre all'utilizzazione di nuovi media, quali fotografia, video, arte digitale, performance e installazioni.

“La ricchezza e larghezza delle sperimentazioni tecniche” – scrive Alessandra Dal Lago per Treccani – “stimolate anche dalla progressiva attenzione del collezionismo, del mercato e del mondo artistico occidentale, non trovano tuttavia sempre riscontro nella valenza dei temi affrontati, che spesso appaiono superficiali e di maniera […] Le correnti artistiche degli ultimi anni sono molto varie e di difficile classificazione, ma possiamo evidenziarne alcune linee caratterizzanti: il progressivo emergere di una coscienza artistica al femminile, realizzata soprattutto nei generi della pittura e delle installazioni; il diffondersi della video art, che ben si presta a fissare le immagini tumultuose e spesso surreali tipiche di un paesaggio urbano in continua e inarrestabile evoluzione; l'utilizzo del supporto fotografico nella documentazione di performance e messe in scena appositamente create per l'obbiettivo, che risentono spesso dell'influenza della fotografia pubblicitaria, ironizzando sul materialismo sfrenato che ormai definisce primariamente la società cinese dell'ultimo decennio”.

Questa complessa realtà da anni è investigata da Davide Quadrio e Massimo Torrigiani, due grandi esperti di arte cinese.
Per saperne di più su Quadrio, ecco un'intervista; per notizie su Torrigiani QUI.
I due critici sono curatori di Jing Shen L'atto della pittura nella Cina contemporanea.
Promossa dal Comune di Milano – Cultura, "Jing Shen" è prodotta dal PAC Padiglione di Arte Contemporanea e da Silvana Editoriale in collaborazione con l’Aurora Museum di Shanghai. La mostra è realizzata con il sostegno di Tod’s, sponsor dell’attività espositiva del PAC, con il contributo di Alcantara e con il supporto di Vulcano.

”Jing Shen” vuol dire ”consapevolezza del gesto”, ma anche ”forza interiore”. Si riferisce al momento che nella pittura classica - anche di matrice buddista e taoista - precede l’atto pittorico. È l'apice del lavoro preparatorio che viene prima di affrontare la produzione di un’immagine. Un’idea e una pratica che mettono l’accento sulla ricerca meditata della consapevolezza e sul suo risultato attivo: il gesto, l’atto della pittura.
Dalla presentazione: Nella cultura cinese la pittura ha un ruolo eccezionale. Basti pensare che in Cina scrivere è dipingere. E viceversa. Per artisti, critici, curatori, collezionisti e pubblico, la pittura è ed è sempre stata un dispositivo privilegiato per riflettere e comprendere il mondo e l’arte. È un mezzo che produce ancora riflessioni e risultati di largo e profondo significato. Ha un’influenza tanto pervasiva da affiorare e informare di sé non solo tele o carta, ma anche installazioni, performances, scultura, video e opere digitali.
Jing Shen. L’atto della pittura nella Cina contemporanea analizza - attraverso un punto di vista completamente inedito - l’emergere di temi e modi tipici dell’arte classica cinese nel lavoro di venti artisti di tre diverse generazioni. Non una mostra di quadri - o non solo - ma una mostra sul rapporto che la pittura intrattiene con altri linguaggi; sulla sua essenzialità all’interno di un universo culturale
.

Jing Shen è affiancata da una serie di eventi laterali in tema, per le date di luglio: CLIC.

Non tutto, però, va per il meglio a tanti artisti. Arrestato Dai Jianyong per aver 'photoshoppato' il volto del presidente Xi Jinping in modo ritenuto irriverente. Nel 2012 in una mostra a Shanghai dedicata a Warhol, furono esclusi dalla censura i dieci ritratti di Mao. Oppure si pensi ad Ai Weiwei, uno dei più famosi fra gli artisti totali al mondo. Dissidente, picchiato (nel 2009 i colpi di bastone della polizia cinese ne causarono il ricovero per emorragia cerebrale), incarcerato, bloccato in patria per mancato rinnovo del passaporto, il suo film “The Crab House” (2012) documenta la distruzione da parte del Governo cinese del suo studio a Shanghai.
Inoltre, il controllo della Cina su internet è tra i più rigidi al mondo: lo conferma Freedom House – organizzazione non governativa di controllo della democrazia – nel suo Net Report dell’anno scorso. Potrei continuare, ma in Rete troverete numerose notizie di censura e repressioni anche in campo giornalistico, letterario, cinematografico.
Nel visitare l’interessante mostra “Jing Shen”, non dimentichiamo tutto questo.

