L'ospite accanto a me è Guido Zaccagnini.
Musicista e storico della musica.
Da dove comincio a dire di lui?...Idea!...Curò nel 1979, al Teatro
Argentina di Roma la prima esecuzione mondiale integrale delle composizioni
di Friedrich Nietzsche, poi pubblicate dall'editrice Bären-Reiter.
Successivamente, come pianista, con l'Ensemble Spettro Sonoro, da lui
fondato, registrò per l'etichetta Edipan
le musiche liederistiche dello stesso Nietzsche, affrontando poi, per
anni, il repertorio contemporaneo, sempre con il complesso "Spettro
Sonoro", suonando, tra l'altro, in prima esecuzione assoluta, "Madrigale"
di Aldo Clementi.
Ricordo anche in un'estate romana un suo delizioso spettacolo teatrale,
"Prehistoric Music", che conobbe pure un'edizione radiofonica
per la Rai.
Come compositore, ha firmato le musiche del film di Paolo Grassini e
Italo Spinelli Roma, Paris, Barcelona, che ha ottenuto il premio
"De Sica" 1989 e l'"Ischia Cinema"; documentari
per la Tv: Ultimo minuto, Geo e Geo, Il decalogo dei Taliban
http://www.asiaticafilmmediale.it
e musiche originali per sceneggiati radiofonici sia di prosa tradizionale
sia per programmi di sperimentazione sonora
titoli?...ne sono
tanti e tanti che a citarli tutti facciamo notte, ma poiché siamo
sempre in un qualche periodo di frenesia pedatoria, ne citerò
uno: Football Concert, esercizi di stile sui termini calcistici
pressing,
gol, supporters, eccetera
interpretati in musica. E inoltre, per
la la tv, ha composto musiche per fiction, ad esempio Vortice,
lavorando con molti personaggi della nostra scena: da Lauretta Masiero
a Renato Nicolini a Simona Marchini.
Insegna Storia della musica al Conservatorio di Perugia e all'Università
di Roma Tre.
Come critico musicale, ha collaborato con quotidiani, settimanali e
riviste specializzate.
Da anni, conduce programmi musicali per la Terza Rete Radiofonica della
Rai.
E, visto che del tempo gliene avanzava, ha curato e tradotto per le
Edizioni Adelphi "La generazione romantica" di Charles Rosen
www.adelphi.it,
e per Einaudi, il libro di Maynard Solomon intitolato "Su Beethoven"
http://www.einaudi.it.
Per la Pendragon di Bologna http://www.pendragon.it/,
è uscito Hector en Italie, uno studio dedicato a Hector
Berlioz.
Vi basta?...Siete sazi?...No, perché ci sarebbe dell'altro, non
fate complimenti.
Lo conosco da anni, e fra le cose di lui che apprezzo c'è la
capacità - grazie anche alla tozza preparazione letteraria e
filosofica che possiede - di conoscere e interpretare la musica in modo
olistico: dalla classica al jazz, dalla lirica al rock. E' cosa alquanto
rara in un tempo in cui prevale la specializzazione che, pur essendo
apprezzabile, talvolta produce effetti nefasti con personaggi che sanno
tutto sull'unda maris dell'età barocca ma poi confondono Orietta
Berti con Patty Smith.
- Benvenuto a bordo, Guido
- Ciao, Armando. Mi è stato detto che qui posso trovare qualcosa
di notevole, sotto il profilo enologico. E' vero o sono caduto in uno
dei tuoi soliti tranelli?
- Giudica tu, voglio farti assaggiare questo Amarone di Vinitalia…qua
il bicchiere…ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne
la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però
noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", prudenza
vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la
conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…quello
fisico risparmiacelo…insomma, chi è Guido secondo Guido…
- "Sarò breve", come disse il conferenziere depositando
sul leggio davanti a sé un pacco di cinquecento fogli. Scherzi
a parte, Guido è un tipo che, professionalmente parlando, dalla
musica ricava piacere, denaro, stress, euforia, affetti, frustrazioni
e vittorie (più private che pubbliche). Segni particolari: ama
cucinare (punto di forza: polpette e bucatini all'amatriciana), giocare
a ping-pong (punto di forza: la battuta), collezionare maiali (in ogni
loro forma inanimata) e stare lungamente, nella penombra, a mollo nella
vasca da bagno.
