L'ospite accanto a me è Vittorio Fagone.
Uno dei nomi più celebrati nell'universo degli storici d'arte
contemporanea. Molti i suoi incarichi, molteplici i suoi impegni; non
li elenco tutti sennò facciamo notte. Ricordo qui soltanto che
dirige la Galleria d'Arte Moderna di Bergamo, ed è Direttore
Scientifico per la Didattica e la Ricerca della Nuova Accademia di Belle
Arti di Milano.
Tra le sue più recenti pubblicazioni, "L'Art Vidéo,
1989-1999" e "Videoinstallazioni ambienti e Eventi Multimediali",
entrambi per le Edizioni Mazzotta che ha pubblicato anche altri suoi
scritti.
Per chi volesse saperne di più su di lui:
http://www.naba.it e www.mazzotta.it
- Benvenuto a bordo, Vittorio
voglio farti assaggiare questo Cent'are
di Duca Castelmonte, un rosso siciliano in omaggio alle tue origini
sei
nato a Floridia, no?
- Sì, a Floridia
- Senti, il Capitano Picard è bravissimo, a Roma, per lodarne
la guida, direbbero "è un bel manico", però
noi nello spazio stiamo, schizziamo "a palla", prudenza vuole
che tu, in poche battute, trasmetta sulla Terra il tuo ritratto, insomma
come vorresti essere ricordato dagli umani
no, non fare quegli
scongiuri! Ci sto pur'io su 'sto tram, mica m'auguro che
sai, la
mia è solo previdenza
- Se proprio debbo scegliere un'immagine con la quale vorrei essere
ricordato, ce ne è una che francamente non mi dispiace: quella
di pellegrino elettronico. Da oltre trent'anni vado girando il mondo
per partecipare a incontri, più o meno esoterici, in cui ci si
confronta sulle nuove frontiere delle tecnologie utilizzate in senso
creativo. Oggi, per fortuna, il computer aiuta a compiere pellegrinaggi
solo virtuali. L'incontro umano, in un clima di persone fortemente motivate
e coinvolte, resta comunque un'esperienza remunerante e insostituibile
- L'arte elettronica, la vedi come una smaterializzazione del corpo
fisico delle arti così come le conoscevamo? O come una sua protesi?
Oppure una mutazione genetica?
- Considero un privilegio della nostra generazione aver potuto partecipare
alla nascita e agli straordinari sviluppi di un'arte nuova: l'arte elettronica.
Lo stesso è capitato solo altre due volte nella storia della
cultura occidentale: centocinquant'anni fa, con la nascita della fotografia
e, cento anni fa, con quella del cinema. C'è in questi fenomeni
la progressiva liquefazione del corpo fisico, dei materiali convenzionali
del mondo dell'arte, destinati prima di tutto a vivere un tempo sovraumano.
C'è però, e a mio giudizio è più importante,
la possibilità di nuovi attraversamenti del tempo e dello spazio.
Sinceramente mi sarebbe dispiaciuto non aver vissuto il tempo che ho
potuto vivere
- Vedi un rapporto, e, se sì, quale, fra le avanguardie storiche
e le nuove ricerche espressive dei nostri giorni, computer compreso?
- Ricordo una domanda che Bruno Munari, sapendo come e quanto mi interessassi
delle ricerche nel campo del video, maliziosamente spesso mi poneva:
cosa avrebbe fatto il Bauhaus se i suoi artisti avessero avuto la possibilità
di utilizzare i dispositivi audiovisuali elettronici di cui oggi tutti
disponiamo? La domanda era capziosa. Il Bauhaus non faceva solo ricerca
pura; fin quasi alla fine, preferiva utilizzare la fotografia, e in
modo magistrale oltre che innovativo, piuttosto che insegnarla. Marinetti
teorizzando le risorse evocative della radio invocava negli anni Trenta,
una televisione pansensoriale che non trasmettesse solo immagini ma
anche, ad esempio, odori. Tra avanguardia e tecnologia il rapporto è
sempre stato strettissimo. Molte delle soluzioni fascinose degli spettacoli
di intrattenimento televisivi di oggi, le abbiamo viste esplorate dai
videoartisti, quindici o vent'anni fa, con intenzioni e risultati ben
diversi
-
e tu sei stato fra i primi critici in Europa ad occuparsi di
videoarte, come testimoniano i libri che ho già citato in apertura,
e "L'immagine video" uscito da Feltrinelli nel '90 e sembra
pubblicato ieri. E allora: come si presenta oggi il panorama della Video
Art?
