L'ospite accanto a me è Carola Spadoni.
Regista. Figlia e nipote d'arte poiché proviene da una famiglia che
lavora da tre generazioni nel cinema e in televisione. Prima d'essere la donna
dalla cima tempestosa che è, è stata giovinetta vivace e inquieta
tanto da trasferirsi appena dopo il Liceo a New York per studiare cinema al
Brooklin College dove ha seguito corsi di teoria e produzione.
Le sue prime esperienze sono state da assistente operatore in produzioni indipendenti
americane, poi, dal 1992 ad oggi ha diretto un film, due documentari, sei
cortometraggi di fiction e due videoclip, muovendosi fra New York e Roma.
Tra un ciak e l'altro, nel '96 ha formato "N.Y. Open Cine", un'associazione
no-profit che ha organizzato in America rassegne di cinema italiano spaziando
dai classici ai b-movies.
I suoi lavori sono stati presentati in tante rassegne e festival del vecchio
e nuovo continente che a citare date e località trasformerei l'Enterprise
in un'agenzia di viaggi, ma è d'obbligo citare Torino Film Festival
2001 e Berlinale 2002, perché lì è approdato "Giravolte",
il suo primo lungometraggio. Film dalla lavorazione tormentata (è durata
tre anni); del resto, anagrammando: giravolta = travaglio.
In "Giravolte", volteggiano storie in tre episodi che compongono
un'unica ballata metropolitana trascorrendo da una baracca d'emarginati a
un mercato delle pulci, a un bar notturno. Interpreti: l'indimenticabile Victor
Cavallo (già con Carola nel corto "Al confine tra il Missouri
e la Garbatella"), il celebrato - dalle donne
la mia è tutta
invidia - Raz Degan, e Drena De Niro, (figlia di Robert).
Per saperne di più su CS, vi do alcuni links:
http://us.imdb.com
e anche http://www.tamtamcinema.it
- Benvenuta a bordo, Carola
- Aloha Armando
- Voglio farti assaggiare questo Primitivo del Salento dell'Antica Masseria
del Sigillo
qua il bicchiere
ecco fatto. Adesso ascoltami: il Capitano
Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è
un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a
manetta", prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra il tuo ritratto
non
quello fisico, la tua avvenenza è nota, ma interiore
- be' cominciamo per esclusione non sono particolarmente modesta però
ascolto e osservo molto, sono anche disponibile a cambiare idea ogni tanto,
purché qualcuno ce la faccia a convincermi
-
impresa ardua
- dici?
quindi donna dalle idee chiare, ho gusti diversi e spesso agli
antipodi tra loro. Mi piace la carbonara ed il sashimi, Thelonious Monk e
i Ramones, la margarita
intendo il cocktail
- sì, c'ero arrivato
-
e l'acqua delle fontanelle di Roma. Sono troppo spesso una pessima
lettrice di narrativa, ma leggo il mio quotidiano da cima a fondo. Parlo italiano
e romanaccio, inglese e slang newyorkese, anche tutti insieme qualche volta,
capisco il francese e lo spagnolo. Non sopporto il conformismo e l'omertà.
Come pratiche di vita apprezzo l'autenticità anche brutale e cerco
originalità nell'espressione delle persone, del cinema e dell'arte.
Difficilmente sono depressa semmai incazzata. Cerco il più possibile
di essere concreta, anche quando intendo fare una passeggiata. Mi agito quando
penso a cose tipo decidere di vivere qui o li, mettere su casa qua o là,
mi piace pianificare solo progetti di lavoro. La mia inquietudine passa soprattutto
attraverso i miei capelli. Stare sovrapensiero è uno dei miei passatempi
preferiti, di cui ahimè ne pago il costo quando guido intruppando spesso.
Sono una filmmaker, dopo lunghe disquisizioni definitorie tra cineasta e regista
e director.
- T'impongo un esercizio crudele: in non più di 13 parole - tante
quante sono le lettere che compongono il tuo nome e cognome - definisci il
profilo espressivo di "Giravolte"
- Giravolte: un film d'avventura metropolitana in cinemascope. Poesia, conflitto,
amicizia, solitudine a Roma.
