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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Comunicazioni estive

Care visitatrici, cari visitatori,

come avviene dal 2000, anno di nascita di questo sito, Nybramedia va in vacanza.

Arrivederci a dopo l'estate.


Immagine in tempo reale (1)

La Casa editrice Mimesis nella collana “Eterotipie”, diretta da Salvo Vaccaro e Pierre Dalla Vigna, ha pubblicato un poderoso saggio sulla performance audiovisiva.
Titolo: Immagine in tempo reale Storie, pratiche, teorie per una introduzione alla performance audiovisiva
Ne è autore Emanuele Ponzio
Laureato in Psicologia all’Università degli Studi di Urbino, ha conseguito il dottorato all’Università degli Studi di Bari. Dal 2001 con lo pseudonimo di “ape5” ha partecipato come artista visuale e VJ a numerosi eventi dedicati alla musica elettronica e alla performance multimediale.

Partendo dall'esperienza personale di VJ e videoartista, Emanuele Ponzio intraprende un percorso storico alla ricerca delle radici della performance audiovisiva. L'esplorazione si sofferma su alcune tappe cruciali quali: la pittura astratta dal suo tentativo di decifrazione delle note in colore alla relazione più ampia tra immagine pittorica e strutture musicali come la polifonia e il ritmo; gli esperimenti di pre-cinema dall'intrattenimento della lanterna magica alle forme d'arte della luce; il cinema sperimentale dalla sonorizzazione dal vivo di pellicole mute alla sincronizzazione audiovisiva di quelle sonore; il rapporto tra immagine televisiva e musica elettronica dalla video-arte al video-clip; la nascita della pratica di manipolare le immagini dal vivo dal Vjing al Live Cinema.
Nel viaggio a ritroso l'autore ritrova parenti lontani in coloro che si sono interrogati sin dall'inizio del XX secolo sulle implicazioni tra arti visive e musica. Le aspirazioni a voler rendere visibile la musica attraverso processi metaforico/sinestetici, di traduzione e di profonda analogia con le regole della grammatica musicale, divengono le fondamenta per iniziare ad assemblare un'introduzione alle pratiche performative contemporanee audiovisive. È nell'esecuzione in tempo reale che l'arte visuale scopre la sua primaria comunanza con la musica e che profila la performance audiovisiva come arte del “qui ed ora”, nel suo specifico carattere effimero ed aleatorio, e come “opera aperta” in quanto in continuo divenire.

Segue ora un incontro con Emanuele Ponzio.


Immagine in tempo reale (2)


A Emanuele Ponzio (in foto) ho rivolto alcune domande.

Che cosa indica il termine "live visuals" o "immagine in tempo reale" secondo una tua proposta di traduzione?

Indica quella pratica di manipolare e generare in tempo reale immagini fisse o in movimento durante una performance audiovisiva dal vivo. Così come il suo corrispettivo in ambito musicale “live electronics” al quale è affine, il termine “live visuals” è spesso lasciato intradotto in italiano. Credo che l’unica traduzione che possa esprimere in poche parole questo concetto sia: “immagine in tempo reale”.
Per poter delineare le caratteristiche del live visuals, il mio testo tenta di analizzare le implicazioni circa le connessioni tra musica e arti visive dagli inizi del Novecento sino agli albori del nuovo Millennio. In particolare indaga il rapporto tra musica e “immagine plastica” (la pittura), musica e “immagine in movimento” (il cinema e il video) e appunto musica e “immagine in tempo reale” (il live visuals).

Qual è l’obiettivo di questo tuo testo?

L’obiettivo è intraprendere un discorso introduttivo sulle caratteristiche peculiari della performance audiovisiva contemporanea partendo dallo studio di tutte quelle teorie e pratiche artistiche che si sono relazionate con la musica. Teorie e pratiche alle quali la performance audiovisiva è fortemente connessa ed in qualche modo ne è stata influenzata. La pittura astratta, il pre-cinema, il cinema astratto, quello sonoro, la color-music, la videoarte, i primi video-sintetizzatori, i videoclip... sono solo alcuni ambiti di indagine di questo testo.

Chi sono gli antenati del live visuals o immagine in tempo reale?

Nell’intraprendere questa ricerca mi sono imbattuto in diversi artisti, teorici, scienziati, musicisti… che si sono interrogati sulle relazioni che intercorrono tra immagine e suono e che io considero come lontani antenati dei contemporanei live visual performer.
Per citarne alcuni, lo sono: Kandinskij, Klee e Mondrian per le loro teorie sul rapporto tra pittura astratta e musica; Eggeling e Richter nel tentativo di connettere cinema astratto e ritmo musicale e Oskar Fischinger per i primi esperimenti di sincronizzazione di animazioni e sonoro; Louis Bertrand Castel e tutti i protagonisti della “color music” nella loro continua ricerca di una corrispondenza note e colori; Thomas Wilfred nel teorizzare un’arte della luce indipendente dalle altre arti e che fosse eseguita prettamente dal vivo; Nam June Paik e tutti quei videoartisti che hanno sperimentato con la distorsione in tempo reale del segnale video…
Io credo che se questi artisti e compositori fossero vissuti oggi, sarebbero sicuramente dei performer audiovisivi. A volte mi immagino per esempio Kandinskij e Schönberg in una performance audiovisiva stile Alva Noto e Ryuichi Sakamoto.

Largo spazio nel volume è dedicato a Claudio Sinatti. Puoi dire in sintesi il valore che attribuisci a quest’artista precocemente scomparso?

Sinceramente quando ho iniziato a studiare la sua carriera di artista visuale non mi aspettavo che avesse fatto così tanto: Sinatti c’era agli albori del live visuals di fine anni Novanta quando si mixavano VHS con mixer video analogici e si trasportavano quintali di cassette e videoregistratori di serata in serata; c’era quando si iniziavano a creare le prime animazioni con i PC e ad utilizzare i primi software di video rendering in tempo reale; c’era agli inizi del Duemila durante il boom del VJing; c’era nelle prime sperimentazioni di live media e live cinema; c’era tra i fautori dei primi progetti di videomapping. La sua carriera artistica può essere quasi sovrapposta alle varie tappe dell’evolversi del live visuals in Italia e non solo.
In realtà è la sua opera artistica che ha dato valore al live visuals. A Claudio Sinatti ho dedicato un paragrafo che ripercorre queste tappe che però meriterebbero uno studio più approfondito.

