Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.
mercoledì, 27 febbraio 2019
Macchine che pensano
Il futuro di noi umani sarà migliore del presente oppure no? Domanda che ci si è sempre posti, ma che dal XX secolo è diventata sempre più incalzante perché l’evoluzione delle scienze e il moltiplicarsi e l’affinarsi delle tecnologie hanno reso più urgente e, spesso più ansiosa, quella domanda. Prima di addentrarmi in questa nota, voglio dire a chi mi legge che sto dalla parte di John Cage che disse: “Molti hanno paura del nuovo. A me spaventa il vecchio”. Eppure rigore scientifico vuole che si tenga conto anche di opinioni diverse e avverse per verificarne la congruità. Perché anche grandi cervelli sul futuro hanno qualche dubbio che sia solo un’epoca di felicità come sostengono i postumanisti. Ad esempio, uno di loro ha ritrattato in larga parte la posizione sostenuta una volta. È il caso di Nick Bostrom che illustra i pericoli possibili in un recente libro (“Superintelligenza, 2017). L’Intelligenza Artificiale, afferma Bostrom, è una delle più grandi promesse dell’umanità; grazie ai suoi sviluppi, attuali e futuri, saremo probabilmente in grado di fare cose che oggi sarebbero impensabili, vivremo meglio, e magari più a lungo e più felici. E tuttavia c’è una nube minacciosa sopra il cielo dell’AI: siamo proprio certi che riusciremo a governare senza problemi una macchina «superintelligente» dopo che l’avremo costruita? Fin qui, Bostrom. In ogni caso, sia come sia, una cosa mi appare sicura, il futuro ci riserva un controllo sociale certamente più attrezzato e invasivo rispetto a oggi.
Un libro che si propone di rispondere a quanto ci aspetta, particolarmente riferendosi all’Intelligenza Artificiale, l’ha pubblicato la casa editrice Dedalo, è intitolato Macchine che pensano La nuova era dell'intelligenza artificiale. Il curatore del volume è Douglas Heaven, un giornalista specializzato in divulgazione scientifica. Ha raccolto contributi d’importanti esperti di tecnologia, robotica e intelligenza artificiale. I Nomi: Alison George – Nick Bostrom – Nello Cristianini – John Graham-Cummings – Peter Norvig – Anders Sandberg – Toby Walsh. Dalla presentazione editoriale. «Un giorno l’intelligenza delle macchine supererà quella degli esseri umani. Siamo dunque a un passo dall’apocalisse, con supercomputer che prenderanno il sopravvento sull’uomo? Oppure la loro crescita preannuncia l’avvento di una nuova èra, con macchine capaci di svolgere compiti complessi meglio e più velocemente di noi? Ogni giorno interagiamo con macchine intelligenti senza rendercene conto. Indirizzano le nostre telefonate, approvano gli acquisti con carta di credito, interpretano gli esami medici, compongono musica e creano persino opere d’arte. Presto, inoltre, le automobili a guida automatica percorreranno le strade di tutto il mondo. Ma come funzionano queste macchine? Come apprendono e come pensano? Negli anni ’50 sognavamo di costruire intelligenze simili a quella dell’uomo. Oggi abbiamo creato menti che, elaborando grandi quantità di dati, riescono a riconoscerci e a prendere decisioni, eppure sono fondamentalmente diverse da noi. Il volume esamina i molteplici aspetti dell’intelligenza artificiale, dalle sue svariate applicazioni al dibattito etico che riguarda il futuro (non troppo lontano) della nostra società, fino alla domanda cruciale: le macchine erediteranno la Terra? Chiude il libro una divertente raccolta di 50 “idee” legate all’intelligenza artificiale: curiosità, citazioni famose, freddure e riferimenti al mondo letterario, artistico, musicale e cinematografico». Indice del libro. Introduzione – 1. A nostra immagine – Cosa è l’intelligenza artificiale? – Alan Turing e l’alba dell’informatica – La falsa partenza dell’intelligenza artificiale – La morte dell’intelligenza artificiale – 2. Macchine che apprendono – Diverse da noi – Carburante per il cervello: l’approccio basato sui dati – Una nuova mentalità – Uno stato della mente più elevato – Intelligenze incorporate – Oltre il test di Turing – 3. Competere con l’IA – L’intelligenza artificiale si mette in gioco – Imparare a vedere e a sentire – Strumenti retorici: le IA imparano a discutere – 4. Questione di vita o di morte – Automobili a guida autonoma – Automobili con una coscienza – Medici artificiali – Robot-killer – 5. Verso l’ignoto – Eureka! – Software che risolvono problemi matematici – 6. Macchine che creano – IA che narrano storie – I virtuosi virtuali che ridefiniscono la creatività – 7. I veri rischi dell’intelligenza artificiale – Dimenticate Skynet: gli effetti dell’intelligenza artificiale sulla società – In cerca di impiego – Nessuno in controllo – 8. Le macchine erediteranno la Terra? – L’alba della superintelligenza – Computer che sfidano la logica – Cinque motivi per cui la singolarità non arriverà mai – L’inverno sta arrivando? – Conclusioni – 50idee in più – 4 citazioni sull’intelligenza artificiale – 10 Twitter bot da seguire – 4 creazioni dell’intelligenza artificiale con cui divertirsi – 11 indimenticabili intelligenze artificiali malvagie – 6 freddure generate da computer – 6 letture per approfondire – 9 modi in cui tutto potrebbe finire davvero male – Glossario – Indice analitico. ............................................. Macchine che pensano A cura di Douglas Heaven Traduzione di Valeria Lucia Gili Pagine 272, Euro 16.90 Dedalo
lunedì, 25 febbraio 2019
Asterione ed Orsenigo
Il titolo di questa nota può far pensare all’incontro di due personaggi mitologici, d’origine cretese il primo e celtica il secondo, ma non è così, o quasi non è così. Asterione è il nome di una nuova casa editrice, diretta da Roberto Barbolini, che ho presentato QUI alla quale è stato dato il nome del leggendario Minotauro; Orsenigo, Vittorio Orsenigo, è un personaggio favoloso sì, ma nel senso che vedremo tra poco.
Alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, nacque una dizione critica che profilava quale poliartista chi si esprimeva su più aree artistiche, talvolta ibridandole:. Dizione che ben s’attaglia a Vittorio Orsenigo. In lui non si trovano contaminazioni ma un articolato multicodice praticando plurali, distinti, campi espressivi. Regista, infatti, di prima fila (spettacoli di Jarry e Apollinaire al Piccolo Teatro di Milano), pittore (ha esposto accanto a Pomodoro, Munari, Baj), poeta, traduttore, ha pubblicato molti libri debuttando dopo gli ottant’anni. A proposito… dimenticavo… tiene a far sapere che è uno studioso di barriere coralline. L’occasione di queste righe è data da un suo volume, pubblicato da Asterione con una brillante presentazione di Barbolini, intitolato Di male in peggio. Diceva un tale “Ti scrivo una lettera perché non ho tempo di scrivere una cartolina”, manifestando così la difficoltà d’essere brevi. La brevitas, celebrata dai latini, è poco onorata ai giorni nostri, intorno vedo romanzi che costringono chi li legge (ma se lo meritano) a esercizi da sollevamento pesi per portarseli appresso. Orsenigo, come dimostra “Di male in peggio”, possiede al sommo grado quella virtù scrittoria della brevità e offre a chi legge lampi d’intuizioni, folgori di giudizi, scoppi d’indignazioni, in rapide e talvolta sapide righe. La sua pagina ha l’eleganza del volatile e la forza felina del morso. Perché Orsenigo non è noto quanto meriterebbe? Perché è un caso. E quando lo si diventa, in ogni campo dell’arte sono guai. Eppure di lui hanno scritto in tanti, Scoperto da Elio Vittorini, elogiato da Quasimodo, anche molti altri l’hanno notato. Estraggo dal web qualche parere. Giuseppe Pontiggia (che tentò invano più volte di farlo pubblicare) dice a proposito delle lettere ricevute da Orsenigo: "Essere il destinatario di uno scrittore estroso e caleidoscopico quale lui è un privilegio di cui sono orgoglioso. Raramente invenzione e ironia, simpatia e grazia hanno trovato come in queste lettere il loro felice punto d'intersezione”. Maurizio Cucchi afferma che "da qualche tempo mi capita di leggere con piacere uno scrittore che in fin dei conti potremmo definire 'nuovo'. Nuovo, infatti, perché buona parte dei suoi libri sono usciti in questi ultimi anni, pur non trattandosi di autore propriamente giovane, visto che è nato nel 1926.[...] I motivi di stima, dunque, che ci può offrire questo scrittore sono diversi. Se l'attenzione d'oggi fosse più concentrata sulla qualità dell'opera, Orsenigo potrebbe costituire un caso letterario". Daniela Marcheschi: "Bizzarro e divagante secondo una tradizione umoristica che, con Porta e Rajberti, ha avuto fecondi sviluppi nella cultura milanese e nella letteratura italiana dell'Ottocento in poi". Massimo Onofri: "Così come l'esistenza, i libri veri non possono avere trama. Orsenigo lo sa da sempre e straparla. Ma straparlando, stravede". Vittorio Orsenigo Di male in peggio Pagine 154, Euro 16.00 Asterione
venerdì, 22 febbraio 2019
La barzelletta ebraica
Parecchi studiosi pensano che l’origine dell’umorismo ebraico risieda nella risata: di Abramo, centenario, all'annuncio - portato dall'Arcangelo - che egli, genererà un figlio da Sarah, sua moglie, novantenne, che a sua volta nascostamente ride. Anni dopo, nato il figlio, pare che anche Dio abbia riso. A testimonianza di ciò, ecco che l'Eterno dice ai due "Lo chiamerete Isacco!" In ebraico Isacco significa: "Che rise" o "Colui che rise". Certo, aggiungo io, Isacco rise forse poco quando quel suo padre, fanatico fondamentalista, stava per fargli la pelle se non fosse stato per un misericordioso intervento di un certo birbone celeste. “Il ridere divino” – scrive Moni Ovadia – “attiene alla dimensione del miracolo umoristico che apre alla Storia. La storia di un popolo che sa ridere, che ride di tutti, dall'ultimo mendicante al più anziano e venerabile rabbino e arriva addirittura a ridere del proprio Dio. Per mantenere le proprie certezze, per sopravvivere, per andare incontro al futuro”. Sulla storia dell’umorismo ebraico, sui suoi plurali risvolti contenuti in ogni battuta di spirito, la casa editrice Einaudi ha mandato in libreria un titolo assai interessante: La barzelletta ebraica Un saggio (meno saggio, più esempi). Mai sottotitolo fu più veritiero. Perché nel volumetto sono quasi le numerosissime barzellette stesse a farsi saggio accompagnate da illuminanti riflessioni che conducono il lettore a riflettere su quale grande misura quelle storielle identifichino l’identità del popolo ebraico. L’autrice è Devorak Baum. Insegna Letteratura inglese e Teoria critica presso l'Università di Southampton ed è associata al Parkes Institute for the Study of Jewish/non-Jewish Relations. Ha pubblicato nel 2017 Feeling Jewish (a Book for Just About Anyone) presso Yale University Press e ha diretto con il marito il documentario The New Man. “La barzelletta ebraica” si avvale della traduzione dell’importante firma di Elena Loewenthal. Che cos'è che anima l'umorismo ebraico? Perché è ritenuto uno dei più raffinati al mondo? Perché, è legittimo osservare, è un umorismo che ride di se stesso e degli stessi ebrei ed è un riso circolare che denota un’intesa solo fra simili. Non è un caso che nel “Motto di spirito” di Sigmund Freud troviamo: “Ridere degli stessi motti è prova di una vasta concordanza psichica”. “Infatti” – conclude Baum – “quello che tutte queste barzellette hanno in comune è la consapevolezza che le istanze universali, siano esse in nome della religione, della politica, della scienza o financo del golf, lasciano sempre qualcuno da parte – qualcuno che vede o sente le cose in modo diverso”. La meccanica delle stesse barzellette, propone spessissimo una dinamica basata su ambiguità che permettano divertenti soluzioni opposte. Yankel e Moshe, due studenti discutono se sia permesso fumare mentre studiano la Torah. Essendo in disaccordo vanno a consultare il rabbino. Yankel: “Rabbino è permesso fumare mentre si studia la Torah?” “No!” risponde accigliato il maestro. Moshe: “Rabbino è permesso studiare la Torah mentre si fuma?” “Sì, certo”, risponde con un benevole sorriso il rabbino. Devorak Baum La barzelletta ebraica Traduzione di Elena Loewenthal Pagine 136, Euro 12.00 Einaudi
mercoledì, 20 febbraio 2019
Voglio la luna
La Luna, "rana d'oro nel cielo" per Eschilo, "usignolo muto" per Max Ernst, nonostante sia stata raggiunta dal piede di noi umani, conserva enigmi che affascinano. Fino alla data odierna, 12 astronauti, tutti statunitensi, hanno camminato sulla superficie della Luna, a cominciare da Louis Armstrong – seguito poi nella stessa missione da Buzz Aldrin – il 21 luglio 1969. Si pensi che a quella data i computer che permisero quella straordinaria impresa avevano circa la stessa potenza di calcolo dei computer sul tavolo di tanti nostri uffici. Sicché l’avventura dei primi astronauti fu estremamente rischiosa e, infatti, le probabilità di successo erano valutate intorno al 50%. Perché si rischiò tanto? Perché sull’amore per la scienza prevalse un traguardo politico: battere i russi (partiti in vantaggio sugli Usa) nella ricerca spaziale. E nell’effetto psicologico che lo sbarco sulla Luna avrebbe avuto su tutti gli abitanti della Terra. I russi, infatti, ci rimasero malissimo. In una riunione di vertici militari statunitensi e sovietici, questi ultimi rimproverarono ai primi di aver piantato la bandiera a stelle e strisce sul suolo lunare quasi a segnare un’arrogante proprietà. Divertente fu la risposta di un ufficiale americano: “Avete ragione. Andate a toglierla”. Appartiene alla storia della nostra televisione uno storico contrasto in telecronaca fra i giornalisti Egidio Stagno e Ruggero Orlando circa il momento dell’allunaggio. Lo potete rivedere e riascoltare QUI.
