Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
giovedì, 30 novembre 2017
Festival Liszt
Ad Albano, a cura dell’Associazione Amici della Musica "Cesare De Sanctis" sta per iniziare il Festival Liszt giunto quest’anno alla trentunesima edizione con la direzione artistica di Maurizio D’Alessandro . I meno informati forse si chiederanno come mai un Festival dedicato al compositore ungherese (Raiding, 22 ottobre 1811 – Bayreuth, 31 luglio 1886) proprio ad Albano. Una ragione c’è. Liszt viaggiò in tutta l'Europa tenendo concerti un po' ovunque. Nel 1865 divenne accolito della Chiesa cattolica; fu anche terziario francescano. Ed è stato inoltre canonico nella Cattedrale di Albano. La sua condotta amorosa non fu troppo vicino ad austeri dettati religiosi perché sfarfalleggiò alquanto. Sposò Marie d'Agoult che si separerà da lui non perdonandogli le troppe scappatelle. Altri suoi cenni biografici: era il suocero di Richard Wagner, avendo quest'ultimo sposato sua figlia Cosima; fu legato a Fryderyk Chopin e a Robert Schumann da amicizia e stima. Appartenne alle generazione romantica e a lui sono dedicate pagine di un libro, edito anni fa da Adelphi, intitolato proprio “La generazione romantica” a cura di Guido Zaccagnini, voce storica di Radio Tre. Grande libro sul movimento romantico in musica; quando apparve, Robert Craft scrisse: “Si può dire con certezza che La generazione romantica di Charles Rosen sia il più importante libro di musica non solo del 1995, ma di molti anni a venire”.
Liszt, grande virtuoso del pianoforte, rivoluzionò la tecnica pianistica e il rapporto tra pubblico ed esecutore. La sua opera musicale comprende 123 composizioni per pianoforte, 77 lieder, 25 composizioni per orchestra, 65 brani corali sacri e 28 profani, svariati arrangiamenti, musiche per organo e altre composizioni. Il cinema è ricorso spesso alle sue musiche, fra i titoli più noti: Eva contro Eva di Joseph Mankiewicz; Hannibal Lecter di Peter Webber; Eyes Wide Shut, di Stanley Kubrick; Chi ha incastrato Roger Rabbit? di Robert Zemeckis. Dal comunicato stampa «Il Romaticismo europeo rivive nella cornice storica di Palazzo Savelli di Albano (RM) tra musica e gran balli con la Compagnia Nazionale di Danza Storica con Nino Graziano Luca, l’Orchestra da Camera di Stato dell’Ucraina Khmelnytsky Chamber Orchestra, Gabrielle Mouhlen, Quartetto TAAG e Vincenzo Maltempo Direzione artistica Maurizio D’Alessandro A cura dell’Associazione Amici della Musica Cesare De Sanctis, in collaborazione con Comune di Albano, con il patrocinio di Regione Lazio, Accademia d’Ungheria in Roma, Museo e Centro ricerche Liszt Budapest, Accademia Università Liszt Budapest. Con alle spalle 30 anni di storia e riconoscimenti in tutta Europa, torna il Festival Liszt: una 31esima edizione nella cornice storica del Palazzo Savelli di Albano (RM) ricca di ospiti da Italia, Ucraina e Ungheria per 5 appuntamenti che uniscono la musica del romanticismo europeo a quella popolare, le rivisitazioni storiche ottocentesche ai gran balli in stile, con la Compagnia Nazionale di Danza Storica di Nino Graziano Luca, l’Orchestra da Camera di Stato dell’Ucraina Khmelnytsky Chamber Orchestra, Gabrielle Mouhlen, Quartetto TAAG e Vincenzo Maltempo. Si rivivranno la magia e l’atmosfera romantica che permearono la vita di Franz Liszt e delle donne da lui amate, la sua musica ed i suoi scritti, percependo le forti emozioni da lui vissute a Vienna, Parigi, Londra, Kiev, Weimar, Lipsia, ma anche e soprattutto in Italia, sul Lago di Como, a Venezia, Milano, Firenze, Roma, San Rossore, Albano Laziale. Il “Festival Liszt 2017” si apre il 10 dicembre con la Compagnia Nazionale di Danza Storica con Nino Graziano Luca, in un affascinante percorso coreografico legato al gran ballo dell’ottocento sulle orme di Liszt ovvero di quella società e quei luoghi che hanno visto il musicista partecipe di un afflato culturale proprio della sua epoca. Un autentico “grande evento” che proporrà il meglio delle coreografie e delle composizioni musicali dei Gran Balli che si svolgevano nelle terre in cui visse Franz Liszt nel corso del XIX Secolo: l’Austria, la Francia, l’Inghilterra, la Russia, la Germania, la Svizzera e, ovviamente, l’Italia. Sogno d’amore. Un romantico Gran Ballo sulle orme di Franz Liszt è allestito con ballerini professionisti in frac e preziosi abiti crinolina che eseguono Valzer, Quadriglie, Contraddanze, Mazurche tratte dai manuali dei più celebri maestri del XIX secolo e da film in costume. Uno spettacolo elegante, divertente ed emozionante anche per il repertorio musicale che oltre a Liszt prevede Strauss, Verdi, Ziehrer, Bellini, Ciajkovsky, Puccini. Il 22 dicembre sarà poi la volta dell’Orchestra da Camera di Stato dell’Ucraina Khmelnytsky Chamber Orchestra con la partecipazione del soprano Gabrielle Mouhlen: danze popolari e vocalità nelle sue declinazioni liederistiche e liriche con musiche di Liszt, Grieg, Rossini, Strauss». Concludo questa nota proponendo all’ascolto uno dei brani più noti di Liszt: La Campanella. Ufficio Stampa HF4 Marta Volterra: marta.volterra@hf4.it ; 340 – 96 900 12 31° Festival Liszt Info: 06 – 93 64 605 Biglietto unico: 10.00 Euro Ore 18.00 Palazzo Savelli Albano (Roma) Dal 10 dicembre 2017 al 14 gennaio 2018
mercoledì, 29 novembre 2017
Lei non sa chi sono io
Chi è Martha Canary-Burke? E chi Israel Isidore Beilin? E chi Serena Faggioli? Non lo sapete? Eppure li conoscete. Sono Calamity Jane, Irving Berlin, Serena Grandi. Gente famosa e meno famosa ha vestito il nome d’origine indossando pseudonimi. QUI ne trovate un elenco sterminato, eppure non esaustivo. Scegliere uno pseudonimo è dovuto a varie ragioni: dall’esigenza di nascondere la propria identità onde sfuggire a persecuzioni a quella di cambiare un nome troppo ovvio per risaltare nel mondo letterario oppure dello spettacolo, o ancora perché vergognosi oppure possono attrarre facili lazzi se il vostro cognome, ad esempio, suoni Renzi o Berlusconi. Riflette in modo colto e divertente a un tempo un libro pubblicato da Bompiani dal titolo già birichino Lei non sa chi sono io Un'avventurosa ricognizione di cause e conseguenze umane e letterarie del celarsi sotto uno pseudonimo. Ne è autore Mario Baudino, intellettuale finissimo nato a Chiusa Pesio (Cuneo) nel 1952, vive a Torino dove svolge l’attività di giornalista per La Stampa. Ha pubblicato le raccolte di poesie Aeropoema, Grazie e Colloqui con un vecchio nemico, presso Guanda. È autore di saggi e di romanzi, fra cui ricordiamo Il sorriso della druida (Sperling & Kupfer 1998), Il mito che uccide (Longanesi 2004), Per amore o per ridere (Guanda 2008), Il gran rifiuto (Passigli 2009), Ne uccide più la penna: Storia di crimini, librari e detective (Rizzoli, 2011), Lo sguardo della farfalla (Bompiani, 2016). Per conoscere il suo pensiero su letteratura, giornalismo, mercato editoriale, leggete quest'intervista. Su “Lei non sa chi sono io” ecco qui che cosa dice. Baudino nelle sue intense pagine riporta un pensiero di Starobinski che mi pare particolarmente illuminante: “Nell’accettare il mio nome, accetto che si dia un comun denominatore comune tra il mio essere profondo e il mio essere sociale. Ora, proprio a questo livello, lo pseudonimo si propone di operare una disgiunzione radicale, separando due mondi nel punto in cui, tramite il linguaggio, è possibile riunirli”. Mi ha sempre particolarmente interessato chi ha scritto in parte col proprio nome e in parte con pseudonimo, un’enigmatica posizione dell’io. Fra questi c’è, ad esempio, Kierkegaard (di cui, ovviamente, si occupa Baudino) che pubblica con il proprio nome solo gli scritti di carattere religioso, mentre tutte le grandi opere filosofiche escono pseudonime. Perché? Mi sono chiesto più volte. Ed ecco una brillante indicazione: "La pseudonimia, in Kierkegaard" - scrive Gabriella Giudici – “è in realtà, come dice egli stesso, un rapporto «non casuale» con la sua intera produzione. L’artificio letterario tipicamente romantico dello pseudonimo diviene in Kierkegaard un vero e proprio “teatro delle maschere” che il filosofo mette in scena e guida con regia puntigliosa. Sceglie per gli pseudonimi nomi bizzarri e al tempo stesso allusivi, vere e proprie cifre di interpretazione dell’opera di cui figurano autori, fa dialogare le sue maschere fra loro da un’opera all’altra, le incastra una nell’altra come in un gioco di scatole cinesi”. Nell’epoca delle psicotecnologie (copyright Derrick de Kerckhove) alla penna attenta di Baudino non poteva sfuggire il fenomeno dei nickname e, infatti, vi è dedicato spazio. A questo proposito, voglio ricordare un famoso nickname come nome collettivo che è stato proiettato dalla mail art alla letteratura alle arti visive: Luther Blissett. Nelle ultime pagine di “Lei non sa chi sono io” si ragiona sul recente e famoso caso di pseudonimia letteraria, quello di Elena Ferrante passando in rassegna le varie ipotesi fatte a proposito della misteriosa scrittrice. Dalla presentazione editoriale. «Per soldi, per snobismo, per scaramanzia, per marketing di se stessi, per non dispiacere qualcuno, per amore... Per moltissime ragioni, nel corso della storia, scrittori e poeti hanno cambiato i loro nomi scegliendo di firmarsi con gli pseudonimi con i quali sono poi passati alla storia. Da Carlo Collodi (all'anagrafe Lorenzini) ad Alberto Moravia (nato Pincherle), da Joseph Conrad a Pablo Neruda, da Teofilo Folengo a Voltaire, da Umberto Saba a Pessoa a Romain Gary - nato Roman Kacew, morto dopo aver vinto un secondo premio Goncourt con un romanzo firmato Émile Ajar - fino all'immancabile Elena Ferrante, Mario Baudino ci trascina in un'avventurosa ricognizione delle cause e delle conseguenze umane e letterarie della scelta di uno pseudonimo. Senza dimenticare che anche noi, oggi, ci aggiriamo in un'insidiosa selva di nickname». Solo applausi? No, un piccolo rimprovero ce l’ho. Mai come in quest’occasione era opportuno un appendice con l’elenco dei nomi citati Mario Baudino Lei non sa chi sono io Pagine 240, Euro 14.00 Bompiani