Alcuni, a proposito della sonorizzazione dal vivo di film muti parlano di performance audiovisiva. Ma è proprio così?

Assisto sempre con una certa sofferenza alle operazioni di sonorizzazione dal vivo di vecchi film muti, perché vedo le immagini “subire” la musica, senza poter reagire. Mi spiego…
Una ‘conditio sine qua non’ della performance audiovisiva è appunto la presenza del live visuals che permette l’instaurarsi del dialogo tra parte visuale e quella sonora.
Diversamente senza la presenza del live visuals, come nella sonorizzazione di pellicole mute, la musica dal vivo esercita un monologo al quale l’immagine in movimento non risponde, in quanto fissata su pellicola. Sembra che, essendo muta, sia al tempo stesso anche sorda e quindi incapace di sentire e rispondere alla musica.
Nel live cinema invece la parte visuale è interattiva e “reagisce” al suono, poiché manipolata in tempo reale. Il live visuals dona all’immagine la capacità di dialogare ed interagire con il suono. La rende viva.
Anche se il termine live cinema nasce proprio dalla pratica di sonorizzare dal vivo le pellicole mute prima dell’avvento del sonoro, la sonorizzazione dal vivo di vecchi film muti non ha nulla a che fare con quello che oggi si definisce live cinema. Nel “live” cinema la parte visuale è “viva” ed interagisce e in tempo reale con la musica.

Nello scrivere “Immagine in tempo reale", qual è la cosa che hai ritenuto assolutamente da fare per prima e quale quella per prima assolutamente da evitare?

Ciò che sin dall’inizio ho cercato di fare è mostrare e rappresentare le storie, le pratiche e le teorie inerenti la performance audiovisiva cercando di essere il più “distaccato” e obiettivo possibile e, d’altro canto, di evitare di far emergere la mia esperienza artistica. Questo intento mi è riuscito solo in parte.

In una sorta di 'Zen for a book', parafrasando Nam June Paik, il tuo libro termina con pagine bianche. Perché?

Le pagine bianche hanno molteplici significati, provo a spiegarne qualcuno.
Le pagine bianche simboleggiano la purezza illusoria di un’arte come quella audiovisiva che non è perfetta ma esposta al continuo divenire, al mutare nel tempo, anche alla casualità degli eventi. Arte che può essere assemblata in molteplici modi, soggetta a multiple interpretazioni, come un’”opera aperta”, direbbe Eco.
Quelle pagine finali ingialliranno e si deteriorano come la polvere trasforma le tele bianche di Rauschenberg depositandosi su di esse o come i graffi aleatori incidono la pellicola bianca senza alcuna immagine impressa di Nam June Paik.
Bianca è anche la tela di un pittore in procinto di essere dipinta simile a quel silenzio che in musica preannuncia l’inizio del concerto e che nel cinema precede la proiezione del film.
Nei suoi studi sull’associazione suoni/colori, Kandinskij collega il colore bianco proprio al silenzio. Un silenzio molto simile a quello concepito da Cage in 4’33", cioè ricco di potenzialità e vita. Kandinskij concepisce il bianco come “un nulla anteriore al principio” e immagina che questo silenzio abbia risuonato nei “bianchi periodi dell’era glaciale”.
Io credo che quest’arte di manipolare le immagini in tempo reale sia in questo momento, come il bianco per Kandinskij, come un silenzio antecedente alla nascita, cioè ricco di possibilità.
Ecco… c’è una considerazione molto interessante che Claudio Sinatti fa nell’intervista del 2006 riportata in appendice al mio testo: descrivendo l’inizio del Millennio quasi come il Big Bang del VJing, Sinatti immagina una fase successiva a questa “esplosione” nella quale fare più ricerca possibile per trovare qualcosa da tenere alla fine di tutto il polverone.
Io credo che questo momento di ricerca sia adesso.
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Emanuele Ponzio
Immagine in tempo reale
Pagine 304, Euro 24
Con 100 immagini colore e b/n
Mimesis


Fenomenologia di Grand Theft Auto

Edito dalla casa editrice Mimesis è nelle librerie Fenomenologia di Grand Theft Auto il più recente lavoro di un vecchio amico di questo sito: Matteo Bittanti.
Artista, curatore e studioso, insegna media studies all’Università IULM di Milano, dove coordina un Master universitario di primo livello in Game Design. Ha svolto attività di ricerca e insegnamento presso l’Università di Stanford, l’Università della California a Berkeley e il California College of the Arts di San Francisco e Oakland.
S’interessa, in particolare, della relazione tra l’arte contemporanea e le tecnologie emergenti.
Per Mimesis ha pubblicato Machinima (2017) e Giochi video insieme con Enrico Gandolfo (2018).
Vive a Milano e San Francisco.

Che cosa vuol dire Grand Theft Auto? A più distratti basterà un CLIC e lo sapranno.

Non ho finito di leggere le pagine del volume prima che il sito, come ogni anno, chiuda per le vacanze estive, mi limiterò, quindi, a presentarlo adesso ai lettori nel suo profilo essenziale. Alla ripresa delle pubblicazioni, dopo l’estate, “Fenomenologia di Grand Theft Auto” e il curatore di questa lucente collezione di saggi avranno lo spazio che meritano.

