L’ospite accanto a me è Pietro Favari. Laureato in Architettura al Politecnico di Milano, insegna Storia della Radio e della Televisione, Teorie e Tecniche del Linguaggio radio- televisivo al Dams di Bologna. Ha svolto e svolge attività di giornalista su “la Repubblica”, “Corriere della Sera”, “Il Foglio”, “Panorama”, “L’Espresso”, “The Drama Review”, “Artes Visuales”; ha collaborato a programmi radiofonici e televisivi, come la trasmissione “Indovina chi viene a pranzo” con lo sceneggiato in cinque puntate “La casalinga di Voghera”, in onda su Radio Rai 3 nel 1998.
Titoli pubblicati fino ad oggi: con Quadragono Libri nel 1975 “Ravachol & C.ia: vita, morte ed esplosioni nella Belle Epoque”, illustrazioni di Flavio Costantini; con Bompiani: “L’ altra grafica”, 1973; “Utopia rivisitata”, 1974; ”Sentimental: il teatro di rivista italiano”, 1975; “Il salotto cattivo: splendori e miserie dell’arredamento borghese”, 1976; “Almanacco degli almanacchi: potere e cultura in Italia 1925-1942”, 1977; libri questi, firmati con Rita Cirio.
Segue per Dedalo, nel 1996, “Le nuvole parlanti: un secolo di fumetti tra arte e mass media”
E’ autore di testi teatrali: <Cenerentola in cerca d’autore>, 1984; <Salve Regina>, 1986; <Sentimental>, 1988; <Il sofà indiscreto>, 1989; <La lussuria> episodio di <I sette peccati capitali>, 1993; <L’ ultimo desiderio>, 1994; <Le nuvole sul divano>, 2001; <La grande sorella>, 2001; per saperne di più, cliccate su http://www.siae.it/dorautori.asp?id=46239&listletter=F .
Molteplici i suoi interessi di studio, ha investigato anche su segnali e tracciati che vanno dalla grafica alla poesia verbovisiva, per degli assaggi: http://socialdesignzine.aiapnet.it/archives/000051.php e http://www.caldarelli.it/parola/favari.htm.
A proposito di poesia visiva, mi piace ricordare una sua breve e godibilissima prefazione ad un libro che ho caro sui miei scaffali: “Biblia pauperum” del mio vecchio amico Lamberto Pignotti.
Lo spunto per quest’incontro è dato da “Televisione”, recente pubblicazione di cui Pietro è autore, stampata da Zanichelli www.zanichelli.it nella collana Quarc che esplora una serie di àmbiti disciplinari relativi al mondo dell’arte e della comunicazione.
Volume prezioso per chi, per obbligo scolastico o per curiosità culturale, voglia documentarsi su questo mezzo che tanto ha dato e qualcosa ha tolto alle nostre vite. Il saggio s’avvale di una struttura che scorre su più cursori: dall’informazione tecnica a quella storica, dalla notazione sociologica a quella politica.
“Televisione”, in 315 pagine tutte illustrate, propone quanto il piccolo schermo ha prodotto in questo mezzo secolo, dall’era di Ettore Bernabei a quella di Silvio Berlusconi, fino alle soglie del digitale; né manca un settore dedicato alle professioni artistiche e tecniche legate alla produzione dei programmi, e si conclude con un’analisi delle trasmissioni che hanno lasciato un segno nel nostro costume, da Lascia o raddoppia? al Grande fratello.
- Benvenuto a bordo, Pietro…
- Grazie. Come saluto preferisci: “La forza sia con te”, oppure: “Pace e bene”?
- Assai spesso chi dice “pace e bene” non porta pace e non vuole bene a nessuno, preferisco l’altro saluto. Inoltre, “Che la forza sia con te” era una battuta di “Star Wars” che nell’edizione italiana era pronunciata da Corrado Gaipa, attore col quale ho a lungo felicemente lavorato…
- Allora vada per il primo…
- Il sommelier Giuseppe Palmieri de “La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura, mi ha consigliato di farti assaggiare durante questa nostra conversazione nello Spazio questo <Sacrisassi> bianco 2000 dell' Azienda Le due terre: Tocai Ribolla e Sauvignon; mi anche inviata una nota in spacefax che dice: “regione di provenienza Friuli Venezia Giulia; è un vino interessante perché appartiene alla cultura del biodinamico quindi niente chimica niente fisica, non è chiarificato e filtrato”…qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Pietro secondo Pietro…
- Parlerò di me solo in presenza del mio psicoanalista.