L’Editoriale Scienza ha pubblicato un bel libro destinato ai ragazzi dai 9 anni in su: Voglio la luna. Autori: Andrea Valente – Umberto Guidoni. Illustrazioni di Susy Zanella. È noto Umberto Guidoni per essere stato il primo astronauta europeo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Scrittore e illustratore, Andrea Valente nel 2011 ha vinto il Premio Andersen. Prima di soffermarsi sulla parte scientifica, gli autori riservano un capitolo a come la Luna affascini e ispiri l’uomo fin dall’antichità, tanto da essere non solo oggetto di studio, ma anche protagonista di leggende, romanzi, film, fumetti, dipinti e brani musicali. Méliès, Kubrick, Verne, Leopardi, Beethoven e Van Gogh sono solo alcuni tra coloro che hanno raccontato, con parole, suoni o immagini, il nostro satellite. Bene fanno gli autori a ricordare, nella parte riservata alla letteratura, come Verne in “Dalla Terra alla Luna” con la fantasia abbia anticipato dei dati che poi si sarebbero inverati nella missione Apollo 11. Tre sono i componenti l’equipaggio nel romanzo e tre gli astronauti, il lancio immaginato dallo scrittore avviene in Florida e così avvenne nella realtà, così come reale fu l’ammarraggio al ritorno nell’Oceano Pacifico lo stesso mare nominato in quel libro di fantascienza del 1865. Protesto, invece, a nome di Luciano di Samosata (120 circa – Atene, tra il 180 e il 192), per il fatto che quel grande greco non sia menzionato nel libro: è stato il primo scrittore di questo pianeta a immaginare un viaggio sulla Luna; meritava un ricordo. In “Voglio la Luna”, i lettori conosceranno, ovviamente, la storia e la conformazione del nostro satellite. Come si è formata la Luna? Come influisce sulle maree? Cosa sono le fasi lunari? Qual è la causa di un’eclissi? Sulla Luna c’è acqua? Cosa sono i mari lunari? Dalla presentazione editoriale «Spettacolo notturno, divinità celeste, fonte d’ispirazione per i poeti, oggetto di studio per gli scienziati e meta di uno straordinario viaggio spaziale… È la Luna! In questo libro di astronomia per bambini, Umberto Guidoni e Andrea Valente raccontano il nostro satellite in modo chiaro e coinvolgente, scegliendo un approccio di ampio respiro. Il libro dà spazio anche agli scenari futuri, come la costruzione di una stazione spaziale tra la Terra e la Luna, capace di ospitare uomini e attrezzature per condurre operazioni complesse nello spazio, e l’introduzione di un ascensore lunare. Per noi che astronauti non siamo, Google sta collaborando con la Nasa per realizzare Google Moon, un servizio simile a Google Earth, ma dedicato al nostro satellite, grazie a cui si potrà visitare la Luna dal divano di casa e provare, almeno virtualmente, l’emozione di chi ha camminato sulla sua superficie. Le ultime pagine sono dedicate a un pratico glossario e alle soluzioni dei quiz che, sparsi qua e là, danno un tocco giocoso alle lettura». Umberto Guidoni – Andrea Valente Voglio la luna Illustrazioni di Susy Zanella Pagine 160, Euro 18.90 Editoriale Scienza
lunedì, 18 febbraio 2019
Flavio Giurato
Dall’Ufficio stampa Monferr’Autore ho appreso del Premio alla carriera Giorgio Lo Cascio assegnato a Flavio Giurato. Il Premio – giunto alla sua IX edizione – è organizzato dall'Associazione Primavera Andreolese con il patrocinio della Regione Calabria e dell'amministrazione comunale di Sant’Andrea Apostolo dello Ionio. La direzione artistica è di Enrico Deregibus. Flavio Giurato, a mio avviso (e non credo di essere il solo a pensarla così) è uno dei grandi poeti della canzone europea. Splendido il recente Le promesse del mondo che contiene anche il brano Digos che penso sia uno dei vertici della sua storia compositiva. L’originalissimo stile dei testi, sembra rimandare a un film composto con riprese a fotogrammi singoli e solarizzazioni, narrazioni tra il fumetto e il flusso di coscienza. QUI il suo sito web. E qui un'intervista rilasciata a Repubblica XL. Dal comunicato stampa. «Flavio Giurato è il vincitore del nono "Premio Giorgio Lo Cascio", riconoscimento riservato a cantautori di particolare valore dalla carriera consolidata e fuori dai circuiti mainstream. Flavio Giurato è, come recita la sua scheda biografica, “il segreto meglio custodito della musica italiana”. Artista di culto per addetti ai lavori e appassionati, è autore di tre album meravigliosi tra il 1978 e il 1984: “Per futili motivi”, “Il tuffatore” e “Marco Polo”. In particolare “Il tuffatore” lo fa conoscere al pubblico più attento di quegli anni. I videoclip estratti dall’album furono parte fondante del programma ‘Mr. Fantasy’ condotto da Carlo Massarini. Dopo un lungo periodo di pausa, nel nuovo secolo è tornato all’attività. Nel 2004 la casa editrice No Reply, decide di pubblicare “Il tuffatore. Racconti e opinioni su Flavio Giurato” un libro di racconti ispirati alle canzoni dei primi tre dischi del cantautore. Con l’occasione, a vent’anni di distanza da “Marco Polo” e in allegato al libro, esce un disco live, il primo e l’unico della sua carriera. Nel 2007 arriva un nuovo disco di inediti, “Il manuale del cantautore”. Negli ultimi anni la sua attività si intensifica, sia per quanto riguarda i concerti che i dischi: nel 2015 esce “La scomparsa di Majorana”, nel 2017 “Le promesse del mondo”, dischi assai considerati dalla critica». Ufficio stampa, Monferr’Autore: monferrautore@virgilio.it
venerdì, 15 febbraio 2019
La saggezza degli animali