Dalla prefazione editoriale
«Grand Theft Auto è più di un videogioco: la popolare saga di Rockstar Games ha conquistato l’immaginario collettivo grazie a una magistrale riscrittura in chiave interattiva del crime movie e della narrativa pulp. Con cinque episodi all’attivo e oltre duecentocinquanta milioni di copie vendute negli ultimi vent’anni, Grand Theft Auto ha trasceso la sfera dell’intrattenimento. I vari capitoli – ambientati nelle repliche virtuali di metropoli come Los Angeles, New York e Miami – sollevano infatti questioni cruciali in merito alla rappresentazione della violenza, alla simulazione degli spazi urbani e alle politiche di gender. “Fenomenologia di Grand Theft Auto” esamina gli aspetti sociali, culturali e artistici della serie grazie al contributo di studiosi internazionali. Unica nel suo genere, questa antologia di saggi porta in primo piano la complessità del testo videoludico e delle pratiche di consumo a esso associate».

Matteo Bittanti
Fenomenologia di Grand Theft Auto
Pagine 352, Euro 26
Mimesis


Woodstock non è mai finito (1)

La casa editrice Elemento115 ha pubblicato un gran bel libro dedicato a un avvenimento che durò 3 giorni e mezzo, dove risuonarono 257 canzoni, si esibirono 32 interpreti, ed è ancora ricordato come il Festival più importante della storia del rock. E del movimento giovanile antagonista che da noi ancora non si chiamava così.
Titolo del volume Woodstock non è mai finito Agosto 1969: quando l’utopia divenne realtà.
L’autore è Luca Pollini che tempo fa già salì su questo Cosmotaxi quando pubblicò Ordine Compagni!
Milanese amante del mare, è cresciuto e si è formato nel bel mezzo degli anni Settanta. Unisce l’attività di giornalista a quella di scrittore e autore teatrale. Ha scritto dappertutto, anche sui muri, e pubblicato saggi di musica e storia contemporanea. Tra questi Il Dizionario della musica leggera italiana (2004); I Settanta, gli anni che cambiarono l’Italia (2005); Hippie: la rivoluzione mancata (2008; 2017); Gli Ottanta, l’Italia tra evasione e illusione (2010); Musica leggera – Anni di piombo (2013); Amore e rivolta a tempo di rock (2014), Ribelli in discoteca (2015); Immortali: storia e gloria di oggetti leggendari (2016).
Per “elemento115” ha pubblicato Restare in Vietnam – Dalla parte del nemico, un’intervista-confessione a un reduce di quella Guerra.
Collabora con mensili e quotidiani, si occupa di storia contemporanea e conduce il sito Retrovisore dedicato alla storia del costume italiano. Crede nel rock’n’roll e rimpiange il Parco Lambro (inteso come Festa del proletariato giovanile).

Dalla presentazione editoriale

«Il Festival di Woodstock è stato il punto più alto di un percorso iniziato all’alba degli anni Sessanta: tra la nomina di Kennedy alla nascita dei Beatles e dei Beach Boys, dall’arrivo di Bob Dylan a New York fino ai primi movimenti studenteschi a Berkeley. Ma soprattutto si è manifestata la presa di coscienza da parte di un’intera generazione di giovani che aveva iniziato a immaginare una vita diversa, e quell’enorme campo dove si sono riuniti in 500mila è stato il punto geografico in cui è convogliata tutta questa energia fatta di sogni, progetti, immaginazione, senza violenza o rivolta, solo per affermare, positivamente, la propria volontà. Sono passati 50 anni, non pochi. Eppure il mito di Woodstock resta saldamente in piedi, anzi, se è possibile, con il passare degli anni si è andato espandendo, è cresciuto a dismisura, trasformando i tre giorni di pace e musica in una sorta di totem inattaccabile, facendo diventare Woodstock il festival-che-non-finisce-mai».

Scrive in una brillante nota introduttiva di cui riporto l’incipit il filosofo Franco Bolelli: Sono passati cinquant’anni, e se qualcuno nel ’69 mi avesse proposto un evento accaduto nel ’19 lo avrei guardato con commiserazione e avrei girato le spalle. Ma se teniamo da parte le celebrazioni e ancor di più – no, ve ne prego – la nostalgia, allora Woodstock ha da offrire un valore simbolico ancora oggi intrigante”.

Dario Salvatori così nella Prefazione: “Non si era mai tentato prima un raduno così gigantesco (oltre 500000 mila persone) in nome della musica e della pace. Quella enorme e sgangheratissima festa fu un fallimento impresariale, uno scandalo per i benpensanti americani, una pagina incancellabile nella storia del rock”.

Segue ora un incontro con Luca Pollini.


Woodstock non è mai finito (2)


A Luca Pollini (in foto) ho rivolto alcune domande.

Perché, come scrivi, “Woodstock andrebbe raccontato nelle scuole, fatto vedere ai ragazzi”?

Per spiegare come sia stato possibile che il sogno di giovani ventenni - quello cioè di un mondo diverso, libero, pacifico, solidale - si sia realizzato anche se per poche ore.

Quali i principali connotati di quella controcultura nata alla metà degli anni Sessanta?

La filosofia della maggior parte dei “nuovi” giovani si fonda principalmente sul rifiuto di questo modello di società del falso benessere: al denaro e al consumismo contrappone valori alti, quasi spirituali, come l’amicizia, la non-violenza, la condivisione, il rapporto con la natura, l’amore. I giovani comprendono da subito la minaccia che l’industrializzazione porta all’ambiente e che il benessere e il lusso rappresentano solo infelicità. Cominciano a farsi strada concetti come “bellezza interiore”, che si oppone all’estetica dettata dai mass media e imposta dalla globalizzazione, “condivisione” e “uguaglianza”, valori messi sopra ogni altra cosa. Questo spogliarsi del conformismo è tradotto anche in impegno civile, soprattutto contro la segregazione razziale e le guerre.

Woodstock, aldilà dell’impatto sociale che ebbe e della forza simbolica che ha nella storia del movimento giovanile d’opposizione in politica, può essere ricordato come un momento musicale di equivalente importanza oppure no?

