L'ospite accanto a me è Roberto Laneri.
Uno dei musicisti italiani contemporanei che più apprezzo, una
singolare presenza nello scenario musicale: moderno fra gli antimoderni,
antimoderno fra i moderni. Insomma, lo avete capito, il tipo giusto
per andare d'accordo con tutti, specie con i critici e i direttori di
rassegne e festival che amano artisti precisamente etichettati che fanno,
e rifanno, la stessa cosa per alquanti decenni.
Ha studiato filosofia all'Università di Roma e si è diplomato
in clarinetto al Conservatorio di Santa Cecilia. Ha soggiornato parecchi
anni negli Stati Uniti, dove si è laureato in performance e composizione
alla State University of New York e quindi all'Università di
California, San Diego (Ph.D.). Tra i suoi maestri, Lejaren Hiller, Charles
Mingus, William O. Smith, John Silber. Attualmente insegna al Conservatorio
L. Cherubini di Firenze. Parecchi i progetti che ha realizzato, da I
Poteri del Suono per il festival Volterra Teatro - diventato in
seguito un festival autonomo ad Orvieto con il supporto della Commissione
Europea - a Prima Materia agito da un gruppo vocale,
Ha registrato concerti per le più importanti stazioni radio,
dalla belga BRT a Radio Lugano, dalla tedesca WDR alla RAI, dall'australiana
ABC all'austriaca O.R.T.F.
LP e CD con Alvin Curran, Maria Monti, Charles Mingus, Peter Gabriel,
per citarne alcuni.
Ci sarebbe altro da dire ma ho la gola secca e voglio farmi un goccetto,
quindi vado rapido e se ne volete saperne di più cliccate su
www.amiatamedia.com
e anche su www.steton.net/laneri
dove, in particolare, fate una puntata sulla sezione Musica Finta
di quel sito e ne saprete parecchio sulle sue idee del fare musica.
- Benvenuto a bordo, Roberto
- Ciao Armando
- Voglio farti assaggiare questo Villamarina di Sella & Mosca
qua
il bicchiere
ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne
la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però
noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", per prudenza,
trasmetti sulla Terra il tuo ritratto
- Fin da quando arrivo a ricordare, mi interessano tre cose: il suono
(se preferisci, vibrazione), la coscienza (il pensiero) e la polarità
(l'eros), nonché le loro infinite interazioni, permutazioni e
trasformazioni.
Capirai che ce n'è abbastanza per tenermi occupato per i prossimi
eoni.
Poi si vedrà.
- Il critico francese Daniel Charles profetizzava che la caratteristica
principale della nuova musica sempre più sarebbe stata "l'allontamento
da ogni tipo di centralità, da ogni scuola". L'ha azzeccata?
Cioè, oggi ogni compositore fa storia a sé? Per intenderci,
a differenza del tempo di Darmstadt?
- Be', direi di sì.
Non so se questo vale per tutti (sicuramente no, e francamente m'interessa
poco), però so che vale per me e per altri come Harry Partch,
Conlon Nancarrow, Jacques Dudon
come vedi mi metto in buona compagnia.
In realtà è una cosa talmente semplice che uno si domanda
come mai nessuno ci abbia pensato prima, e cioè si tratta semplicemente
di mettere sullo stesso piano e di considerare di pari dignità
ogni tipo di musica. In altre parole nessun musicista sarà giudicato
male per il proprio stile di appartenenza, che può essere anche
unico. Semmai, per quello che fa e come lo fa all'interno del suo stesso
stile. Ma questo è un altro discorso.
- E' trascorso un quarto di secolo dal primo urlo anarchico dei Sex
Pistols e dall'esplosione rivoluzionaria del punk e dei suoi echi anche
in altri campi espressivi, nonché nel costume giovanile.
Ne rintracci segni nel panorama musicale di adesso? Aldilà di
spille e catene, che cosa ne è rimasto?