- "Giravolte" nasce da una produzione indipendente. In Italia, questa
cosa è un modo per cominciare? Per continuare? Per finire? In altre
parole, una tua riflessione su quell'area produttiva oggi.
- La mia esperienza produttiva e' stata molto discontinua e travagliata quindi,
per parlare in rima, mi sento un po' scottata. Soprattutto dopo aver coprodotto
e autoprodotto tutti i miei altri lavori. Sono comunque molto soddisfatta
di Giravolte. Per me, produzione indipendente e' un modo di fare cinema sempre
e comunque. Significa essere indipendenti da meccanismi di mercato che impongono
una precisa struttura standard per la realizzazione di un film di successo
al box office. Attori quotati, una bella e patinata fotografia, un montaggio
ammicchevole ma non troppo, non disturbare la censura, una storia lineare
con una conclusione chiara e inappellabile che sia digeribile allo stesso
modo in ogni parte del mondo, temi e posizioni politicamente corrette per
non infastidire sponsor o chi per loro. Ci sono vari modi di dribblare questa
struttura e di elaborarne altre attraverso la collaborazione possibilmente
collaudata con altre persone, direttori della fotografia, scenografi, sceneggiatori
ed anche produttori, ma ci vuole impegno ed una buona dose di passione per
quello che si vuole realizzare. Anche l'autarchia del fare più o meno
da soli e/o autoprodursi e' un opzione. In Italia non è facile intraprendere
queste strade perché c'è poca abitudine a tirarsi su le maniche
e formare gruppi intercambiabili, la distribuzione e le sale sono in mano
a pochi, ed i canali televisivi anche. C'è grande necessità
di registi, produttori e gente del mestiere con più coraggio ed intraprendenza
per sostenere e fare entrare nel mercato film oltre gli standard commerciali,
come accadeva in Italia fino alla fine degli anni settanta. Il panorama sta
cambiando lentamente, nuovi registi interessanti, uomini e donne, ci sono
e anche con molte idee su come produrre. Sarebbe il caso, per esempio, di
intraprendere coproduzioni con paesi stranieri anche per film indipendenti
oltre che per le super coproduzioni di film europudding.
- Tema tozzo: Arte e Mercato. In America è un rapporto accettato anche
dalle avanguardie che creano circuiti d'opposizione, ma non inorridiscono
di fronte all'arte come merce. Ho visto americani "off", e anche
"off off" - in tutti i sensi - stupirsi dinanzi a certi noncuranti,
e talvolta sprezzanti, comportamenti dei loro amici italiani. Perché
da noi, si sa, è molto diverso. Infatti, sono in molti a ritenere,
a torto o a ragione, Arte-Mercato un rapporto impossibile. Quali i motivi
secondo te?...Anche tu lo ritieni tale?
- Non sono assolutamente allergica al rapporto Arte-Mercato, purché
ci sia dell'autenticità e possibilmente della visionarietà nel
progetto e non siano solo operazioni studiate a tavolino da amministratori
delegati che fanno i produttori. E questo è lampante in alcuni film.
Trovo per esempio per quanto riguarda gli Stati Uniti che alcuni dei recenti
film più impegnati politicamente, e innovativi nel linguaggio cinematografico,
vengano da indipendenti di Hollywood più che dai generici indipendenti
americani, per i quali bisogna ormai scavare bene e studiarsi le uscite per
scoprirne di interessanti. Oltretutto questo stereotipo sulla dicotomia Arte-Mercato
negherebbe qualsiasi possibilità di vedere trasmissioni interessanti
in tv, che sappiamo vive attraverso la paranoia del palinsesto ma nel melmone
ci sono ogni tanto anche delle trasmissioni valide. Non da meno la domanda
degli spettatori è senz'altro più alta dell'offerta corrente.
Certo è un periodo difficile per il connubio Arte-Mercato se si pensa
che prolificano musei ormai quasi solo come negozi di oggetti, vedi per esempio
i vari Guggenheim in giro per il mondo che spuntano come funghi in una logica
di franchising ed alla cui direzione ci sono infatti deal makers che riescono
a portare grandi capitali di investimento ma dell'arte e di idee curatoriali
forti non gli interessa un fico secco. Queste persone starebbero meglio a
capo di grandi società finanziarie. Nel cinema l'idea dell'autore che
fa arte fuori mercato può andare bene, ma credo vada meglio l'idea
del filmmaker che riesca a portare a termine un film come l'aveva pensato,
visionato dall'inizio, e che venga poi visto da più persone possibili.