Sì e no. Sì, perché è stato il raduno rock con il maggior numero di spettatori, con il maggior numero di artisti, 32. Inoltre, appena terminato, l’industria musicale ha preso nota di quello che è accaduto e ci ha messo un attimo a trasformare la rivoluzione in un business. Un business che dura ancora oggi, perché l’eredità musicale di quel periodo è ricca e ingombrante, persino prepotente.
No, perché da un punto di vista squisitamente artistico - a parte qualche eccezione (Joe Cocker, Santana, Jimi Hendix) il Monterey Pop Festival di due anni prima è stato molto più importante. A Woodstock in molti hanno detto di no: da Bob Dylan, ai Led Zeppelin, ai Doors solo per citarne alcuni, e le performance – per una serie infinita di problemi (la pioggia su tutti) non sono state un granché.

Nello scrivere questo libro qual è stata la cosa che hai deciso assolutamente da farsi per prima e quale la prima assolutamente da evitare?

Ho evitato di cadere nella trappola della retorica – anche se visti gli ultimi cinquant’anni di storia, si ha nostalgia di un sogno di pace, amore e musica che Woodstock ha dimostrato possibile – e, soprattutto, di normalizzare un evento che normale non è stato, perché di “normale” non ha avuto davvero nulla.
Ho cercato di focalizzare l’attenzione sugli “eroi” di Woodstock. Chi ha partecipato, chiunque abbia messo piede in quei tre giorni nel campo di Bethel - sia stato pubblico, organizzatore, cantante, musicista, volontario - è stato protagonista della rivoluzione culturale. Nessuno però si è preso il merito, tutti sono restati assolutamente anonimi. I giovani di Woodstock sono eroi senza nome. Eroi il pubblico, che ha resistito in condizioni estreme, eroi anche le rockstar, allora assai poco “star”, che sono stati con loro senza farsi troppi problemi, senza farsi troppe domande: bagnati fradici con i piedi immersi nel fango, in attesa per ore dietro al palco, suonando in piena notte o alla mattina presto. Anche loro hanno rappresentato un elemento d’insieme, un collante che ha unito: al Festival pubblico e artisti sono stati una cosa sola. Dopo il 18 agosto 1969 qualcosa è cambiato per sempre anche, perché quell’enorme domanda di libertà, di rock’n’roll e di voglia di stare insieme doveva trovare risposte adeguate. Che nessuno gli ha fornito.

In questo 2019 esiste al mondo un luogo in cui sia possibile una prossima Woodstock? Se sì, dove. Se no, perché?

No, non credo proprio. Sono cambiate le condizioni, la musica. È cambiato il mondo. Ormai i giovani preferiscono rapporti mediati da un monitor, si parlano attraverso una tastiera. Non condividono nulla. Manca in loro la visione del “futuro” che ha spinto quella generazione a prendersi in mano la Storia, anche solo per un weekend. Se Woodstock ha ancora un suo perché è per la travolgente esplosione di energie in ogni angolo dell'umana esistenza. Qualcosa che va al di là degli anni Sessanta e di qualunque altra epoca. Quella è stata una generazione che ha lottato contro ogni pregiudizio, che credeva possibile si potesse cambiare il mondo con lo slogan “Peace & Love”. Credo che oggi un festival di Woodstock, con i suoi ideali di pace, darebbe fastidio. In qualsiasi parte del mondo.
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Luca Pollini
Woodstock non è mai finito
Nota di Franco Bolelli
Prefazione di Dario Salvatori
Pagine 188, Euro14.00
Edizioni Elemento115


Sabina Incardona

Come sanno quei generosi che leggono queste mie cronache, da tempo non recensisco romanzi né poesia cosiddetta lineare, talvolta riferisco soltanto di quella verbovisiva, sonora, oppure video rock.
Riservo un interesse per i racconti perché è arte difficile, scrivere sul corto è roba tozza altro che scrivere romanzi o romanzoni.
Non è un caso che nelle riflessioni sulla letteratura il racconto occupi largo spazio. Da Claude Bremond a Julien Greimas, a Tzvetan Todorov ad altri ancora. “Toccherà a Genette” - scrive Francesco Muzzioli (Le teorie della critica letteraria, 1994) – “con ‘Discorso sul racconto’ sistematizzare l’analisi degli aspetti e dei modi della narrazione breve uscendo dalla mera sequenza delle funzioni narratologiche […] Todorov, ad esempio, arriverà addirittura nella compilazione di una “grammatica” del Decameron, a tradurre l’intreccio in formule algebriche”.


Insomma, i racconti m’interessano, ma mica tutti, ovviamente. Solo in quelli in cui vi scorgo una scintilla d’immaginazione capace d’illuminare in poche (meglio se pochissime) pagine angoli di vissuti vertiginosi, profili d’enigmatici personaggi, storie semplicissime e fatali. I migliori compaiono all’improvviso, altri, invece, con la faccia un po’ così come quelli che hanno visto Genova.
Non recensisco poesie, dicevo. Ma ecco sbucare proprio da un libro di versi dei racconti di una scrittrice, Sabina Incardona (in foto) della quale già mi occupai QUI quando si laureò con una tesi sul regista Lynch.
Quattro racconti. Splendidi. Non è una sorpresa perché tempo fa Sabina conduceva un sito web (purtroppo oggi abbandonato) nel quale c’era una una sezione dedicata ai racconti che pubblicava in Rete.

A Cosmotaxi piace la sua scrittura dai contenuti aspri e appassionati al tempo stesso, riferiti da una scrittura pop, veloce come inquadrature da fumetto.
Il libro che mi ha fatto conoscere quei quattro racconti – “Un uomo (all’) imperfetto”; “Bidone”; “Posta”; “Cristoforo Colombo Duel” – è intitolato Se dico qualcosa di intelligente la colpa è della ricrescita, edizioni Il mio libro, Pagg. 80, Euro 17.00


Teatro sull'Acqua

Siamo alla IX edizione ad Arona, sul lago Maggiore, del festival “Il Teatro sull’Acqua”, diretto da Dacia Maraini che lo ideò con Luca Petruzzelli.

La modalità scenotecnica con cui si svolge questo Festival lo rende unico.

