L'ospite accanto a me è Paolo Cingolani.
Radio e televisione le conosce come pochi della sua età, perché
si è prodotto prestissimo nell'etere mandando in onda i suoi
primi vagiti. Non so, infatti, se è nato in una sala parto o
in uno studio di registrazione.
I maligni dicono che ancora confonde i due luoghi.
M'interessa la sua figura di autore perché è insolita.
Una volta era cosa corrente che un autore s'occupasse di lavori diversi
tra loro per vocazione e livelli. Rossellini diceva che quello era il
"mestiere alto" - lui, l'ha praticato - e profetizzava che
sarebbe scomparso a beneficio di quelli che "sanno tutto di una
cosa sola senza conoscere manco quella". Ha avuto ragione. La Rai
- visto che Paolo ci ha speso anni, e tuttora vi collabora - dovrebbe
tenerseli cari 'sti tipi, pochi pochi, capaci di passare da uno sceneggiato
a un inchiesta, dal mezzo radiofonico a quello televisivo.
Questo ceffo che ho vicino, ha pratica di radio antagonista, di movimento,
e radio pubblica, d'istituzione. Ha fatto programmi colti, tradizionali,
accanto ad altri sperimentali, innovativi. Riuscendo benissimo negli
uni e negli altri. Riversandovi le sue letture e le sue esperienze,
estese e sorprendenti, multiple e stravaganti. Così riesce a
costruire racconti che riflettono su cose serissime divertendo.
E poi, quanti italiani hanno lavorato fino ad oggi nella televisione
satellitare?
Pochi, naturalmente. E' nata ieri.
Paolo è uno di quelli, uno dei primi autori affacciatosi a quel
mezzo spaziale e, quindi, sull'Enterprise non dovrebbe trovarsi a disagio.
Poiché è anche un appassionato e competente enogastronomo,
collabora con "Gambero Rosso Channel" http://www.gamberorosso.it
- Benvenuto a bordo, Paolo
- Ciao! Cos'è che si beve, su questa bagnarola ?
- Voglio farti assaggiare questo Sassicaia '95
qua il bicchiere
- Però!
Sei rifornito alla grande!
- Senti mo': il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la
guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però
noi nello spazio stiamo, schizziamo "a palla", la cosa che
sto per dirti io l'ho già fatta minuti fa, anche tu, in poche
battute, trasmetti sulla Terra il tuo ritratto
no, non fare quegli
scongiuri!
ci sto pur'io su 'sto tram
mica m'auguro che
- Sono solo un televisionaro a noleggio, venticinque crediti galattici
al giorno più le spese.
- Più sintetico di così! D'accordo, amo la brevità
ma qui s'esagera!
Dimmi di te qualcosa in più, pur senza fare un romanzo. Scrivimelo
in un marasmafax
- L'hai voluto tu. Non lamentarti, dopo!
Primi Anni Settanta, all'Università per diventare Sociologo della
Comunicazione, faccio la metà degli esami, due pubblicazioni
di ricerca con la Rai e due videoclip con i primi portatili in bianconero.
Quanto basta per decidere di passare dall'altra parte dei media, dalla
ricerca alla fabbrica.
Nell'estate del '76, Radio Città Futura aveva appena terrorizzato
Roma e festeggiato Orson Welles con la finta radiocronaca d'un golpe
della destra, così mi sento incoraggiato e durante un anno di
pratica demenziale irrito i duri e puri del movimento con 105 puntate
di Radiognocco, programma gastronomico "incult" che scambia
ricette con le femministe di Radio Donna, controlla i prezzi del sottostante
Mercato di Piazza Vittorio e propone brasati di gatto e polli d'acciaio,
insieme con Angese, Perini e Sferra.
I danni sono tali che a San Lorenzo, poco dopo, qualcuno apre la trattoria
"Gnocco Rosso", letale ma simpatica e molto di movimento.
Tra il piombo di quegli anni, mi ritrovo a programmare cold jazz, invece
che Bella Ciao, la mattina che ammazzano Giorgiana Masi a Trastevere.
I responsabili dell'emittente ne approfittano per sostenere che era
una programmazione meditata responsabilmente per calmare gli animi.
Ma se ero da solo!
Allora, per sembrare serio, congegno col mio compare semiologo anche
un astruso programma mediologico, Illistrum, dal surreale pezzo degli
Art Ensemble of Chicago che ne era la sigla. Nessuno capisce nulla,
nemmeno noi due che lo facciamo, ma è trendy e non ci obiettano
nulla.
Fin quando non leggiamo in diretta, integralmente, il bilancio economico
del Topolino Mondadori. Renzo Rossellini, il patron, ce ne dice di tutti
i colori. Giulio Savelli, l'altro patron, ghigna.
