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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L'ospite accanto a me è Guido Fink. Saggista, docente di letteratura angloamericana all'Università di Firenze. Attualmente dirige l'Istituto italiano di cultura a Los Angeles. I suoi interessi e le sue produzioni spaziano anche oltre la letteratura, è, infatti, studioso di storia della cultura ebraica, critico di cinema e teatro, mezzi ai quali ha dedicato una sterminata pubblicistica giornalistica e molti libri. Lo spunto per questa conversazione è dato da Non solo Woody Allen (per consultarne una scheda www.marsilioeditori.it) pubblicato da Marsilio, editore per il quale aveva già curato nel 1990 le "Leggende del Palazzo del Governatore" di Hawthorne, e "Shamela" di Fielding nel 1997. Non mi arrischio a fare una bibliografia di Fink perché è molto estesa, posso soltanto consigliare qualche link, come, ad esempio, www.teche.rai.it che raccoglie alcuni suoi titoli, oppure www.aisna.org dove si trova un saggio sul romanzo americano.
Da tempo sono suo lettore e m'appassiona il modo spigliato, vispo, lontano da accademismo, che segna la sua scrittura. Un esempio è dato da un libro che m'è carissimo: "Quasi come", scritto con Almansi, un'antologia dedicata alla parodia come letteratura e alla letteratura come parodia. Un'elettrica avventura dell'intelligenza che scorre fra autori e pseudoautori che scrivono "alla maniera di", si cimentano in anagrammi, lipogrammi, mistraduzioni e altre allegre ribalderie letterarie. Un volume - edito da Bompiani - che dovrebbe essere libro di testo nelle scuole, se uno dei nostri Ministri della Pubblica Istruzione fosse, sia pure privatamente, istruito.
Insomma, un autore che quando ne notate il nome sui banchi delle librerie, compratene il libro con fiducia che non la tradirà.

 