Estratto dal comunicato stampa.
«Il palco de “Il teatro sull’acqua” non è una piattaforma galleggiante. Cosi accade che la graticcia di questo palco sia fondo del lago (una rete di zavorre, contrappesi, catene e cime), che ai sub venga chiesto di improvvisarsi macchinisti teatrali (nuot-attori) oppure ai rematori locali di creare delle coreografie sull’acqua con le loro barche come dei veri e propri danzatori (rem-attori). Circa 150 volontari, dai 15 ai 99 anni, ogni anno si attivano per portare a termine questa impresa. La stessa città si trasforma in un teatro diffuso. Il porto diventa un palco e una platea, la piazza del porto si trasforma in foyer, le stanza dell’hotel Florida in camerini, le sale del Municipio in sale prove, la casa di una giovane volontaria in sartoria, alcuni amici del festival in taxisti, alcune case in B&B per gli artisti, il vigile, il fabbro, il postino e tanti altri in comparse o addirittura figurazioni speciali, un ristorante in refettorio gratuito per gli artisti».

Dice Maraini: L'acqua per me è fondamentale. Sarà perché sono Scorpione. Ho sempre vissuto vicino all'acqua. Abito vicino al Tevere anche se non lo vedo. Di Arona mi sono subito innamorata. Il successo di questo festival è dovuto alla buona armonia in cui si lavora. Non ci sono conflitti, rivendicazioni. L'Italia andrebbe meglio se seguisse questo esempio.

Per conoscere il programma: CLIC!

Ufficio stampa: Anna Maria Riva, 329 097 44 33 riva@annamariariva.eu

Festival “Il teatro sull’acqua”
Direzione artistica: Dacia Maraini
Arona dal 3 all’8 settembre 2019


Attaccamento e amore


Tempo fa presentai un maiuscolo libro di scienza, autrice Grazia Attili che già aveva ottenuto un grande successo con una precedente pubblicazione, sempre con la casa editrice il Mulino, con il volume edito nel 2004, Attaccamento e amore Cosa si nasconde dietro la scelta del partner?

Da quella presentazione editoriale.

«Un piccolo macaco, separato dalla madre, accusa malori e disturbi del sonno; un bimbo urla e strepita non appena la madre si allontana; un innamorato si dispera per l'assenza dell'amata. Sono poi così diversi questi comportamenti? Partendo da una prospettiva evoluzionistica l'autrice spiega le radici biologiche e psicologiche che stanno alla base delle nostre relazioni affettive e sessuali e, sfatando una serie di luoghi comuni sul contrasto tra innamoramento e amore, passione e attaccamento, ripercorre tappe e snodi dei legami di coppia. Chi scegliamo come partner? Perché gli uomini sono attratti dalle donne giovani e belle, e le donne dagli uomini che possono garantire loro sicurezza? Si tratta di criteri dettati non solo dal gusto e dall'interesse ma anche da un'astuta strategia della specie volta ad assicurare il successo riproduttivo. Nel volume vengono anche analizzati i diversi modi di amare, le diverse reazioni alla rottura di un legame affettivo e alcune patologie dello stare insieme: dall'ossessione della gelosia all'incapacità di amare».

“Attaccamento e amore” recentemente è diventato un audiolibro che si avvale della voce di Sonia Caramma e della sua ben equilibrata lettura.
Per un assaggio d’ascolto: CLIC!

L’occasione è propizia sia per informare dell’edizione sonora del libro di Attili e sia per spendere qualche riga su questo medium fra pagina e vocalità.
Nell’antichità si leggeva ad alta voce. Sia in solitudine e sia, più spesso, per ascoltatori. Agostino d’Ippona, nelle sue Confessioni, esprime meraviglia nel vedere Ambrogio (il futuro santo) leggere "tacite".
Quando sia avvenuto il passaggio alla lettura silenziosa se nell’alto Medioevo o prima ancora è questione irrisolta dibattuta dai sociologi della letteratura, ma che all’origine la lettura avvenisse in voce vede tutti d’accordo.
La storia del libro – che ha inizio prima della carta, le sue origini le troviamo su legno, su papiro, su bambù – conosce varie epoche e fasi tecnologiche. Passando attraverso il determinante momento gutenberghiano si arriva fino ai supporti informatici dei nostri giorni. Ai nostri anni appartiene anche l’audiolibro che inevitabilmente porta alla mente, in moderne forme, le origini della lettura e dell’ascolto.
Mentre in Italia va affermandosi dopo anni difficili sul mercato, negli Stati Uniti il libro da ascoltare è un prodotto emerso già da tempo. Si pensi, ad esempio, ad un autore di best- seller qual è Jeffery Deaver che con “The Starling Project” ha creato un giallo solo per audio, uscito presso la casa editrice d’audiolibri “Audible”.
E proprio Audible edita “Attaccamento e amore” portando al microfono “Farsi un’idea” storica collana della casa editrice il Mulino.

Grazia Attili
Attaccamento e amore
Lettura di Sonia Caramma
Durata: 4 ore e 50 minuti
©2004 Società editrice il Mulino Spa
(P) 2019 Audible Studios


Il marchio dell'editore

Diciamolo subito, la copertina, con prevalenza del bianco e del grigio, il titolo e sottotitolo austeri rimandano, pur nella complessiva eleganza, a un ponderoso tomo composto di pesanti pagine accademiche.
Niente di più lontano dal vero, questo libro della casa editrice Interlinea, pur pensoso, ha la leggerezza della farfalla che traccia voli tra storia, cronaca, aneddoti, e riferisce perfino di qualche gag: Il marchio dell’editore Libri e carte, incontri e casi letterari
L’autore è una grande firma della critica letteraria e della storia dell’editoria: Gian Carlo Ferretti.