1977: La crisi del Movimento spacca anche lo staff della radio, se ne
vanno quelli del Manifesto "ed altri due cretini", sibila
pubblicamente Renzo Rossellini. Io e il mio complice gastro-mediatico,
naturalmente.
Allora ci portiamo Radiognocco alla Rai: Radiouno ci ospita lietamente,
mentre rischiamo di scriverci su un libro per Guaraldi, che chiude prima.
Il lavoro alla Rai come autore e regista di serie, speciali e radiodrammi,
si affianca quindi a collaborazioni con giornali come Prima Comunicazione
e Repubblica.
Intanto approfitto dei miei amici che frequentano il Centro Sperimentale
di Cinematografia per fare pratica di cinema, giro documentari, clip
& spot e scrivo commedie nere per la tv.
E mi vengono i calli in un decennio di routine televisiva estrema a
Raidue e Raitre, con Barbato, Marrazzo, Vigorelli, Cecchi Paone e Sassoli,
alla rinfusa. L'assalto in diretta delle teste di cuoio a Saxa Rubra
me lo sono inventato io, per esempio.
Ma prima nasceva RaiSat, che mi permette alcune follíe "sperimentali",
grazie alla passione di Gaetano Stucchi: il nostro progetto d'un magazine
europeo sullo Slow Food anticipa di dieci anni l'attenzione che solo
ora gli dedica la tv.
Così, a fine secolo, la passione gourmand ritorna con una serie
per RaiSat/Gambero Rosso Channel: I Tiratardi, cioè Sergio Spina
e io, due matti in giro per le osterie d'Europa in cerca d'altri matti.
Per compensare a tavola i dis/piaceri del mestiere
t'è
piaciuta la barra endolessematica, eh?
- E' proprio vero che sei eccessivo! Dal silenzio al monologo per te
il passo è breve!
Comunque, la storia che hai raccontato mi piace. E' stato come fare
una corsa attraverso gli anni che molti di noi abbiamo vissuti. Tranne
quelli a casa in babbucce, naturalmente.
Ora che di Cingolani i miei avventori ne sanno di più, dimmi
una cosa. La comunicazione viaggia, più o meno in orario, verso
il digitale. Come vedi che ci muoviamo in Italia? I nostri autori, i
nostri tecnici come stanno messi?
- Questa faccenda del digitale riempie la bocca ai manager e le tasche
all'industria, ma in Italia arriva tardi e male. È la solita
sòla, per dirla alla veneziana.
L'Avid era già disponibile dieci anni fa, costava un decimo delle
normali suites di montaggio analogico, ma s'usava di nascosto, per evitare
di dover abbassare le tariffe dell'edizione. Così come adesso
produttori e services mettono in conto costi e noleggi degli apparati
Betacam, mentre usano telecamerine digitali e computerini che costano
venti volte meno. In mano ad apprendisti, per risparmiare anche sui
professionisti.
Intendiamoci, sono le stesse telecamerine da matrimoni che permettono
anche eccezionali riprese di reportage o, come fanno gli esordienti
a Hollywood, ottime piccole fiction, ma questo fornisce a produttori
e broadcasters un altro alibi: perché investire in produzione
quando sono ormai gli stessi "autori" ad averne i mezzi ?
Che si arrangino e ci facciano vedere di che sono capaci! Ok, allora
festival, uffici delle tv e anticamere dei produttori si riempiono di
mondezza digitale, dannosa per tutti, e le risorse serie continuano
ad essere accessibili con i sistemi di sempre: amici & raccomandati.
- Noto che usi toni sfumati e mezze tinte
ora, voglio farti una
domanda intelligente. Non mi resta che fartela fare da un altro, ecco:
copio e incollo. L'arte elettronica, la vedi come una smaterializzazione
del corpo fisico delle arti così come le conoscevamo? O come
una sua protesi? Oppure una mutazione genetica?
- Ma quale arte elettronica !? Non esiste più, non è
più di moda, è diventata gioco infantile, playstation.
Aveva un senso quando quei rari gadget avveniristici finivano in mano
agli artisti che ne facevano installazioni, incubo, sogno, avventura.
Adesso la nuova frontiera è il telefonino videografico, saldamente
in mano all'industria, unica a pagare gli "artisti", che ormai
lavorano tutti per la pubblicità. E non si dice più "elettronica",
è una nozione arcaica, da Scuola Radio Elettra. Con una tecnologia
ormai alla portata di tutti, chiunque si può improvvisare "virtualmente"
autore & artista e contribuire al rumore di fondo, tanto non ci
si perde nulla.