- Come ho detto prima, hai studiato e interpretato le musiche di Nietzsche.
Aldilà della curiosità che ispirano le composizioni di
un autore noto per altri meriti, quelle musiche quale valore espressivo
hanno? Più di un'antologia musicale liquida il filosofo (lo ricordo
ai più distratti: dapprima amico di Wagner, poi tra i suoi più
irriducibili avversari) come un dilettante, è proprio così?
- Nella maggior parte dei suoi lavori, lo è. Ma c'è qualche
pagina (il Fragment an sich per pianoforte, o una mezza dozzina di Lieder)
che si pone ben al di sopra del livello medio dell'amateur. In ogni
caso, non bisogna certo andare alla ricerca, nelle composizioni di Nietzsche,
di quella complessità e di quella profondità che animano
i suoi scritti sulla musica fra i quali, come ricordavi, le micidiali
requisitorie antiwagneriane.
- Da Nietzsche a Berlioz sul quale hai scritto di recente Hector in
Italie.
Da dove nasce il tuo interesse per quel compositore? Le sue opere, anche
quelle che mai riuscì a realizzare immaginando performances in
grandissimi spazi di fronte a grandissime folle, quale attualità
ha? Se ne ha una, s'intende…
- Ne ha, ne ha. Per esempio, nell'indagare inedite forme di spazialità
sonore, nelle inverosimili sperimentazioni timbriche
hai mai pensato
che tra la Nona Sinfonia di Beethoven e la Sinfonia fantastica intercorrono
appena sei anni?...
-
francamente, no
- lo immaginavo
nei giochi poliritmici, nel convivere - a metà
tra il compiaciuto e il frustrato - con l'utopia. A proposito, sarebbe
possibile avere un secondo bicchiere di Amarone?
- Sì, non è un'utopia ma te lo devi guadagnare rispondendo
alla prossima domanda.
Diceva Edgar Varèse: ''Non esiste un'avanguardia, ci sono solo
persone parecchio in ritardo.''
Lo ritieni solo un intelligente paradosso o un autentico giudizio critico?
In altre parole, nella storia della musica esiste un momento in cui
si può parlare di reale rottura col passato, di "avanguardia"?
- Non c'è dubbio che la storia della musica sia costellata, anzi
segnata da rotture più o meno radicali con la tradizione. Da
settecento anni a questa parte, così, su due piedi (si fa per
dire, visto che siamo seduti), mi vengono in mente: Guillaume de Machaut
e il mottetto isoritmico, Gesualdo da Venosa e i suoi madrigali (con
i quali Stravinskij gli ha poi eretto un Monumentum), Orlando Gibbons
ed altri virginalisti inglesi, il teatro mozartiano, Berlioz e le sue
invenzioni foniche, Liszt e gli estremi, inverosimili, lavori pianistici.
E poi, il Novecento, con lo scardinamento dei parametri temporali di
Debussy, l'uso dei quarti di tono di Ives, l'immissione in partitura
del rumore con Varèse, lo Sprechgesang di Schoenberg, la serialità
integrale di Messiaen, lo Stockhausen del Gesang der Jünglinge:
per non parlare di Cage.
- Il critico francese Daniel Charles profetizzava che la caratteristica
principale della nuova musica sempre più sarebbe stata "l'allontamento
da ogni tipo di centralità, da ogni scuola". L'ha azzeccata?
Cioè, oggi ogni compositore fa storia a sé? Per intenderci,
a differenza del tempo di Darmstadt?
- E' vero che, negli anni Cinquanta e Sessanta, Darmstadt fu un poderoso
centro di aggregazione di compositori che allora avevano trenta o quaranta
anni (anche se non bisogna dimenticare, fra i tanti che ne rimasero
sostanzialmente estranei, i nomi di Stravinskij, Petrassi, Milhaud,
Henze, Britten e tanti altri). Tuttavia, affermare che Berio, Cage,
Kagel, Clementi e Xenakis appartenessero alla stessa scuola mi sembra
rischioso, o quantomeno riduttivo. Venendo ai nostri giorni, comunque,
concordo con quello che scrisse Daniel Charles, ma lo interpreto come
un auspicio piuttosto che un vaticinio che si è avverato. Oggi
abbiamo fin troppe scuole, e tutte di livello che oscilla tra il mediocre
e il pessimo: dal neo-romanticismo alla new age, dal minimalismo alla
world music. Scusa la franchezza, Armando: per lo più, a mio
avviso, si tratta di robaccia insignificante…
- …Guido, non l'ho composta io, te lo giuro!...