Ufficio Stampa per Silvana Editoriale:
Lidia Masolini, Tel. +39 02 45395111; press@silvanaeditoriale.it

PAC – Padiglione Arte Contemporanea
Jjing Shen
A cura di Davide Quadrio – Massimo Torrigiani
Via Palestro 14, Milano
Da oggi al 6 Settembre 2015


Serenità


Può un recensore consigliare la lettura di un saggio dalle cui idee si sente lontano?
Le righe che seguono ne sono una testimonianza.
Il libro, Fazi Editore, è Serenità L’arte di saper invecchiare. In testa alle classifiche tedesche della saggistica l’anno scorso e ancora fra i primi dieci posti oggi; il suo autore è Wilhelm Schmid.
Nato a Billenhausen nel 1953, ha studiato Filosofia e Storia a Parigi, Tubinga e Berlino, proprio a Berlino vive da anni insegnando Filosofia. Ha svolto anche l'attività di "consulente filosofico" presso un ospedale di Zurigo, tiene conferenze molto seguite in tutta Europa. I temi prediletti affrontati nei suoi numerosi bestseller sono la filosofia da utilizzare come aiuto pratico nella vita.
Presso Fazi altri suoi titoli: Felicità (2009 ); L'amicizia per se stessi (2012); L'arte dell'equilibrio (2012); Filosofia dell'arte di vivere (2014).
Aiuto pratico, scrivevo, sì, ma nisba consigli su ginnastiche passive, diete miracolose hollywoodiane, o, peggio ancora, lifting (sconsigliatissimo anzi da Schmid), niente “antiaging” bensì un’”art of aging” filosofica.
Quell’arte di vivere, un tempo posseduta dagli umani e che ancora in Africa e in Asia è rintracciabile ma che nelle nostre società opulente è andata smarrita, vulnerata dalla rincorsa al successo, dal rifiuto della vecchiaia, alla ricerca, prima ancora di una lunga vita, di una lunga giovinezza.
Accettare le età della vita, consiglia Schmid, abituarsi fin da giovane a godere anche i più piccoli piaceri, non disprezzare le abitudini – cadute oggi sotto i fulmini della critica giovanilistica – perché “le abitudini sono rilassanti, affidabili e ripetitive”.
Prepararsi al dolore senza abbandonarsi alla disperazione.
Tutte cose che ci saranno utili quando sarà inevitabile accettarle e per non viverle come ferite fisiche o psichiche ma come un patrimonio di serenità.
L’autore suggerisce anche un percorso da attraversare fatto di dieci passi.
Passi gestibili ciascuno secondo la propria sensibilità ma dei quali uno è ritenuto il più importante fra tutti: toccare fisicamente il prossimo ed esserne toccati, quel contatto (ad esempio, nella danza, assai consigliata), che accompagna e conforta i primi giorni della nostra vita. Abbracciare. Mi è venuto da pensare che se poi non si è abbracciati né troviamo chi abbracciare come non pensare a Temple Grandin e alla sua “macchina per abbracci”? Se la Grandin fosse impegnata, consiglio un’altra signora: Kelly Dobson, americana, occhialuta, falsa timida, ha inventato una macchina indossabile che può abbracciarci a comando nostro o di altri che desiderano abbracciarci. Macchina che ha interessato psicoterapeuti (la Dobson ha studiato medicina e psicoterapia) perché può essere utile agli autistici che desiderano l’affettuosità ma spesso hanno terrore del contatto fisico. Come vedete, quanto ad abbracci, un rimedio c’è sempre.
Altro prezioso suggerimento: non abbandonarsi a quella mesta consuetudine vegliarda di parlare male dei giovani e dei loro gusti. Piuttosto ascoltarli. Rappresentano per l’anziano un mondo sconosciuto, visitarlo – condividendolo o no – porterà freschezza di pensiero.
Il libro termina non evitando lo scomodo tema della morte, profilando pensieri su una possibile vita dopo la fine. Attenzione! Non si tratta di una sbornia andata tanto male a Schmid da convertirlo alla metafisica e a qualche religione di passaggio. No. L’autore con “dopo la fine” si riferisce a un’energia che ognuno di noi possiede e che quando un giorno non più utile al nostro corpo (o prigioniera dello stesso?) va a unirsi a un’Energia che attraversa il mondo in senso fisico determinando altri fenomeni di vita, reincarnazioni escluse.

Saggezza grande, dunque, perché mai sentirsi, come io mi sento, lontano da quelle considerazioni?
La colpa è di Giacomo Leopardi.
Perché troppo sono convinto della giustezza di quando afferma: “La morte non è male: perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desiderii. La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti”.
Prima ancora mi aveva illuminato un lampo di La Rochefoucauld: “I vecchi amano dare buoni consigli, per consolarsi di non essere più in grado di dare cattivi esempi”.

Wilhelm Schmid
Serenità
Traduzione di Federico Ferraguto
Pagine 90, Euro 14.00
Fazi Editore