Il Sogno ora è avere la propria microstronzata virtuale in giro
per il Web o magari in onda sui telefonini. La Videoarte adesso la fa
anche Fantozzi sul pc dell'ufficio, invece di lavorare.
E a noi tocca aspettare una lettera per posta normale più giorni
di prima.
- Se la tv satellitare si salverà dai danni che le stai infliggendo,
quale futuro avra?
Affiancherà il consumo televisivo abituale? Ne prenderà
il posto?
- Appunto, "stavolta se n'accorgono", come diceva Fellini
ad ogni film.
Adesso distingui tv analogica da digitale, gratuita da onerosa, terrestre
da satellite, da telefono, da computer, da frigorifero, ma non per molto.
Fra poco avrai solo una singola interfaccia audiovideo per qualsiasi
atto di relazione: leggere un libro, scrivere lettere, lavorare, parlare
con mammà, guardare un film, vincere miliardi, programmare la
lavatrice, la vacanza, le elezioni. E pagherai TUTTO. La trasmissione
via satellite, ormai digitale anche quella, supera il radiotraffico
terrestre ed assicura qualità migliore, sì, ma assicura
maggior controllo del prodotto. In senso amministrativo e politico.
Se non paghi non ricevi. Paghi perfino per ricevere canali fatti di
pubblico dominio. Ma puoi accedere a quello che vuoi, da Disney al porno,
mentre l'audience può essere certificata secondo per secondo,
non solo stimata al minuto, come ora, e la pubblicità pianificata
e personalizzata senza approssimazione. Alla faccia della privacy.
Insomma, non è importante che potremo davvero accedere virtualmente
a tutto ciò che accade, si produce e si conserva sulla Terra,
ma che ne pagheremo ogni oncia ed ogni tua scelta sarà classificata,
per darti oggi la pubblicità su misura, domani
Avremo una grande libertà sponsorizzata.
L'alternativa felice sarà solo quella di essere fuori dal mondo.
Roba da ereditieri.
- I dirigenti radiotelevisivi, non solo italiani, dicono di non volere
creare spazi appositi per la sperimentazione espressiva per non "ghettizzare"
(una di quelle espressioni da proibire per decreto legge!) la ricerca
che deve essere - affermano - diffusa lungo tutto il palinsesto. E'
un modo per non farla. Una bugia. In un'epoca in cui la televisione
satellitare incoraggia canali monotematici, è fantascienza immaginarne
uno nazionale, dedicato a cinema, video, teatro, musica, etc., esclusivamente
destinato ai performers della nuova espressività?
- Fantascienza pura. Ci hanno già provato con Channel Four,
in Gran Bretagna: gestito dai produttori indipendenti, finanziato dallo
Stato, è stato per anni la culla del cinema d'autore. Ora, semi-privatizzato,
è un comune canale semi-generalista.
Canal+ in Francia ha scoperto un sacco di talenti, ora ci mostra solo
un sacco di canali specializzati, con quei talenti come art directors.
Per gli altri è troppo tardi.
Perciò, il Canale dei Nuovi Espressivi rischia d'essere davvero
"autoreferenziale", un canale di sfigati, chi accidenti dovrebbe
vederselo, se non quel centinaio di talent scout in tutto il mondo?
E sai che palle! E poi, ogni "monotematico" come li trova,
i suoi talenti, se non dentro il suo tema di riferimento? Difficile
che il Gambero Rosso abbia bisogno di attori, o il Canale Cinema di
percussionisti.
Ma se il Servizio Pubblico Rai assegna ad ognuno dei canali Raisat solo
dieci miliardi l'anno, meno di quanto costa la stagione d'un medio programma
tv! Ed ognuno di quei canali avrebbe anche l'obiettivo di inventarsi
stili ed espressioni! Per forza che fanno nozze coi fichi secchi. Per
ora cercano di risparmiare ingaggiando giovani al primo contatto con
la tv
che fosse già questo sperimentazione?
- Scendiamo dal satellite ma non dall'Enterprise che sempre nello Spazio
sta viaggiando.
Aiutami a risolvere un assillo che tormenta i miei poveri giorni: la
televisione generalista ha i minuti o i secoli contati?
- Scherzi?,,,Di che mondo parliamo? Se dell'Europa e dell'Italia, col
cavolo!
E dove si metterebbero i telegiornali con i politici, le ospitate, le
telemarchette d'ogni genere ? Ma no, c'è un'ostilità diffusa
alla de-generalizzazione dei canali, così come alla loro cessione.
E noi ci becchiamo insieme canone, pubblicità e politicanti dovunque.