- L'intreccio fra suono, gesto, danza e parola è una delle tendenze
più significative della nuova musica. Lo propone in teatro Bob
Wilson, tanto per fare un solo nome, ma anche, partendo dall'area musicale,
Philip Glass collabora a performances multimediali. "Un teatro
della mente che provoca il desiderio di ascoltare con gli occhi e vedere
con le orecchie" come disse Luciano Berio. Questo desiderio sinestesico
è suggerito dalle nuove tecnologie oppure è cosa che viene
da lontano?
- Nelle tragedie di Euripide, la poesia, la danza e la musica interagivano
strutturalmente. Che cos'è il Gesamtkunstwerk di Wagner se non
(anche) un tentativo di rispondere complessivamente alle plurime esigenze
dello spettatore? Per il balletto Parade, Satie, Cocteau e Picasso lavorarono
a stretto contatto. Nella storia della musica, del teatro e della danza,
c'è sempre stato chi ha guardato con interesse alle forme in
cui la connessione tra occhio e orecchio fosse il punto focale dell'atto
creativo. E' evidente che l'avvento di sistemi tecnologici sempre più
sofisticati ha stimolato questa pulsione in termini di resa spettacolare:
anche se, però, non sempre (anzi!), del mezzo, è stato
fatto un uso adeguato. A proposito di mezzo: non si potrebbe avere un
altro mezzo bicchiere di quell'Amarone di Vinitalia?...
- …uffà sì…certo, che non ci vai leggero!
- Tod Machover, genio del MIT, - non a te, ma a beneficio dei miei
avventori, ricordo che si è formato nello studio di musica classica,
rock e computer - autore della "Brain opera", la prima opera
lirica interattiva, ha scritto: "siamo prossimi ad un tempo in
cui ciascuno creerà musica collegando gli strumenti con gli oggetti
del proprio ambiente casalingo: mobili, vestiti, elettrodomestici".
T'interessa quella direzione?
- In linea di massima, m'interessa. Perché m'incuriosisce qualsiasi
elemento di novità: nell'arte come in altri ambiti. Tanto per
esemplificare, non sono ideologicamente contrario agli organismi geneticamente
modificati, all'energia nucleare, ai telefoni cellulari, al vino australiano.
Nello specifico musicale, ricordo con una certa nostalgia una performance
di Cage al Teatro delle Arti (a Roma, diversi anni fa), durante la quale
Cage, sul palcoscenico, cucinò una zuppa di verdure che poi,
con il mio amico Pietro Gallina, riuscii ad assaggiare. Annotata la
ricetta, la riproponemmo nella trattoria a Testaccio dove lavoravamo:
non siamo diventati ricchi ma un qualche utile lo ricavammo. Ho risposto
alla domanda?
- Lo sviluppo del sintetizzatore è stato determinante un tempo
sulla musica leggera e rock orientando la ricerca di autori e gruppi
come i Grateful Dead, i Tangerine Dream, i Pink Floyd, i Van der Graaf
Generator con Robert Fripp, Brian Eno e, in Italia, gli Area di Demetrio
Stratos, per ricordarne solo alcuni. Le nuove tecnologie, con accresciute
possibilità rispetto a ieri, stanno producendo risultati espressivamente
comparabili a quelli prima citati?
- Mi sembra proprio di no. Ma vorrei aggiungere ai nomi che hai fatto.
Quelli di Frank Zappa e di Wendy Carlos. In diverso modo, entrambi hanno
creato musiche, sia in ambito rock, sia in quello colto, di un valore
troppo al di sopra di quello mediamente raggiunto nella generazione
successiva. Tanto per dirne una, Glenn Gould - che di Bach se ne intendeva
- affermò che la versione della Carlos del Concerto Brandeburghese
n. 4, realizzata al sintetizzatore, era la migliore che egli avesse
mai ascoltato.
- Il grande chitarrista maliano Farka Touré, ad un convegno di
studi etnomusicologici della Fondazione Cini, ha definito la world music
"un calderone che omologa e non favorisce un nuovo umanesimo multietnico".
Tu come la pensi?