- Ti dirò, per me non è rimasto nemmeno quello. Forse
semplifico troppo, ma l'urlo, anche se anarchico (o proprio in quanto
tale) comunica poco o affatto, tutt'al più "informa"
chi, volente o nolente, lo ascolta, di un bisogno, a volte talmente
elementare da riuscire banale.
Giorni fa, riascoltavo Troutmask Replica, un frammento dell'Ars Antiqua
Californiana (Captain Beefheart and his Magic Band) che una volta sentivo
spesso in una mia reincarnazione del XX° secolo, magari con qualche
ausilio psichedelico (e non è vero che "non aspiravo",
come usano dire certi politici), e be', adesso mi dice proprio poco.
Il fatto è che per comunicare non basta un generico bisogno di
autoespressione.
L'autoespressione secondo me non è un diritto acquisito, ma qualcosa
che si conquista a fatica, rendendosi disponibili ad apprendere dei
codici, oppure, cosa ancora più difficile, avendo la forza di
crearne di nuovi
- La musica etnica, e quella New Age, a quali domande di rinnovamento
dei linguaggi musicali danno risposte?
- La musica etnica risponde alla domanda di una musica di tipo colto,
che abbia i pregi della musica classica eurocentrica (vale a dire solido
senso di struttura e di costruzione, il ruolo positivo della tradizione)
e non i difetti (l'irrigidimento in senso accademico e puramente intellettuale,
la scarsa comunicatività).
Quanto alla New Age, la domanda è ovviamente di trascendenza
e di spiritualità. Quello che manca, è una risposta di
una benché minima dignità.
"La tua musica non esiste" diceva ad un altro personaggio
il protagonista del film di John Boorman The Shout (in Italia è
uscito col titolo "L'Australiano"). Oppure, per dirla come
LeRoi Jones (che a sua volta cita un altro, senza identificarlo), "at
least the Rolling Stones come on like English crooks": "almeno
I R.S. si presentano come dei teppisti inglesi"
- Minimalismo. Da esperto di quello stile, dammene una tua interpretazione
- Allora, ti do' innanzitutto una mia definizione, e cioè "Ars
Nova Californiana".
Ti assicuro che non c'è nessuna provocazione in questo. E' soltanto
che penso che la minimal music abbia avuto sulla musica del tempo un
impatto paragonabile a quello dell'Ars Nova ai tempi dell'Ars Antiqua,
se non lo sai, io sono un grande fan di Guillaume de Machault. Ricordo
perfettamente l'effetto che la frequentazione personale di Terry Riley,
Jon Hassell, Peter Hamel, Frederic Rzewski (ho suonato con lui alla
prima di Attica, al Metamusik Festival di Berlino nel 1972), nonché
l'ascolto della loro musica ebbe su di me l'effetto, per certi versi
paragonabile, anche se non pari per intensità, dell'incontro
con gli overtones.
Detto questo, possono rientrare in un minimalismo allargato parecchie
musiche tra le più interessanti della seconda metà del
'900. Pezzi come In C e le musiche per quartetto d'archi di Terry; It's
Gonna Rain, Tehillim, Drumming, di Steve Reich; Attica di Frederic;
e, se me la passi, anche la mia Memories of the Rain-Forest. Dico "minimalismo
allargato" in quanto se in quest'area c'è un difetto, si
trova all'origine, nel fatto che si trattava di una tendenza delle arti
visive di area New York. Per cui è rimasto questo nome, che molti
di noi hanno sentito come limitante, condizionante, in quanto sembra
implicare, o se non altro consentire o avallare, la riduzione di certi
parametri a termini veramente troppo minimi o casuali. Ricordo il primo
European Minimal Music Festival a Parigi nel 1982, dove parecchi sembravano
vergognarsi quasi d'essere stati invitati. Il risultato è che
c'è un minimalismo "encefalogramma piatto" o "easy
listening", (nel quale io metto sia Charlemagne Palestine sia Phil
Glass), ed un altro in cui sia la parte compositiva/progettuale (Steve
Reich), sia quella "performance oriented" (Terry Riley) mantengono
un grado di complessità e di coerenza interna a cui dopo Brahms,
Wagner e Webern sarebbe quasi impossibile rinunciare. Per quanto mi
riguarda, la spinta evolutiva del minimalismo passa attraverso la re-interpretazione
di tecniche compositive ed esecutive della più varia provenienza,
dal Medio Evo (appunto, Ars Nova) all'oriente, dai ritmi africani al
contrappunto (che può essere sia di tipo bachiano che pigmeoS).