Il vero problema politico, o meglio DEI politici, è gestire la
transizione tecnologica mantenendo potere e presenza in tv, concentrata
e garantita. Da noi è un'esigenza così diffusa e frammentata
in decine di partiti e migliaia di ambizioni individuali che non basta
lo "stare nell'ombra", amministrare come una volta nomine
e raccomandazioni, il futuro sta nella presenza fisica sotto i riflettori.
Infatti si moltiplicano trasmissioni strapaesane, telesalotti, varietà
con ospiti. E nonostante ciò ascolto e pubblicità vanno
alle stelle, quindi il modello generalista si consolida. Il che vuol
dire molto ragionevolmente, senza apocalitticità né dolente
pessimismo, che questa è la tv che ci meritiamo. Come in tutto
il Medio Oriente.
- Ho ricordato in apertura le tue esperienze radiofoniche, conosci
bene quel mezzo, quale ruolo gli attribuisci nel nuovo scenario dei
media?
- Nel mondo la Radio si fa digitale, interattiva, di servizio, di formazione,
d'emergenza, d'informazione, istantanea, in tempo reale. Alleggerita
dall'automazione, va dappertutto, salta e corre. Aumenta i canali, va
sul satellite, guida il traffico, produce eventi, influenza tendenze,
anticipa conseguenze. Non solo Musica & Cazzate.
L'Italia è un'area protetta, estranea alle mille modernizzazioni.
Qui la Radio Pubblica resta molto convenzionale, stitica ed in economia,
senza un'ombra di servizio al pubblico, al territorio. Estranea perfino
alla tv, con la quale non ha alcuna sinergia. Perdendo ascolto di continuo
in favore delle radio private ad alto investimento, che s'integrano
con tv & Internet e almeno ti dicono sul serio che tempo farà
- Il vino nella bottiglia di Sassicaia scarseggia, ci avviamo alla
conclusione, ma c'è ancora un mezzo bicchiere a testa, il tempo
di chiederti, perché ti so gourmand: il più grande pregio
e il più grave difetto della ristorazione italiana oggi
- Il più grande pregio della cucina italiana è tautologico:
essere italiana, cioè ricca, diversificata, inventiva e tradizionale,
competitiva e polemica.
Che purtroppo è anche il suo più grave difetto...
Nonostante i quattrocento formaggi diversi, i mille sapori, gli ottomila
vini, i centomila cuochi, nonostante il Vissani sempre in video, il
Raspelli ormai anche lui e gli altri che fanno i turni alle Linee e
Mele Verdi e Blu e da tutti i Costanzi del Regno, la bieca malacoscienza
cattolica di questo cazzo di Paese fa del buon mangiare ancora un vizio
riprovevole. Peggio che andare a puttane.
Ragion per cui esiste un ente promozionale della Moda italiana all'estero,
ma non della Cucina. E stiamo ancora a preoccuparci che "i francesi
che s'incazzano, che le palle ancora gli girano..." e non ci riservino
abbastanza stelle Michelin... ma meno male, che si fotta la Michelin
!
Ci bastano il Gambero Rosso e Slowfood: i prezzi non sono ancora saliti
troppo alle stelle come in Francia, e possiamo ancora emozionarci molto,
per esempio dall'eccelso Pierangelini a San Vincenzo, con poco più
di un centomila.
Ed anche godercela con molto meno, grazie alle mille e mille osterie
e cantine di territorio che ci assicurano sapori infiniti (e sempre
più attenzione e igiene...) con poche carte da diecimila.
Ai tuoi avventori dico: cercatevi in libreria la Guida delle Osterie
di Slowfood e dateci sotto.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo una riflessione sul mito di Star Trek
che cosa rappresenta
secondo te
- La speranza di squagliarcela da qui prima delle prossime elezioni
per aprire un'osteria slowfood su Alpha Centauri. Il Capitano Kirk ci
aspetta.
- E noi siamo quasi arrivati a Cyngolanya, pianeta-bettola della Galassia
che ricorda il collodiano gambero rosso, è abitato, si sussurra,
da alieni che si nutrono con un solo piatto, un misto alla brace di
gatto e di volpe
se devi scendere ti conviene prenotare la fermata.
Finisce qui l'intervista nella quale ti sei espresso con tanta moderazione,
toni sfumati, sottili allusioni e autentica ferocia.
Ci fermiamo anche perché è proprio finita la bottiglia
di Sassicaia Antinori '95.
Però torna a trovarmi, io qua sto
intesi eh?
- Spero di portarti la prima bottiglia della vigna vulcaniana di Spock.
Ha messo su un sangiovese che gli fa quattro vendemmie l'anno, ma un
anno di cantina vale cinque dei nostri e viene fuori una stoffa da far
impallidire l'Abbazia di Novacella. Prosit!
- Caspita! Mica lo sapevo! Ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise:
lunga vita e prosperità!
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