L’ospite accanto a me è Riccardo Giagni. Musicista e musicologo.
E’ nato a Roma nel 1956 da genitori lucani. Si laurea in filosofia presso l’Università della sua città e compie studi musicali (armonia e composizione) presso il Conservatorio dell’Aquila.
Dal 1976 collabora con la Rai - sia in radio sia in televisione - in veste di autore, regista, consulente musicale e conduttore di programmi culturali.
Ha lavorato a lungo nel settore della discografia nazionale in qualità di produttore, arrangiatore e autore. Ha curato festival e convegni internazionali legati alla musica e alle arti della visione, e collabora con musei e istituzioni nazionali e internazionali (Centre Georges Pompidou di Parigi, Museo d'Arte Contemporanea di Strasburgo, Sound Art Museum di Roma, Biennale di Venezia). Dal 1998 insegna Storia della musica per il cinema presso la Facoltà di Beni Culturali dell'Università di Lecce e dal 2002 anche al Dams attivato presso la medesima Università.
Dal 2004 dirige per le Edizioni Argo una collana di volumi dedicati alla molteplicità delle relazioni fra immagine e suono.
Ha lavorato con numerosi registi, da Luciano Odorisio a Mimmo Calopresti, da Carlo Lizzani a Massimo Costa, da Egidio Eronico a Guido Chiesa.
Con Sabina Guzzanti ha collaborato al programma televisivo Raiot e allo spettacolo teatrale Reperto Raiot , firmando in entrambi i casi le musiche originali.
Ha curato le colonne sonore di diversi progetti cinematografici e televisivi di Marco Bellocchio: Sogni infranti , La religione della Storia , L'ora di religione , Buongiorno, notte . E’ attualmente impegnato nella realizzazione delle musiche del nuovo film di Bellocchio ( Il regista di matrimoni ) e lavora con Peter Greenaway a due distinti progetti visivo-acustici. Per le musiche de L’ora di religione ha ricevuto il Premio Internazionale Ennio Flaiano nel 2002.
- Benvenuto a bordo, Riccardo …
- Grazie a te per l’ospitalità, e in particolare per l’accoglienza in vineria: dài, bando ai convenevoli e diamocela a bere…
- Il sommelier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura , mi ha consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo ‘Prelit’ Rosso Collio, Damijan 2001, inviandomi anche una nota in spacefax che dice “Bicchiere interessante perchè il risultato è un vino fatto di note che vanno dai lieviti ai tostati alle frutta di contadina memoria”… bene, qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Riccardo secondo Riccardo…
- Beh, chiedere un autoritratto a uno come me che in tanti anni non è ancora riuscito a mettere per iscritto un curriculum decente… Sarei tentato di definirmi “dottore in nulla”, ma la qualifica è stata già ipotecata da Guy Debord e dunque, ubi maior… Diciamo allora che la cosa che - oggi come e più di ieri - mi pare meglio caratterizzi la mia personalità e in fondo anche il mio lavoro, è una determinazione piuttosto testarda a evitare di far carriera in qualsiasi campo. Lo stesso termine “carriera” e la sua evocazione mi provocano, oltre all’orticaria, l’istantaneo riflesso a voltare sui tacchi e darmela a gambe in direzione opposta.
- In quest’anno, per i terrestri è il 2005, è nata "Ascoltare lo sguardo" una collana editoriale dedicata alle relazioni tra suono e immagini da te diretta per l’Editrice Argo www.argoeditrice.it. Racconta ai miei avventori com’è nata, quali finalità si prefigge…
- L’iniziativa nasce un po’ dalla mia propensione a mescolare le carte dello sguardo e dell’ascolto nella riflessione teorica e nella pratica del cinema, della musica e delle arti visive; e moltissimo dall’intelligenza e dalla generosità di un editore/intellettuale come Gianni Schilardi, che sa unire occhio lungo e spirito “antico” di un nobile mestiere. In realtà con questa nascente collana, Argo Editrice non ha fatto altro che sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda di una nuova sensibilità intellettuale che, oltrepassando ogni steccato specialistico e ogni frontiera di linguaggio, produce oggi riflessioni profonde, innovative sul senso del suono e della visione. Un filo che collega Péter Szendi a Kenneth Goldsmith, Douglas Kahn a Jean-Luc Nancy, Peter Halley a Philippe Sers, tra Europa e Stati Uniti. E scusa se è poco… Per quanto ci riguarda, cercheremo di testimoniare queste nuove cose in movimento pubblicando saggi in traduzione e proposte italiche di grande interesse: occhio (e orecchio) ad Argo!
- A proposito di intersezioni fra i linguaggi. L’intreccio fra suono, gesto, danza e parola è una delle tendenze più significative della nuova musica. Lo propone in teatro Bob Wilson, tanto per fare un solo nome, ma anche, partendo dall’area musicale, Philip Glass collabora a performances multimediali. Un teatro della mente che provoca il desiderio di ascoltare con gli occhi e vedere con le orecchie. Questo desiderio sinestesico è suggerito dalle nuove tecnologie oppure è cosa che viene da lontano?