Sabatini e Beckett

Conoscere Federico Sabatini (in foto), sentirlo parlare, significa attraversare i territori dell’intelligenza con la I maiuscola, conoscere inesplorati collegamenti non soltanto fra autori letterari ma anche loro inedite corrispondenze con la musica, le arti visive, il cinema, le scienze.
Scrittore, critico letterario, traduttore, studioso del Modernismo inglese ed europeo, dei rapporti tra letteratura e filosofia, e letteratura e scienza, ha pubblicato libri su Joyce, Woolf, Beckett, insieme con numerosi saggi e articoli in riviste internazionali come Comparative Literature Studies, The Anachronist, e Nebula. Il suo nome lo si legge nelle raccolte per le case editrici University of Florida Press, Rodopi, Clemson University Press.
Scrive per il web magazine "I fiori del male" QUI la sua rubrica.
È autore del romanzo Segmenti di coscienza.
Lo conobbi quando minimum fax nel 2011, in occasione del settantesimo anniversario della morte di James Joyce (1882 - 1941), pubblicò “Scrivere pericolosamente” una ben mirata raccolta di citazioni dalla narrativa ai saggi alle lettere dell’irlandese; un lavoro certosino che non a caso ha avuto un grande successo non solo di critica ma anche di vendite.
Altre cose di lui, la traduzione di “L’uomo in lutto e altri racconti gotici d’amore” di Mary Shelley e del poemetto “Monte Bianco”, di suo marito Percy Bysshe Shelley; Cosmotaxi ne parlò QUI.
Ricordo con gioia di lettore anche "Spegnere le luci e guardare il mondo di tanto in tanto" (minimum fax), riflessione di Virginia Woolf sulla propria scrittura. Una ragionata selezione di passi dall’epistolario in cui la scrittrice racconta le difficoltà del suo processo creativo e affronta questioni di tecnica compositiva.
In quell’occasione, durante un'intervista fu approfondito il suo lavoro sulla Woolf.

Joyce… Woolf, non sorprendono, quindi, anche suoi lavori su Samuel Beckett.
Ne troviamo notizia sul portale italiano dedicato a Beckett.
Fu ideato nel 2003 da Federico Platania che così scrive: In CoSMo un numero monografico dedicato a Samuel Beckett curato da Federico Sabatini, autore – tra le altre cose – del saggio Im-marginable. Lo spazio di Joyce, Beckett, Genet (Aracne, 2007) di cui abbiamo parlato qui.
Beckett, ultimo dei modernisti o primo dei postmoderni? L’obiettivo della monografia è proprio quello di raccogliere punti di vista di diversi studiosi da tutto il mondo per uscire dal loop creato da questo interrogativo.
Tra gli interventi, Ann Banfield, Daniela Caselli, Edward Bizub, Keir Elam, Martina Kolb, Federico Bellini, Andrea Guiducci, Chiara Simonigh
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Per leggere, fare clic sull’immagine della copertina.


Studi sulla morte


L'età vittoriana si delimita, di solito, dall’anno dell’incoronazione nel 1837 al 1901 anno della morte della Regina Vittoria. Il suo regno durò sessantatré anni sette mesi e due giorni, più di ogni altro monarca britannico e il più lungo di ogni regina fino ad oggi.
Fu un periodo caratterizzato da profondi mutamenti sociali e, accanto all’affermarsi della fede nella scienza e alla crisi di quella nelle religioni, imperarono un’ipocrisia sociale e un rigore censorio che conobbe perfino involontaria comicità.
La letteratura di quel periodo se vide da una parte molti scrittori adattarsi al gusto ostentatamente ottimistico del pubblico, dall’altra registrò un contrasto a quel clima. Perché se è vero che la rivoluzione Industriale aveva apportato ricchezza e benessere per tanti, è pur vero che in quel periodo s’inacerbirono le ingiustizie sociali con tantissimi costretti a vivere in condizioni miserevoli.
Alcuni autori dell’epoca, con i loro lavori esposero i guasti del tempo, si pensi, ad esempio, alle opere di Dickens (Oliver Twist, David Copperfield, Tempi difficili), o alla critica della civiltà industriale fatta da John Ruskin e Walter Pater.
Altre penne volsero la loro scrittura scegliendo ambientazioni esotiche per analizzare rapporti sociali e razziali: Robert Louis Stevenson, Rudyard Kipling, Joseph Conrad.
Gli abbandoni visivi del Decadentismo rilevabili negli artisti preraffaelliti, troveranno un vertice di scrittura con scatti sferzanti nel figlio dell’oculista personale della regina Vittoria: Oscar Wilde.
Il romanticismo fa ancora sentire la sua voce nel periodo vittoriano e si assiste a un passaggio dal gotico settecentesco pieno di cupi frati, tenebrosi castelli e spaventi soprannaturali a un’altra forma di gotico in cui l’orrore si manifesta soprattutto sul piano psicologico.
Trionferà lo Stevenson di Jekill e Hide ma tanti furono i cosiddetti minori.