Ha scritto il grande autore portoghese Fernando Pessoa: L’uomo non sa di più degli altri animali; ne sa di meno. Loro sanno quel che devono sapere. Noi, no. Anche da qui derivano tanti errori che l’animale uomo commette verso gli altri animali. Quanti? Tanti. Il primo è quello d’immaginare una propria superiorità naturale. Ed ecco perché la Chiesa detesta tanto Darwin che – come sostiene Daniel Kevles – ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione. Doloroso risultato della dottrina cristiana sugli animali è stato Cartesio, uno dei principali esponenti dello specismo termine coniato dallo psicologo Peter Singer in “Le sofferenze inflitte agli animali” (1973). Altro errore è di non conoscerli asserendo il contrario. Perfino di animali che spesso abbiamo in casa ne sappiamo poco. Basti pensare quanto goffamente in tanti pretendono – anche in buona fede, anche affettuosamente – d’ottenere da cani o gatti comportamenti vicino ai nostri. Cosa ch’è assolutamente impossibile. “Abbiamo molto da imparare, dagli animali” – scrive, ad esempio, Stephen Fry – “Molto da imparare su di loro, ma molto, molto di più da imparare su di noi […] Gli animali tutti hanno questo in comune: a differenza dell’uomo, paiono impiegare ogni minuto di ogni ora di ogni giorno della propria vita a essere se stessi. Noi uomini siamo raramente bravi a essere ciò che la natura ci chiede di essere: homo sapiens”.
Ecco perché può aiutarci a saperne di più e limitare i nostri sbagli, un bel libro pubblicato da Garzanti dal titolo La saggezza degli animali. L’autore è Peter Wohlleben. Nato nel 1964 a Bonn, in Germania. Dopo oltre venti anni di servizio come guardia forestale, ora gestisce un bosco di tremila acri nei pressi di Hummel, nella regione di Eifel al confine con il Belgio. I suoi libri, tradotti in tutto il mondo, hanno più volte raggiunto i primi posti delle classifiche di vendita. Nel catalogo Garzanti: La saggezza degli alberi (ora disponibile in edizione tascabile) e La saggezza del bosco. «Seguitemi» – dice Wohlleben rivolto ai lettori – «in questo viaggio alla scoperta dei sentimenti degli animali… Forse potrete riflettere su alcuni aspetti interessanti della razza umana». Questo libro, di scorrevolissima lettura, informa su tante cose che sembrano incredibili. Con una serie di esempi, frutto d’osservazioni scientifiche, che sorprendono pagina dopo pagina. Leggevo proprio giorni fa notizia di uno studio apparso su Science Advances in cui si dimostra che anche le api sanno contare. Sono capaci di svolgere semplici addizioni e sottrazioni, se allenate, mostrando un'abilità, quella numerica, che richiede tanto il lavoro della memoria a lungo quanto quella a breve termine. Ecco informazioni come questa se ne trovano molte in “La saggezza degli animali”. Dalla presentazione editoriale «I polli cresciuti all’aperto sono più felici? Che cosa sognano i cani? Quale senso del tempo ha una farfalla? Con la stessa inimitabile capacità di incuriosire con cui aveva descritto il linguaggio segreto degli alberi e grazie alla quale avevamo scoperto come le piante parlano, comunicano e si aiutano a vicenda, Peter Wohlleben rivolge ora la sua attenzione agli altri abitanti della foresta: gli animali. Scopriamo uccelli come il corvo imperiale, capace di provare amore e rimanere fedele al proprio partner per tutta la vita; ci accorgiamo, con un po’ di stupore, che alcuni animali hanno una consapevolezza emotiva della morte, come le ghiandaie della Florida che compiono una veglia funebre di due giorni alla scomparsa di una di loro; e quasi ci commuoviamo leggendo della straordinaria empatia degli scimpanzé, capaci di adottare cuccioli orfani per proteggerli dai predatori. Peter Wohlleben sfata pregiudizi – la storia del lupo cattivo, della capra stupida o del cerbiatto timido – e ci invita a riflettere sulle conseguenze del nostro comportamento quotidiano, rendendo pagina dopo pagina sempre più evidente perché un atteggiamento attento nei confronti degli animali è un bene per noi umani e per il futuro dell’intero pianeta». Peter Wohlleben La saggezza degli animali Traduzione di Valeria Montagna Illustrazioni di Margaret Schneevoigt Pagine 192, Euro 16.00 Garzanti
Giordano Bruno
Anche quest’anno l’Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" ricorderà l’opera e l’attualità del grande filosofo. Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 1600), accusato di eresia, l'8 febbraio 1600 fu condannato al rogo e, ascoltata la sentenza, rivolse ai giudici la storica frase: ”Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla”. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua serrata da una morsa per impedirgli di parlare a chi assisteva al falò, condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo, fu arso vivo. Le sue ceneri le gettarono nel Tevere perché… hai visto mai? L’Associazione come ogni 17 febbraio ricorderà il filosofo ucciso quella piazza. In quel luogo romano c’è la statua dedicata a Bruno, statua che ha una sua storia turbinosa. A chi fosse interessato a conoscerla, suggerisco la lettura di “Campo dei Fiori. Storia di un monumento maledetto”, ne è autore Massimo Bucciantini. Dal comunicato stampa dell’Associazione libero Pensiero. «L’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” come ogni 17 febbraio in Campo de’ Fiori a Roma (dalle ore 17.00) ricorderà il filosofo Giordano Bruno, perché la memoria di quel rogo sia per ciascuno la fiamma della ragione contro l’oscurantismo. Sono trascorsi 419 anni da quel 17 febbraio del 1600, quando Giordano Bruno fu arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma per ordine del tribunale della Santa Inquisizione, presieduto dal pontefice romano. «Eretico, pertinace, impenitente ...» recitava la sentenza nella sua tracotanza dogmatica di potere. E voleva essere espressione di massimo spregio per chi come Bruno rivendicava il diritto umano di pensare e scegliere autonomamente per uscire dalla caverna della sottomissione individuale e sociale. In un contesto storico come quello attuale, dove il senso della ragionevolezza sembrerebbe smarrito nella ripresa del fideismo