Le differenze con quanto avveniva ieri?
- La videoarte oggi assume caratteri diversi nel mondo artistico. Vent'anni
fa essa rappresentava una scelta esclusiva (si pensi a Paik, a Viola,
al nostro Plessi); oggi, per un artista, il video fa parte di un più
complesso armamentario tecnologico; ha rapporti strettissimi con il
computer e la rete; esplora realmente l'interattività.
Credo che questa sia una posizione vantaggiosa per la nuova creatività.
Esiste però riconoscibile, nelle produzioni di oggi, una sorta
di manierismo elettronico: penso a quanti, nel video al femminile praticato
in Italia e in Europa, ricalca quello che hanno già fatto Friederike
Pezold, Ulricke Rosenbach, Dara Birnbaum e Barbara Steinman. Ci si compiace
delle risorse visuali del mezzo forse con troppa insistenza, ma per
fortuna, con minore malinconia. Il dato che più vantaggiosamente
contraddistingue la situazione attuale è la contaminazione tra
video e fotografia, video e suono ambientale che si realizza in molte
installazioni
- Radiotelevisioni pubbliche e sperimentazione. Io ebbi una felice
esperienza nel contenitore "Fonosfera" guidato da Pinotto
Fava, purtroppo devo dire che di quel programma ho successivamente trovato
precarie tracce negli archivi RAI, a parte il fatto che in epoca recente
fu addirittura soppresso. Dal tuo osservatorio internazionale, dimmi
come vanno le cose
- Uno degli episodi che ricordo con più soddisfazione del mio
lavoro di critico è l'aver presentato a Kassel, nella Documenta
8 del 1987, le produzioni radiofoniche sperimentali realizzate in Europa
e negli Stati Uniti da artisti visuali, (ma che oggi sarebbe più
giusto definire multimediali).Potei realizzare questo lavoro, grazie
alla collaborazione di Klaus Schöning, responsabile dei programmi
sperimentali di Radio Colonia, una sorta di santuario della ricerca
radiofonica. Naturalmente la serie Fonosfera, che tu curavi insieme
a Pinotto Fava per la RAI, vi aveva un buon risalto. Mi è capitato,
in seguito, di esporre in una grande mostra allo Stedelijk Museum di
Amsterdam, le produzioni televisive della RAI che coinvolgevano gli
artisti (come soggetto documentario, non come autori, of course), anche
qui con buon successo. Debbo però dire che la RAI ha sempre fatto
poco, pochissimo, per il video d'autore italiano. Quando ha prodotto
le opere di Gianni Toti, che in Belgio e in Francia hanno trovato programmazione
anche in prima serata, si è ben guardata di metterle in diffusione
televisiva. I video di Toti sono stati utilizzati, solo per brevi frammenti,
per rendere più vivaci le sigle delle soporifere presentazioni
delle trasmissioni di Enzo Biagi. Non c'è da sorprendersi che
le documentazioni del lavoro sperimentale della RAI siano state male
conservate. Sono obbligato a ricordare i cinquantacinque minuti che,
nel 1989, la NHK di Tokyo, mi ha messo a disposizione per spiegare le
tematiche del video, o la serie di sei ore che abbiamo realizzato con
altri colleghi ed artisti intitolata El Arte del video in Spagna, e
a confrontarle con le raccomandazioni rivoltemi da registi e operatori
televisivi della RAI, di "non sforare", dato l'argomento,
i due o tre minuti.
Il moloch dell'audience ha fatto e fa troppe vittime tra i cervelli
del nostro servizio pubblico.
- Se la RAI piange, la GNAM non ride. Te ne racconto una bella.
Le serie dal 1981 al 1983 di Fonosfera che vedevano impegnati in operazioni
sonore alcuni tra i più grossi nomi italiani delle arti visive
dei nostri anni, furono donate alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna
di Roma. Grazie ad una funzionaria - per fortuna, non lavora più
lì - quella collezione è andata perduta, incredibile ma
vero!
E, visto che abbiamo parlato di radio, tu, fra i critici
d'arti visive, sei fra i pochissimi ad esserti occupato del linguaggio
radiofonico. Come sai, la radio pubblica, purtroppo, è in crisi
di crescita d'ascolti rispetto ai principali network privati. Qual è,
secondo te, la principale pecca della programmazione di radio Rai?
- Sono stato un assiduo collaboratore di Radio Tre quando si chiamava
Terzo Programma.
Quel canale costituiva un tramite essenziale diretto per tutta la cultura
italiana. Non a caso, oggi le trasmissioni de "L'Approdo",
vengono ricercate da studiosi anziani e giovani.