Questo libro contiene testi pubblicati in varie occasioni tra il 1983 e il 2018 raccolti con una scansione che dedica sguardi ai vari settori dell’editoria italiana. Attraverso i personaggi che nel bene e nel meglio (e, talvolta, nel male e nel peggio) l’hanno costruita. Perciò il volume attraverso la cronaca di persone e casi, si fa storia del mondo editoriale con le sue intuizioni e i suoi successi, le sue illusioni e i suoi fallimenti.
Apprendiamo degli sfortunati progetti di Zavattini e dei suoi burrascosi rapporti con Rizzoli prima e Mondadori poi; il “tortuoso itinerario editoriale” di Oreste Del Buono; il “moderno artigianato” di Raffaele Crovi che ebbi come uno dei miei capi alla Rai.
Tra gli scrittori, nel leggere “Il marchio dell’editore” sono illustrate le strategie di Eco e il motivo del rilancio di Bianciardi, gli sguardi al mercato di Sinisgalli e il prezzo pagato da Petroni alla sua “collocazione politica nell’area liberalsocialista” che, però, trova “sullo stesso versante della critica comunista con poche righe di ben altra finezza” un difensore in Niccolò Gallo.
Tra i successi, Ferretti non dimentica le geniali “Millelire” di Marcello Baraghini che già con “Lettera sulla felicità” di Epicuro e altri successivi titoli venderà milioni di copie.
Nelle parti dedicate al “mal d’autore” ai premi letterari e alle “edizioni truffaldine” lampeggia pure qualche lampo umoristico.
Insomma, un libro che si legge con piacere grazie anche a una scorrevolissima scrittura, una sorta di backstage nelle stanze della nostra editoria dove si vedono all’opera attori protagonisti, generici e comparse, affaticati tecnici e ansiosi pubblicitari.

Dalla presentazione editoriale.
«Il lavoro culturale che sta dietro i libri – tra editori protagonisti, collane che hanno fatto epoca, carte di scrittori e scaffali di librerie – emerge dall’autobiografia intellettuale, personale e collettiva, di uno dei maggiori studiosi dell’editoria italiana.
Gian Carlo Ferretti costruisce un libro nuovo, riorganizzando e riscrivendo saggi mai raccolti in volume (con due sole eccezioni) su Gramsci e Vittorini, Bompiani e Bollati, Linder e Zavattini, Eco e Pasolini, e su contratti e censure, lettori e non lettori, testi e prodotti, analisi di mercato e ricerche d’archivio, via via fino alla magmatica galassia della Rete. Con un ampio saggio introduttivo e con molti inediti».

Gian Carlo Ferretti
Il marchio dell’editore
Pagine 382, Euro 20.00
Interlinea


500 chicche di riso

Esistono domande che da secoli fanno accapigliare commediografi, saggisti, filosofi.
Una di queste è “Che cos’è l’umorismo”.
Sta di fatto che fra moralità e cinismo, è una delle forme d’espressione di noi umani indagate da grandi nomi: da Hobbes a Bergson, da Schopenhauer a Kant, da Voltaire a Pirandello fino a Freud, senza che mai si sia trovato un accordo unificatore delle teorie.
Chissà che non abbia ragione Jim Holt, quando dice: “Tentare di definire l’umorismo è già fare dell’umorismo”.
Pensavo a questo sfogliando 500 chicche di riso di cui è autore Alessandro Pagani.
Così si presenta nella scheda biografica: “Sono nato a Firenze nel 1964, in Via del Paradiso: il nome prometteva bene. Niente di che fino agli anni '80, quando ho iniziato a far parte del movimento artistico underground fiorentino Pat Pat Recorder, esperienza che mi ha portato ad iniziare un percorso come musicista con svariati gruppi.
Attualmente suono la batteria con gli Stolen Apple, insieme abbiamo fatto uscire l'album di debutto "Trenches" a settembre 2016. Nel 2019 sono arrivato terzo al concorso della Asl Toscana "Libera la mente e scrivi" e sono l'ideatore della pagina "Meme o non m'eme" su Facebook. Una mia frase appare sull'agenda 2019 di Comix.
Prima delle “500 chicche di riso”, ho pubblicato: "Le Domande Improponibili" (2015) - libretto autoprodotto; "Perchè non cento?" (2016) - Alter Ego/Augh; "Io mi libro" (2018) - 96, Rue De La Fontaine”.

Ah, finalmente! Uno che scrive la biografia in prima persona! È diventata cosa rara.
Su questa cosa ci sto in fissa. Perché? Cliccate QUI e lo saprete.
La casa editrice – 96, rue de-La-Fontaine – ha un nome inusuale perché – come si apprende dal suo sito – ha scelto di chiamarsi come l’indirizzo parigino dov’è nato Marcel Proust.
La prefazione del libro è di Cristiano Militello di cui ho presentato mesi fa su questo sito il suo libro “Cartelli d’Italia”: CLIC!

Scrive Militello: “Pur trovando singolare che uno che si chiama Pagani si rivolga a uno che si chiama Cristiano, ritengo che tra noi sussistano diversi tratti comuni. Entrambi siamo toscani e, si sa, la Toscana ti dà una lente tutta sua per mettere a fuoco le cose, per filtrarle, per giocarci su (…) In “Chicche di riso” il Pagani, si mette nel solco dei Bartezzaghi e dei Campanile, passando per Woody Allen. Il nostro ci regala o, meglio, ci fa pagare il giusto, una valanga di freddure con predilezione per il calembour, anzi, ad esser precisi, per i metaplasmi, le metatassi e i metasememi. Non vi spaventate: nel mesozoico (1994) mi sono laureato con una tesi dal titolo “Aspetti comunicativi e pragmatici del cabaret come tecnica di satira” e nel capitolo 5 misi in fila, appunto, tutte le tipologie di battuta esistenti. Da allora le ho sempre genericamente chiamate “battute”, diamine, ma vedi che alla fine arriva un momento nella vita in cui il pezzo di carta serve davvero”?

Una cosa su cui concordano i linguisti è quando affermano che l’umorismo si distingue spesso per l’intraducibilità quando pratica il calembour oppure altri giochi di parole dove interviene una forma fonica accreditata presso un popolo e non presso altri.
Traggo un esempio da “500 chicche di riso”.

Tizio invita donna cinese a ballare.
«Danza con me questa polka?»
«Ma come si pelmette, blutto stlonzo?»

Alessandro Pagani
500 chicche di riso
Prefazione di Cristiano Militello
Illustrazioni di Massimiliano Zatini
Pagine 116, Euro 10.00
96, rue de-La-Fontaine Edizioni


elemento 115

Oggi Cosmotaxi avendo riempito il serbatoio d’inchiostro, si lancia su di una pista di cellulosa per parlare della casa editrice elemento115, (in foto il logo).
Perché si chiama così? Se fate scrolI QUI lo saprete.