religioso che si fa anche terrorismo, mentre spettri fascisti avanzano in Europa, noi bruniani vogliamo rimettere al centro più che mai il valore della Laicità, supremo principio della nostra Carta costituzionale repubblicana, perché la democrazia si concretizzi nell’affermazione della dignità umana, individuale e sociale. Senza laicità non c’è democrazia, non c’è libertà, né giustizia, né uguaglianza nelle pari opportunità. Ma solo sopruso. Ben lo sapeva Giordano Bruno, che ha avuto il coraggio di alzare la testa per proclamare il diritto dovere di ciascuno a emanciparsi da dogmi e padroni con la sua rivoluzionaria filosofia, che dall’infinito cosmico apre prospettive formidabili in ogni ambito politico, sociale, etico, estetico... comunicativo. Di tutto questo parleremo a Piazza Campo de’ Fiori il 17 febbraio 2019, a partire dalle ore 17.00 tenendo vivo lo straordinario insegnamento di filosofia e vita di Giordano Bruno. “Nel nome di Giordano Bruno. Laicità Libertà Democrazia”, è il titolo che l’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” ha voluto dare alla Cerimonia-Convegno di quest’anno con le relazioni di Maria Mantello (Giordano Bruno, dignità laicità democrazia); Francesco De Martini (Giordano Bruno e la cosmologia moderna); Alessandro Cecchi Paone (Giordano Bruno profeta europeo di libertà). Recitativi a cura di Annachiara Mantovani. Presenta Antonella Cristofaro». Associazione Libero Pensieroi Info: liberopensiero.giordanobruno@fastwebnet.it Tel: 329 748 11 11
domenica, 10 febbraio 2019
Asterione
Ho appreso da Cristiana Minelli – alla quale è stato affidato l’Ufficio Stampa – la nascita di una nuova casa editrice con sede a Modena. Il suo nome: Asterionelegge. In foto il logo. La direzione editoriale è di Roberto Barbolini, QUI il suo sito web. A lui ho rivolto alcune domande.
Asterione… chi è Asterione? Perché è stato dato quel nome alla nuova editrice? Asterione è il Minotauro cretese, figlio degli amori di Pasifae con un toro. In un memorabile racconto di Borges, intitolato “La casa di Asterione”, il Minotauro si rammarica di non saper leggere con queste parole: «non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un'impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi». Forse, ci siamo detti, quel mitologico freak non ha ancora trovato i libri che fanno per lui…Come si sa i lettori in Italia bisogna un po’ inventarseli, sono tanti piccoli minotauri sperduti nel labirinto di una produzione editoriale eccessiva e soffocante. La nostra scommessa è che anche Asterione può rivelarsi un lettore appassionato, al punto di farsi editore dei libri che ama. Che cosa Asterione vuol far leggere? Quale il suo obiettivo espressivo? La risposta potrebbe essere lapidaria: Asterione vuol far leggere anche agli altri i libri che piacciono a lui. In questo senso, quello che tu chiami “l’obiettivo espressivo” dell’editore somiglia a quello dell’autore desideroso di scrivere i libri che gli piacerebbe leggere. Ma in realtà la situazione è più complessa, e la tua domanda potrebbe essere riformulata nei termini usati da Totò interpellando il “ghisa” milanese in una celebre sequenza di "Totò, Peppino e la malafemmina”: «Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?». Forte è la sensazione di spaesamento davanti a un panorama editoriale decisamente bulimico. Noi partiamo con due collane: Ourobors ed Aemiliana, la prima dedicata alla scoperta o riscoperta di autori eccentrici ; la seconda a scrittori appartenenti all’area emiliana in cui Asterione affonda le sue radici. Ouroboros s’inaugura con “Di male in peggio” di Vittorio Orsenigo, che a 92 anni rimane una delle sicure promesse della letteratura italiana: “scrittore eccentrico, persino nel conto degli eccentrici” l’ha definito Massino Onofri, e questo volume di brevi storie e lancinanti guizzi aforistici lo conferma in pieno. Aemiliana aprirà con la ristampa di “Emiliana”, romanzo storico ambientato nell’età napoleonica , a vent’anni dalla prima edizione e a sei dalla scomparsa del suo autore, Giuseppe Pederiali: un insuperabile narratore di storie che ho avuto la fortuna di avere per amico. A seguire usciranno un mio “zibaldino” fra la via Emilia e il West intitolato “L’ombelico del mondo”, il “Manoscritto mai ritrovato” di Carlo Andrea Falvella, “L’almanacco delle news” di Cristiana Minelli, vorremmo anche riproporre “Modena 1831 città della Chartreuse” del grande Antonio Delfini. E molto altro bolle in pentola.
In quale fascia di pubblico Asterione cercherà i suoi lettori?
In quella che non si vergogna di resuscitare un concetto estetico fondamentale come quello di gusto. Mentre nessuno trova alcunché da ridire quando in musica si parla di “orecchio assoluto” (come quello di Mozart), non si capisce perché se si parla di gusto in letteratura si è subito guardati con sospetto. Vale in parte il pregiudizio scientistico verso tutto ciò che non è misurabile, come se poi non vivessimo nell’era dell’”uno vale uno”, in cui ogni competenza è screditata in quanto elitaria. Tranne quella dei cuochi: il sistema per dire loro addio – per parafrasare Chandler nel finale di “The Long Good-Bye” – non è stato ancora inventato.
Quale metodo userai per selezionare le proposte editoriali che t’arriveranno? Quello di non considerare mai i libri un “prodotto” fungibile con altre categorie merceologiche, dalla carta igienica ai fustini di detersivo, dai saponi ai tubetti di dentifricio. Fatta salva questa distinzione preliminare, il criterio del gusto di cui parlavo prima può operare liberamente. Con garbo ma con fermezza. Senza però arrivare alla radicale strategia suggerita da Eugene Field, che nella lettera di rifiuto a una poesia intitola Perché sono vivo rispose “Perché hai inviato la poesia per posta”.