Faccio comunque merito alla radio pubblica del nostro paese di non aver
ignorato, a differenza della televisione, le possibilità di una
riflessione sperimentale sulle risorse del mezzo. Il palinsesto radiofonico
è sempre risultato più ricco e articolato. Non mortifica,
ad esempio, le mie richieste di appassionato musicofilo: posso facilmente
incontrarvi i madrigali di Monteverdi o l'"Estro Armonico"
di Vivaldi. Vi posso incontrare i musicisti contemporanei, non solo
italiani.
Non mi preoccupa oggi la contrazione dell'audience radiofonica, ma la
perdita, che si comincia ad avvertire, di ampiezza di registro culturale
e della capacità di azzardo creativo.
Le risorse della radio mi appaiono comunque immense. Ogni passo avanti
nell'universo della tecnologia, a mio giudizio, non fa che rinforzare
la presenza e il ruolo della radio. Il paradossale panegirico della
cecità come Inno alla Radio, che faceva Arnheim, resta sempre
proponibile e attuale
- Proprio perché l'Enterprise naviga nello spazio, cerco di
fare anche domande che rimandino alla Terra, ma non proprio terra terra.
Pareri, suggerimenti, o anche insulti, che dall'Enterprise vengono trasmessi
alle Istituzioni coinvolte nelle conversazioni
dai un consiglio,
gratis, al Ministro dei Beni Culturali
oh, ma se ne servono altri,
chiamate Fagone, tanto il numero ce l'avete
la cosa più
importante, più urgente da fare, per le Gallerie pubbliche d'Arte
Moderna
- Il Ministero dei Beni Culturali farebbe bene ad occuparsi oltre che
delle solide pietre dell'archeologia del passato, dei fragili, ma non
meno interessanti, materiali magnetici dell'archeologia del futuro.
Basta dare un'occhiata in giro per l'Europa; non c'è museo d'arte
contemporanea che non abbia un'operante sezione dedicata al video, per
rendersi conto di quanto ancora ci sia da fare.
L'arte moderna e contemporanea non può essere cannibalizzata,
come avviene oggi in Italia, dall'arte antica, verso cui vengono indirizzati
sostegni e sforzi economici d'ogni genere.
E' necessario che le gallerie d'arte moderne vengano messe in condizioni
di accogliere, cioè acquistare, opere di giovani artisti. Negli
anni Trenta e Quaranta, questo veniva fatto regolarmente, prescindendo
dal pesantissimo clima politico, dalle suggestioni interessate, di collezionisti
e mercanti.
E' necessario non perdere di vista il senso pubblico dell'operare artistico;
il buffet e il controbuffet, invocati da Alberto Sordi in Le vacanze
intelligenti, come inevitabile destino di ogni opera d'arte, possono
trovare, nell'attività di musei e gallerie, un ragionevole antidoto
- Arte e Mercato, secondo alquanti sono termini inconciliabili. Anche
per te?
- Dal 1973 quando ho curato, con Carlo Quintavalle, una grande esposizione
di Mario Schifano allo Studio Marconi di Milano, non mi sono più
occupato di esposizioni in spazi privati. Ho scelto di lavorare unicamente
in sedi pubbliche. Sono convinto che la dimensione pubblica dell'arte
abbia bisogno di non essere confusa con un altro circuito che si muove
secondo leggi economiche. Il mercato in Italia è responsabile
degli "abbandoni" di non pochi artisti di talento. Al di fuori
della cerchia ristretta dei ripetitivi artisti ufficiali, il mercato
italiano d'altra parte, negli ultimi decenni non è stato in grado
di affermare gli artisti delle ultime e ultimissime generazioni. E'
una situazione oggettivamente pesante e gli artisti italiani più
giovani oggi ne pagano le conseguenze.
- A tutti gli ospiti di questa vineria spaziale chiedo sempre di fare
una riflessione sul mito
di Star Trek
che cosa rappresenta secondo te
- Ogni epoca credo ha necessità di crearsi una mitologia contemporanea.
Star Trek corrisponde a un nodo di pulsioni, fantasmi e desideri che
attraversano il mondo di oggi, di noi tutti
- L'intervista è finita. E pure la bottiglia di Cent'are di Duca
Castelmonte
se vuoi scendere sul pianeta Floridia, ti conviene
prenotare la fermata. Però torna a trovarmi, io qua sto, intesi
eh?
- Tornerò di sicuro in questa tua enoteca spaziale
- Ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga
vita e prosperità!
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