- Se invece di bere mi ascoltassi
e magari mi offrissi un altro
bicchiere
-
ma se sto facendo solo questo da quando sei salito quassù!
- Se invece di bere mi ascoltassi, dicevo, non mi avresti fatto questa
domanda. Ho poco fa citato la world music tra quei fenomeni odierni
che, a voler essere generosi, raggiungono lo stato di mediocrità.
E' una pura e semplice operazione commerciale, basata sull'applicazione
di moduli melodici e/o ritmici e/o armonici, della più banale
musica di consumo occidentale, a strumenti scelti in virtù delle
loro sonorità esotiche, appartenenti cioè a culture e
a tradizioni (per lo più, orientali e/o africane) poco note ai
pubblici europei e americani. Il risultato sonoro ha molto più
a che fare con i bilanci delle multinazionali del disco che con la musica.
- Nel cyberspazio è nato il primo Conservatorio on line. Utilizza
Internet e la tecnologia Midi per le lezioni di musica tenute da circa
cento insegnanti residenti in quattro continenti.
Come giudichi questo esperimento?
- Sì, ero al corrente di questa iniziativa e credo che possa
funzionare: a patto che si decida di usare una lingua che tutti possano
parlare e capire. Quale? Quella che ti pare: il ladino, l'urdu, il paleo-siberiano,
il dravidico, il bantu, l'italiano. Quello che deve essere chiaro, infatti,
è che la musica NON è un linguaggio universale. Se siamo
d'accordo su questo, brindiamo; altrimenti, brindiamo lo stesso
- Sono molti anni che lavori a RadioRai come conduttore di programmi
e anche autore.
Nello scenario dei media quale ruolo ritieni debba avere oggi la radio?
- Il discorso potrebbe essere lungo quanto un viaggio intergalattico.
Mi limito a dire che non si ha idea di quanto ampio sia il divario tra
il potere (se preferisci, le potenzialità) della radio e la sua
valorizzazione, economica innanzitutto. E questo perché ci sono
milioni di persone che ascoltano la radio: e lo fanno stando nei luoghi
più diversi, impegnati in attività tra le più disparate,
avendo un'età che oscilla tra i venti e i novanta anni; milioni
di persone che appartengono a classi sociali ed economiche enormemente
differenziate, il cui livello culturale va dal semi-analfabeta all'intellettuale
raffinato, che sono di destra, di centro e di sinistra. Ma questa moltitudine
è tutt'altro che una massa: quella di accendere la radio e sintonizzarsi
su quella frequenza è una scelta privata dell'ascoltatore: che
lo porta ad essere esigente, severo, ma anche capace di un affetto e
di una partecipazione sostanzialmente ignoti al telespettatore. Giorno
dopo giorno, quando conduci un programma ed ascolti la segreteria telefonica
o leggi i fax e le email inviate in redazione, sei di volta in volta
un professorino saccente, un gran simpaticone, un possibile fidanzato,
un autentico cretino, un bifolco, un erudito. E' questo il bello della
radio: ciascuno ti vede (o meglio, ti sente) a modo suo e crede, giustamente,
d'avere il diritto di sgridarti, correggerti, consigliarti, complimentarsi.
Scusa il pistolotto, mi sono lasciato andare. Quale ruolo della radio,
mi chiedevi? Favorire, incentivare le capacità reattive di quei
milioni di singoli individui che l'ascoltano.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
infliggo una riflessione su Star Trek
secondo te, che cosa rappresenta
quel videomito nel nostro immaginario?
- Domanda senza risposta: "the unanswered question". Credo
che a Charles Ives non sarebbe dispiaciuto che si prendessero a prestito
il suo titolo e la sua musica per commentare le avventure del Capitano
Kirk & co.
- Siamo quasi arrivati a Zaccagnynya, pianeta in play back abitato da
alieni che suonano da mane a sera il tetracordo col sintetizzatore disturbando
tutto il condominio della Galassia
se devi scendere, ti conviene
prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché
è finita la bottiglia di Amarone di Vinitalia
Però
torna a trovarmi, io qua sto
intesi eh?
- Contaci. Però, dato che non so quando salirò di nuovo
a bordo, non è che potrei portare via una paio di cartoni di
quell' Amarone di Vinitalia?...
-
ehm
uhm
sai
- No, eh? L'immaginavo. A presto comunque.
- Vabbè, ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga
vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.
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