Benvenuto a bordo, Guido…
Grazie. E grazie per la presentazione stratosferica. Anche sulla Terra sono stato spesso sopravvalutato, ma mai, come dire, portato a simili altezze.
Tra i tuoi meriti, e ai miei occhi è un grande merito, c'è anche quello di avere promosso a Los Angeles una mostra con fiaschi, botti, arredi e attrezzi per fare vino in Italia, e allora immagino che gradirai assaggiare questo Chardonnay dell'Antica Masseria del Sigillo…qua il bicchiere…
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", come sempre iniziando la conversazione con i miei ospiti chiedo il loro ritratto…interiore…insomma prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra il tuo…chi è Guido secondo Guido…
Chi è Guido secondo Guido? Ti rispondo con le parole di un fornaio di Argenta, paese romagnolo in provincia di Ferrara. Avevo ventidue o ventitre anni, insegnavo nella scuola media locale, e stavo portando i miei scolari - prima media - a visitare non so che mostra. Il fornaio ci ha visto passare e ha chiesto a uno dei bambini che conosceva: "Ma chi è quel bambino vecchio lì con voi?" Ecco, Guido Fink è un bambino vecchio che per anni e anni ha fatto l'insegnante, e forse per qualche anno lo farà ancora, e invece avrebbe voluto e vorrebbe ancora imparare.
Dicevo in apertura di Non solo Woody Allen che ha per sottotitolo la tradizione ebraica nel cinema americano. Può sembrare un libro solo per cinefili, ma invece è godibile per chiunque ami il cinema o voglia conoscere e partecipare a felicità e angosce della cultura del XX secolo. Ma riferiamoci all'argomento che dà titolo e sottotitolo del tuo libro…e allora, quali sono i principali segni che la cultura ebraica ha impresso al cinema americano?
Potrei risponderti elencando una serie di "segni" o di motivi accompagnati dal loro contrario. Quando ho cominciato a scrivere il libro credevo di avere qualche punto di riferimento, ma presto mi trovavo di fronte a qualcosa o qualcuno che lo smentiva o lo rovesciava. Vogliamo dire che la cultura ebraica ha reso il cinema americano meno puritano, meno yankee, meno autocelebrativo e meno dogmatico di quanto altrimenti avrebbe potuto e forse voluto essere? In ogni caso quel che mi sembrava più interessante, e comunque mi stimolava di più, era scoprire quei tratti di (cripto)ebraismo in registi ebrei che solo raramente o quasi mai li rivelavano in modo diretto, come Lubitsch o Wilder.
Tempo fa, in questa vineria, mi diceva Franco La Polla "…quando sento colleghi accademici che si vantano di non essere mai stati al cinema negli ultimi 20 anni mi vengono i brividi al pensiero di quel che può uscire da una università popolata da gente di tal fatta". Rabbrividisco con lui. Anche perché quei colleghi di Franco che così la pensano non sono pochi…
Io soprattutto li compatisco, non sanno cosa perdono. D' altra parte mi dispiace anche per quegli studenti o studiosi di cinema (ne conosco, ne conosco) che non hanno mai letto L'educazione sentimentale o sanno tutto dei fratelli Marx, dei fratelli Warner e dei fratelli Coen, e niente dei fratelli Karamazov.
Internet, e più in generale il digitale quali influenze avranno sul cinema?
Mah, non chiederlo a me. Già riceviamo e spediamo cartoline natalizie visive e sonore per e-mail, e probabilmente potremmo spedirci interi film in DVD, sfidando vittoriosamente le leggi antipirateria. Giù a Los Angeles conosco un tizio che si vanta di aver creato ed eliminato, facendole annegare fra i flutti, ben settantacinque comparse al minuto durante il lavoro di postproduction per "Titanic". Credo che De Mille o John Ford avrebbero di gran lunga preferito mettere a rischio comparse vere, magari facendole morire per finta sullo sfondo di quei "trasparenti" che a me piacevano tanto. Era più rassicurante anche se leggermente più rischioso e costoso, e valeva secondo me a frenare pericolosi deliri registici di onnipotenza.
Ricordo un tuo libro "Cinema e teatro verso una totalità dello spettacolo", editore Guaraldi, la domanda che segue mi pare acconcia a te. L'intreccio fra suono, gesto, danza e parola è una delle tendenze più significative della nuova scena…Bob Wilson, tanto per fare un solo nome...un teatro della mente che provoca il desiderio di ascoltare con gli occhi e vedere con le orecchie. Questo desiderio sinestesico è suggerito dalle nuove tecnologie oppure è cosa che viene da lontano?
Credo che venga da molto lontano, ma al tempo stesso temo - dopo aver visto alcune fra le cose piú recenti di Wilson, o di Laurie Anderson (o di Meredith Monk, che recentemente ha presentato a Los Angeles e immagino anche altrove "Mercy", uno strepitoso lavoro in collaborazione con una visual artist, Ann Hamilton) - che le nostre capacità di percezione siano sottoposte a un lavoro extra pericoloso. Tornare alla realtà, dopo, è fatalmente una delusione. Del resto questo a me capitava a volte anche col cinema, e anche con film modesti e di genere.
Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans…insomma, che cosa vuol dire "teatro di ricerca" oggi?
Non seguo più regolarmente il teatro come quando, negli anni Settanta, facevo il critico teatrale e deliravo per Eugenio Barba. Adesso penso che tutto il teatro vero sia "di ricerca", in un modo o nell'altro: anche, a esempio, quello che fanno da noi Marco Paolini, Moni Ovadia o Laura Curino, semplicemente stando in piedi sulla scena e raccontando le loro storie a modo loro. Forse è proprio questa la strada che mi interessa di più, oggi come oggi. Certo, a volte mi capita di vedere e amare anche lavori teatrali apparentemente più tradizionali, come a esempio il bellissimo "Homebody Kabul" di Tony Kushner…che però nella prima ora di spettacolo è, anche in questo caso, la chiacchierata di una signora seduta in poltrona, la meravigliosa Linda Emon…