Fra questi c’è Stanislaus Eric Stenbock e dobbiamo a Stampa Alternativa la pubblicazione di un delizioso volume intitolato Studi sulla morte Racconti romantici a cura di Paolo Orlandelli che ne è anche felicissimo traduttore.
Stenbock, scrittore tardo vittoriano, di nobili origini, nacque nel 1860 a Cheltenham, in Inghilterra. Suo padre, alcolizzato, morì poco dopo la sua nascita; la madre, con la quale mai andò d’accordo, si risposerà e avrà sei figli.
Stenbock studiò al Balliol college, a Oxford, senza, però, conseguire il diploma di laurea. Dopo la morte del nonno prese il titolo di Conte e le redini della proprietà di famiglia, in Estonia, dove visse fra il 1885 e il 1887.
Nei circoli letterari e sociali fece parte del Cenacolo, un gruppo letterario di dandy.
Nel 1881, pubblicò, a sue spese, la raccolta di poesie “Love, Sleep and Dreams” nella quale rivelò la sua omosessualità che traspare anche in alcuni racconti presenti nella raccolta curata da Orlandelli.
Vestiva in modo eccentrico, abitava circondandosi di molti animali fra i quali una scimmia e un serpente. Passeggiava tenendo al fianco una bambola dicendola suo figlio.
Alcolizzato cronico, oppiomane, Stenbock morì trentacinquenne, durante un alterco col patrigno nel 1895. Fu sepolto accanto alla casa della madre, a Brighton, mentre il suo cuore fu mandato in Estonia.
Scrive il curatore: Se le sue liriche non svettano, i suoi racconti sembrano degni di plauso. Benché tutti incentrati su temi morbosi e con finale tragico, ciascuno di essi tratta soggetti diversi e convince per lo svolgimento, i dialoghi, la descrizione degli ambienti e dei personaggi. La cura meticolosa dei dettagli, l’uso efficace della suspence, l’arguzia verbale, la forza delle immagini e la pregnanza dei stati emotivi, coinvolgono il lettore fornendogli non poche occasioni di puro godimento.

Stanislaus Eric Stenbock
Studi sulla morte
a cura di Paolo Orlandelli
Pagine 108, Euro 12.00
Stampa Alternativa


Terrore mediatico

Quant’è distante l’Isis dall’Italia? Non è distante.
Il radicalismo islamico è fra noi. Perfino la severissima sharia – applicata in ogni territorio occupato dall’Isis – è praticata nel nostro paese. Abbiamo cronache di figlie (sì, soprattutto figlie) dai loro stessi familiari picchiate, sfregiate, fino agli omicidi commessi da padri e fratelli: Hina Saleem a Brescia, Sanaa Dafani a Pordenone, Asif Khalid a Molinella, percosso a lungo e vegliato fino a quando cessò di vivere; giovani trucidati perché sembrati non rispettosi delle intransigenti leggi religiose.
Più vicina ancora a noi, però, è la diffusione propagandistica dell’Islam radicale che, come accade anche in altri paesi europei, crea volontari che vanno ad arruolarsi fra quei sanguinari esaltandone ogni atrocità; è di pochi giorni fa la notizia di un’italiana che aveva convinto la famiglia a raggiungerla in Siria per combattere insieme per l’Isis.
Quella propaganda entra nelle nostre case attraverso il resoconto delle azioni stesse compiute dagli uomini in nero: i luoghi scelti, le vittime colpite, il tipo e le modalità di linguaggio verbale e audiovisivo delle rivendicazioni.
Tutto questo porta molti a considerare terrorista tutto l’Islam, senza quelle faticose, ma necessarie, distinzioni per meglio comprendere e combattere gli elementi estremisti.

Un libro che aiuta a capire quella complessa realtà l’ha pubblicato Laterza: Terrore mediatico, ne è autrice Monica Maggioni (in foto).
Dalla fine degli anni Novanta si è occupata di guerre e di crisi in giro per il mondo. Ha seguito conflitti in Iraq, Iran, Afghanistan. È stata in Africa e in Asia e ha vissuto negli USA.
Ha pubblicato presso Longanesi, nel 2005, Dentro la guerra.
Dirige RaiNews, il polo all news della Rai.
Proprio in tale ruolo si rese protagonista nel giorno dell’attentato a “Charlie Hebdo” di una lunga diretta dedicata all’avvenimento; RaiNews fu l’unica rete della Rai a cogliere con estrema tempestività l’importanza politica, umana e simbolica di quel fatto sanguinoso.
L’autrice, in “Terrore mediatico” pratica uno stile veloce, usando una secchezza da documentario e appassiona facendo scorrere le pagine su più cursori: rivisita le ore di quella diretta con tutte le scelte che comportò quasi a ogni minuto; svolge un’analisi del linguaggio televisivo e delle responsabilità di chi lo agisce; pone interrogativi sui confini della satira e se questa debba averne; indica quale può essere un corretto approccio alle plurali realtà islamiche.