- Una delle più frequenti accuse ai giovani registi italiani è
quella di essere sempre più autori e sempre meno realizzatori. In altre
parole, d'essere autoreferenziali. Condividi questa accusa?...Te ne senti
coinvolta?
- Non me ne sento coinvolta perché girerei volentieri storie altrui,
non amo scrivere da sola e non penso di dover scrivere per forza i film che
decido di realizzare. Anzi il mio produttore ideale è la persona che
sa consigliare una sceneggiatura ad un regista, o trovare uno sceneggiatore
adatto per una storia o un'idea, mettere insieme dei collaboratori senza imposizioni.
Però in Italia sopravvive ancora il mito dell'intoccabile autore nel
castello d'avorio, dimenticando i grandi sceneggiatori, dialoghisti, aiuto
registi che hanno reso grande il cinema italiano facendo scuola in tutto il
mondo. Comunque, le cose stanno cambiando, nuovi scrittori collaborano a sceneggiature,
vari sceneggiatori scrivono insieme, anche se nei credits dei film leggo troppo
spesso gli stessi nomi alla voce soggetto e sceneggiatura. Per quanto mi riguarda
sono alla ricerca di collaboratori con cui scrivere ed anche sceneggiature
già complete da realizzare.
- Alcuni tuoi lavori sconfinano nella videoarte - non a caso nel '99 hai partecipato
alla Biennale d'Arte di Venezia - dimmi in tutta confidenza: è nel
cinema oppure in quale delle altre aree espressive che credi ci siano oggi
i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- La sperimentazione più interessante è trasversale, bisogna
affilare le antenne e mantenere in forma i ricevitori. La musica, la performance,
l'animazione ed il fumetto sono spesso più radicali e quindi più
intraprendenti nel creare nuovi linguaggi. Il cinema è ancora ad un
bivio tra i sistemi tradizionali, pellicola e sale di proiezione, e il più
recente digitale con la trasmissione di film via satellite, questo a volte
produce interessanti ricerche linguistiche. Non credo si debba necessariamente
scegliere un modo o l'altro di fare cinema, la pellicola per molti versi e'
ancora insostituibile, ma piuttosto indagare tutti e due i campi con dei contenuti
da esprimere. Spaziare nella cosiddetta videoarte fa parte del mio fare cinema,
è una necessità di sperimentare senza sottostare ai tempi della
produzione cinematografica, ed è anche un modo di fare cinema-arte
più intimo quindi se vuoi più interiore ed anche più
estremo. Un progetto a cui lavoro da tempo è di realizzare una storia
in animazione con una particolare attenzione al montaggio del suono
sto
infatti mettendo a punto vari modi per animare quella storia e soprattutto
il modo di produrla.
- Come ho detto in apertura, hai girato molti cortometraggi ed hai quindi
vasta esperienza di quel linguaggio. I "corti" sono una misura o
un genere? E' identificabile una specificità di linguaggio?
- Direi che i corti sono una misura che non ha specificità di linguaggio,
per fortuna.
La loro specificità è proprio nella varietà di proposte
possibili.
- Hai girato videoclip e, per chi non lo sapesse, nel giugno 2001 il tuo
music video "Symphonies of memories" è stato selezionato
per la rassegna videoROM alla prima Biennale d'Arte di Valencia. Esiste una
caratteristica che differenzia il videoclip musicale da altri formati brevi
e brevissimi, come ad esempio la pubblicità oppure certe operazioni
di videoarte?
- In Italia purtroppo poco. La maggioranza delle pubblicità e dei videoclip
sono ben confezionati ma molto simili tra loro: modi standard di produzione,
poca ricerca di linguaggio e soprattutto poca ironia e malizia visiva. Si
potrebbero distinguere in periodi: quello del bianco sparato con alone da
visione divina, quello dell'incarnato beige ed il resto virato sul blu, quello
della slow motion a scatti mista a movimento normale, finto passo uno da super
8 - snobbando l'uso del vero S8 - uso della steadycam al limite dell' indigestione.