- Aiutami a risolvere un assillo che tormenta i miei giorni: la televisione generalista ha i minuti o i secoli contati?
- La tv generalista è un immenso supermercato, offre <di tutto, di più> - come recitava lo slogan della Rai – per cercare di accontentare, e di condizionare, gusti ed esigenze di ogni fascia di pubblico. Una vasta scelta di merci televisive è così sistemata nei palinsesti come se fossero i reparti e gli scaffali di un grande magazzino, ma il modello generalista per fortuna da tempo non è più l’unica modalità per consumare televisione: ci sono anche boutique e negozi specializzati che si rivolgono al consumatore con un’ offerta più specifica e più mirata oltre che con una maggiore possibilità di interagire nelle scelte. Sono le emittenti cosiddette di “nicchia” o tematiche via etere, come Mtv, quelle che trasmettono via satellite, come la Cnn o Al-Jazeera, o via cavo, quelle a pagamento: Pay-tv, Pay-per-view, Video on demand. Insomma, pagare per vedere.
- La tv satellitare quale futuro avrà?
Affiancherà il consumo televisivo abituale o ne prenderà il posto?
- Oltre alla tv satellitare, sta ora arrivando la tv digitale. La rivoluzione digitale comporta la formazione di un linguaggio comune a media diversi, come il computer e la televisione, e favorisce quel matrimonio tra informatica e telecomunicazioni da cui dovrebbe nascere un nuovo apparecchio televisivo dotato di superpoteri – come i supereroi dei fumetti - in grado di far fronte allo sviluppo di servizi interattivi. E la tv generalista? Credo che anche nel campo dei media valgano le teorie di Darwin sulla selezione naturale delle specie. Sopravvivono quelle che sono in grado di adattarsi ai mutamenti imposti dalle evoluzioni tecnologiche sviluppando una maggior specificità di linguaggio e nuove strategie di comunicazione. Altrimenti bisognerà progettare delle oasi protette per le tv generaliste.
- Uno studioso della comunicazione, Pierre Lévi, ha detto: ”la televisione interattiva è una contraddizione in termini, perché la tv non può essere interattiva, altrimenti non è più televisione”…Che cosa pensi di questa affermazione?
- Invece io spero che presto potremo diventare tutti direttori di rete e farci un palinsesto a nostra immagine e somiglianza, che potremo diventare tutti registi e scegliere con il telecomando, per esempio, il punto di vista da cui assistere a un evento sportivo oppure fare un primissimo piano sul più recente lifting della conduttrice.
- Il 15 luglio del 2000, in Italia accadde un curioso avvenimento. Per un incidente tecnico, andò in onda per 15’00” circa la sola immagine di un orologio che, com’è suo mestiere, scandiva il tempo.
Fu calcolato che a questo “programma” arrise il 15 per cento di share per un totale di oltre tre milioni di audience.
Quale riflessione ti suggerisce l’episodio che ho ricordato?
Io confesso di non essere andato oltre l’idea di vendere orologi alle tv.
- La visione di un orologio che trasmette l’ ora esatta se non altro è un programma degno di fede. Certamente più di Fede.
- Concordo.
A differenza d’un tempo, la ripresa televisiva di uno spettacolo teatrale è, probabilmente, superata nella storia del nostro sguardo, ma da autore di teatro e studioso di televisione, come spieghi che non sia stata ancora trovata una formula con la quale presentare il teatro in tv?
- Avviene più facilmente il contrario, molti spettacoli presentano la tv in teatro: scimmiottano goffamente le fiction televisive, riciclano personaggi televisivi ormai decotti, ectoplasmi mediatici che si materializzano sul palcoscenico un po’ seccati per la disarmante povertà di inquadrature che il teatro mette a disposizione: una sola, un banale campo medio. Qualcuno si sforza perfino di fare qualche espressione come se fosse inquadrato in primo piano, forse convinto che le telecamere da qualche parte devono pur esserci, magari nascoste come al “Grande fratello”. Malgrado la tecnica primitiva di cui dispone il teatro, alcuni divi, o ex divi, catodici ogni tanto affrontano il palcoscenico: per gratificarsi sul piano culturale o per mettere a frutto al botteghino la notorietà da piccolo schermo. Più difficili da capire le ragioni che inducono il telespettatore a uscire di casa e a trasformarsi per una sera in spettatore, rinunciando a quel prezioso prefisso “tele” che gli permette, dal divano di casa sua, di vivere e condividere un modello di realtà organizzato dai palinsesti in maniera, quasi sempre, più variegata e rassicurante della vita cosiddetta reale.