A Vanni de Simone tra i fondatori di elemento115, ho rivolto alcune domande.

Quando e dove è nata questa casa editrice?

elemento115 è un’Associazione culturale che nasce a Roma nel 2017 per iniziativa mia, di Francesco Bevivino e di Alessandro Denti.
Tutti quanti noi abbiamo maturato diverse esperienze intorno al mondo del libro e quindi è stata quasi una scelta “naturale”.

Qual è l’obiettivo espressivo di elemento 115, a quali lettori è prevalentemente indirizzata?

elemento115 vuole essere una realtà, per quanto ancora piccola, attenta alle dinamiche contemporanee, e in effetti le sue collane cercano di seguire questo obiettivo.
“DDD – dimensione di donna” è una collana di biografie di particolari figure femminili che hanno fatto la storia, e i volumi sono infatti scritti da donne; abbiamo ad oggi pubblicato due testi, uno su Ildegarda di Bingen di Margherita Massari e uno su Olympe de Gouges,di Chiara Ravera. La De Gouges fu una intellettuale antesignana del femminismo durante la rivoluzione francese. Entrata in conflitto con Robespierre venne ghigliottinata, un volume particolarmente interessante.
Altre collane importanti sono “Viaggiatori dell’Utopia”, con testi di autori storici che si sono cimentati con l’utopia in tutte le sue sfaccettature, da William Morris a Karel Capek. Particolare valore diamo all’ultimo volume di questa collana, Il ‘Turbine Umano’, scritto da King Camp Gillette e da me curato: sì, proprio quello dei rasoi usa e getta, che in gioventù fu un fervente socialista utopistico.
C’è poi la collana di saggi “Dispenser”, che attualmente ospita vari volumi sulla storia dei movimenti alternativi degli anni ’60 scritti dal nostro autore di punta Luca Pollini. L’ultimo suo titolo è “Woodstock non è mai finito”, mentre un altro titolo importante è “David Foster Wallace, la cometa che passa rasoterra”, un saggio sul grande scrittore americano scomparso nel 2008, scritto da Emiliano Ventura.
Abbiamo poi delle biografie di personaggi particolari, “I Cattivi”, intellettuali o figure storiche di ogni epoca.
L’ultima importante collana è “Psyco-logica”, che come dice il nome, si occupa di problematiche, anche drammatiche, legate alla psicologia: “Femminicidio”, di Rosanna Gabrielli e “L’inferno degli angeli”, un testo sulla pedofilia femminile della dottoressa Giovanna Frezza sono i primi titoli.

Quale metodo usate per selezionare le proposte che v’arrivano?

Le proposte che riceviamo sono per lo più di narrativa, questa però deve rispettare alcuni specifici parametri; il nostro scopo è di pubblicare testi che escano dalle secche del mainstream, e devono dunque essere orientati a una scrittura assolutamente originale e di taglio anche sperimentale: non potendo noi competere con i grossi marchi, cerchiamo di essere assolutamente originali nella nostra ricerca. Le indicazioni a riguardo sono presenti nel link della collana “DeadLine” del nostro sito www.elemento115.com, appena rifatto ma che ha bisogno ancora di qualche intervento. Dicevo che sono per lo più di narrativa perché i progetti delle altre collane vengono messi a punto e individuati parlando con gli autori, i quali vedendo i titoli, sanno già come orientarsi.

Due domande in una.
Distributori e librai. Quali problemi noti in quei due settori?
Quale la principale colpa (se ne esiste una) e quale il maggiore merito (se ne esiste uno) dell’editoria italiana
?

L’editoria italiana è in questa fase in estrema confusione, sia per la proliferazione di testi di basso profilo auto prodotti, sia per la mancanza di un movimento culturale di ampia portata e profilo che svecchi e dia vigore alla produzione letteraria, sia per la presenza asfissiante e deleteria di piattaforme come Amazon, che contribuiscono alla scomparsa delle librerie e praticamente hanno reso il mercato editoriale un guazzabuglio incomprensibile. Tutto questo rende difficile la presenza sul mercato di realtà come la nostra, che deve fare veri salti mortali per non affondare. Riguardo all’assenza di un movimento culturale serio, va detto che l’ultima grande figura di intellettuale che ci diede una mano e di cui piangiamo la recentissima scomparsa è stato Nanni Balestrini, mentre siamo assolutamente d’accordo con le tesi espresse da Alberto Asor Rosa in “Scrittori e Massa”. Fortunatamente qualche figura di spicco resta, e ci onoriamo di avere in redazione Cesare Milanese, uno degli esponenti del Gruppo ’63.

Best seller.
Giuliano Vigini dice che In Italia i successi di vendita nascono per caso.
Mario Spagnol era del parere che il best seller oggi va programmato.
Giovanni Peresson afferma che “Gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili”.
Un tuo parere sul libro di successo commerciale (e non sempre “commerciale” equivale a cattiva qualità; si pensi a Il gattopardo, a Il nome della rosa) insomma, è possibile prefabbricarlo o no
?

Francamente il problema dei best seller non è per noi tra quelli all’ordine del giorno. Personalmente ritengo che buona qualità e grande vendita non vadano molto d’accordo, e che la storia della letteratura raramente è stata fatta dai best seller (basta pensare a James Joyce); ma se penso a On the Road verrebbe da dire il contrario, e invece, studiando quella particolare epoca viene fuori che quel libro era legato a un movimento culturale e sociale di enorme portata, per cui l’assioma ‘clima sociale e politico/alta qualità del testo’ resta per me un binomio inscindibile.