Con il contemporaneo avvento, soprattutto nella pubblicità, di personaggi
femminili oltre l'emancipazione confinati nella seria misoginia di qualche
creativo. Oltre i nostri confini il panorama e' più variegato, difficile
dire chi influenza chi, non esiste infatti una netta differenza del videoclip
dalla pubblicità o videoarte in paesi come il Regno Unito, per esempio.
Infatti, registi di videoclip da 4-5 anni sono chiamati ad esporre in gallerie
d'arte e musei, e molti artisti lavorano con il video ammiccando ai palinsesti
tv o facendo opere di rimontaggio di immagini e suoni presistenti.
Questo incrocio era molto interessante fino a qualche anno fa, adesso molti
lavori esposti in luoghi deputati all'arte sono sopravvalutati, la saturazione
è alta e soprattutto si copia troppo da artisti degli anni sessanta
e settanta che per primi hanno utilizzato la videocamera per indagare la società.
Ma globalizzazione significa anche questo, masticare prodotti e persone in
grandi quantità e più velocemente possibile per un estenuante
ricambio che alimenti il mercato.
A questo proposito ho elaborato tempo fa un' idea di cinema AlterAttivo
-
AlterAttivo?...
- Sì, un cinema di resistenza alle tonnellate di immaginario edulcorato
per dribblare la diretta della finzione-realtà cui siamo sottoposti
per un corto circuito della percezione. Comprendere in profondità la
rappresentazione per restituire alla realtà la sua originale ambiguità
ed alle persone la propria identità di spettatori attivi, pensanti,
e sognanti.
Da quest'angolo di visuale mi pongo quando penso a fare videoclip, pubblicità,
videoarte, cinema.
- Effetti speciali. Oggi quando li vedo sullo schermo mi sembra di guardare
lo show reel d'una ditta specializzata che li propone ai clienti cineasti.
Insomma, sono le storie al servizio degli effetti e non viceversa. Qualche
esempio in positivo c'è, viene da Zemeckis, mi pare, Ma è un
po' poco.
Tu che cosa pensi al proposito?
- La Industrial Light and Magic di Lukas delude difficilmente, ma e' vero
che al cinema ed in televisione gli effetti compongono la trama e la storia
arranca dietro. Non è peccato mortale partire dagli effetti per poi
creare una storia, fa parte della riflessione sui nuovi linguaggi, ma il nodo
della questione è semmai avere il coraggio di abbandonare la storia
lineare, gli effetti speciali servono soprattutto a questo, nel fantastico
si può essere facilmente più arditi nel costruire la struttura
di un film.
Gli effetti speciali che più mi affascinano sono quelli realizzati
home made, casalinghi, con pochi strumenti a disposizione, dove l'ingegno
conta più dei mezzi. Nel primo corto che ho fatto, Make Believe Aconin
(Another Conscious Intelligence) ci sono effetti speciali fatti in camera,
utilizzando le possibilità di una cinepresa arri-s 16mm, ed era una
bella scommessa visto che giravamo, da studenti, in pellicola invertibile
cioè stampa positiva senza negativo = o la va o la spacca, ma ci siamo
riusciti. Questi effetti facevano parte dell' immaginario del personaggio
del film, una raver in solitudine che passava le giornate a lanciare messaggi
agli alieni dal tetto del suo palazzo in compagnia di alterazioni mentali
varie e con mezzi costruiti in casa, oltre al suo computer. Oppure per un
videoclip di tecno jungle con un ritmo paranoico e ripetitivo ho trattato
le immagini girate in video digitale fino a renderle come se fossero state
girate da una piccola camera per la video sorveglianza, utilizzando un comune
computer portatile con pochi programmi a disposizione.
E poi, ad esempio, "Waiking life" di Richard Linklater girato in
video digitale e ripassato al computer ri-animando tutto il montato con un
software creato appositamente, abbandonando velleità da storia e trama
lineare, è un capolavoro del cinema da inizio millennio a costo basso.