martedì, 28 novembre 2017
Femminicidio
Esistono libri che se pur pubblicati non di recente conservano una forte carica di attualità. Certamente merito dell’autore, ma talvolta, a quelle felici scritture si accoppiano i ritardi della società che rendono contemporanei guasti che quell'autore stesso vorrebbe appartenessero solo a un lontano passato. È il caso di Femminicidio Loro si sono salvate, scritto da Pascal Schembri già ospitato da questo sito in occasione dell’uscita per i tipi di Odoya di un suo felicissimo saggio su Vonnegut. "Femminicidio": libro attualissimo che non a caso sta conoscendo in questi giorni una serie di presentazioni presso Associazioni culturali e Festival letterari. Attualità drammaticamente avvertita come dimostra in questi giorni a Roma, nella Sala del Cenacolo del Complesso di Vicolo Valdina/Camera dei deputati, anche l'installazione di Paola Volpato dal titolo omonimo: "Femminicidio: donne uccise 2015-2017”. Schembri, si è interessato ripetutamente del tema della violenza. Dopo aver indagato le ragioni dell’impulso maschile al maltrattamento dei propri cari, e in particolare della donna, in “Perché gli uomini picchiano le donne”, tema peraltro drammaticamente presente anche nel libro immediatamente successivo, “GHB – La droga dello stupro”, torna su questo tema angoscioso. Stavolta, con “Femminicidio. Loro si sono salvate” i campioni che sceglie di rappresentare sono donne, quasi tutte mogli, che ai maltrattamenti fisici e psicologici hanno opposto una ribellione. Più o meno fortunati, i loro sforzi si sono mossi in direzione dell’affrancamento dalla brutalità. Scrive Sergio Sciacca: “Questo libro indica, scandaglia attentamente, ma soprattutto lascia vedere quale è la faglia di frattura sulla quale si potrà impostare il contrasto alla attuale deriva. Non basta il pietismo dei religiosi, non basta il buonismo dei politici: occorre la diffusione della psicologia positiva presso gli strati meno attrezzati culturalmente”. Dalla presentazione editoriale di “Femminicidio”. «Femminicidio. Loro si sono salvate: il femminicidio è un fenomeno mondiale. Rappresenta la violenza fisica, psicologica, economica e sociale che minaccia la vita, la salute e i diritti di milioni di donne. La legge del silenzio che pesa sulle violenze coniugali è la stessa che pesa sull'affrancamento realizzato dalle vittime. Si tratta di episodi sporadici, molto meno frequenti in confronto alla moltitudine dei maltrattamenti inflitti dagli uomini in ambito famigliare, ma esistono e forse esporne alcuni, sufficientemente esemplari, potrà servire a tracciare una via che permetta di uscire dal circolo vizioso della brutalità. Martine, Annunziata, Nancy, Lisa, Margaret, Lea, Maddalena, Cécile, Claudine, Leila, Anna e Raja, sono donne che ce l'hanno fatta a sottrarsi alla sopraffazione di un rapporto di coppia malato. Magari reagendo prima, le loro vite sarebbero state meno infelici». Ancora una cosa. Che dimostra come plurali siano i modi per attentare alla vita delle donne. Mentre terminavo di scrivere questa nota, mi ha colpito una notizia di cronaca in tema di violenza, tanto atroce quanto particolare. Sabato 25 novembre – Giornata contro la violenza sulle donne – si è verificato un terribile episodio. Un marito, un certo Marco, proprio nel giorno delle nozze avvenute a Firenze, ha trascinato sua moglie alla Leopolda (come testimonia questo video http://www.giornalettismo.com/archives/2641002/leopolda-sposi-foto/gallery/leopolda-anche-due-neosposi-a-giornata-inaugurale-kermesse) per ascoltare il discorso di Matteo Renzi. Spero che un tribunale sappia infliggergli la punizione che merita. La poverina, bielorussa, per fortuna si è salvata dalla brutale sopraffazione e ancora sotto shock ha detto: “Temo che me lo ricorderò per tutta la vita". Pascal Schembri Femminicidio Pagine 166, Euro 13.50 Dina Editions
lunedì, 27 novembre 2017
Penultime battute
Considero di primo piano il lavoro di Giovanni Fontana. Poliartista, performer, tra gli autori storici della poesia visiva e sonora. Negli anni Settanta inizia la sua collaborazione con Adriano Spatola, che gli pubblica “Radio/Dramma” (Geiger, 1977), testo che si pone tra poesia verbo-visiva, scrittura paramusicale, fonetismo, partitura d’azione, libro d’artista. Nel 1978 entra nella redazione di “Tam Tam” e inizia a frequentare i territori della sperimentazione poetica internazionale stringendo rapporti di collaborazione con i più significativi esponenti: da Dick Higgins a John Giorno, da Henri Chopin a Bernard Heidsieck, da Julien Blaine a Jean-Jacques Lebel. Nel 1979 costituisce con Arrigo Lora Totino, Adriano Spatola, Giulia Niccolai, Milli Graffi e altri poeti sonori italiani il gruppo “Il Dolce Stil Suono”. Seguono tante produzioni che potete trovare elencate sul suo sito web.
Tempo fa, presentai su queste pagine la sua opera intermediale “Déchets” (Dernier Télégramme, 2014) e ricordo che è autore di “romanzi sonori”, tra i quali “Tarocco Meccanico” (Altri Termini, 1990) e “Chorus” (Manni, 2000); in Irlanda è stato pubblicato il testo verbo-visivo “Wasted time” (Redfoxpress, 2011). La sua più recente produzione è intitolata Penultime battute con una nota introduttiva di Francesco Muzzioli; dodicesima pubblicazione della collana CentodAutore – Edizioni Eureka – curata da Rossana Bucci e Oronzo Liuzzi. La formula editoriale propone 100 esemplari in piccolo formato, numerati, firmati e personalizzati da interventi diretti dell'autore – un connubio di letteratura e arte visiva). A conclusione di questa nota, v'invito a vedere 3’00” di un suo recital.
venerdì, 24 novembre 2017
Pirandello e il cinema
Pirandello è stato il primo scrittore (certamente in Italia) a ispirarsi per un romanzo al mondo della cinematografia in “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”. Forse perché il cinema si prestava efficacemente a tradurre il rapporto tra realtà e finzione, tematica portante della sua produzione letteraria. Eppure il suo rapporto con il cinema fu complesso, ambiguo, conflittuale, a volte di totale rifiuto altre volte di grande curiosità. Fu certamente la curiosità verso questa nuova modalità di narrazione per immagini, che si era già strutturata come industria cinematografica che lo spinse a scrivere il romanzo “Si gira” pubblicato una prima volta nel 1916 e poi ripubblicato nel 1925 con il titolo “Quaderni di Serafino Gubbio, operatore”. In questo romanzo il suo giudizio sul cinematografo è spietato sia quando teme che il pubblico abbandoni i teatri per correre a vedere su uno schermo “larve evanescenti” prodotte in maniera meccanica e fredda, sia quando descrive il mondo della produzione cinematografica popolato di personaggi volgari impegnati a confezionare prodotti commerciali per soddisfare il palato delle masse e gli interessi degli uomini d’affari; nello stesso tempo la struttura stessa del racconto letterario e l’ipotesi da Pirandello stesso formulata, di trarne un film, prefigurano un’idea di linguaggio cinematografico di grande modernità: il film nel film. Come si legge nel Dizionario Zanichelli: «Serafino Gubbio registra quotidianamente su pellicola storie artificiali che simulano quelle vere. Un giorno, credendo di riprendere l’azione di un film, finisce per registrare sequenze di vita vera (la scena della tigre che sbrana l’attore), scoprendo così che anche la realtà può apparire finzione. La vicenda, problematica e aperta a varie interpretazioni, pone numerosi interrogativi. Tra questi, la sequenza ripresa da Serafino in cui Aldo spara per gelosia alla Nestoroff è illusione o realtà? Al conflitto relativistico non c’è risposta».
