L’ospite accanto a me è Alvin Curran. Musicista. Da anni è un protagonista della scena sonora mondiale proponendo forme compositive e stili di esecuzione di assoluta originalità.
Americano, nato nel 1938, ha studiato musica alla Brown University e poi a Yale con Elliott Carter che, riconoscendone il talento, lo porta con sé a Berlino come assistente. Insofferente dell'ambiente accademico, Curran gira l'Europa e si stabilisce poi in Italia. Nel suo soggiorno romano ha coltivato importanti amicizie, come quelle con Franco Evangelisti, Frederic Rzewski, Ivan Vandor] e Giacinto Scelsi, senza mai perdere l'occasione di suonare con i più qualificati esponenti dell’improvvisazione contemporanea, da Anthony Braxton a Evan Parker. E’, inoltre, titolare della prestigiosa cattedra di composizione del Mills College, creata dopo il soggiorno americano di Darius Milhaud e a lui intitolata.
Per conoscere estesamente la biografia di Curran, nonché discografia e ascolti di brani, per foto, spartiti, testi, c’è il suo sito in Rete.
Dalla Garzantina della Radio di Ortoleva e Scaramucci: “Innovatore inesauribile nell’àmbito della sperimentazione musicale e del suono, sedotto dalle geografie culturali del Pianeta, si è imposto all’attenzione anche al di là della cerchia ristretta dei cultori della ricerca di avanguardia, con le sue imprevedibili invenzioni di congegni, effetti pirotecnici, e improvvisazioni con un’arguzia e un lirismo che lo sottraggono alle classificazioni correnti […] Curran lavora talvolta su oggetti sonori minimi (fonemi, parole, suoni naturali) per frantumarli, dilatarli o moltiplicarli, sul versante opposto – e più spesso – opera su geografie dilatate, spazi planetari, concerti simultanei…”
- Benvenuto a bordo, Alvin…
- Pensavo che questa era un'intervista, non un viaggio su una nave spaziale… dài, fammi scender… o meglio, no! sennò precipito!… va bene. Saluti a te e a tutti.
- Antonella Ferrari e Miriam Mareschi,stellari patronnes della Piazzetta del Sole a Farnese, mi hanno consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo "Enos”, un sauvignon in purezza prodotto da Montauto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Alvin… secondo Alvin …
- Sono un semplice artigiano che lavora col suono e costruisce oggetti sonori fantasiosi (in gran parte inutili)... un americano in semi esilio che porta con sé i suoi sogni del nuovo mondo giusto nella culla antica delle origini di tutta questa roba. Un artista fiero che ancora vive di ambizioni sperimentali sia alla periferia sia al centro della cultura contemporanea coatta e consumistica globale, che sia. A hard-working, perhaps original but self-made nut case.
- Più volte hai preso le distanze dalla definizione di te come “compositore”.
Perché? Che cosa ti fa allontanare da quella parola?
- In effetti, nessuna cosa. Non detesto usare quella parola. Sono per definizione un compositore… cioè uno che costruisce con la materia sonora delle strutture particolari comunemente chiamate musiche... e sta nella mia natura, nel mio modo di sentire la vasta gamma di "materia sonora", includere suoni d’ogni genere e ogni provenienza immaginabile nei miei lavori... quel che mi può dare fastidio nell’uso della parola "compositore" è l’interpretazione, e l’uso, che se ne fa in occidente; intendendola come proprietà esclusiva degli autori del mondo della musica classica, accademica e corporativa. Li, come compositore, come una specie di nuovo ibrido, non mi sento a casa mia e, difficilmente a casa loro, m’invitano. Comunque, poiché lavoro anche attorno alla scena musicale d’improvvisazione (e insisto da tempo a ripetere che improvvisazione – si voglia o non – è l'arte di comporre in tempo reale), e allora… allora "compongo, dunque, sono, e dunque compositore sono."
- Nel 1966, fondasti in Italia Mev, acronimo che sta per Musica Elettronica Viva.
Come nacque quell’esperienza?
- Il destino ha voluto che mi trovassi insieme con i colleghi Rzewski, Teitelbaum, Vandor, Plantaura, Jon... a Roma... in un eccezionale momento di grande fermento socio-filosofico e soprattuto generazionale. Eravamo animati dal desiderio di cambiare prima noi stessi (in gran parte tutti giovani "compositori" americani), uscire dalla strada semibuia, così la giudicavamo, dove avevamo fino allora camminato... insomma, lasciati da poco istituti come Harvard, Yale, Princeton, volevamo buttare quei nostri diplomi, e ricominciare dal nulla.