Quella “diretta” fu scandita da una serie di decisioni (a cominciare proprio da quella di realizzarla, appena battuta da France-Press la prima sintetica notizia dell’irruzione “di uomini armati nella sede di Charlie Hebdo”), decisioni forzosamente da prendere con i tempi strettissimi dettati dalla drammaticità degli eventi.
Da qui un’ampia riflessione sulla differenza fra giornalismo stampato e quello tv con il vantaggio che ha il primo, per agio di tempo, d’essere più pensato rispetto al secondo che viaggia, specie in diretta, talvolta sul minuto o addirittura sul giro di secondi.
Altra cosa sulla quale ci sono articolate osservazioni è bene espressa in quest’avvio: Il nostro – scrive Maggioni – non è un lavoro neutro. Ci piaccia o no, è quanto di più distante dall’obiettività si possa immaginare.
Inquadratura, montaggio, voce, minutaggio, tutto concorre a determinare un orientamento.
È una scelta girare la telecamera verso la folla o sul dettaglio del volto del potente che tiene il comizio.
La parte finale del libro è dedicata a quella “zona grigia” degli islamisti moderati alla quale in parecchi si rifiutano di volgere lo sguardo cedendo alla collera che li consegna alla contrapposizione frontale.
Dopo averlo tanto combattuto, il mondo delle sfumature, delle complessità, delle interconnessioni si prende la sua rivincita e ci costringe a ragionare. È proprio lì, in quella terra di mezzo tutta da scrivere, che non lascia tranquillo nessuno, che non culla nessuno con le sue certezze, che si potrebbe collocare lo spazio del pensiero che elabora soluzioni.
Un libro necessario per capire che cosa sta accadendo in quel conflitto e che cosa quel confronto armato fa accadere fra noi.

Monica Maggioni
Terrore mediatico
Pagine 183, Euro16.00
Editori Laterza


Festival teatrale di Resistenza


La storia degli anni italiani da 1945 in poi ha registrato innumerevoli tentativi di ridimensionare il profilo o addirittura demonizzare la Resistenza.
Lo storico Giovanni De Luna, in un’intervista rilasciata a questo sito, fra l’altro, dice: Ci sono due fasi della nostra storia politica in cui la Resistenza è stata demonizzata. La prima - grosso modo dal 1948 al 1960 - in cui, complice anche il clima della guerra fredda, l’anticomunismo si sostituì all’antifascismo, proponendosi come il pilastro dell’Italia democristiana; la seconda - a partire dagli inizi degli anni ’90 - in cui la classe politica della Seconda repubblica ha rinunciato a proporre una religione civile, sostituendo i valori con gli interessi e azzerando il rapporto con la storia e con la memoria..
Necessario, quindi, mantenere vivi i valori umani e politici che uscirono da quell’esperienza storica e perciò benvenuto sia, specie in quest’anno che ricorre il 70° anniversario della Resistenza, un Festival teatrale proprio alla Resistenza dedicato.

Si svolge a Gattatico negli spazi esterni della casa contadina abitata dalla famiglia Cervi, oggi moderno Museo di Storia contemporanea, e questo contribuisce a sua volta a determinarne i temi ricorrenti.
Ai più giovani ricordo che la famiglia Cervi fu duramente colpita, sette fratelli che presero parte alla Resistenza, fatti prigionieri, furono torturati e poi fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia; particolari sulla loro storia QUI.

Il festival, nel 2015 giunge alla sua quattordicesima edizione, rassegna di teatro civile contemporaneo anche quest’anno porterà in scena, sette compagnie sulla base del Bando di Concorso uscito a marzo.
Il Progetto, è a cura di Paola Varesi, Stefano Campani, Mariangela Dosi, Raffaella Ilari, con la collaborazione di William Bigi.
La Giuria è composta dai nomi di: Lorenzo Belardinelli - Alessandra Belledi - Gigi Dall’Aglio - Jefte Manzotti - Giuseppe Romanetti - Patrizia Tamassia e un rappresentante dell’Istituto Cervi.
Il Festival è ideato e promosso dall’Istituto Alcide Cervi e dalla Cooperativa Boorea, con il patrocinio di molti enti pubblici e privati del territorio.

Qui parte di un comunicato che bene illustra profilo e significato del Premio-Rassegna.
Quattordici edizioni hanno fatto del festival un punto di riferimento a livello nazionale per il teatro che vuole misurarsi con le questioni che attraversano la contemporaneità, che interessano la vita individuale e collettiva delle donne e degli uomini, dei giovani, e che guardano alle contraddizioni del nostro tempo.
Progetto e non solo rassegna, il festival anche quest’anno vuole essere spazio di conoscenza e di rinnovo della memoria, di rappresentazione della complessità del presente, ma anche di confronto e di intervento, di partecipazione in un momento di indebolimento del senso di appartenenza e del collettivo.
Gli spettacoli selezionati porteranno in scena le resistenze di oggi e uno spaccato della società contemporanea come esito di percorsi di ricerca e di inchiesta, come stimolo alla riflessione e alla presa di coscienza. Un ruolo importante lo ha la Storia, con l’attenzione ai conflitti che hanno attraversato il ‘900 e a quanto ancora segnano il nostro tempo
.

Il premio sarà consegnato il 25 luglio nel corso della tradizionale “pastasciutta antifascista” in piazza che ricorda quella fatta dai Cervi il 25 luglio ’43 per festeggiare la caduta del fascismo.

Per il programma: CLIC.