In foto: Pirandello legge un suo copione a Marta Abba. In occasione delle celebrazioni dei 150 anni dalla nascita di Pirandello (questo sito vi ha dedicato una nota QUI), a Roma, al cinema Trevi, l’Istituto di Studi Pirandelliani in collaborazione con la Fondazione Cineteca Nazionale CSC, si terrà una rassegna della durata di 5 giorni su Pirandello e il cinema a cura di Amedeo Fago. Questo che segue è il programma. 25/11 – CINEMA TREVI – Vicolo del Puttarello 25 – ore 17,30 “Pensaci Giacomino” di Gennaro Righelli (it. 1937) tratto dall’omonima commedia “Terra di nessuno” di Mario Bàffico (It.1939) ispirato a tre novelle “Le due vite di Mattia Pascal” di Mario Monicelli (Fr.It.1985) tratto dall’omonimo romanzo 26/11 – CINEMA TREVI – Vicolo del Puttarello, 25 – ore 17,30 “Enrico IV” di Marco Bellocchio (It.1984) tratto dall’omonimo dramma “L’uomo dal fiore in bocca” di Marco Bellocchio (It.1993) tratto dall’omonimo atto unico “La balia” di Marco Bellocchio (It.1999) tratto dall’omonima novella 27/11 – CASA DI PIRANDELLO – via Antonio Bosio 13/b - ore - Andrea Renzi interpreta alcuni brani dai “Diari di Serafino Gubbio, operatore” . - Conversazione su “Pirandello e il cinema” tra: Marco Bellocchio, Amedeo Fago, Paolo Petroni, Giovanni Spagnoletti. 28/11 – CINEMA TREVI – Vicolo del Puttarello 25 – ore 17,30 “Kaos” di Paolo e Vittorio Taviani (It.1984) tratto da quattro novelle “Tu ridi” di Paolo e Vittorio Taviani (It.1998) tratto da due novelle 29/11 – CINEMA TREVI – Vicolo del Puttarello 25 – 0re 17,30 “Effetto notte” di François Truffaut (Fr.1973) “La rosa purpurea del Cairo” di Woody Allen (U.S.A. 1985) “Rashomon” di Akira Kurosawa (Giap. 1950) Ufficio stampa: Simona Carlucci – tel. 335 – 59 52 789; info.carlucci@libero.it Pirandello e il cinema A cura di Amedeo Fago Cinema Trevi, Roma Info: posta@studiodiluigipirandello.it 06 – 44 29 18 53 25 - 29 Novembre 2017
mercoledì, 22 novembre 2017
Sotto una stella crudele
La casa editrice Adelphi ha mandato nelle librerie un importante volume – uscito per la prima volta in Canada nel 1973 – che testimonia le tragedie del secolo scorso attraverso gli occhi di una donna che definire sfortunata è poco. Si tratta, quindi, di un memoir che narra le disavventure vissute da chi ha attraversato terribili dolori messi sulla pagina in modo elegantemente sommesso, ma non questo meno incisivo e che leggiamo in una bella, partecipata traduzione di Silvia Pareschi. ll titolo del libro è Sotto una stella crudele Una vita a Praga – 1941 - 1948. L’autrice: Heda Margolius Kovály. Heda, nasce Bloch in una famiglia ebraica nel 1919. A ventidue anni, è fra i tanti cecoslovacchi deportati e vive la durissima esperienza dei lager. Fuggirà da uno di quelli. Poi, dopo la sconfitta del nazismo, sposerà Rudolf Margolius, tornato da Dachau, e nominato viceministro per l‘estero. Per lei e per il marito la pace dura poco, perché Rudolf sarà coinvolto nel caso Slanski e, come tutti gli altri 13 innocenti (11 dei quali ebrei) vittime di quel processo, sarà condannato a morte e impiccato il 3 dicembre 1952. Anni dopo, Margolius sarà riabilitato, quando la forca ha già fatto il suo lavoro. Per Heda, compagna di un “traditore” verranno momenti terribili fino al matrimonio con Pavel Kovály cui seguiranno le grandi speranze della Primavera di Praga, ma ancora una volta quella stella crudele che sovrasta la città e la vita di Heda, schiacceranno quelle speranze sotto i cingoli dell’Armata Rossa. Heda, abbandona il paese per recarsi in esilio negli Stati Uniti. A Praga ritornerà molto più tardi, dopo la caduta del Muro, solo qualche anno prima della sua morte, avvenuta il 5 dicembre 2010. Il terrore instaurato dalle due dittature, quella nazista e quella comunista, vive nelle pagine evidenziando il parallelismo fra i due regimi, ben fotografato dalla stessa paura che si disegna sui volti dei suoi amici allorché prima, con le SS a Praga, la vedranno tornare dal lager, e, poi, dopo l’impiccagione del marito, con l’occhiuta polizia comunista a caccia di “deviazionisti”, la scansano perfino quando la incontrano in strada. Tempo fa intervistai Elena Dundovich autrice di «Italiani nei lager di Stalin» e le chiesi perché l’hitlerismo e lo stalinismo hanno operato le stesse repressioni e perfino nelle proprie file. Ne ebbi quest’illuminante risposta: “I due sistemi totalitari del Novecento, quello nazista e quello sovietico, si radicarono nel tessuto sociale dei due paesi attraverso l’uso sistematico della violenza e della repressione intese come quotidiano strumento di governo. In entrambi i due sistemi si verificò nel corso degli anni Trenta una capillare epurazione dei partiti che avevano appoggiato l’ascesa al potere dei due dittatori e che, proprio sull’onda del successo ottenuto, avevano conosciuto un notevole incremento del numero dei propri iscritti. Le epurazioni colpirono sia la base sia soprattutto i vertici del partito nazionalsocialista tedesco e di quello bolscevico al fine di creare strutture il più fedeli possibile e di allontanare dai centri del potere personalità in vista che potessero offuscare con il proprio prestigio la fame e il potere dei due dittatori”. Dalla presentazione editoriale. Si può scampare alle persecuzioni dei due grandi regimi totalitari del Novecento e poi scrivere un libro di memorie come questo: sobrio, indomito, luminoso. Heda Bloch è fuggita dalla marcia della morte verso Bergen-Belsen, ma Praga la riaccoglie con ostilità: troppo forte, per i suoi amici, è il terrore delle rappresaglie naziste. Dopo la liberazione e la «rinascita comunista», nel 1952 il marito, Rudolf Margolius, alto funzionario governativo – un «mercenario al servizio degli imperialisti» –, verrà condannato all’impiccagione nel clima plumbeo e maligno del processo contro il segretario generale Slánský. Inizia il periodo del «silenzio attonito, terrorizzato»; solo le seconde nozze con Pavel Kovály salveranno Heda e il figlio Ivan da una lunga, tragica vita da reietti. E quando sta per giungere il lieto fine, quando dopo la Primavera di Dubček tutta la popolazione di «una città che non riusciva a dormire per la gioia» si riversa festosa in strada, ecco l’estremo orrore: l’arrivo dei carri armati sovietici. Heda Margolius Kovály Sotto una stella crudele Traduzione di Silvia Pareschi Pagine 214, Euro 20.00 Sotto una stella crudele
lunedì, 20 novembre 2017
Il caso Pirandello
Centocinquanta anni fa, il 28 giugno 1867, nasceva a Girgenti (oggi Agrigento) Luigi Pirandello. Morirà a Roma, il 10 dicembre 1936, lasciando uno sterminato lavoro letterario che gli frutterà il Premio Nobel nel 1934, terzo italiano ad ottenerlo per la letteratura dopo Giosuè Carducci (1906) e Grazia Deledda (1926). La dizione con cui gli fu assegnato il premio: “Per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale”. A Pirandello, fra i maggiori autori non solo delle lettere italiane, è dedicata a Roma una mostra a cura di Paolo Petroni e Claudio Strinati intitolata Il caso Pirandello. L’esposizione si svolge in due sedi complementari e limitrofe: il Teatro di Villa Torlonia e la Casa-museo del drammaturgo in Via Bosio 13/b. Le manifestazioni “Pirandello 150” promosse dall’Istituto di Studi Pirandelliani col sostegno del Mibact, hanno un comitato promotore composto da: Andrea Camilleri presidente, Annamaria Andreoli - Nino Borsellino Antonella Ottai - Giorgio Patrizi - Paolo Petroni - Claudio Strinati. La mostra si avvale di un catalogo pubblicato da Gangemi con saggi dei curatori e di Dario Franceschini - Giorgio Patrizi - Dina Saponaro - Lucia Torsello. Così scrive Paolo Petroni: È doppiamente l’anno di Luigi