- Dal “così vicino, così lontano” della nostra stessa radice culturale d’occidente: l’osservazione leonardesca sulla pittura come “cosa mentale”, fermento che non si coglie principalmente con gli occhi, cos’è se non l’intuizione antica e insieme modernissima della natura concettuale delle arti? Le nuove tecnologie magari facilitano i procedimenti di produzione e di fruizione (ma quanto, poi?): il grosso ce lo mette lo statuto stesso delle arti così come abbiamo imparato a conoscerle attraverso un lungo, faticoso, nobile processo; come una specie di vinificazione dello sguardo e dell'ascolto... Lancio un appello ai molti internauti immemori: un po’ di rispetto per la tradizione, perbacco!
- Un’altra tua recente impresa è il Sound Art Museum.
Qual è il suo disegno culturale e espressivo?
- Il Sound Art Museum è l'ennesima espressione della creatività di Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni che da molti anni, in particolare attraverso la loro associazione Zerynthia www.zerynthia.it, animano il "complotto" internazionale dell'arte visiva contemporanea di qualità. L'idea di un "museo del suono" non è nuova: nuova è piuttosto l'intenzione di repertoriare con competenza e fantasia gli esiti di una rinnovata sensibilità degli artisti della visione nei riguardi di tutto ciò che è suono e musica. E' quello che vanno tentando, come curatori del progetto, Cesare Pietroiusti, Lorenzo Benedetti e il sottoscritto. Alcune mostre importanti nelle capitali dell'arte attuale (New York, Berlino, Londra...) in questi ultimi quattro-cinque anni stanno testimoniando l'interesse crescente degli artisti per l'universo acustico e per la dimensione dell'ascolto, una dimensione finora piuttosto trascurata. Il Sound Art Museum, collegato fra l'altro con il gruppo internazionale Nomads & Residents, offre dall'Italia e ovunque attraverso la webradio RadioArteMobile www.radioartemobile.it e all'interno della sua postazione museale "tradizionale" di via Conte Verde 15, a Roma, uno sguardo/ascolto interessante su un universo in formazione. Passate a trovarci!
- Per rispondere alle esigenze che la nuova musica propone, ritieni sia necessario uscire – più di quanto sia stato finora occasionalmente fatto – dai luoghi tradizionali? Dalle accademie, i conservatori, le sale da concerto? E per andare dove?
- La musica è mercuriale per definizione. E in fondo lo è sempre stata: in ogni epoca i musicisti si sono misurati con lo spazio e con i suoi limiti, da accarezzare e talvolta da violare (pensa ai Gabrieli a Venezia e all'invenzione rinascimentale/barocca della stereofonia nello spazio della grande piazza). Il problema centrale oggi mi pare piuttosto la definizione stessa di suono/musica: una definizione evidentemente da ripensare, se non proprio decostruire. L'apertura di nuove e inaudite possibilità di accesso rapido, facilitato, alla produzione e alla fruizione di qualunque tipo di linguaggio/repertorio/prodotto sonoro da parte di individui non soggetti a training specifici, rende ardua, e spesso addirittura ridicola, ogni pretesa di costruire/ricostruire una casta - magari cooptabile - depositaria privilegiata di un sapere riservato. In questo senso l'Accademia, ogni Accademia, anche quella delle Avanguardie, è virtualmente finita: qualcuno che ci riprova c'è ancora e ancora ci sarà. Ma il suono nuovo ha ormai preso altre vie, e si dirige "verso Giove e oltre l'infinito"...
- Il critico francese Daniel Charles profetizzava che la caratteristica principale della nuova musica sempre più sarebbe stata “l’allontamento da ogni tipo di centralità, da ogni scuola”. L’ha azzeccata? Cioè, oggi ogni compositore fa storia a sé? Per intenderci, a differenza del tempo di Darmstadt?
- E' proprio questo il punto! La sensazione che la parabola di Darmstadt (dell' influenza del suo linguaggio, dei suoi proclami, dei suoi diktat) fosse in fase terminale ce l'avevamo - in pochi, per la verità - già una trentina d'anni fa: e si è andata approfondendo negli anni ottanta e via via oltre. Già allora era preferibile, per un compositore allegro, far da sé e andare "avanti in tutte le direzioni", come proclamavano i 3 Mustaphas 3. E, guarda caso, le migliori esperienze musicali di quegli anni provengono tutte da battitori liberi, a Est come a Ovest: non faccio nomi per evitare di umiliare ulteriormente i tanti che fino all'altroieri sostenevano pubblicamente che quella di Frank Zappa (o di Brian Eno, o di Giya Kancheli, o di Steve Reich...) non fosse neanche "musica", magari facendosi scudo dietro quella di Giacomo Manzoni.
- Lo sviluppo del sintetizzatore è stato determinante un tempo sulla musica leggera e rock orientando la ricerca di autori e gruppi come i Grateful Dead, i Tangerine Dream, i Pink Floyd, i Van der Graaf Generator con Robert Fripp, Brian Eno e, in Italia, gli Area di Demetrio Stratos, per ricordarne solo alcuni. Le nuove tecnologie, con accresciute possibilità rispetto a ieri, stanno producendo risultati espressivamente comparabili a quelli prima citati? Se sì, puoi segnalare dei nomi? Se no, perché?