…………………………….

elemento115
ecentoquindici@gmail.com.
06 – 700 89 70


Le professoresse meccaniche

Si può ben a ragione definire Alfonso Lentini un poliartista perché la sua opera si muove fra letteratura, creazioni d’immagini su particolari supporti come legno o pietra, poesia visiva.
Fra i suoi libri: “L’arrivo dello spirito” (racconti, con Carola Susani, edizioni Perap, Palermo 1991); il romanzo-saggio “La chiave dell’incanto” (Pungitopo, Messina 1997); “Piccolo inventario degli specchi” (Stampa Alternativa, Viterbo 2003); Il morso delle cose (opera finalista alla XXIII edizione del premio nazionale di poesia Lorenzo Montano); Tre lune in attesa (FormeBrevi, 2018).
Fra i suoi saggi, studi su Antonio Pizzuto e Angelo Maria Ripellino.
Ha pubblicato inoltre libri d’artista in edizione autoprodotta o con editori specializzati come Pulcinoelefante o Laboratorio Dadodue.
Numerose le mostre e installazioni tenute in Italia e all’estero.
Ha scritto di lui Gillo Dorfles: «Ho trovato davvero deliziosi i “collages” di Alfonso Lentini e penso che valga la pena di concretizzare il suo progetto di una mostra “angelica”».
Alessandro Fo: «La ricerca di Lentini, nei molteplici campi in cui si articola, sembra muovere da, e tendere verso, un’attonita, stralunata meraviglia».

Ora è in libreria, per le edizioni Graphofeel Le professoresse meccaniche e altre storie di scuola.

Dalla presentazione editoriale.
«Il libro, valorizzato da una frase augurale di Emanno Cavazzoni, si apre con citazioni di Dino Buzzati e Philip K. Dick, autori che si distinguono per la loro capacità di scardinamento delle modalità realistiche del racconto. E alle Formiche mentali di Buzzati, alla cui rivalutazione Lentini si dedica da tempo, si richiama una delle più bizzarre storie raccontate.
Come in altre sue pubblicazioni, anche in questo libro Alfonso Lentini tende a liberare la scrittura dalla “gabbia” della pagina tradizionale alla ricerca di anomalie, extrasistoli, sbilanciamenti concettuali e verbali. Lentini è infatti da sempre impegnato in una ricerca espressiva irregolare che spazia dalla scrittura alle arti visive passando attraverso la poesia visiva e la sperimentazione più aperta».

Alfonso Lentini
Le professoresse meccaniche
Pagine 156, Euro 14.00
Graphofeel, Roma 2019


Luna e Spazio


La casa editrice Editoriale Scienza ha pubblicato due libri dedicati all’esplorazione spaziale.
Poteva mai questo sito con la sua sezione chiamata Cosmotaxi non essere tentato di fare una corsa attraverso quelle pagine? Certamente no. Dopo aver riempito il serbatoio con propellente di pixel eccoci a segnalare Avventure Spaziali con testi di Anne McRae e illustrazioni di MUTI.
In questo coloratissimo volume si apprendono tante cose che, ad esempio, Giove ha 79 satelliti e che su Saturno i venti soffiano a ben 1800 km orari, che Venere è coperto da nubi molto dense e che Marte è ricco di ferro.
Ma la vera particolarità di questa pubblicazione è data dai 50 video che possiede grazie a una App collegata al volume.
L’App, difatti, contiene 50 video realizzati da Nasa - National aeronautics and space administration, Esa - European space agency ed Eso - European southern observatory. Disponibile gratuitamente su App Store e Google Store, è supportata da Android 8, iOS 11 e versioni successive. Una volta scaricata (per poterlo fare, assicurarsi che il dispositivo abbia sufficiente memoria libera) e inquadrate le pagine del libro con la fotocamera dello smartphone o del tablet: appariranno alcune figure con pallini rossi, basta toccarli per far partire il video.
I ragazzi, nativi digitali, riusciranno facilmente a vedere i video effettuando rapidamente le opportune manovre, i loro genitori no, e li vedrete irrisolti con l’espressione un po’ così come quelli che hanno visto Genova.

Altro libro è Terra chiama Luna L’avvincente storia dell’Apollo 11 di Lara Albanese, autrice della quale vi ho già detto in una precedente nota scritta in occasione del suo Costellazioni.
Il volume esce a cinquant’anni dal cosiddetto allunaggio che avvenne il 20 luglio 1969 ed è consigliato dall’Editrice per ragazzi dai 9 anni i su, ragazzi figli di genitori che in quell’anno non erano neppure loro ancora nati.
Questo è uno di quei libri destinati ai ragazzi (lo dimostrano anche le illustrazioni di Luogo Comune) eppure, adducendo in libreria la banale scusa che l’acquisto è per un figlio o un nipote, quanti di noi che quel 9 possiamo moltiplicarlo più volte, troverebbero giovamento dalla lettura! Perché l’autrice riversa in meno di 60 pagine (tutte occupate in parte da immagini) una tale mole d’informazioni che per reperirle tutte dovremmo consultare più siti o più testi.
Ad esempio, non solo quanti uomini sono stati sulla Luna – 12, tutti americani – e quanti tra femmine e maschi hanno viaggiato nello Spazio; quanti e quali sono stati gli animali non umani lanciati nel cosmo; come si allenano gli astronauti, come si indossa la tuta spaziale, le biografie dei tre dell’Apollo 11, quali sono state le macchine spaziali che hanno effettuato percorsi sul suolo lunare; le speculazioni sulle pietre prelevate lassù e portate sul nostro pianeta… basta, avrete capito che è un libro fatto benissimo.
Si chiude con uno sguardo rivolto al futuro: Marte.
Eppure quella Luna, "rana d'oro nel cielo" per Eschilo, "usignolo muto" per Max Ernst, nonostante sia stata raggiunta dal piede di noi umani, studiata da astronomi, fisici, chimici, conserva ancora enigmi tanto da spingere Sky a produrre una serie in onda in questi mesi che profila le tante cose che ancora non sappiamo su quel pallido astro.

Anne McRase
Avventure spaziali
Supervisione di Stephen P. Maran
Pagine 48, con illustrazioni e App
Euro 15.90
……………

Lara Albanese
Terra chiama Luna
Pagine 64, con illustrazioni
Euro 17.90
……………………
Editoriale Scienza


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