D'altro canto mi piacciono anche i videoclip e più recentemente le
opere di videoarte di Chris Cunningham, che invece usa mezzi costosissimi
da "state of the art", come si usa dire negli Stati Uniti, per pigiare
sulle atmosfere e le emozioni.
Su internet vedo arguti brevi film con effetti stuzzicanti realizzati sopratutto
con normali programmi per streaming di animazione e immagini in movimento.
- Internet avrà un'influenza sul cinema? E, se sì, in quale
direzione?
- Internet già sta avendo la sua influenza, in negativo. Perché
per streammare sul net bisognerebbe attenersi a precise inquadrature per far
vedere bene i filmini, quindi questo già è un peccato. Fino
a quando non saremo tutti cablati in veloce banda larga, e quindi il download
e la qualità delle immagini saranno migliori, le possibilità
per i film di essere visti decentemente su internet è poco e niente.
Diverso adesso il discorso per l'animazione e la net art che si possono fruire
ampiamente ad un buon livello di visione su schermo. Internet avrà
la sua positiva influenza sul cinema quando si potrà scaricare un film
per proiettarlo con una buona qualità visiva, allora potremo superare
i problemi di distribuzione legati al territorio ed all'ingerenza commerciale
di grandi compagnie.
- Sei stata fra i registi italiani che, con il coordinamento di Citto Maselli,
hanno girato il film collettivo "Un mondo diverso è possibile"
sulle giornate genovesi del G8. Sei il tipo adatto per il discorso che segue.
David Garcia e Geert Lovink operano un distinguo fra "media strategici"
cioè le grandi case di produzione cinematografica, le grande reti televisive,
eccetera, e i "media tattici" quelli resi possibili dal progresso
tecnologico, e sfruttati da coloro che sono fuori dalle gerarchie del potere.
A questi ultimi media - lo dico a beneficio dei miei avventori - va la preferenza
dei due. Ti chiedo: condividi quel distinguo? E, volendo accettare la definizione
di "media tattici", tu che hai praticato quel tipo di produzioni,
come vedi il futuro di quell'area impegnata nel sociale?
- Accetto il distinguo anche se i termini sono spesso intercambiabili mantenendo
gli stessi referenti menzionati da Garcia e Lovink. La dimostrazione l'abbiamo
nell'Italia di oggi. Per una reale ed efficace controinformazione adesso da
noi c'è bisogno di una strategia. Si è stati forse tattici,
non lo so
per quanto mi riguarda è sempre stata una necessità
quella di documentare manifestazioni, moti e cambiamenti sociali a cui ho
partecipato dal Chiapas, a New York all'Europa. Ora bisogna essere strategici
nell'organizzare e coordinare una effettiva rete di controinformazione che
abbia visibilità, cercando soprattutto d'andare oltre le specificità
di ogni gruppo o persona, che sia il gruppo dei registi, i portali e siti
di controinformazione esistenti, i girotondi, e le varie associazioni. Quindi
mi auguro che si vigili e ci si mobiliti contro le ingerenze del governo attuale
che vuole restringere i luoghi di controinformazione e che ci si possa incontrare
insieme a tutte le persone coscienti della situazione per elaborare una piattaforma
d'azione comune. Tattica e stategia saranno successive ad una collaborazione
senza la quale la lobotomizzazione in corso da anni sarà insostenibile
visto che già ora il livello di conflitto è molto alto, non
solo a casa nostra ma in tutto il mondo.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci, infliggo
una riflessione su Star Trek
che cosa rappresenta quel videomito nel
nostro immaginario?
- Signorine con capelli a caschetto viola, e soprattutto orecchie a punta
del dottor Spock per me immancabili a Carnevale ed Halloween.
- Siamo quasi arrivati a Spadonya, pianeta di celluloide abitato da alieni
che vivono in flashforward facendo giravolte in slow motion
se devi scendere,
ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché
è finita la bottiglia di Primitivo del Salento dell'Antica Masseria
del Sigillo
Però torna a trovarmi, io qua sto
- Molto volentieri, 1000 grazie per il trip, spero d'averti e avervi giravoltato
la testa come mi giravolta a me. Later y'all.
- Ti assicuro di sì, e ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise:
lunga vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuta.
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