9.1.’09. Bush se n’è andato. Da salma vivace, queste le sue ultime parole: “La fede in Dio e la Bibbia mi hanno sostenuto ogni giorno durante il mio mandato”.
Ho una mia certa idea su Dio e sulla Bibbia e, sapendo quanto ha combinato Bush in quegli anni, credo abbia detto il vero.
Allegre brigate. Ogni tanto dei buontemponi decidono d’invitare qualche brigatista nelle aule universitarie per fargli raccontare le sue esperienze (come se già tv, giornali, case editrici, non lo facessero con scrupolosa assiduità). Quei mattacchioni sostengono che un ex terrorista possa essere, con il suo negativo passato, d’esempio ai più giovani affinché questi evitino di cadere negli stessi comportamenti che ispirarono le br.
Sarà, ma come la mettiamo con qualcuno di quei conferenzieri mai dissociato dalla lotta armata?
Brigate allegre. Frati (nessun riferimento ad un Rettore che si chiama così), suore, catecumeni, prelati e baciapile, nell’apprendere che un brigatista era stato invitato all’Università di Roma, felicissimi della spensierata iniziativa di quei prof pazzerelloni, sono insorti rilanciando l’idea d’invitare là nuovamente il Papa che, alla vigilia della Giornata della Memoria, ha riaccolto in seno pecorelle negazioniste. In quel tempio della Scienza e del Sapere potrebbe così risuonare la voce di Ratzinger che da cardinale disse: “Il processo contro Galilei fu ragionevole e giusto".
Il mio amico Marcello Marchesi disprezzava le Br e metteva in guardia anche da quelle che chiamava “Brigate Celesti”. Ti piombano alle spalle, diceva, e: “Mani in alto, è una novena!”.
Fagiolate. Lo psicanalista Massimo Fagioli a proposito di Sansonetti, ex direttore di Liberazione, ha detto: è un eterno ragazzino del ’68, praticamente un malato di mente.
Di Niki Vendola: non può essere omosessuale, cattolico e comunista allo stesso tempo, va curato.
Insomma, i pazienti mai gli bastano. Quando si dice l’avidità!
L’ultima è molto recente. Su ‘Repubblica’: Ho interpretato migliaia di sogni e ci ho preso al 99%. S’ignora se fra i testi che l’hanno soccorso ci sia anche la Smorfia. Segreti del mestiere.
Gaffe. Commentando certe infelici battute, più di uno definisce Berlusconi gaffeur. No. Quelle cose lì, le dice apposta. Sa che in quelle parole si riconoscono gli italiani che lo hanno votato e perfino una parte di chi gli ha votato contro. Così n’eccita la complicità mentale, li fa sentire orgogliosi d’essere simili ad uno che conta, che parla come loro. A lui poi questo viene facile perché è realmente uno di loro. Fare le corna dietro la testa d’un tizio in foto non appare in tante fotografie di feste in casa, gite aziendali, raduni d’ex allievi ed ex commilitoni? Se poi quelle corna figurano in una foto tra leaders stranieri, meglio ancora; molti si sentono ancora di più a lui affratellati in alto nell’ottica sociale. E le barzellette sugli ebrei, le donne stuprate, i malati di Aids, non ricorrono in tanti corridoi d’uffici, carrozze ferroviarie, caserme, alberghi? E’ questa, credo, la più forte ragione per cui in 15 anni in tanti lo hanno eletto 3 volte. E’ uno di loro. Appartiene al “popolaccio italiano, il più cinico dei popolacci […] Gl’italiani che hanno piuttosto usanze ed abitudini che costumi” (Giacomo Leopardi, “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”, 1824).
Italians. E se gli italiani, almeno in letteratura, diventassero epici? Li esorta a tanto il collettivo di scrittori Wu Ming proclamando il “New Italian Epic” (e mettere un nome inglese a un indirizzo letterario che nasce in Italia entra già di diritto nella storia del varietà). Adesso, con a qualche critico che gli scodinzola dietro, un po’ di pubblicità l’hanno rimediata e fanno sapere ch’è ora d’assumere nella scrittura valori etici – dicono letteralmente – “un senso di responsabilità”, e, soprattutto, rifiutare l’ironia perché “Se ogni volta che parli segnali che la tua parola non ha peso né valore, si allarga sempre più la distanza tra quel che dici e quel che provi”. Vale a dire una cosa che sta da sempre – non solo fra i postmoderni, come affermano – nella più grande letteratura.
Molti scrittori, alcuni scarsamente etici, e tutti ironici fino al sarcasmo (Cervantes, Rabelais, Sterne, Sade, Svevo, Celine, Queneau, e tanti altri), saputo del New Italian Epic, sono stati visti riuniti in gruppo e, tremanti, chiedersi angosciosamente: “E ora, che ne sarà di noi”?
Nie. E’ questo l’acronimo di New Italian Epic. I cervel… diciamo le teste è meglio và… senescenti di questi giovanotti che hanno partorito quel figlio di cellulosa, sono, come dicevo prima, i Wu Ming. In Vikipedia è detto di loro “… rifiutano di mettersi in posa per servizi fotografici e hanno come politica di non apparire mai in video. Nemmeno sul loro sito ufficiale sono disponibili immagini dei loro volti”. Insomma, nessuno può riconoscerli in qualche piazza o in qualche via.
Decisione saggia e comprensibile.
Su quella sigla Nie, però, ho un dubbio: non è che manchi una enne, una ti, una e?
Web. Sono in molti – anche quelli del New Italian Epic, la Gelmini, e altri – a sbandierare la loro pratica del web come attestato di modernità, di confidenza col futuro. Poi si scopre che parlano di come fare romanzi (… ancora?!), di tornare al maestro unico (… ma non è bastato Gelli?) e t’accorgi ch’è sfuggito loro il fatto che il futuro ha cambiato natura. Come da tempo s’è accorto il technotransumanesimo – con i Bostrom, Warwick, Kurzweil – prospettando l’ibridazione con l’alterità non-umana, l’integrazione uomo-macchina, il superamento dello stesso dato biologico.
Non basta apparire su Face book o You tube. Il futuro sta da un’altra parte. E non li aspetta.
Zoom. “Io non domando a che razza appartiene un uomo, basta che sia un essere umano, nessuno può essere qualcosa di peggio”. Mark Twain.
Esco e chiudo. Se qualcuno mi cerca sto al bar.
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