- Passiamo ad un tema che ti riguarda come commediografo. Orson Welles in “Filming Othello” pone una domanda ai suoi commensali: “Perché l’attore che recita un personaggio sordo fa ridere appena appare, e uno che fa il cieco invece no? Eppure sono entrambi afflitti da gravissimi handicap”.
La questione, posta volutamente in modo banale e provocatorio, mirava a un approccio al confine drammaturgico che separa il comico dal tragico, i meccanismi del riso da quelli del pianto allorché sono affidati ad un interprete. Per te, in che cosa consiste quel confine?
- Come hai detto?... Scusa… Puoi ripetere la domanda?... Ogni tanto il mio apparecchio acustico non funziona. E dire che è ancora in garanzia!
- Te l’avevo detto di non fidarti di quel venditore in bandana o no?
- Tenterò d’aggiustare, sia pure provvisoriamente, l’apparecchio
- Nella presentazione, ho ricordato ai miei avventori il tuo testo “Le nuvole parlanti”, pubblicato per Dedalo nel ’96 in occasione dei cent’ anni dalla nascita dei fumetti.
Prendo lo spunto da un altro compleanno – i 35 anni dallo Zap di Crumb – per chiederti: esiste a tuo parere ancora una forma di fumetto underground? Se sì, puoi fare degli esempi?
- Ora l’apparecchio funziona di nuovo. Gli autori degli underground comix negli anni Settanta facevano anche gli editori e i distributori di se stessi, vendendo – almeno nei primi tempi – i loro albi nelle strade per liberarsi delle regole imposte dai Syndacates. Oggi gli autori di fumetti - chiamiamoli alternativi - hanno a disposizione le strade, virtuali ma praticamente infinite, di Internet. In mancanza e in attesa, almeno in Italia, di un’ editoria interessata alle novità nel campo dei fumetti, possono pubblicare e divulgare in rete i loro lavori.
- Nella presentazione, ho anche accennato ai tuoi interessi per la poesia verbovisiva.
Quale ruolo, quale importanza assegni a questa esperienza espressiva nello scenario dell’interlinguaggio?
- Paul Claudel ha scritto: “La poesia non è fatta di queste lettere che pianto come chiodi, ma del bianco che resta sulla carta”. Quel bianco in cui per Claudel si sublima la poesia reclama forse una propria identità, delle immagini da appendere a quelle parole piantate “come chiodi”. Per la poesia visiva quel bianco “che resta sulla carta” ha lo stesso candore del tavolo operatorio immaginato da Lautréamont nei “Canti di Maldoror” dove era naturale che là si incontrassero finalmente un ombrello e una macchina da cucire. Da consumati chirurghi estetici, i poeti visivi su quel tavolo operatorio eseguono lifting radicali sul corpo vivo della poesia: ne rimodellano le forme espressive, intervengono con liposuzioni per snellirne i contenuti, trapiantano parole, innestano immagini. A dare forma poetica, a scandire la metrica, è il montaggio, pratica che attraversa da protagonista il Novecento: dalle teorizzazioni dei registi sovietici e dai collage delle avanguardie storiche giù giù fino a quella sorta di ready-made di massa che qualunque telespettatore può realizzare ogni sera facendo zapping con il telecomando, ignaro così di fare cultura postmoderna.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- A proposito di Star Trek credo di aver fatto una scoperta sensazionale. Prima ancora che la saga ideata da Roddenberry navigasse nei nostri teleschermi, un vulcaniano era riuscito a impadronirsi del potere in Italia e ha saputo conservarlo per decenni e decenni. A te lo posso rivelare… E’ il senatore Giulio Andreotti!... Hai notato le orecchie a punta?
- Già! Hai perfettamente ragione.
Ora siamo quasi arrivati a Favàrya, pianeta di silicio abitato da alieni che traggono auspici da nuvole parlanti… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di <Sacrisassi> bianco 2000 dell' Azienda ‘Le due terre’ … Però torna a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
- Posso portare con me una bottiglia di Sacrisassi bianco…?
- Di sicuro. Ne sarà felice anche il sommelier Giuseppe Palmieri de “La Francescana” di Modena, è lui che l’ha consigliato.
Ora ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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