Quando si parla d’editoria dalle piccole dimensioni aziendali, salta immancabilmente fuori il discorso sulla difficoltà di distribuzione. Perché mentre il cinema s’avvale di esercizi che con i locali d’essai riesce – e anche con risultati spesso commercialmente apprezzabili – a presentare opere sgradite alla grande distribuzione, non avviene altrettanto con le librerie?
Da autore di nicchia quale sono sempre stato - pur pubblicando spesso anche presso grossi editori da Mondadori a Rizzoli a Garzanti, e ora presso La nave di Teseo - il problema mi tocca da vicino, ma non saprei dare una risposta precisa, anche perché non conosco abbastanza i meccanismi della distribuzione cinematografica per poter fare un paragone. Penso comunque che le difficoltà in cui si dibattono le piccole librerie sia un elemento da tenere in considerazione: alle grandi catene le opere di nicchia non convengono, mentre i librai indipendenti non sono in grado di promuoverle adeguatamente se non rischiando il suicidio professionale.
In editoria, a proposito di best seller, Giuliano Vigini dice che in Italia i successi di vendita nascono per caso. Mario Spagnol è del parere che il best seller oggi va programmato. Il sociologo Mario Peresson afferma che “gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili”. Un tuo parere sul libro di successo… è possibile pianificarlo? Oppure no”? Demonizzare per partito preso il best seller mi sembra una sciocchezza. Considero il successo di un libro una variabile indipendente rispetto al suo valore. Ci sono grandi autori letti da pochi e bestselleristi che sono scrittori coi fiocchi. D’Annunzio vendeva più di Pascoli, ma sono entrambi eccellenti poeti. Emilio Salgari, disprezzato dai letterati colti del suo tempo, è un vero scrittore e vende ancora a più d’un secolo dalla morte. Mi fanno ridere quelli che dicono “Non vendo, non mi capiscono, quindi sono un grande»: magari bastasse! Ma altrettanto ridicoli -ha ragione Peresson- sono quelli che si fanno forti delle loro vendite milionarie per aspirare al Pantheon delle storie letterarie. In definitiva, se il bestseller può talvolta conseguire le vette della letteratura è proprio perché il successo non è pianificabile, non si può programmare meccanicamente. Se c’è un motto che s’addice all’editoria, è quello che sta scritto sul muro d’un convento francescano di Toledo. Dice così: “caminantes/ no hay caminos/hay que caminar”, ossia: “viandanti, non ci sono strade, si deve camminare”. ……………………… Asterione Via Emilia Est 18/20 41124 Modena info@asterionelegge.it
venerdì, 8 febbraio 2019
Des oiseaux
Da qualche anno in questo sito seguiamo il lavoro di Marta Roberti e non siamo soli in quest’attenzione che, infatti, viene rivolta crescentemente a quest’artista sia dai critici e sia dagli operatori del mercato. Il suo lavoro attira plurali sguardi perché evoca memorie antiche e turbamenti moderni del segno, rappresentati in un fantasmatico mondo vegetale popolato da animali non umani. E quando noi umani ci siamo, eccoci nascosti tra foglie e alberi e dall’immagine spiare chi tenta di scorgerci. Di recente, Roberti ha tenuto workshop in Sudafrica e in Etiopia. E un clic QUI aiuta a conoscere il suo pensiero.
Ora, la troviamo in una mostra che è in corso a Brescia, alla Galleria dell'Incisione, aperta nel 1972, specializzata nella grafica mitteleuropea tra Otto e Novecento, con una predilezione per l'area austriaca, tedesca e cecoslovacca. La Galleria ha proposto, infatti, sin dai primi anni artisti quali Dix, Grosz, Hubbuch, Klinger, Müller, Schlichter, contribuendo a valorizzare alcuni autori allora poco conosciuti in Italia. Ha, inoltre, dato spazio tanto ad autori contemporanei quanto alla proposta di collezioni - inedite per Brescia - di xilografie giapponesi. Nei più recenti anni si sono avute importanti esposizioni anche di fotografia, che hanno visto proposti autori contemporanei di valore internazionale, quali Martine Franck, Berengo Gardin, Scianna, Sellerio, Erwitt, McCurry. In foto: Marta Roberti, “Uccello vedova dalla coda lunga, Sud Africa” 21x29cm, disegno inciso su carta grafite, 2019. Dal comunicato stampa della Galleria «Che si tratti del canto che annuncia l’arrivo della primavera, dei suggestivi e coreografici passaggi migratori o dell’invidia di una condizione di libertà che ispirò a Paul Valéry la celebre frase “Il faut être léger comme l'oiseau et non comme la plume”, il potente legame che questo animale intrattiene con la natura e con la sua ciclicità si conserva inalterato nel tempo, giungendo fino al cittadino urbanizzato di oggi che durante l’inverno assiste all’arrivo di uccelli in cerca di qualche grado in più rispetto alla rasa e fredda campagna. Con "Des Oiseaux”, mostra che prende il titolo dal nuovo libro del fotografo Pentti Sammallahti (Éditions Xavier Barral, 2018), di cui esponiamo una trentina di scatti, si presenta una preziosa occasione: interrogare gli universi di diversi artisti per scoprire in che modo si sono lasciati ispirare da quello che, declinato in una moltitudine di specie, può essere considerato l’animale allegorico per eccellenza. Insieme a questa nuova rassegna di fotografie del maestro finlandese (la galleria aveva organizzato una sua personale "Aspettare l'immagine" nel 2008 curata da Silvana Turzio) sono quindi esposti disegni, acquarelli, stampe, fotografie e sculture, tutti a tema ornitologico, di autori storici e contemporanei: Andrea Collesano, Vanni Cuoghi, Giuseppe Gallizioli, Armida Gandini, Quentin Garel, Ernst Moritz Geyger, Fausto Gilberti, Giorgio Maria Griffa, Frances Lansing, Michael Kenna, Franco Matticchio, Andrea Micheli, Louis Moe, Karl Moser, Richard Müller, Andrea Pedrazzini, Marta Roberti, Felice Tosalli, Velasco Vitali». Galleria dell’Incisione Des oiseaux Via Bezzecca 4, Brescia Info: tel. 030-304690 fax 030-380490 galleria@incisione.com Fino al 17 marzo 2019
mercoledì, 6 febbraio 2019
L'imitazione della vita (1)
Nella collana di scienze della visione I pescatori di perle, diretta da Alfonso Amendola e Vincenzo Del Gaudio, la casa editrice Meltemi ha mandato nelle librerie L’imitazione della vita Scritti di cinema 1970 – 2016 di Salvatore Piscicelli a cura e con una postfazione di Gino Frezza (QUI una scheda biografica, e QUI la bacheca dei libri pubblicati). La postfazione è possibile leggerla sul blog condotto da Piscicelli. Il libro si avvale anche di una prefazione di Alberto Castellano che ho avuto il piacere di ospitare su questo sito in occasione dell’uscita di un saggio collettaneo, a sua cura, sull’opera di Paul Schrader.