Be' forse potresti dire che per me il minimalismo è più
vicino,figurativamente parlando, ad un'incisione di Escher, e senz'altro
è così, nel senso che vivrei volentieri in una di quelle
scene multidimensionali, piuttosto che in una tela astratta degli anni
'60.
- Lo sviluppo del sintetizzatore è stato determinante un tempo
sulla musica leggera e rock orientando la ricerca di grandi autori e
gruppi. Le nuove tecnologie, con accresciute possibilità rispetto
a ieri, stanno producendo risultati espressivamente comparabili a quelli
d'un tempo?
- Secondo me no. E non perché I nuovi synths sono digitali,
quindi, secondo alcuni, più "freddi" rispetto a quelli
analogici. Voglio dire: io amo tuttora il mio vecchio DX-7, non dico
come se fosse ancora il primo giorno (nel lontano 1984), ma quasi. Penso
che il mercato (brutta parola) imponga un turnover continuo e immotivato.
In tal modo queste macchine vengono sfruttate in modo superficiale,
semplicemente perché non c'è tempo per studiarle come
veri strumenti musicali. Indubbiamente la tendenza al synth virtuale
non aiuta. Una schermata di computer non è la stessa cosa di
un Prophet 5 o di un PPG
Insomma, vorrei che questi strumenti uscissero ogni dieci anni, e non
ogni sei mesi, e vorrei anche non sentirmi colpevole, o inferiore, perché
non ne ho l'ultima versione. Però, faccio un'eccezione per il
Metasynth, un programma veramente meraviglioso che consente di fare
a casa propria vera computer music, quella che una volta si faceva solo
all'IRCAM o a Stanford
- La proprietà intellettuale al tempo di Internet ha posto nuovi
problemi. E' chiaro che non mi riferisco a plagi o cose simili, ma a
fenomeni che teorizzano il sabotaggio del diritto d'autore.
Tu che ne pensi dei vari Luther Blisset, Linux, Wu-Ming, eccetera? Anche
"Le Monde" ha scritto di superamento del diritto d'autore.
Io campo pure di SIAE, dottor Laneri: la prego
la verità!
- Anch'io. Voglio dire, campo pure, e mi piacerebbe campare di più,
di SIAE. Per cui, ho sempre pensato che la SIAE sia una grande invenzione,
e tutto sommato una delle poche cose che funzioni in Italia. E' vero
tuttavia che il senso del diritto d'autore cambia, a volte velocemente
e drasticamente, e istituzioni come la SIAE rimangono indietro la pratica
comune. E' fin troppo scontato parlare del campionamento e dei problemi
che questa pratica comune comporta, per cui non ne parlerò, se
non per dire che esistono (almeno) due pratiche comuni: quella dei marpioni
che rubano a destra e a sinistra (e sono gli stessi che quando fanno
la musica per un western riscrivono la Cavalcata delle Valkirie cambiando
le note); ma esiste anche la pratica altamente creativa, che assai si
addice al nostro mondo che somiglia sempre più ad un gigantesco
archivio, la pratica, cioè, di usare il campionamento per andare
oltre i limiti tradizionali dello spazio-tempo in musica e decontestualizzare
(o ricontestualizzare) in modi finora impensabili o impensati. Non si
tratta tanto di una nuova tecnologia, quanto di un modo di pensare sincronico
e diacronico (quindi non sequenziale, simile alla memoria del computer
di tipo RAM-random access), che poi è forse quello che ha aiutato
a far nascere la nuova tecnologia. Penso ad esempio alle Baroque Variations
di Lukas Foss. Non ti dico poi i problemi che ho avuto in sede di SIAE
con un mio lavoro, Musica Finta, che consiste di musiche scritte
su altre musiche (di Schubert, Schumann, Scoto Joplin e Jelly Roll Morton)
e da eseguirsi assieme (nel senso di "contemporaneamente")
ad esse.