Ufficio Stampa e Comunicazione Istituto Cervi
Liviana Davì, Tel.0522 – 67 83 56; stampa@istitutocervi.it

Festival teatrale di Resistenza
Museo Cervi
Gattatico (Reggio Emilia)
Informazioni e prenotazioni
Tel.0522.678356 – Fax 0522.477491
info@istitutocervi.it
7 – 25 luglio 2015


L'hacker dello smartphone


Spesso capita d’incontrare qualcuno che, dandosi aria vissuta, si dice sicuro d’essere intercettato. Di solito è un pirla. Lo dice per farsi credere importante e in possesso di chissà quali segreti. Il più che conosce è un gossip condominiale noto in tutto il quartiere.
Poiché tanto si parla e si legge sulle intercettazioni, si generano false credenze se non addirittura ossessioni sicché pare che un grande orecchio tutti ci sovrasti e ascolti.
Non esistono intercettazioni? Certo che esistono, eccome! Ma non nella misura in cui si sospetta né sono possibili con la facilità di cui si favoleggia.
Per sapere come negli ambienti spionistici si svolgono gli occulti lavori che vengono fatti, compresi i principii tecnici (quelli morali in questo campo non esistono... ma, a ben pensarci, neppure in molti altri campi), la casa editrice Apogeo ha pubblicato un libro che di cose ne dice tante ma proprio tante su quegli ambienti e sulle armi tecnologiche, da quelle più semplici (per modo di dire) a quelle più complicate (e sì che n’esistono!), per impossessarsi di segreti. Quelli veri.
Il titolo del volume è L’hacker dello smartphone Come ti spiano al telefono.
L’autore è Riccardo Meggiato.
Dopo la programmazione di videogiochi e di sistemi d’intelligenza artificiale, si è dedicato al mondo della divulgazione tecnologica realizzando centinaia di articoli e tutorial. Apprezzata firma del magazine Wired Italia, per Apogeo è autore di numerose pubblicazioni.
Tra i suoi successi troviamo Sherlock Holmes al computer e Facebook - Guida all'hacking.
Particolarmente originale un suo recente lavoro, "Il lato oscuro della Rete", di cui Cosmotaxi se ne è occupato QUI.

Le pagine – condotte con un linguaggio semplice, comprensibile pure a chi ha poche (ma non inesistenti) nozioni informatiche – si articolano attraverso sei punti che possono essere così sintetizzati:
- Minacce per telefoni e smartphone
- Basi delle intercettazioni telefoniche
- Strumenti e tecniche per spiare telefoni fissi e telefonini
- Strumenti e tecniche per spiare smartphone e tablet
- Tecniche avanzate di controllo telefonico
- Consigli per mettere il telefono in sicurezza.

Difendersi. Ecco – per chi ne ha veramente necessità – un imperativo in questa società in cui si parla tanto di privacy perché mai fu violata come lo è ora.
A questo proposito, Meggiato demolisce un altro luogo comune: la difesa ermetica a ogni attacco. Non esiste.
Perfino i sistemi VoIP, vale a dire Skype, che per una sciatta vulgata giornalistica hanno conquistato immeritata fama d’impenetrabilità, sono al riparo da ascolti indiscreti.
Del resto, è di questi giorni la notizia – ammessa dai servizi statunitensi – dello spionaggio telefonico ai danni della Presidenza francese. I francesi mica sono cavolfiori, hanno eccellenti tecnici, gente di prim’ordine, eppure… eccoli lì beffati.
Importante rilevare che l’autore in una nota avverte: Questo libro non vuole trasformare nessuno in criminale. Quando uso un soggetto personale (“noi”, “tu”, e così via) lo faccio solo a scopo esemplificativo. Molte delle tecniche spiegate sono illegali, quindi utilizzale solo su dispositivi tuoi e solo per imparare a difenderti.

Difendersi. Perché il telefono ha smesso di essere tale da anni, trasformandosi in un cellulare prima e in un computer poi. Telefonare e mandare SMS sono ormai attività secondarie nei moderni smartphone dove i dati, un normale messaggio come un documento di lavoro, si muovono attraverso la rete Internet. Tutto questo non ha fatto altro che aumentare le possibilità di essere intercettati e controllati. Hacking e sicurezza sono problemi che riguardano ogni dispositivo, dal più semplice telefono fisso fino ai moderni iPhone, apparecchi Android, BlackBerry o Windows Phone.

Riccardo Meggiato
L’hacker dello smartphone
Pagine 148, con ill. b/n e colore
Euro 9.90
Apogeo


Strange Worlds a Modena

Se a Modena abitate, o da quelle parti vi trovate, una delle occasioni per visitare un’interessante mostra è data dalla Fondazione Fotografia Modena – sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio della città.
Da tempo è un polo d’attrazione didattico e di ricerca di primo piano nello scenario italiano; all’insegnamento sia teorico sia pratico, affianca una serie d’importanti esposizioni.
Come Strange Worlds, una nuova mostra che inaugura fra pochi giorni tratta dalle collezioni permanenti della Fondazione Cassa di Risparmio modenese e organizzata in collaborazione con il Comune di Modena nell'ambito del programma d’iniziative estive collegate ad Expo 2015, in partnership con UniCredit.

In foto: Laila Glusman, Laisla, 2007. Courtesy dell’artista.

Il percorso, a cura del direttore di Fondazione Fotografia Fiippo Maggia, comprende circa 70 opere, tra fotografie, video e installazioni, di 26 artisti provenienti da ogni parte del mondo.