- C'è un movimento interessante dietro alle nuove esperienze "elettroniche", in giro per il mondo: un'attenzione ai dettagli, un certo "riguardo" nei confronti del suono e delle sue possibilità di trasformazione dinamica, soprattutto nella generazione dei venticinque/trentenni. Mi piace l'impostazione di figure come quella di Carsten Nicolai (e Alva Noto, la sua "metà femminile", come suggerisce Stephen Vitiello), che non a caso è un artista che fiancheggia e si compromette con la visual art. E mi piace soprattutto il fatto che in questi nuovi ambienti internazionali di frontiera si manifesti una certa orizzontale amichevolezza e non imperversino primedonne, almeno finora. In questa direzione persino in Italia qualcosa sembra muoversi.
- Il pianista Glenn Gould in un articolo sull’avvenire delle tecniche di registrazione e ascolto della musica, scrisse: “In un futuro il pubblico potrebbe diventare l’artista e la vita l’arte”.
Credi che le tecnologie abbiano realizzato o stiano per realizzare quella previsione?
- La questione è molto più politica e meno "tecnologica" di quanto sembri a prima vista: l'intuizione di Gould ha la sua inconsapevole radice rivoluzionaria nella Parigi di fine anni cinquanta, nelle teorizzazioni dei giovani situazionisti che proclamavano la necessità storica di "realizzare l'arte" rovesciando il mondo. Nella loro visione generosa, arte e vita coincidono come esito di un processo di liberazione collettiva: è la forma di eversione che prediligo.
- Radio Rai, in questi ultimi tempi, è spesso criticata per le gravi carenze che presenta. E, fra queste, a giudizio di molti, c’è la mancanza d’adeguati spazi per i nuovi compositori.
Oltre, ovviamente la qualità scadente dei palinsesti che ha visto in questo appena trascorso aprile ’05 crollare gli ascolti. Tu, sei soddisfatto oppure no della programmazione musicale della radio pubblica? Se no, che cosa le rimproveri?
- Sono stato troppo coinvolto nelle vicende della radio nazionale, e in particolare di Radiotre, per poter dare un giudizio sereno sulla situazione attuale: qualche anno fa, assieme a tanti altri migliori di me, sono stato graziosamente espulso dalla programmazione, senza spiegazioni e dopo più di vent'anni di lavoro e di dedizione personale all'idea di una radiofonia sincera, dignitosa. Oggi mi sento lontano da queste cose: ascolto più distrattamente - un po' come molti credo - la programmazione di Radiotre e la trovo, anche dal punto di vista sonoro/musicale ma non solo, piuttosto noiosa. Con qualche superstite punta di eccellenza, magari. Ma "poca robba", come si dice a Roma...
- Hai una vasta esperienza di composizione musicale per il cinema, tanto da meritare attenzioni da parte di molti registi di gran fama. Sei la persona giusta per rispondere alla prossima domanda.
Nel comporre una colonna sonora qual è la prima cosa da ricordare e quale la prima da dimenticare?
- Le due cose, a ben vedere, coincidono. Perché secondo me occorre soprattutto e sin dall'inizio ricordarsi della centralità estetica della visione del cineasta (una centralità anche operativa, visto che alla fine la firma in calce al film è soltanto sua, soprattutto se si chiama Bellocchio o Greenaway), e allo stesso tempo "dimenticare" un po' se stessi, mettere tra parentesi la stabilità dell'io creativo e sentirsi consapevolmente parte di una totalità in movimento, di un affresco che per "funzionare" ha bisogno di tante cose, immagini, parole, suoni non-musicali e naturalmente anche di musica.
- Il nostro viaggio spaziale volge al termine, con la stessa sincerità che hai avuto finora, vorrei che tu mi dicessi qual è la cosa in musica che quando la senti ti fa venire la scarlattina…
- L'insincerità: la becco al volo, all’istante! E’ un virus che può attaccare indifferentemente qualsiasi genere musicale, dalla canzone alla sinfonia. Ma in fondo questo vale in generale anche per la vita...
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Sono sinceramente desolato, e mi vergogno anche un po' a dover ammettere che per me Star Trek è poco più che un titolo e un'immagine: quella di un signore con la faccia simpatica e le orecchie a punta. Oddio, mi sembra di poter vagamente ricordare ancora qualcosa... qualche altra figura che si era depositata sul fondo della mia memoria... ma i contorni delle immagini dolcemente sfumano, si confondono: che sia la velocità? O l'età? O piuttosto il tuo buon vino?
- Sia come sia, siamo quasi arrivati a Giàgnya, pianeta musicale abitato da alieni che ascoltano con gli occhi e guardano con le orecchie… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di ‘Prelit’ Rosso Collio, Damijan 2001 consigliata dal sommelier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Viva Armando e la sua Impresa! Fossero tutti così, gli imprenditori....
- Grazie, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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