Pirandello questo 2017: accende i riflettori sui 150 anni dalla sua nascita, ma celebra anche il centenario del “Così è (se vi pare)”, primo suo testo teatrale importante e insieme manifesto iniziale, moderno e spiazzante per lo spettatore di allora, nonostante il contesto - un salotto borghese in un paese di provincia - fosse quello tradizionale, realistico. Ma è proprio questo contrasto che porta allo scontro tra forma e contenuto, così che uno amplifichi e faccia deflagrare l’altro. Si tratta di una esposizione storico-didattica di respiro internazionale per la ricchezza dei documenti che contiene: lettere, foto, rare registrazioni sonore, filmati dell’Istituto Luce, costumi di scena indossati da attori che hanno interpretato lavori pirandelliani. Una rara curiosità è la sezione dedicata a Pirandello pittore con quadri tutti di proprietà privata che è rarissimo poter vedere, affiancati a quadri del figlio Fausto, grande pittore della Scuola romana, di notevole interesse anche in rapporto al relativo dibattito teorico vivissimo in quel periodo. Nei ritratti, Luigi Pirandello – afferma Claudio Strinati – manifesta una mano notevole e una proprietà di disegno e espressione degne di un pittore professionista, di una cordialità silenziosa e dolce. Sarebbe assai interessante giudicare queste opere senza sapere che l’autore è Luigi Pirandello. Saputolo, si resterebbe stupiti? Probabilmente si e forse si potrebbe mettere in luce quella specie di procedura di cancellazione, un dato che può facilmente essere collegato alla teoresi profonda del pensiero pirandelliano, dove trapela il tema della maschera e del volto, della verità che condiziona ogni cosa. Dal comunicato stampa. «Accanto ai personaggi virtuali del teatro pirandelliano, sfilano in mostra, grazie alla preziosa collaborazione con l'Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano, quelli reali, dai colleghi della sua fase giovanile in Germania, alla moglie Antonietta Portulano, morta in manicomio, da Marta Abba e Ruggero Ruggeri, a tutti gli attori, registi, scenografi che lavorarono con lui, fino alle vicende del Premio Nobel con le sue interessanti implicazioni e ai rapporti contraddittori col fascismo e Mussolini. Presso la Casa-Museo invece, rimasta intatta in tutto il suo fascino evocativo dal giorno della morte di Pirandello e per l’occasione allestita con un grande e avvolgente intervento multimediale, sarà possibile ammirare, oltre agli ambienti e arredi originali, gli abiti e la divisa da Accademico d’Italia, i suoi manoscritti e tutta la sua biblioteca privata: vi compaiono le sopra-copertine dei libri più amati dipinte da lui stesso, il bel diploma dipinto originale del Nobel, e molto altro. Sarà proiettato anche un lungo video inchiesta di Sky su Pirandello con rievocazioni e interviste a studiosi e attori, da Dario Fo a Gabriele Lavia. Il caso Pirandello nasce all’interno degli studi e ricerche promosse e sviluppate dall’Istituto di Studi Pirandelliani e si presenta come una manifestazione espositiva del tutto particolare. La mostra intende costruire una sorta di “opus” in omaggio al Maestro, attraverso una ricognizione ampia e documentata sull’attività di Pirandello narratore, uomo di Teatro e propugnatore di nuove teorie filosofiche e artistiche con attenzione e interesse ai nuovi studi tra otto e novecento, dalla psicanalisi alla cinematografia, che lo attrasse e coinvolse. Non a caso quindi dal 25 al 29 novembre ci sarà una Rassegna di film vecchi e nuovi, tratti da opere di Pirandello, curata da Amedeo Fago in collaborazione con la Cineteca Nazionale, presso la Sala Trevi. La visione dei film sarà completata da una tavola rotonda con registi e studiosi presso la Casa Museo». Istituto di Studi Prandelliani, Ufficio Stampa: Simona Carlucci 335 - 59 52 789; info.carlucci@libero.it Ufficio Stampa della Mostra: Madia Mauro 06 – 80 888 54; 347 – 04 92 505 Il caso Pirandello Dal 23 novembre 2017 al 14 gennaio 2018 Teatro di Villa Torlonia: Via Spallanzani 1A, Roma Casa-Museo Istituto di Studi Pirandelliani: Via Antonio Bosio, 13B Info: 06 – 44 29 18 53 Orari: giovedì, venerdì, sabato 10.00-13.00 e 15.00-18.00 - domenica 10.00-16.00 Ingresso libero
sabato, 18 novembre 2017
Vivere insieme (1)
È nelle librerie Vivere insieme L’arte come funzione educativa. L’autrice è Maria Rosa Sossai, eccellente critica d’arte, ricercatrice nel campo delle pratiche artistiche e delle politiche dell’educazione. Dal 2013 al 2015 ha diretto AlbumArte spazio | progetti per l’arte contemporanea, Associazione culturale non profit di Roma. Ha curato mostre in gallerie, fondazioni e musei in Italia e all’estero. Tra gli altri: il museo MAN di Nuoro, gli Istituti italiani di cultura di Istanbul e di Seoul, il Tel Aviv Museum, il SongEun ArtSpace di Seoul, la Krishnamurti Foundation di Bangalore. A Roma ha collaborato con la Fondazione Pastificio Cerere, l’Istituto Polacco, la Nomas Foundation, the American Academy, la Real Academia de España. Con ALAgroup i progetti: “Quale Educazione per Marte?” insieme all’artista Valerio Rocco Orlando (2011), “Un’educazione”, ciclo di laboratori e mostre di artisti italiani e internazionali al FAI – Villa e Collezione Panza a Varese (2013) e, nel 2016, il progetto “To Follow” nell’ambito della residenza e del workshop “We+Museum = To Dream a Vision or to Vision a Dream” degli artisti Driant Zeneli e Valentina Bonizzi a Dheishe, refugee camp di Betlemme, per 'Campus in Camps'. Ha pubblicato: Arte video. Storie e culture del video d'artista in Italia (2002), e Film d'artista. Percorsi e confronti tra arte e cinema (2009). Scrive per Flash Art, Arte e Critica, Artribune, Shifter, VLNA. QUI un’intervista rilasciata a questo sito nella sezione Enterprise nel 2012, ma che, per merito delle risposte di Maria Rosa, è ancora attuale. Come dicevo in apertura, è ora nelle librerie "Vivere insieme L’arte come funzione educativa (in foto la copertina). Scrive Cecilia Guida: «Tema portante del volume è l’avvicinamento tra la ricerca artistica e la pedagogia sperimentale che ci stimola a pensare queste due discipline in modo più elastico. Se ormai da decenni gli artisti tentano di forgiare una connessione più stretta tra arte e vita, riferendosi ai loro interventi nei processi sociali come arte, negli ultimi tempi in questo sforzo sono inclusi anche gli esperimenti educativi. L’autrice passa in rassegna le più importanti visioni pedagogiche di carattere sociale (da Paulo Freire a Iván Illich, da Krishnamurti a Maria Montessori e Danilo Dolci) e alcuni dei numerosi progetti avviati da artisti e curatori nel campo dell’educazione che hanno contribuito al fiorire di quella che oggi è diventata una vera e propria tendenza […] L’aspetto più innovativo del libro è costituito da una nutrita serie di esercizi, concepiti da artisti tra loro diversi, che vertono su un percorso di autoapprendimento che si fa comune, anche se coloro i quali li eseguiranno saranno lontani nello spazio e nel tempo». Infatti, dal 20 al 23 novembre di quest’anno, agli esercizi, pubblicati nella seconda parte del libro di Maria Rosa Sossai, risponderanno, attraverso un’azione corale, alla domanda E’ possibile costruire dei momenti di condivisione in contesti diversi, accomunati dalla medesima volontà creativa di agire insieme? Valentina Bonizzi - Ettore Favini - Paola Gaggiotti - Valerio Rocco Orlando - Patrizio Raso/Baubaus - Maria Rosa Sossai ALAgroup - Museo Wunderkammer - Wurmkos. Per quel periodo stabilito di tempo, i partecipanti trasformeranno dei luoghi dislocati nelle città di Milano, Bergamo e Kamza (Albania). Segue ora un incontro con Maria Rosa Sossai.