Fuori, avvertivamo che c'era il mondo che richiedeva un nuovo look, molto diverso da un semplice "lifting facciale", insomma, un nuovo modo di essere, una rivoluzione assolutamente praticabile, almeno cosi sembrava.
Insomma, quell’esperienza alla quale ti riferisci nacque in un momento assolutamente incomparabile, perché c'era una folla planetaria che gridava reclamando uguaglianza pace e giustizia, un grido unito che risuonava in un mondo di potenti sordi, comunque un grido memorabile che s’avverte ancora oggi, anche se faticosamente.
La gioia e la magia dell’unisono sovversivo, però, mai è stato inteso dalla classe politica.
- Rintracci ancora segni di Mev nella tua produzione di oggi?
- Quasi ogni mio gesto sonoro attuale riflette quelle esperienze liberatorie di 40 anni fa. Vale a dire il mio modo di comporre con caos e caso puro innestato dentro strutture assolutamente razionali, cioè la contaminazione – cosiddetta – di musiche scritte con quelle improvvisate. La mia insistenza nel miscelare il lavoro di musicisti professionisti con quelli degli amatori, il mio uso di strumenti convezionali insieme con oggetti trovati per strada… ad esempio, robaccia, giocattoli, o qualunque oggetto capace di farsi materia sonora... il mio uso dello spazio sia dentro sia fuori le sale di concerto, una prassi estesa a qualunque sito o luogo (fiume, mare, montagna, strada, piazza, palazzo, prato, cantieri, giardino, lago…) come potenziale luogo-teatro di musica e per la musica. E anche la mia continua ricerca sul suono elettro-acustico, lavoro nel quale, da solo suono il mondo intero, oppure suono un bordone di un motore rotto. Tutto questo, in qualche modo, sono lezioni ed emozioni provenienti da MEV e dalla sua epoca.
- Hai spesso lavorato con artisti visivi. Ricordo, ad esempio, una splendida performance di cui fosti autore con Vedovamazzei al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
In quei casi, qual è il tuo rapporto con l’immagine?
- L'immagine è intercambiabile con la mia musica perché questa è per sua natura una specie di film, una narrazione che raccoglie una pluralità di storie...
Tutte le mie esperienze a contatto con l’immagine – da quelle importanti con Antonioni in “Zabriskie Point” a quelle, non secondarie, con il teatro e il cinema di Memè Perlini e Mario Ricci, poi in seguito con le grandi coreografie di Trisha Brown, Merce Cunningham, Margaret Jenkins, Joan Jonas, nonche’ influssi di Cy Twombly, Edith Schloss, Morandi, de Kooning, Pistoletto, Kounellis, Ontani, Nunzio, Clemente, Bob Thompson, e altri ancora – in tutte quelle esperienze, ho sentito che la mia musica applicata al segno visivo (cinematografico, teatrale, coreografico, od altro) era un processo di unificazione e finalità artistica a me particolmente congeniale. Ho vissuto vent’anni insieme con la pittrice americana Edith Schloss, e lei mi ha dato gli occhi - un organo poco usato dai compositori - e perfino mi ha portato a creare alcuni installazioni sonore di notevole evidenza visiva. Ad esempio, The 20th Century, The 21st Century, Gardening with John, Oh Brass on the Grass Alas - con 300 fiati.
- Hai suonato anche con il rapper italiano Frankie Hi Nrg miscelando musica, rime e testi letterari. Che cosa principalmente ti ha spinto a quell’esperienza?
- Quello che mi ha spinto era un'attraente e insolita proposta di lavoro - una commissione dal gruppo AlterEgo per il festival delle Nazioni di Citta' di Castello.
Mi ha incuriosito Frankie perché è un tipo molto disposto ad uscire dalle solite convenzioni del rap e hip-hop... è uno che ama la ricerca, si sente a suo agio nel centro dell'avanguardia.
Nei miei 60 minuti di musica ho fatto entrare Frankie nei testi del famoso Pierrot Lunaire di Schoenberg, nei versi di Dante Alighieri recitati a rovescio, e nei numeri della tombola napoletana... Frankie, in mezzo a questo remix contemporaneo, era però sé stesso, il Frankie rapper, accompagnato da una rockeggiante ensemble di nuova musica.
- Parte della tua produzione è stata pensata per il mezzo radiofonico. Alcune di quelle realizzazioni si sono trasformate anche in rappresentazioni spaziali; ad esempio, “Tufo muto” eseguito in una grande cava di tufo dotata di una sorta di quadrifonia naturale e da te basata sui suoni della cultura arcaica di Matera (lo ricordo ai più distratti: per Audiobox, trasmissione e Festival ideati da Pinotto Fava).