Tema declinato dalla mostra è il racconto di altre terre, vicine e lontane, dove le dinamiche sociali, culturali, religiose in atto si intrecciano dando vita a storie inedite: "un susseguirsi emozionante di volti e costumi ", "un mosaico interattivo", come spiega il curatore Maggia, in grado di comporre una "fotografia reale e tangibile della nostra contemporaneità".

Ufficio Stampa: Cecilia Lazzeretti, 059 – 23 98 88; press@fondazionefotografia.org

Strange Worlds
A cura di Filippo Maggia
Fondazione Fotografia Modena
Info: mostre@fondazionefotografia.org
9 luglio – 6 settembre 2015


Colormaps or spices


Al Museo Civico "Girolamo Rossi"di Ventimiglia, con il titolo fatalmente (e implacabilmente) in inglese – Colormaps or Spices – è in corso una mostra di Maria Cristiana Fioretti.
Nata a Cingoli (MC) nel 1966, artista multimediale, è titolare della cattedra di Cromatologia all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Ha tenuto diversi workshop e corsi di "Luce - Colore" presso Università e facoltà europee di Belle Arti, come Lisbona, Budapest, Nizza, Marsiglia e Stoccolma.
Espone dalla seconda metà degli anni Ottanta, partecipando a mostre collettive nazionali e internazionali in spazi pubblici e privati, fino alla mostra personale "Light Abst-Action" alla Casa dell'Energia di Milano nel 2010 e la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2013. Sue opere figurano in collezioni e musei in Italia, Spagna, Malta, Tunisia, Egitto, Francia, Usa, Principato di Monaco, Giappone, Brasile.

La mostra è a cura di Jacqueline Ceresoli.

Il percorso espositivo, è mappato da trenta opere pittoriche su carta che lo spettatore dovrà cercare, come in una caccia al tesoro, servendosi di segni visivi, tattili, sonori e anche olfattivi.
Le opere sono realizzate con interventi di colore su carte nautiche antiche e moderne di varie dimensioni (cm 50x70, cm 60x100, cm 80x110). Per le prime l’artista ha utilizzato colori da lei stessa preparati con la bollitura, in acqua di mare, di spezie e di erbe (zafferano-curry-curcuma-ginger-anice-peperoncino-alloro-rosmarino-lavanda), come usavano fare gli antichi; mentre per le seconde si è servita di tecniche miste (acquerelli, acrilici, cera). Questo viaggio polisensoriale culmina in due installazioni, collocate nelle celle sotterranee, appositamente studiate per il luogo.

Le carte nautiche – scrive Jacqueline Ceresoli nel suo testo in catalogo – sono uno strumento conoscitivo descrittivo per gli esploratori, evasivo per gli artisti capaci di tracciare percorsi metaforici tradotti in immagini come alfabeto visivo della memoria. Per Fioretti il colore è una condizione della ricerca del movimento, visualizza riflessioni dinamiche attraverso paesaggi naturali, mappando un percorso autonomo attraverso lo spazio dell’opera fino al punto dove lo sguardo coglie l’infinito dialogo tra ragione ed emozione, sospeso tra tempo storico e individuale. […] In queste carte si tratteggiano attimi passati, sensazioni sensoriali vissute durante le esplorazioni dell’autrice delle coste intorno al Mediterraneo, all’oceano Atlantico, Pacifico e le isole dei Caraibi, emozioni che si riconfigurano nella sua memoria di luoghi. Paesaggi lirici che si modificano nel corso delle stagioni, dissolte in un continuo processo di svelamento di flussi mentali impresso nel gesto del dipingere. Osservando le mappe sono evidenti impronte, striature, accenni di luce diafana, addensamenti di colore, di spezie, come schegge di visioni conflittuali suggerite dall’urgenza di moltiplicare i punti di collisione tra superficie e vuoto, senza rinunciare a sollecitazioni tattili della materia.

QUI il sito web di Cristiana Fioretti

Le opere in mostra verranno documentate da un catalogo bilingue (italiano – inglese) edito da Silvana Editoriale.

Ufficio stampa Alessandra Pozzi - Studio Pozzi AP
Via Paolo Frisi 3, Milano, press@alessandrapozzi.com, skype: Alessandra.pozzi1
Tel. 338 – 59 65 789

Maria Cristiana Fioretti
“Colormaps of Spices”
Mostra a cura di Jacqueline Ceresoli
Museo Civico "Girolamo Rossi"
Via Verdi 41, Ventimiglia
Info: tel. +39 0184 – 35 11 81;
email: museoventimiglia@libero.it
21 Giugno – 25 Luglio 2015


L'Ateo


Il bimestrale "L’Ateo" (in foto riprodotta la testata) dell’Uaar - Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti - diretto da Francesco D’Alpa e Maria Turchetto dopo 19 anni di pubblicazioni approda al numero 100.
La numerologia, se non lo sapete, considera il 100 un numero speciale perché in molte culture si lega, da sempre alla rappresentazione di Dio. Stavolta nelle sfere celesti questo numero 100 dell’Ateo appare, quindi, c’è da giurarci, particolarmente blasfemo. Oltre ad essere sgradito. Così com’è sgradito a tanti L’Ateo perché è il portavoce di noi persone dal pensiero libero e contrarie ad ogni pensiero unico.
Scriveva Romano Oss, il primo direttore, nel numero 1 dell’allora trimestrale: … vorremmo che il terzo millennio della storia della nostra civiltà vedesse realizzarsi il mito di Prometeo che, liberatosi dalle catene teiste, con il suo fuoco sconfiggesse il buio di due millenni provocato da religioni oscurantiste e antievoluzioniste.

