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Crescete e mortificatevi

 

1992 – 2012. Molti i nomi noti e meno noti che ci hanno lasciato vent’anni fa, i media che amano le date rotonde li ricordano con alterna memoria, talvolta omettendone, colpevolmente, alcuni.
E’ il caso di un autore il cui ventennale della morte è stato trascurato da quotidiani e periodici nazionali e, spero, non dimenticato da organi d’informazione liguri (perché in Liguria nacque e lì finì i suoi giorni): Gino Patroni, nato a Montemarcello nel 1920.
Saettante epigrammista e autore d’irresistibili aforismi, fa pensare a quel detto di Karl Kraus “Quando non si sa scrivere, allora un romanzo riesce più facile di un aforisma”.
Ecco spiegato perché ci sono in giro tanti romanzieri. Ma proprio tanti, troppi!
Questa newsletter usa per titolo uno dei motti di Patroni: Crescete e mortificatevi.
Alcune sue altre perle: “Addio”: Commiato di un’ostetrica: parto senza dolore.
“Alla maniera di Garcia Lorca”: Quando morirò / seppellitemi con la mia chitarra / quando morirò/ Per ora, no.

 

 

Ancora fra noi. Da tempo non leggevo dichiarazioni di Sandro Bondi e, lo ammetto, mi ha attraversato qualche preoccupazione circa le sue condizioni di salute. Né mi ha tranquillizzato una sua recente manifestazione. In polemica con Maurizio Calvesi, ha detto sporgendosi dalla lapide: “La mancanza di obiettività che solitamente contraddistingue il confronto politico in Italia è ampiamente superata da certi uomini di cultura. In effetti non so chi porti le maggiori responsabilità del decadimento della nostra vita pubblica. Inclino a credere che sia la cultura”.
Bondi è ancora fra noi? Pare di sì.

 

 

Che tempi! (1) In seguito a quanto ho scritto nella newsletter di febbraio contro i detrattori dei tempi moderni, sono stato raggiunto da alcune mail. Alcune di consenso (grazie), altre di dissenso (grazie ancora); forse ho trattato un argomento che interessa alquanti dei miei generosi lettori.
Qui rispondo a coloro che mi accusano di elogiare la contemporaneità non rendendomi conto di quanto saremmo caduti in basso ai nostri giorni, specie nelle arti – così è detto – al servizio dell’industria culturale.
Una Bustina di Eco, di tempo fa, meglio di quanto potrei dire io, replica a chi in quel modo lacrima.
Balzac, nel 1836, scriveva: “L’industria moderna, che produce per le masse, sta distruggendo le creazioni dell’arte antica, le cui opere avevano un’impronta personale per il consumatore così come per l’artigiano. Oggi abbiamo dei prodotti, non abbiamo più opere”.
Nota Umberto Eco che in quel 1836 tra i prodotti oramai privi di valore artistico lamentati da Balzac: “Leopardi stava scrivendo “La ginestra”, Manzoni poneva mano alla seconda stesura dei Promessi Sposi, due anni dopo Stendhal avrebbe scritto La Certosa di Parma, tre anni dopo Chopin componeva la Sonata in si bemolle minore opera 35, venti anni dopo Flaubert pubblicava Madame Bovary, mancavano trent’anni all’apparizione degli impressionisti e più di quaranta alla pubblicazione dei Fratelli Karamazov”.
Spregiatori del presente, consolatevi. Anche Balzac le sparava grosse.

 

 

Che tempi! (2) In quella newsletter trascorsa, elogiavo anche le grandi conquiste scientifiche dei nostri giorni. Nelle lettere di dissenso ricevute, alcune (poche, ma vibranti) anche questo tema mi hanno contestato. “Il progresso tecnologico ci disumanizza”, qualcuno scrive.
Speriamo, rispondo. Visto quanto l’umano ha fin qui prodotto.
E poi, immancabilmente, mi viene ricordato “il danno che ha procurato e procurerà” l’energia nucleare.
Vogliamo rinunciare all’elettricità solo perché serve anche alla sedia elettrica?

 

 

Otri. Acronimo per Operational Theory Reserch Institute. Centro d’addestramento per ufficiali israeliani dove accade una cosa di cui riferiscono alcuni siti: lì si studia la psicogeografia di Debord e le nozioni di “spazio liscio” e “spazio striato” di Deleuze e Guattari.
Il tutto bene illustrato da Marcello Faletra su Art Tribune: “Il caos urbano delle enclave palestinesi è affrontato col caos della psicogeografia urbana, che nell’ottica di Debord mirava a sovvertire gli spazi del potere. Le recenti guerre in Iraq e in Afghanistan sono state condotte dai marines con una ‘dottrina operativa’ che è un riassunto delle tesi di Deleuze e Guattari, rovesciate in chiave militare,  riprese dall’Otri. Lo spazio striato delle città attraversato con la logica nomadica dello “sciame”, cioè facendo breccia nei quartieri e utilizzando questi varchi per muoversi agendo di sorpresa. Lo spazio liscio, nomade, lo spazio del contatto immediato (la performance), che ha alimentato parte dell’arte contemporanea, migra nelle azioni militari, per trasformarsi in feroce macchina da guerra, a dispetto di Deleuze e Guattari, che questa ‘macchina’ l’hanno teorizzata”.
Questo sfociare in azioni belliche di concetti nati in ambienti tanto lontani dall’uso finora descritto, mi pare rafforzi e non indebolisca quei pensieri nati negli anni ’60.
Non mancano altri esempi.
Si pensi ad Internet: in principio Arpanet (acronimo di "Advanced Research Projects Agency Network"), rete di computer studiata e realizzata nel 1969 dal Darpa - Agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti - responsabile per lo sviluppo di nuove tecnologie militari e il controllo delle informazioni riservate. Oggi strumento di controinformazione, fino ai risultati ottenuti da Wikileaks, tanto che alcuni governi (Cina, Cuba, Corea del Nord, alcuni paesi arabi) ne vietano l’uso ai cittadini e altri governi arrancano alla ricerca di leggi che limitino le possibilità comunicative della Rete.
Ogni grande idea, se è tale, possiede in sé – piaccia o non piaccia – plurali dislocazioni.

 

 

Zoom. "Penso che la vita sia troppo breve per concentrarsi sul passato. Io guardo piuttosto al futuro". (Lou Reed, 1988)

 

 

Esco e chiudo. Se qualcuno mi cerca, sto al bar.

 

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