P.S.: "Q" di Luther Blissett, di chiunque costui (o costoro)
si tratti, è bellissimo.
- Il discorso che hai fatto prima mi porta a chiederti di dirmi qualcosa
sulla contaminazione
- Pensare che se ne parla ancora, dal lontano XX secolo!
Quasi non se ne può più, considerando che oggi come allora
se ne parla tanto, ma si pratica veramente poco, o in modi che vanno
dal banale all'irrilevante.
Per me la contaminazione feconda si svolge in senso temporale, non (o
non soltanto) spaziale. Ma dico io, cosa credono di fare mettendo assieme
la musica folk di Antares (fatta, come ben sai, per orecchi che percepiscono
solo frequenze subsoniche, per di più mono) con le musiche delle
Pleiadi, I cui abitanti campano in media 2000 anni, così che
le loro pause più brevi corrispondono a un paio di mesi terrestri,
ed un loro spot dura quanto la Tetralogia di Wagner? Contaminazione
temporale può significare tante cose. Ad esempio quello che facevano
alcuni minimalisti terrestri quando usavano procedimenti compositivi
medioevali. Anch'io ho fatto delle cose che cominciano in un tempo e
luogo, ad esempio nel 1300 in Provenza, e finiscono (in pochi minuti)
nella New York della fine del 1900. E' anche quello che abbiamo fatto
noi chiacchierando qui a bordo
a proposito, buono questo vino
- Parliamo di Istituzioni. Biennale di Venezia.
Dimmi qual è oggi il suo maggiore pregio ed il suo maggiore difetto,
se ne ha
- Che vuoi che ti dica, queste "istituzioni" mi interessano
talmente poco, forse perché non mi invitano mai
a pensarci
bene, questo potrebbe essere il loro peggiore difetto
anzi no,
una volta, molti eoni fa, mi capitò di suonare alla Biennale,
con Frederic Rzewski. Suonammo Attica e Coming Together, un concerto
indimenticabile, al termine del quale l'allora direttore (Franco Carraro,
tanto per non far nomi) disse a Frederic, suppongo per congratularsi,
ma in realtà in modo veramente irrisorio ed arrogante, come di
chi considera un testo scritto da un poveraccio morto ammazzato nella
prigione di Attica, nero per di più, non abbastanza serio o poco
intellettuale rispetto alla musica europea moderna (o post-moderna,
che è ancora la stessa cosa) a cui è abituato, insomma
alla fine di quel concerto disse: "carino, questo tuo pezzo."
Al che Frederic mi disse subito dopo "se dice un'altra volta che
il mio pezzo è 'carino' gli dò un pugno sul naso."
Ah, e un'altra cosa. Ricordo che per essere pagati ci vollero dieci
mesi terrestri, ed un incredibile numero di telefonate umilianti e sgradevoli
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo una riflessione su Star Trek
che cosa rappresenta secondo
te quel videomito
- Star Trek per me è stare sdraiato su un water bed gigante,
con una pila di libri alla mia destra ed una alla mia sinistra, preparando
gli esami per il Ph. D. all'Università di California. Ai piedi
di quel letto, una piccola TV in bianco e nero sempre accesa, da cui
ogni tanto emergono le orecchie di Spock, e allora metto giù
il libro e mi guardo il telefilm.
Chi me l'avrebbe detto allora che mi sarei fatto un giro sull'Enterprise!
- Siamo quasi arrivati
se devi scendere, ti conviene prenotare
la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è
finita la bottiglia di Villamarina edita da Sella & Mosca
- Lunga vita e prosperità!
- Mi hai anticipato perché anch'io ti saluto com'è d'obbligo
sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!
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