Vivere insieme (2)
A Maria Rosa Sossai (in foto) ho rivolto alcune domande. Qual è stato il principale motivo che ti ha spinto a scrivere “Vivere insieme”? Sentivo l’esigenza di far dialogare i due ambiti della mia identità professionale, quello di docente di Storia dell’Arte e quello critico-curatoriale, facendo arte e non soltanto insegnando la Storia dell’arte. Ho quindi deciso di invitare alcuni artisti a curare dei workshop in classe con i miei studenti. In quell’occasione è nato ad esempio il ciclo “Quale educazione per Marte”? dell’artista Valerio Rocco, che mi ha portato in residenza alla Valley School di Bangalore, fondata dal filosofo e pedagogo indiano Krishnamurti. Il passaggio successivo è stato fondare con alcuni miei ex studenti l’Associazione d’arte contemporanea ‘esterno22’, diventata tale dopo ‘ALAgroup’. In seguito ho curato laboratori, mostre, avviato ricerche. Il libro quindi raccoglie quindici anni di esperienze maturate in questo campo. Ti batti da anni, anche in questo recente saggio, per una “pedagogia radicale”. Che cosa intendi con questa definizione? Con il termine pedagogia radicale, si intendono tutte quelle forme di apprendimento/ insegnamento concepite e praticate fuori dalle istituzioni educative. Dalle esperienze storiche come la ‘escuela moderna’ di Francisco Ferrer I Guardia nei primi del Novecento, al teatro sociale di Augusto Boal, Paulo Freire, sino alle Free Schools californiane degli anni settanta e all’anti accademia dell’artista tedesco Joseph Beuys. Mi interessava capire quali di queste esperienze sono state fonte di ispirazione per i collettivi di artisti, le scuole d’arte e accademie autogestite oggi diffuse dappertutto nel mondo e in Italia. Nella seconda parte del libro trentadue esercizi di altrettanti artisti impegnati nella ricerca di forme di pedagogia alternativa, mettono in pratica la condivisione orizzontale della conoscenza e dell’immaginazione. Chiunque legge il libro, può liberamente eseguire gli esercizi, e dare forza alla propria creatività, senza delegarla ai professionisti del settore. Si parla molto di “buona scuola” ideata da Renzi il quale molto se ne vanta. Il tuo giudizio su quella scuola… Penso che qualsiasi riforma che proviene dall’alto e compie il suo percorso dentro le istituzioni, difficilmente ha una benefica azione formativa. L’anno scorso ho fatto parte della commissione scuola lavoro di un Liceo scientifico romano e ho avuto modo di verificare come anche i principi più promettenti si traducono in formalità burocratiche che impediscono una effettiva ricaduta positiva sull’insegnamento. La buona scuola, così come altre disposizioni in ambito europeo che riguardano l’istruzione, rispondono a logiche finalizzate a ottimizzare sistemi di controllo standardizzati sui singoli individui. La formazione in tutte le fasce d’età è diventato uno strumento nelle mani dei tecnocrati che uccide lo spontaneo sviluppo dell’immaginazione. Maria Rosa, in conclusione, qual è il tuo modello di educazione ideale? Quello in cui chi insegna, citando Roland Barthes, non sa ancora, perché dipende da quello che avrà imparato dagli interventi degli altri, che è il principio di una pedagogia libera e democratica. Ogni processo di crescita è sempre individuale ma al tempo stesso offre la possibilità di sperimentare una comunione, un sentimento condiviso, con chi insegna e con i testi. Quello che la settimana prossima insieme agli artisti sperimenteremo a Milano nella festa “Vivere insieme” è come l’esecuzione degli esercizi attiva atteggiamenti, ricordi, spazi di libertà che intersecano in modo vitale e dialettico i processi educativi. Siamo tutti impegnati ad arricchire il nostro universo creativo, al di là dei singoli ruoli e degli specifici campi disciplinari. Maria Rosa Sossai Vivere insieme Pagine 380, Euro 22.00 Torri del Vento
venerdì, 17 novembre 2017
Robotics/2
Trieste, città da me amatissima, si avvia sul cammino che la porterà ad essere Città della Scienza nel 2020. A proclamarla tale è stato il comitato dell’EuroScience. È, infatti, quest’Ente Ue ad avere annunciato che l’EuroScience Open Forum 2020 (Esof), la più rilevante manifestazione paneuropea a cadenza biennale focalizzata sul confronto e rapporto tra scienza, tecnologia, società e politica, sarà ospitata a Trieste dal 4 al 10 luglio 2020. Spero che in quell’occasione non sia trascurato il rapporto fra Arte, Scienza e Tecnologia, un tema che ai nostri giorni è tornato di grande attualità con l’intreccio multidisciplinare, che è alla base del procedere artistico nelle arti visive, nella musica, nel teatro di performance, anche in letteratura dove usando algoritmi sorgono forme di scrittura mutante. Proprio a Trieste, su questi temi, talvolta anticipandoli, si muove il Gruppo 78 (denominazione dovuta all’anno di fondazione) che si giova della Presidenza di Maria Campitelli. La città, in quanto a conoscenza dell’arte contemporanea e ai suoi rapporti con scienza e tecnologia, le deve molto perché da oltre trent’anni svolge un’opera di diffusione delle nuove frontiere della ricerca artistica. A conferma di quanto appena scritto, è annunciata una nuova iniziativa.
Dopo il successo di Arte Scienza Tecnologia “La Robotica” prodotta dal Gruppo78 nel 2016, ecco un Festival di Arte e Robotica che accadrà nel 2018. A tale proposito è stata lanciata una raccolta di fondi attraverso la tecnica del crowfounding al quale potrete accedere scorrendo in basso QUI per inviare un vostro sostegno. Mercoledì 6 dicembre di quest’anno, al Teatro Miela, ci sarà una presentazione particolare del Festival. Difatti accanto a una conferenza stampa saranno presentate proposte espressive per la prima volta a Trieste. A Maria Campitelli lascio la parola affinché sia profilata in sintesi l’anticipazione di Robotics2. Concludo questa nota, invitandovi a vedere un video promo. Robotics 2 Gruppo78 Via Canova 9, 34129 Trieste tel/fax: +39.040 – 56 71 36 mob. +39.339 -.864 07 84
giovedì, 16 novembre 2017
100 passi nella scienza
“Nulla di nuovo sotto il sole", dicono in tanti con aria compiaciuta e soddisfatta. È una locuzione che viene dal latino (Nihil sub sole novum) che dalla Bibbia (Ecclesiaste, 1,9) è entrata nei modi di dire della lingua italiana. Nel Dizionario si legge: “Nel passo biblico originale sta a significare che da quando la Terra è stata creata da Dio, nulla accade di nuovo su di essa". Certo, farebbe comodo a tutte le religioni, specie se monoteiste, se le cose stessero così, ma così non stanno. Scienze e tecnologie dalla scoperta del fuoco e dall’invenzione della ruota qualche passettino l’hanno fatto. Venendo ad oggi, i robot raddoppiano le loro capacità ogni 2 anni come preconizzato dalla “prima legge di Moore” (Gordon Moore, il cofondatore di Intel). Nel 1965 Moore ipotizzò che il numero di transistori nei microprocessori sarebbe raddoppiato ogni 12 mesi circa. Nel 1975 questa previsione si rivelò corretta e prima della fine del decennio i tempi si allungarono a due anni, periodo valido fino ai nostri giorni. Le vertiginose novità che ciò ha comportato per l’intelligenza artificiale, è abbastanza noto. Niente di nuovo sotto il sole? Ogni sette anni, la quantità di conoscenze a disposizione dell'umanità raddoppia di numero. Con una velocità prima inimmaginabile, giorno dopo giorno circolano nel mondo milioni di nuove conoscenze. Lo sostiene Idriss Aberkane nel suo saggio ora in italiano “Liberate il cervello”. Niente di nuovo sotto il sole? E se quel passo biblico si riferisse alla natura umana? Anche qui erore, direbbe Petrolini, perché dalle neuroscienze arrivano studi che ci dicono come, sia pur indossando lo stesso sistema nervoso centrale di moltissimo tempo fa, qualcosa in noi è cambiato. Le teorie transumaniste dei Nick Bostrom, David Pearce, Kim Drexler, e altri, poi, sostengono che il prossimo passaggio dell’evoluzione più non sarà scritto in un libro di biologia ma di informatica. Niente di nuovo sotto il sole?