In quale delle aree espressive - arti visive, letteratura, cinema, video, fumetti, musica (e qui ne hai esempi anche in casa con tuo figlio Enrico musicista…a proposito, per chi volesse saperne di più: www.enricofink.com), eccetera - credi che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
Dovrei saperne di più, avere più tempo e maggiore competenza per risponderti. Ti dirò che sul piano musicale sono, a differenza di Enrico, di una terribile ignoranza, non so nemmeno leggere le note, ma ho, come dire, questo rispetto e timore reverenziale che credo in buona parte ebraico (o italico?) nei confronti della musica. Non dico quella di Mozart o delle colonne sonore di Elmer Bernstein (che pure adoro) ma la musica come vertice in cui tutte le altre forme d'arte devono in certo senso rifluire per essere tali. Forse dico una sciocchezza, ma credo che per me anche le immagini di un film, se scorrono nel modo giusto, siano una specie implicita di musica.
Presentandoti, ricordavo il tuo imperdibile "Quasi come" che scrivesti con Almansi, un libro che riflette sulle folgorazioni del linguaggio e sui benvenuti rovesci della lingua. Ovviamente vi trovava grande spazio l'Oulipo. Di quel movimento, a me caro, che cosa mi dici…ne rinvieni tracce oggi?
Confesso che quando ho cominciato a collaborare a "Quasi come" con Almansi (e con Eco, committente discreto dietro le quinte) non sapevo ancora cosa fosse l'Oulipo e non avevo mai letto Perec. L'ho scoperto allora. Poi ne ho sentito parlare all'Università, quando mi capitava di partecipare a sedute di laurea. Ma chiaramente l'Oulipo lí non poteva vivere. O forse in forma di non-senso involontario, non come frutto di scholarship e di ricerca. Se vive oggi, vive altrove, presso paesi e tempi beati in cui c'è voglia di scherzare…non mi fraintendere: di scherzare c'è sempre bisogno, anche e soprattutto in tempi calamitosi. Sto cercando di organizzare giù a Los Angeles, in collaborazione con amici dell' Università di Bologna, un convegno sul falso, che naturalmente comporterà una gita sociale a Las Vegas, e sarà dedicato alla memoria di Guido Almansi.
Che cosa ti piace e che cosa meno ti piace nella letteratura italiana dei nostri giorni?...Movimenti…autori…puoi anche non fare nomi…solo cognomi…
Negli ultimi anni sono stato nella giuria del Viareggio, e da tempo sono un votante (a volte un non votante) allo Strega. Ho incontrato così libri che mi sono sembrati molto, molto belli: a esempio Luisa e il silenzio di Piersanti, o Io non ho paura, di Ammaniti, e s'intende anche altri. Quel che mi sembra paurosamente mancante, nella letteratura italiana, è la componente lettori. Si parla di fine della modernità e del dopo-la-fine, ma forse perché da qualche anno vivo all'estero (e in un paese per cui la letteratura italiana non esiste più dopo Calvino e Primo Levi) non mi pare si sia parlato e discusso abbastanza, se non, come dire, nelle sedi istituzionali, della fine dell'attenzione al fatto letterario. Non mi risulta che si discuta della prosa di Antonio Moresco o della poesia di Giancarlo Majorino come noi litigavamo discutendo pro o contro il gruppo Sessantatre. Non ci sono quasi più recensioni sui giornali. Non è che gli italiani vedono solo la televisione? Se così è, non c'è da stupirsi se la narrativa italiana sembra a volte essere composta da piante stentate e di serra.
A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci, chiedo una riflessione su Star Trek… che cosa rappresenta quel videomito nel nostro immaginario?
Temevo questo momento. Ma qui nello spazio mi sento onesto e spero non mi senta La Polla (che d'altronde temo lo sappia). Non ho mai visto un film o un telefilm di Star Trek. Non è che me ne vanto, credimi, è solo che...
…vabbè, nessuno è perfetto…ora siamo quasi arrivati a G-Fynk, pianeta intersemiotico abitato da alieni che si cibano di frames e bevono inchiostro…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia di Chardonnay dell'Antica Masseria del Sigillo…Però torna a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
Silenzio. Guido Fink è stato buttato fuori dall'Enterprise e volteggia nello spazio come il bambino (vecchio) del finale di 2001 Odissea nello spazio...
Ed io sporgendomi dal portello, lo saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

È possibile l'utilizzazione di queste conversazioni citando il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.

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commenti presenti

Vorrei trovare il libro "Quasi come". Mi potrebbe dire come fare per ? Grazie

inviato da maria Luisa Ferratini Vecchi
 

La ringraziamo per avere visitato questo sito. Il libro cui lei fa riferimento è stato pubblicato nel 1989 da Bompiani. Questa casa editrice, successivamente, è entrata a far parte del Gruppo Rizzoli. Da una ricerca da noi fatta il titolo non risulta più in catalogo. Non resta che sperare in una ristampa. O in qualche biblioteca che lo possegga. Cordiali saluti. la redazione

inviato da la redazione
 

 

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