Qual è il più rilevante motivo della tua attenzione per la radio?
- Trovo rilevante che la radio sia di natura ubiqua, sta dovunque e da nessuna parte.
E’, ed è stata, uno dei piu' inventivi mezzi espressivi del nostro tempo. Inoltre, per molti anni e in più parti del mondo gli va riconosciuta l'importanza avuta nell’accorgersi per tempo di tanti musicisti contemporanei.
M’interessa la radio perché, anche in tempi lontani, prima ancora dell’avvento del digitale, è stato il “luogo” per eccellenza dal quale ognuno di noi poteva partire per una qualunque destinazione, geografica o fantastica, vivendola in dimensioni interiori: la radio era, e tuttora è, un insuperabile luogo dell’immaginario. Inoltre, è stato il mezzo che ha permesso, perfino nei suoi primi anni, d’accedere alle proposte sonore più impensabili per una diffusione concertistica... il luogo - teatro della psiche profonda - dove musiche ed effetti sonori, la voce recitata o cantata oppure strippata potevano trovare pari valori espressivi.
E la radio, come intuito magnificamente da Pinotto Fava, e poi altri consimili in Germania, Olanda, Francia Austria, rimane l'unico angolo di sperimentazione sonora (purtroppo oggi non più in Italia) che può sostenere attraverso antenne pubbliche la creazione sonora pura.
- Da un vecchio medium com’è la radio ad uno recente qual è Internet. Come vedi il futuro della musica attraverso Internet?
- Internet, per cominciare, ci obbliga a capire un nuovo modo d’intendere la concezione e la produzione della proprietà artistica. Un problema esploso in tempi recenti, come una bomba caduta dal nulla. Effettivamente ora, chiunque può riprodurre il lavoro di qualcun'altro. Io stesso lo faccio, con discrezione, cioè rubo come un ladro qualunque i suoni di altri e li trapianto nel mio giardino.
Altro problema è quello d’impadronirsi di opere intere, per godimento personale o per rivenderle. Da quando gli uomini e le donne fanno musica (cioè suono coscientamente organizzato e replicabile, vale a dire da circa 30.000 anni) nessuno s’era mai dovuto confrontare con una situazione simile: un brano creato da un musicista nella giungla di Samoa è replicato 30 secondi dopo da uno a Chicago e venduto secondi dopo a uno di Beijing. Poteva sembrare una fantasia, ma adesso succede tutti i giorni. Perciò, il commercio via internet è inarrestabile, infinito, e spesso illegale. D'altra parte noi umani siamo tutti "illegali", in quanto non c'e spiegazione abbastanza convinciente di come siamo capitati qua!
- E come medium puro?
- Come medium puro, circa la musica, Internet può diventare una gigantesca sala da concerto che propone situazioni musicali mai vissute né immaginate nella storia. Certo, ci sono stati molti tentativi d’utilizzare lnternet come una nuova occasione tecnica per la nuova musica - in particolare musica che non richiede "sincronizzazione" temporale - visto che le distanze e la tecnologia non sono ancora tali da permettere musica in pulsazioni sincronozzate (cioe' "beats") e visto che la maggior musica del mondo è basato su forme musicali che richiedono un "insieme" assoluto, è chiaro che per ora, internet non e' il luogo adatto per questo modo di suonare.... invece per qualunque emissione sonora la cui struttura e' di natura "indeterminata" credo che internet possa essere il luogo ideale.
Ora, però, sono stati sviluppati sistemi di comunicazione ad altissima velocità (in fibra ottica) che permettono non solo al suono ma anche all'imagine, con alta qualità, la circolazione su lunghissime distanze, in quasi tempo reale, cioe' come se tutti i musicisti fossero seduti gli uni accanto agli altri sullo stesso palcoscenico...
- Hai esperienza al proposito?
- Sì, attualmente sono impegnato in un nuovo lavoro che mi è stato richiesto. Lavorerò su Grid-Jam. E' un sistema di comunicazione che permette anche la realizzazione di immagini che generanno suono e viceversa - un concetto sinestetico dell’artista americana Jack Ox. Il debutto e' previsto per Autunno 2011.
A proposito dei lavori che vado svolgendo, voglio citare il critico musicale Alex Ross il quale ha scritto un libro recente dal titolo "The Rest is Noise" che cerco di tradurre in Italiano come “Tutto il Resto e' Rumore!”
- Ha scritto John Cage nel 1967: “Quel che occorre, ed occorrerà, al musicista non è un computer che risparmi la fatica, ma che anzi accresca il lavoro da fare”.