Le scoperte e le invenzioni che hanno segnato la storia sono raccolte in un libro per ragazzi chiaro e aggiornato, dalla grafica colorata e di forte impatto. Viene dalla laboriosa officina della casa editrice Editoriale Scienza, è intitolato 100 passi nella scienza Le scoperte che hanno cambiato il mondo. L’autrice dei testi è Lisa Jane Gillespie, illustrazioni di Yukai Du. Questo libro, sintetico ma non trafelato, traccia un viaggio nel tempo scandendo le tappe principali della creatività di noi umani. Un volume ben redatto e ben edito, da non perdere. Dalla presentazione editoriale. «Questo libro esplora l’affascinante mondo della scienza attraverso le scoperte e le invenzioni più importanti di tutti i tempi. Con “100 passi nella scienza” ripercorri, dalle origini ai giorni nostri, le conquiste che hanno cambiato il modo e il mondo in cui viviamo. Il libro individua dieci aree: spazio, ruote, numeri, luce, suono, particelle, medicina, materiali, energia e vita. Per ciascuna descrive, in modo conciso e chiaro, dieci momenti chiave. Dagli studi sulle cellule alla genetica molecolare, dalle prime teorie sulla luce allo sviluppo della fibra ottica, dalla nascita dei numeri ai computer attuali, un avvincente viaggio nella scienza in 100 passi. In chiusura, il glossario chiarisce eventuali dubbi. Età consigliata: dai 10 anni». Ancora una cosa. Se fin qui non vi ho convinto che quel passo biblico e i compiaciuti che lo citano si sbagliano, date retta almeno a Mercedes Sosa. Lisa Jane Gillespie 100 passi nella scienza Traduzione di Lucia Feoli Illustrazioni di Yukai Du Pagine 64, Euro 15.90 Editoriale Scienza
My Italy
Si deve al poeta e narratore Beppe Sebaste l’apertura a Narni di un luogo poliartistico che, infatti, ospiterà arti visive, cinema, musica, letture, presentazioni letterarie: La Stanza. E proprio Sebaste (ho assistito negli anni ’70 al suo intenso e ammirato debutto fra Reggio Emilia e Bologna) QUI vi guiderà alla scoperta di questo luogo di ideazioni e ascolti del mondo. Ora, all’interno della mostra/rassegna Fatti di terra, la Stanza ha programmato una proiezione speciale del film My Italy del regista Bruno Colella Il film offre uno sguardo divertito (e divertente) sulla situazione spesso grottesca dell’arte contemporanea in Italia, e con un cast di primo piano: Luisa Ranieri, Lina Sastri, Piera Degli Esposti, Alessandro Haber, Sebastiano Somma, Achille Bonito Oliva, Eugenio Bennato, Pietra Montecorvino, Tony Esposito, Enzo Gragnaniello, Edoardo Bennato, Luis Siciliano, Nicola Vorelli, Marco Tornese. Racconto incrociato delle storie e delle opere di quattro artisti stranieri, abituali frequentatori del nostro Paese: l’americano Mark Kostabi, pittore e disegnatore, lo scultore polacco Krzysztof Bednarski, il pittore e performer malese H.H.Lim e infine il video-artista e pittore danese Thorsten Kirchhoff. Insieme con il regista interverranno Brunella Antomarini (della quale ricordo con grande piacere L'errore del Maestro, Pensare con l'errore, La preistoria acustica della poesia) e il celeste e sulfureo padrone di casa Beppe Sebaste. Questa proiezione si svolgerà fuori dalle mura della ”Stanza”, anche se a pochi passi, cioè nel cinema "Monicelli", che come la Stanza si affaccia sulla valle del Nera. Il programma prevede alle 12.00 un rinfresco e alle 13.00 la proiezione del film. Ecco il trailer di “My Italy”. La Stanza Film ”My Italy” Cinema "Mario Monicelli" Via V. Emanuele 22 - Narni 18 novembre ‘17
martedì, 14 novembre 2017
Posso scegliere da grande?
Il fumettista Stéphane Charbonnier (in arte Charb, direttore di Chalie Hebdo, ucciso nella sua redazione dagli islamisti il 7 gennaio 2015) in una sua lettera: Fate la caricatura dell'assenza di Dio, fategli il naso grosso, il naso piccolo, gli occhi folli, una chioma irsuta, tanto nessun ateo vi trascinerà mai in un'aula di giustizia, non riceverete mai minacce di morte e le vostre sedi non verranno mai distrutte». È questa una felicissima sintesi del pensiero di noi atei che ci differenzia dai credenti di ogni religione. Tale posizione è da anni ben rappresentata dall’Uaar(Unione Atei e Agnostici Razionalisti). Dal suo Ufficio Stampa, ben guidato da Laura Zampini, volentieri rilancio un comunicato a proposito della Giornata del Bambino che si festeggia il 20 novembre.
«“Vogliamo che tutti si fermino un attimo a riflettere se non sia meglio che un bambino possa, autonomamente e nel tempo necessario, sviluppare proprie convinzioni, o se invece è giusto che i genitori gli impongano le loro, qualunque esse siano” – spiega Roberto Grendene, responsabile campagne dell’associazione – “Nella nostra società si parla spesso dei bambini, e spesso in modo strumentale. Ma dei loro diritti non si parla praticamente mai. Gli stessi genitori non ne sono quasi mai consapevoli - figuriamoci le istituzioni. Nelle scuole, la filosofia per bambini e il pensiero critico sono raramente insegnati e ancora più raramente praticati, mentre all’insegnamento della religione cattolica si dedicano due ore la settimana e oltre un miliardo di fondi pubblici l’anno. E dire che dovrebbe essere interesse di tutti formare cittadini curiosi, capaci di informarsi e di effettuare scelte libere e consapevoli”. La campagna – dal titolo “Posso scegliere da grande?” – prende spunto dall’inglese ‘Please Don’t Label Me’ e si avvale di una serie di immagini da condividere sui social network. In quella lanciata oggi campeggia un elenco di posizioni religiose o areligiose prospettate a una bambina, in ordine decrescente rispetto al numero di aderenti italiani e, sorprendentemente per qualcuno, il secondo gruppo è quello composto da atei e agnostici, i quali sono stimati nel nostro Paese in circa 10 milioni, più o meno il doppio della somma dei fedeli di tutte le confessioni religiose di minoranza. “I bambini non hanno alcuna convinzione religiosa o non religiosa. E hanno tutto il diritto di continuare a non averne finché non decideranno altrimenti” – prosegue Grendene – “È una considerazione semplicissima, eppure rivoluzionaria. Perché, ancora oggi, la possibilità che un bambino o una bambina abbia diritti del genere non passa nemmeno per l’anticamera del cervello, a gran parte della popolazione. L’Uaar pensa invece che crescere senza dogmi sia il segreto per un mondo migliore. E allora perché non cominciare da piccini?”. QUI maggiori informazioni.
Il terzo disco
Quanti terzi esistono? Tanti. C’è il terzo grado, il terzo mondo, il terzo sesso, il terzo cielo, il terzo mercato, Il terzo Reich (pfui!), Il terzo Stato, il terzo binario, il terzo settore, il terzo tempo, il terzo occhio, il terzo segreto di Fatima, il terzo principio della termodinamica… e potrei continuare.. ma esiste anche il terzo disco. Sì, in quella lista, ben più lunga di quella esemplificativamente prima indicata, è necessario inserire anche la voce “il terzo disco” riferita a chi avendone già stampati due, vuole (a torto o a ragione), realizzarne un terzo. E’ il caso, ad esempio, e qui con piena ragione, di Ila Rosso (in foto), giovane cantautore torinese laureato in fisica, che, come mi segnala Paolo Sirotto, desidera approdare al suo terzo disco. All’uopo – come diceva Totò – sta facendo una raccolta fondi per l’uscita di una sua nuova produzione. QUI potete ascoltare suoi precedenti brani e, se vi piacciono, come piacciono a me, incoraggiare la sua nuova impresa.
lunedì, 13 novembre 2017
Un saggio giovanile di Croce
Di Benedetto Croce (Pescasseroli 25 febbraio 1866 - Napoli, 20 novembre 1952), la casa editrice Adelphi manda nelle librerie un saggio giovanile importante perché fu quello a fargli scoprire la sua vocazione filosofica indagando le relazioni fra arte scienza e storia. Il libro è a cura di Giuseppe Galasso che firma un’approfondita nota sul volume. QUI una sintetica biografia del filosofo e la commemorazione di Giuseppe Paratore. Letta all’Accademia Pontaniana di Napoli il 5 marzo 1893, da un Croce allora ventisettenne, questa «memoria» - «una rivelazione di me a me stesso» secondo la testimonianza contenuta nel “Contributo alla critica di me stesso” – fu poi ripresa e ristampata nel 1896. Il saggio si apre con un interrogativo: «La storia è scienza o arte?». In quest’opera c’è la proposta di identità tendenziale fra l’arte e la storia motivata col carattere ‘individuale’ del loro oggetto. Successivamente, si veda, ad esempio, “Teoria e storia della storiografia” (1915), si avrà il respingimento sia della filosofia della storia sia della sua interpretazione deterministica. Una critica a tale posizione, la ritroviamo nei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci che nel marxismo vede “una concezione realistica e critica della storia” – come scrive Vittorio Morfino – dunque una terrestrità e mondanizzazione assoluta del pensiero: uno storicismo, un immanentismo e un umanesimo assoluti, liberi da ogni residuo teologico e speculativo da cui erano viziate le filosofie di Croce Gentile”. In questo saggio giovanile di Croce, Giuseppe Galasso, concludendo la sua post-fazione, scrive: “… è qui già presente la posteriore distinzione crociana del 1938 fra la storia come azione e la storia come pensiero, con tutte le relative connessioni gnoseologiche ed epistemologiche. Il cammino per cui egli vi sarebbe giunto lo avrebbe impegnato per tutta la vita, la memoria del 1893 avrebbe lasciato nella storia della cultura europea una presenza non trascurabile e sempre stimolante sul motivo di forse più antica discussione in materia di storia e di storici”. Benedetto Croce La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte A cura di Giuseppe Galasso Pagine 92, Euro 7.00 Adelphi
venerdì, 10 novembre 2017
Outsider Art
L’Osservatorio è una creazione della storica dell’Arte Eva di Stefano. Una sua biografia e una presentazione del suo lavoro sull’outsider art QUI. Ora è n distribuzione un nuovo numero della rivista dell’Osservatorio. Sarà presentato in occasione dell’inaugurazione della mostra di Carlo Giampiccolo (Vienna, 1942), curata da Eva di Stefano e Antonio Di Lorenzo per l'Osservatorio Outsider Art, inserita nel programma del XLII Festival di Morgana.