Oggi quasi vent’anni dopo sul numero 100 del bimestrale scrive Raffaele Carcano: Quale sarà il futuro de “L’Ateo” non è ovviamente facile dirlo, a maggior ragione per chi profeta non è e non potrà essere mai. Ma qualche certezza c’è. Il numero di atei e agnostici non è mai stato così alto come oggi (vedi QUI, N.d.R.) l’interesse per le loro vite, le loro idee e il loro impegno anche. “L’Ateo” è nato per dar voce a questo mondo. È dunque ragionevole prevedere che lo farà ancora bene e a lungo.
E a difendere quel mondo dalle discriminazioni che lo colpiscono ogni giorno nella realtà italiana e, in modo sanguinoso, in altre parti del mondo.

Il numero 100 si avvale di fulminanti interviste impossibili: alla Trinità (Stefano Marullo), a Gesù Cristo (Piergiorgio Odifreddi), a Paolo di Tarso (Franco Tommasi), a Darwin (Maria Turchetto). Quest’ultima è anche autrice di un illuminante articolo sul “Gender” sbugiardando, con il suo solito caustico stile, quanti negli ambienti preteschi e in quelli della Destra blaterano sull’”ideologia del gender” e il mostruoso complotto ordito... udite! udite!... da quanti vorrebbero un’umanità omosessuale o addirittura asessuata... Bum!
Nelle 48 pagine tanti altri interventi valorosi, impossibile citarli tutti.

Come in ogni numero della rivista, recensioni di libri, vignette, lettere dei lettori.

La rivista "L'Ateo" è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di 4.00 euro


Vibractions

Nel febbraio del 1978 si apre a Milano, in via San Sisto 6, Sixto/Notes, Centro sperimentale di arti visive. Intento dei fondatori – Ferruccio Ascari, Luisa Cividin, Daniela Cristadoro, Roberto Taroni – era quello di operare lungo due linee direttrici: la costituzione di un archivio di documentazione di film e video d’artista e la realizzazione di rassegne di installazioni e performance che rendessero conto del clima di ricerca di quegli anni in Italia e in Europa. L’interesse del Centro era rivolto principalmente a esperienze che si muovevano all’interno della contaminazione e dello sconfinamento dei vari linguaggi coll’intento di ridefinire il territorio dell’arte, i suoi confini, individuandone le linee di tendenza.

È in questo contesto che si situa Vibractions, installazione sonora-performance di Ferruccio Ascari, ideata e realizzata nell’ambito di una rassegna che presentava in anteprima lavori site-specific di Lanfranco Baldi, Cioni Carpi, Giuseppe Chiari, John Dancan, Walter Marchetti, Gianni Emilio Simonetti, Roberto Taroni, insieme con materiali sonori di estrema attualità relativi al lavoro di alcuni rappresentanti della ricerca artistica più radicale di quegli anni: Ant Farm, BDR Ensemble, Nancy Buchanan, Chris Burden, Dal Bosco-Varesco, Guy de Contet, Douglas Huebler, Layurel Klick, Laymen Stifled, Paul Mc Carthy, Fredrick Nilsen, Barbara Smith, Demetrio Stratos.
Vibractions era, in tale contesto, un esempio centrale d’un filone di ricerca di quegli anni, che vedeva indissolubilmente congiunti elementi visivi e materiali sonori, in un percorso analitico che partiva da una riflessione sulle categorie di spazio e di tempo all’interno dell’arte. Paradossale assunto di fondo di Vibractions era quello di misurare lo spazio attraverso il suono, o meglio, di trovare un suo equivalente sul piano sonoro. Percorrerlo, coglierne le specifiche qualità volumetriche, dimensionali, visive, acustiche; “misurarlo con il metro del tempo, trovare una legge che lo governi e stabilisca una relazione con il soggetto che l’attraversa; farlo rispondere a sollecitazioni sonore per scoprire il suo Suono, l’unicità e l’irripetibilità del suo risuonare in rapporto a ciò che in esso accade”.

A trent’anni di distanza Ferruccio Ascari ha ripreso quel lavoro del 1978 in occasione dell’uscita per Die Schachtel, etichetta di musica contemporanea, di un vinile con la registrazione del materiale sonoro relativo a Vibractions. Il vinile è accompagnato da una riproduzione di Mano Armonica (in foto), opera coeva costituita da venticinque scatti della mano dell’artista le cui dita, ripiegate in diverse posture, sono supporto di una scrittura musicale che fu poi utilizzata come partitura durante la performance.

QUI il sito web di Ferruccio Ascari.


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