Ho rifiutato - ringraziando, s'intende - un invito a presentare il mio più recente
libro presso un Centro cultural
non ve ne frega nulla?
fate male,
se avete un attimo ve ne spiego le ragioni e, forse, possono interessarvi.
Quello lì, era uno di quei luoghi libreschi che io vedo come la peste.
Giù dibattiti, con acuti critici e intelligenti signore, le famose dibattone.
Sempre le stesse facce che pattinano una sera sì e l'altra pure da un
dorso ad una retrocopertina sollevando l'Indice.
Non credete che il libro oggi debba uscire da quei luoghi tradizionali?
Ma sì, vanno profondamente cambiate le forme di distribuzione, vendita
e promozione dei libri.
Per chi poi svolge un lavoro letterario di difficile presenza sul mercato, è addirittura
doveroso non seguire gli stessi schemi praticati da autori che vendono vagonate
di copie. Che quegli autori, fortunati loro, facciano le presentazioni nelle
grandi librerie, nei grandi club, per il loro circuito è autenticamente
producente tutto ciò. Autori fortunati dicevo, non scordiamoci però che,
talvolta, hanno meritata fortuna, mica automaticamente vero che successo
di mercato = cattiva qualità. Questo lo sostengono in coro quelli che
non ottenendolo, vogliono furbamente dimostrare: insuccesso di vendite = sinonimo
di alta qualità.
Ma chi l'ha detta 'sta puttanata?
Insomma, vado blaterando da tempo di puntare sulla Rete innanzitutto, e sul
passaparola per vinerie... discoteche...pornoshop, e quanto altro riusciamo
ad inventarci.
Andare dove il libro non c'è, farlo giocare fuori casa. Senza presentatori,
sedie, cartoncini d'invito.
Entrare in contatto anche con ambienti tradizionalmente lontani dalla lettura.
Spiazzare sui luoghi e sulle forme di comunicazione.
Puntare sugli effetti della dislocazione e sulla dislocazione degli effetti.
Godo quando al GS vedo La Certosa di Parma o il Videolibro Totem spuntare
fra un pacco di riso e un altro di assorbenti: ecco, mi dico, il libro è stato
riconosciuto come merce, è uscito dalla nociva sacralità cui
lo consegnano interessati editori e librai, critici a pagamento, scrittrici
e scrittori dilettanti (o professionisti dementi, ce ne sono) che vogliono
sentirsi uguali agli autori celebrati nelle cronache.
Vi ricordate quando i libri apparirono nelle edicole? Quanti presero a singhiozzare
su quella cosa! Mo' sono in molti a storcere il muso nel vedere i libri al
supermercato! Vuol dire che hanno il muso ancora integro, spero che qualcuno
provveda a rendere loro quel sito anatomico meno sano.
Dicono che il libro non è una merce come tutte le altre.
D'accordo. Ma quale merce lo è? Ognuna ha la sua specificità.
Insomma, il dirlo è un'ovvietà.
Merce è. E' in vendita?
ha un prezzo di copertina?
e allora!
E poi, detto fra noi, io mica mi ci metto dietro un tavolo con un tale, vuoi
vedere più sconosciuto di me?
è difficile? vabbè
che
dice tante belle cose zuccherine sulle mie pagine; quelle faccende lì sono
utili a chi è noto, ci si fiondano i giornalisti, le telecamere, occorrono
autenticamente alla promozione, ma per altri diventano riti mesti: servono
solo ad affliggere gli amici costretti a venirci, a far credere all'autore
per un'ora o due d'essere chissacchì: pippe!
No no, è una goffaggine, me la sono risparmiata, non voglio trattarmi
così male!
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