Saranno esposti, a Palermo, al Museo Internazionale delle Marionette, trenta teatrini-giocattolo, ispirati ai teatri dei burattini dell'infanzia, realizzati con cartoni di recupero. Si materializzano così tra le collezioni del museo come tante scatole a sorpresa, dove Giampiccolo mette in scena con umorismo dadaista fantasmi del presente e sue memorie. L’artista si dedica da anni a un incessante ed eccentrico bricolage domestico al di fuori dei codici e delle finalità dell’arte istituzionale. In questo senso, la sua avventura creativa, ha le caratteristiche laterali e anarchiche dell’Outsider Art. Il numero 14 della rivista contiene un ampio testo di Antonio Di Lorenzo su Giampiccolo. Ai più distratti ricordo che l’Osservatorio Outsider Art, è un periodico semestrale edito dall'omonima associazione culturale e dall’Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari di Palermo diretta da Eva di Stefano. Il suo carattere interdisciplinare, ha un respiro internazionale ponendosi come una delle pochissime testate europee dedicate all’Outsider Art. Si può scaricare gratuitamente on line QUI. L'edizione stampata è acquistabile presso il Museo delle Marionette. I teatrini di Carlo Giampiccolo 9 novembre – 10 dicembre 2017 Museo Internazionale delle Marionette Palermo
giovedì, 9 novembre 2017
il mondo? dove?
La Galleria Clivio si distingue tra quelle italiane per l’attenzione verso la storia dei linguaggi visivi con particolare attenzione rivolta agli artisti di ieri e di oggi all’opera sull’intercodice. In questa linea di esposizioni, si pone la mostra il mondo? dove? di Lamberto Pignotti. QUI notizie biografiche e immagini delle sue opere. A distanza di un anno dalla precedente personale, la Galleria rende omaggio ad uno dei pionieri e maestro indiscusso della Poesia Visiva, recente vincitore a Parigi del Premio Bernard Heidsieck "Extra!" del Centre Pompidou e, a Modena, del Premio Alessandro Tassoni "Honoris causa". Va anche ricordato che suoi lavori sono stati inseriti nella grande mostra internazionale “Da Duchamp a Cattelan” (con presenze da Marina Abramović a Gino De Dominicis, da Gilbert & George a Joseph Kosuth, da Vettor Pisani a Michelangelo Pistoletto, ad altri maestri contemporanei) conclusasi il 29 ottobre scorso a Roma sul Palatino.
Alla Galleria Clivio, sono esposti un nucleo di 35 dittici inediti. Ecco un flash dallo scritto di Francesco Tedeschi in catalogo: "… le due componenti, iconica e verbale, vengono qui dissociate per essere riaccostate in modo complementare". A Lamberto Pignotti salito sul Cosmotaxi, sono state rivolte alcune domande. Perché fra tutte le scritte che hai rilevato in quegli anni hai scelto quella che dà nome alla mostra? Le scritte sui muri di quei primi anni 70 erano fantasiose, politiche, irriverenti, blasfeme, femministe, esortative, luride, goliardiche, sprezzanti, invettive, minacciose, imperative, inneggianti, iperboliche, demolitrici, festose, utopistiche, apocalittiche, futuribili…, ma quella scelta per il titolo mi è apparsa drasticamente come avulsa da ogni classificazione, efficace e spiazzante come un verso libero… e indipendente. Perché il sottotitolo della mostra dice di una “lettura diagonale”? Lettura diagonale? Si può dire anche laterale, obliqua, trasversale, di scorcio, di lato, di sguincio, di traverso… E’ un po’ come quando perdi una cosa e per ritrovarla devi cambiare posizione e punto di vista. Spesso ce l’hai sotto gli occhi ma non la vedi, come la “Lettera rubata” di Poe: devi insomma spostarti e guardare con altro occhio, attivare una specie di anamorfosi. Quando ho ritrovato queste “vecchie” foto – le conservavo, ma le avevo dimenticate – esse mi sono apparse improvvisamente come “attuali”, e come la “Vita nova” di Dante, ad esempio, aspettavano solo di essere ri-lette, ri-guardate, ri-considerate con appropriati, opportuni accorgimenti. Comunque a me è sempre interessato il sovrapporsi di presente e passato, di opera classicizzata e di opera sperimentale. Anche oggi troviamo (anche se molto meno degli anni ’70, forse anche per effetto dei ‘social’ su internet) scritte murali e manifesti. Qual è la differenza fra i materiali di quegli anni che esponi nella tua mostra e quelli di adesso? Fino dai tempi in cui mi sono occupato con “Pubbli-città” di scritte urbane e murali ho riscontrato via via, tra bravure e sbavature, tra calligrafie e sozzure, tra narcisismi e anarchie, certi compiacimenti di maniera, certe grafie d’accademia. Ma forse bisognerebbe poter rivedere questi materiali con altro occhio, leggerli diagonalmente, fra qualche decina di anni… Lamberto Pignotti “il mondo? dove?” Galleria Clivio Foro Bonaparte 48, Milano da mercoledì a sabato:15.30 – 19.00 Fino al 9 dicembre ‘17
martedì, 7 novembre 2017
Letteratura latina inesistente
L’Italia è invasa da insidiosi ultracorpi: i romanzi. Ne escono decine ogni giorno. E poi libri scritti da cuochi, divi dello sport, star e opinionisti noti in tv, perciò i lettori sono seppelliti vivi sotto un tumulo di cellulosa. Parecchi di loro meritano quella brutta fine perché scelgono i libri di cui dicevo prima. E sono capaci di leggerli pure! Ogni tanto, però, tutto quel buio tombale è rischiarato dal lampo di una letteratura libera e radiosa che corre felice come un sapiente ragazzo che ha marinato la scuola e va per i campi saltando e cantando. Sto per indicarne un esempio. E v’invito a farne profitto. Il 31 dicembre del 1967, Eugenio Montale scrisse sul Corriere della Sera: «La storia di una letteratura inesistente (ce n’è appena un accenno in Borges) potrebbe essere un “bestseller” eccezionale. Purtroppo, solo un genio potrebbe scriverla in modo soddisfacente». Ebbene quel genio c’è. Si chiama Stefano Tonietto ed è autore di un meraviglioso volume pubblicato da Quodlibet: Letteratura latina inesistente Un’altra letteratura latina che non avete studiato a scuola. Tonietto, riferisce una scheda editoriale, è “nato e vivente a Padova, ha pubblicato, a sua grande gloria, uno straordinario libro anacronistico, il poema comico-cavalleresco “Olimpio da Vetrego” (Inkiostro, 2010) in endecasillabi rimati, per un totale di 4.633 ottave. Di Tonietto non può sapere Montale, se n’è andato nel 1981, né che ha toppato circa quel suo pronostico (“quel libro potrebbe essere un bestseller”) perché non poteva immaginare, per quanto sveglio egli fosse, che i bestseller oggi li firmano Federico Moccia, Susanna Tamaro, Bruno Vespa. E hanno un sacco di lettori che vanno dove li porta il cuore (che è poi sempre un villaggio turistico con Messa a mezzogiorno). Tonietto ha architettato un grande Gioco immaginando, con estremo rigore storico e linguistico, una letteratura che non c’è intrecciando nomi bugiardi con nomi veri di ieri e di oggi, facendo venire il dubbio a chi legge che forse anche l’altra letteratura, giudicata vera, mai è esistita se non scritta nascostamente da Tonietto stesso per fare quattrini con edizioni scolastiche. Un grande gioco in questo libro. E pure, leggendo alcune recensioni, tutte largamente positive e ben condotte, noto che tra le righe c’è un soffio di bonaria accoglienza perché di un gioco si tratterebbe. Non è una novità. Per fare un esempio solo di tempi vicini, è capitato anche a Queneau con i suoi centomila miliardi di sonetti che è assai raro trovare in una storia della poesia contemporanea pur essendo una vetta dell’ingegno poetico di noi umani. Il gioco non è soltanto una cosa seria, ma è pure estremamente pericolosa perché se falsamente qualcuno/a giochi, tutti rideranno di lui/lei e non del gioco che propone. Breve: il Gioco non scherza. Onora le beffe e si beffa degli onori. È allegro, ma non giocondo. Infrange ma non fracassa. Al Gioco piacciono i tarallucci e il vino, ma li consuma come aperitivo e mai a fine pasto. Questo libro che pure diverte a ogni pagina è, anche per questo, un libro serissimo con quegli autori i cui nomi sono già tragicamente