Salvatore Piscicelli, critico cinematografico, sceneggiatore e regista, ha scritto e diretto numerosi documentari e film di finzione tra i quali: “Immacolata e Concetta”,”Le occasioni di Rosa”, “Blues metropolitano”, “Il corpo dell’anima”, “Quartetto”, tutti presentati nei principali festival internazionali. Ha scritto una raccolta di racconti (“Baby Gang”), due romanzi (“La neve a Napoli”, “Vita segreta di Maria Capasso”) e un volumetto sulla cucina popolare napoletana (“La cucina di Addolorata”). Nato a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, vive e lavora a Roma. Scrive Alberto Castellano nella prefazione: “Piscicelli ha affrontato l’avventura critica giovanile con estrema apertura e duttilità, senzaspocchia e preconcetti, con interesse e curiosità per registi grandi e medi, autori e artigiani, per tutte le cinematografie e i generi, con un occhio alla tradizione e uno all’innovazione […] interessato alle nuove tecnologie, alla rivoluzione digitale che cha investito da anni il cinema (sotto il profilo sia dell’uso delle telecamere digitali, sia dei supporti che hanno stravolto il consumo tradizionale)”. Dalla presentazione editoriale. «Questo libro (il cui titolo richiama quello di un importante film del regista Douglas Sirk) raccoglie e mette insieme, in un ordine sistematico, gli scritti di cinema di uno dei più importanti autori del cinema italiano degli ultimi quattro decenni. Dalla lettura di questi saggi di Salvatore Piscicelli (recensioni dei film usciti nel nostro paese nel corso degli anni Settanta e pubblicati sull’“Avanti!”, articoli e saggi di più vasto respiro scritti per una rivista, “Cinemasessanta”, o altri nati da occasioni diverse di riflessione su figure come Chaplin o Rossellini o sul rapporto fra cinema e ideologia, su temi rilevanti come cinema e psicoanalisi, o sui film cinesi di kung fu o, ancora, sulla metodologia storiografica del cinema o su registi francesi e del Nord Europa ecc.), viene fuori un profilo esemplare di cineasta integrale, critico e autore nello stesso tempo. Questo libro dà modo, da un lato, di ricostruire un modo generazionale di vivere e praticare il cinema (quello che appunto nutre gli interessi del critico a partire dagli anni Settanta) e, insieme, dall’altro, di comprendere la lunga e vivace formazione del futuro regista. Dal 1980 in poi, mentre dirige film e interpreta le tendenze del cinema contemporaneo secondo le sue opzioni creative, Piscicelli, in filigrana, non smette di osservare criticamente come il cinema evolve in rapporto alla società». Segue ora un incontro con Gino Frezza.
L'imitazione della vita (2)
A Gino Frezza (in foto) ho rivolto alcune domande. Qual è la motivazione della sua attenzione sul mondo critico e filmico di Piscicelli? Piscicelli è l’autore di almeno due capolavori del cinema italiano dei primissimi anni Ottanta: “Immacolata e Concetta” e “Le occasioni di Rosa”, entrambi ambientati nel napoletano e in grado di raccontare, come pochi altri film, il tessuto drammatico della mia città. Inoltre io conosco Piscicelli dai primi anni Settanta, da quando faceva il critico, e curava l’organizzazione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, e dunque la lettura dei suoi scritti di cinema mi riportava alle questioni culturali di quel decennio. Ritrovavo gli interessi di un’epoca e della sua cultura filmica, molto diversa da quella che oggi si pratica (meglio dire: che non si pratica più…) e parecchie delle questioni di allora spesso tornano (per esempio il rapporto fra cinema e politica, ma anche quello dei rapporti fra scrittura e immagine) mostrando che non sono ancora risolte. Piscicelli mi è parso quindi come una figura in grado di restituire il significato complessivo di una ricerca che, nel suo caso, è riuscita a passare dal piano della riflessione teorica e analitica sul cinema (quello del passato e quello contemporaneo) a quello della produzione creativa, quando egli, dal 1980, ha smesso le vesti del critico (temporaneamente, ora non scrive più su giornali e riviste, ma cura un blog) e ha iniziato a fare regia. Quale importanza ha avuto nel cinema di Piscicelli essere stato prima critico poi autore? Ha filtrato e orientato il suo modo di pensare il film, sia nella sua struttura narrativa ma soprattutto nei modi di costruzione dell’immagine, nella forma e nell’impianto visivo delle inquadrature, nella tensione emozionale che deve essere innescata dal montaggio. Piscicelli nei suoi scritti mostra che egli ha pensato moltissimo sul contributo concettuale che il cinema del passato consegna agli autori di oggi. Per esempio, la sua capacità di cogliere cosa ha significato per il cinema moderno degli Anni Settanta un certo cinema europeo (da quello tedesco a quello francese) e le sue passioni per un certo cinema americano (per esempio Douglas Sirk, che in realtà era un regista tedesco immigrato nel 1936 a Hollywood per opposizione al nazismo e divenuto uno dei maestri del melodramma filmico, nonché autore di un film il cui titolo è proprio ripreso da Piscicelli - Imitation of life – per nominare il suo libro di scritti). D’altronde Piscicelli non è l’unico autore che ha avuto una importante gestazione prospettica prima nella critica per poi passare alla regia. Non voglio citare i soliti autori francesi della Nouvelle Vague dei primi anni Sessanta, ma si pensi solo all’Italia e a casi come Blasetti, Antonioni, Pietrangeli, o a figure poco più anziane di Piscicelli, come Dario Argento, e si vedrà che essere stati critici può dare una forte consapevolezza sulla maniera di essere autori e di dare un contributo forte e significativo alla produzione nazionale di cinema. Esiste un filo che lega in Piscicelli l’estrema varietà di autori e stili osservati nei suoi scritti? Assolutamente sì. Il filo è collegato alla diversa maniera con cui vari registi esprimono una versione critica della società moderna, collegata a una ricerca