E’ stato ascoltata quella sua riflessione?
- Quella era una riflessione filosofico-poetica di Cage, nata all’epoca in cui lavorava per la prima volta con i computers (all'universita dell’Illinois). Allora i computers erano dei dinosauri mostruosi, sia per dimensione fisica sia per i rumori e per il calore che emittavano, infine, e sopratutto, per la lentezza archeologica del loro funzionamento da bestie-calcolatrici. Perciò, Cage ha capito subito che il computer in sé, non e' altro che un semplice strumento nuovo con tutte le promesse della sua età giovane.
Lavorare instancabilmente, come Cage nel suo puro e quasi puritano senso di compromesso artistico indicava, è un ragionamento di grande importanza. In altre parole, non importa da dove viene l'impulso a creare, ma essere spinto a creare in continuazione era in sé l'ultima giustificazione vitale. In un certo senso, aveva ragione, perché il computer ci complica la vita quotidiana in maniera sproporzionata nonostante i benefici ovvii che ci regala. Si pensi però anche al nostro credere che siamo in "contatto" perpetuo con tanti - poi alla fine siamo soltanto in contatto con le nostre guardie penitenziarie le quali ci fanno comperare senza sosta ogni nuovo aggeggio elettronico che esce sul mercato - pena espulsione immediata dalla società. Dell'elettronica siamo quasi tutti tossicomani, ma per niente e da nessuna parte garantisce facile creatività, come Cage ha giustamente osservato, percio’ assecondo le sue parole, c’e’ molto da fare!
- Aldilà della musica, in quale delle aree espressive… arti visive, letteratura, teatro, fumetti, net art… per te ci sono oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- Mi è difficile rispondere ad una domanda cosi vasta e importante... ma posso dire che non noto, almeno dal mio punto di vista di vecchio sperimentalista, molto di nuovo oggi nelle arti visive, video, o altro... perché stiamo ancora digerendo gli ultimi cento e più anni, che hanno dato il dadaismo, il futurismo, l'arte brut, l'arte del rumore e tutto il resto che ci ha conferito il nostro modernismo.... non c’è più cielo né cesso dove ormai le forme d'arte d'oggi non siano entrate.
Siamo ad un punto di esaurimento artistico generale... e questo è bene secondo me, perché il composto delle arti di tutti tempi facciano il loro effetto fertilizzante.
Al momento si sta fermi, nessuna novità.
Dalla mia generazione, nella musica elettronica, ad esempio. sono emersi i nuovi eroi che provengono dalla club-music, tagging, graffitti art, and actions of brutalita' tortura ed orrore, new-age, tutte cose che rispecchiano la nostra società, life-style globale, veloce, edonista, e spesso politicamente indifferente. Mi sembra che oggi, l'arte visiva e multimediatica manchi della poesia casuale quasi-infantile di un Cy Twombly, oppure i gesti grandi e le dimensioni utopistiche della land art di Robert Smithson, o il tufo nella vasca di caso-puro come proposta dai lavori di Cunningham e Cage, oppure gli happenings di Alan Kaprow, MEV, o ancora le costanti sperimentazioni coreografiche di Trisha Brown e Joan Jonas, il teatro utopistico e politicamente ispirato del Living Theater, quello squisitamente epocale di Bob Wilson... certo parlo con una pesante parzialità per la cultura americana del tardo novecento, ma il fatto sta che non vedo oggi, chi, e dove, s’assuma tanto rischio nella loro creatività e produzione artistica. Oggi le avanguardie del passato recente sono diventate una comune esperienza del post-modernismo, un boccone squisito per mandare avanti il lavoro della quotidiana ricreazione del mondo che, effetivamente, è l'unico lavoro di un artista cosciente.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- A dire il vero, non ho mai visto Star Trek, fino a questi tempi più recenti, quando è diventato un mito culturale... Durante gli anni sessanta, settanta, e gran parte degli anni ottanta, non possedevo un televisore, perciò ero escluso non solo dalla cultura televisiva, ma anche da gran parte della rivoluzione rock degli stessi anni... ok, una scelta personale di auto-esclusione sociale.... ma devo dire che sono pronto come qualsiasi altro essere umano a sognare di viaggiare nello spazio, e a volte ci riesco. Volando sulle mie misticanze sonore.
- Siamo quasi arrivati a Curran-A, pianeta sonoro abitato da alieni che vivono in giardini magnetici e praticano riti marittimi e spaziali… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di "Enos”, consigliata da Antonella e Miriam patronnes del ristorante ‘La Piazzetta del sole” a Farnese… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Certamente. A presto Armando!
- Ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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