segnati da un destino irridente: Gaio Adulterio Sfrenato, Ottaviano Angusto, Floscio Gallo, Giusto Grato Fervorino, Cacula… Un libro rigoroso con le sue scansioni storiche: l’età arcaica, l’età di Cesare, l’età augustea, la prima età imperiale, la tarda età imperiale, e un’appendice ingannevole, quanto ciò che la precede, dedicata ai filologi illustri. Vi lascio con una delle “etimologie creative” attribuite a un improbabile Volpilio, morto, ci viene detto, “durante la persecuzione dioclezianea per un penoso equivoco (Volpilio non era cristiano)”. Segue, in impeccabile latino, l’etimologia del nome di Iocasta, ma qui ne riporto solo la traduzione data dallo stesso Tonetto: Giocasta fu la madre di Edipo; il suo nome significa «colei che gioca con l’asta», del figlio, ovviamente, il che è la peggiore forma di fornicazione, come disse l’Apostolo nella lettera ai Tessalonicesi: «Non fornicate, e non sarete fornicati». Dalla presentazione editoriale. «Una letteratura latina che nessuno può avere studiato a scuola, una parodia del manuale scolastico, dove compaiono autori assolutamente impensabili, divisi in correnti ed epoche; la Lesbia cantata da Catullo che risponde irritata a Catullo; il «seccatore» di Orazio che aveva già seccato anche Cicerone; un poemetto lucreziano sulla jella; e poi anticipatori, in anticipo di duemila anni su Ungaretti e Montale, e così via. È la Filologia Creativa, nuova disciplina accademica, dove un testo letterario mai scritto è restituito al godimento dell’umanità e agli studi futuri, colmando una parte dell’infinita lacuna che è l’ipotetico e l’impossibile». Stefano Tonietto Letteratura latina inesistente Pagine 204, Euro 15.00 Quodlibet
venerdì, 3 novembre 2017
Piergiorgio Paterlini
Questa che segue è una conversazione con Piergiorgio Paterlini che doveva figurare nella Sez. Enterprise. Varie calamità che riguardano la redazione di Nybramedia, ci costringono, per non rimandare troppo in là quest’incontro, a immetterlo provvisoriamente nella Sez. Cosmotaxi che, dopo la pausa estiva, funziona con regolarità quotidiana. Prossimamente, questa conversazione sarà replicata nella Sez. Enterprise di Nybramedia. ………………………………………………………………………………………………………. L’ospite accanto a me, in questo viaggio su Cosmotaxi, è Piergiorgio Paterlini.Scrittore e giornalista. Alcuni suoi libri li ho cari sui miei scaffali perché sono state letture che ricordo con vivissima gioia. Nato a Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia) nel 1954, ha pubblicato una ventina di libri, alcuni dei quali tradotti in Francia, Spagna, Olanda, Stati Uniti. Il suo, meritatissimo, successo lo ebbe con Ragazzi che amano ragazzi (1991); raccomando vivamente la visione del video contenuto nel link che ho appena dato. Bellissimo suo libro è anche I brutti anatroccoli. Ha scritto, inoltre, un'«autobiografia a quattro mani» con Gianni Vattimo: Non essere Dio. Ha pubblicato, per Einaudi, Fisica quantistica della vita quotidiana e il romanzo Lasciate in pace Marcello. Dopo aver abbandonato il giornalismo a tempo pieno, ha scritto programmi per Radiorai e per Raidue, Raitre e La7, e testi per il teatro (fra cui l'adattamento de “La Califfa”, di Alberto Bevilacqua). Ha sceneggiato il film “Niente paura”, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2010. Oggi scrive per «la Repubblica» e per l'edizione online de «l'Espresso», dove tiene il blog d'autore «Le Nuvole». La sua più recente pubblicazione è Bambinate ancora per Einaudi. Benvenuto a bordo Piergiorgio… Darò risposte brevi. Non per pigrizia. Anzi, serve molto più tempo per scrivere in breve, ce lo ha spiegato Pascal già nel Milleseicento. Risposte brevi come breve è la forma letteraria che oggi prediligo. E non dirò nulla su cose che non conosca almeno un poco. Non mi piace parlare a vanvera.
La stellare Irina Freguja che da patronne illumina lo storico Vecio Fritolin veneziano aperto (non da lei) nel 1700 ci ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Merlot “Sante Rosso” di Cecchetto… cin cin! Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Giorgio secondo Giorgio…
Sono una persona che è stata preservata – senza merito – dal problema dell’invidia per gli altri.
Immagina di rivolgerti ai cosiddetti non addetti ai lavori letterari e illustrare loro la sostanza e il senso della tua opera che va dalla pagina allo schermo, dalla ribalta, alla tv. Che cosa diresti?
Amo raccontare le vite degli altri. Qualcuno ha parlato di “esclusi”, io preferisco la parola “invisibili”. Dare visibilità a chi non ce l’ha è un poco dare la possibilità di vivere. Poi, ho scritto i libri che avrei desiderato leggere ma che nessuno – curiosamente – aveva ancora scritto.
Dal tuo primo successo, “Ragazzi che amano ragazzi”, è trascorso un quarto di secolo. È cambiato qualcosa dal 1991 nei comportamenti omofobi? Se sì, o se no, perché?
Tutto e nulla, come spesso da noi (Gattopardo docet). Non si possono negare i grandi cambiamenti positivi che sono sotto gli occhi di tutti, ma il tabù profondo a me pare sia rimasto quasi intatto, anche perché oggettivamente difficile da sradicare, e legato all’ignoranza, che rimane molto diffusa.
Credi oppure no in una funzione sociale della letteratura?
Sì, moltissimo. Ma allo stesso tempo, indirettamente. Cioè non credo alla distinzione – che ciclicamente si ripropone nel dibattito pubblico – tra letteratura impegnata e no. Così come non credo ai generi. Parafrasando da vicino Oscar Wilde, penso alla fine che esistano solo libri scritti bene e libri scritti male.
Quale ruolo ha oggi la critica letteraria? Sempre che ne abbia uno…
Confesso. Non ne ho la più pallida idea.
Il rimprovero - se ne hai alquanti, ti chiedo di scegliere il più grave - che rivolgi all’editoria italiana?
Che cos’è “l’editoria italiana”? Detto così, non esiste. Editoria italiana è un’astrazione, o meglio una generalizzazione che non permette alcun ragionamento utile. Esistono editori che io reputo bravi e altri che reputo meno bravi o pessimi o addirittura truffaldini. Ed esistono persone e fasi molto diverse all’interno dello stesso gruppo editoriale.
Best seller. Giuliano Vigini dice che In Italia i successi di vendita nascono per caso. Mario Spagnol è del parere che il best seller oggi va programmato. Il sociologo Mario Peresson afferma che “Gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili”. Un tuo parere sul libro di successo… è possibile prefabbricarlo? Oppure no?
Sono più vicino a Vigini che a Spagnol. Più che il libro di successo, è possibile individuare persone che, avendo già molto successo in altri campi, se fai loro firmare (non dico scrivere) un libro è assai probabile portino quel libro al successo. Ma non è garantito nemmeno questo. Ci avviamo alla conclusione di quest’incontro. Laurie Anderson canta "Language is a virus" citando William Burroughs che diceva "Il linguaggio è un virus venuto dallo Spazio". Segue, quindi, una domanda acconcia in un viaggio spaziale: sei d’accordo con quella definizione? Se no, perché? E, se si, qual è oggi la principale insidia di quel virus?
Non posso commentare come fosse un concetto filosofico una frase poetica. Posso forse provare a dire quale secondo me è oggi una insidia tout-court del linguaggio: l’imprecisione. Ma, a ben pensarci, non da oggi. Parole imprecise hanno sempre significato idee imprecise. Che le parole sono importanti lo diceva già con tono di supplica un po' disillusa e disperata Nanni Moretti nel 1989. Quasi trent'anni fa. Aveva ragione di preoccuparsi tanto.
Siamo quasi arrivati a Paterlini-G, pianeta abitato da alieni che rassomigliano a bellissimi anatroccoli… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Fermiamoci qui, anche perché è finita la bottiglia di Merlot “Sante Rosso” consigliata da Irina Freguja patronne dello storico Vecio Fritolin veneziano. E grazie per essere salito sul Cosmotaxi.
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