espressiva senza condizionamenti o compromessi. Ecco allora che lo scritto sul cinema di un grande autore giapponese, Mizoguchi, è una forte riflessione su come un autore può essere profondamente drammatico ma anche politico senza parlare di cose della politica, semplicemente perché sa articolare con le immagini un racconto che dà modo allo spettatore di scegliere dove stare. Di che cosa si arricchirà il lettore leggendo questi scritti di cinema? Di molte cose. Anzitutto coglierà la forte passione che nutre il rapporto che Piscicelli vive con il cinema (e non solo, vi sono scritti dove emerge anche quella per la narrativa letteraria). Potrà vedere e riconoscere alcune emergenze che dagli anni Settanta si ripropongono ancora adesso (per esempio, i rapporti fra cinema e altri media e soprattutto con la televisione), potrà misurare l’orizzonte transculturale che un amante di cinema deve praticare (c’è un bellissimo saggio sui film di Kung fu), perché, oggi soprattutto, le grandi novità nel cinema vengono da paesi molto lontani dall’Europa. Potrà vedere come, nelle poche parole di una breve scheda di recensione, si possa condensare un intero discorso su come il cinema rappresenti in maniera efficace le condizioni di vita di individui e comunità. ………………………………………. Salvatore Piscicelli L’imitazione della vita A cura e con postfazione di Gino Frezza Prefazione di Alberto Castellano Pagine 310, Euro 24.00 Meltemi
lunedì, 4 febbraio 2019
1938, l'Italia razzista
Il vento di Destra che sta avvolgendo il mondo dagli Stati Uniti al Brasile, dall’Ungheria alla Polonia passando per quanto sta accedendo in Italia, porta con sé l’infezione del razzismo dove si annida l’antisemitismo. La Giornata della Memoria di giorni fa, ad esempio, ha visto estremisti di destra polacchi disturbare la cerimonia ad Aushwitz. In Italia il parlamentare pentastellato Elio Lannutti ha citato “I protocolli dei savi di Sion” (un noto falso storico redatto dalla polizia zarista) quale documento che svelerebbe le manovre finanziarie ebraiche per soggiogare il mondo. Poi, naturalmente, ha fatto marcia indietro. Ma perché Di Maio che espelle deputati che non hanno votato secondo le direttive del M5S, ha solo rimproverato quel tale invece di cacciarlo dal Movimento? E sempre in Italia mai come in quest’ultimo anno si erano verificati tanti episodi di violenza razzista. La storia viene da lontano, un libro edito mesi fa da il Mulino è un prezioso testo che fa luce sulla responsabilità del fascismo nella deportazione degli ebrei dall’Italia verso il lager: 1938, l’Italia razzistaI documenti della persecuzione contro gli ebrei. L’autore è Fabio Isman, giornalista e scrittore, è stato per molti anni inviato del «Messaggero». Con il Mulino ha pubblicato «Andare per le città ideali» (2016) e «L’Italia dell’arte venduta» (2017). I nazisti non furono soli nel commettere quel crimine contro l’umanità, furono aiutati da molti governi collaborazionisti e per primo, dal fascismo italiano che il 6 ottobre 1938 promulgando le leggi razziali determinò la perdita dei diritti civili per 58mila italiani, parte dei quali poi deportati in Germania e 8mila di loro morti nei lager. Infamia che discendeva dal ‘Manifesto della Razza’, pubblicato il 14 luglio dello stesso anno, firmato da 10 scienziati italiani. Quei famigerati Dieci non solo mai furono processati, ma sono state intitolate loro strade, borse di studio, aule universitarie. I nomi: Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Dosaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco, Edoardo Zavattari. Furono sorretti da ben altre 329 firme. Tra quelle troviamo Almirante, padre Agostino Gemelli; Luigi Gedda, Julius Evola, ma anche Gaetano Azzariti. Di Azzariti, Presidente del Tribunale della Razza, va ricordato che Togliatti lo ebbe suo collaboratore al Ministero di Grazia e Giustizia dal giugno 1945 al luglio 1946! Fu, poi, Presidente della Corte Costituzionale dal 1957 al 1961!! “Quei Dieci e gli altri volevano dimostrare” – come scrisse Franco Cuomo anni fa – “che esistono esseri inferiori. E ci riuscirono, in prima persona. Perché lo furono”. “1938, l’Italia razzista” si avvale di una prefazione di Liliana Segre. In questo In questo breve video le illuminanti risposte di Fabio Isman ad Alessandra Quattrocchi che lo intervista per AskaNews. Dalla presentazione editoriale «La tragedia della Shoah rischia spesso di lasciare sullo sfondo le altre gravissime persecuzioni che hanno colpito gli ebrei italiani dal 1938 al 1945. Le leggi razziali, precedute da un subdolo censimento che era in realtà una vera e propria schedatura e anticipate da una violenta campagna antisemita, esclusero gli ebrei dalla scuola, dal mondo del lavoro, dalla vita civile. Dal 1938, oltre 400 provvedimenti di crescente gravità: alla fine, gli israeliti non potevano possedere una casa, un’impresa, un lavoro, neppure degli oggetti. Una spoliazione sistematica e minuta, confische equivalenti a oltre 150 milioni di euro odierni. Gli archivi restituiscono le vicende di questa Grande razzia, e storie, spesso ignote, di vita e, purtroppo, anche di morte. Il nostro Paese le ha indagate soltanto dal 1998, costituendo una Commissione presieduta da Tina Anselmi. Ma troppo resta ancora sconosciuto. Le stesse restituzioni agli originari proprietari sono state tardive e soltanto assai parziali. Come gli indennizzi, e i riconoscimenti a chi è stato perseguitato. Con una capillare ricerca tra i dati e gli allegati al Rapporto Anselmi e in numerosi archivi, negli ottant’anni dalla più importante tra le leggi razziali che furono l’anticamera della Shoah, Fabio Isman racconta vicende spesso ancora ignorate o troppo poco esplorate, che ci restituiscono lo spaccato di un’Italia non sempre composta da “brava gente”». Fabio Isman 1938, l’Italia razzista Prefazione di Liliana Segre Pagine 296, Euro 22.00 Il Mulino
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