L’ospite accanto a me è Gian Piero Brunetta. Storico e semiologo del cinema.
Insegna dal 1970 all’Università di Padova ed è oggi ordinario di Storia e critica del cinema in quell’Ateneo.
A proposito d’Università, ha dichiarato di recente: “ La situazione è grave. Per rincorrere il modello americano si è accelerato il processo di cambiamento dell'università e si è finito per fare errori irreparabili” .
Tra i suoi lavori “Forma e parola nel cinema” (Mursia, 1970); “Nascita del racconto cinematografico” (Patron, 1974), “Storia del cinema italiano” (Editori Riuniti, 1993); “Cent'anni di cinema italiano” (Laterza, 1995); per Marsilio http://www.marsilioeditori.it: “Buio in sala” (1989), “Spari nel buio. La letteratura contro il cinema italiano” (1994), Il cinema di Hitchcock (1995), “Il viaggio dell'icononauta. Dalla camera oscura di Leonardo alla luce dei Lumière” (1997), “Stanley Kubrick” (1999).
Per Einaudi ha curato la “Storia del cinema mondiale” in 5 volumi e pubblicato il saggio “Guida alla storia del cinema italiano” http://www.einaudi.it.
Tra le cose da ricordare, inoltre, la collaborazione ventennale a La Repubblica”, le molte mostre sul cinema, sul pre-cinema, sui manifesti cinematografici e sui rapporti tra il cinema e l’arte del Novecento a cui ha collaborato in Italia e all’estero (alla Biennale, a Palazzo Grassi a Venezia, al Centre Pompidou, a Tokio, al Guggenheim di New York, a Torino al Museo di Rivoli), la mostra progettata per i Cent’anni del cinema italiano a Cinecittà, il programmma televisivo degli anni ottanta ideato e scritto con Gianfranco Mingozzi , ‘Storie di cinema e di emigranti’ (1986), la collaborazione a ‘Splendor’ di Scola, l’ideazione della trasmissione radiofonica Radiocelluloide in centoventi puntate per RAI1. Inoltre la direzione del Mystfest di Cattolica per cinque anni.
Tra i più acuti semiologi del cinema e degli audiovisivi in Italia, e non solo in Italia, da trent’anni segue un originale percorso d’indagine sul segno cinematografico e sul suo rapporto con la società, abbattendo gli steccati idealistici fra cultura alta e bassa. Ha detto una volta: “Non ci sono film ‘spazzatura’. Se vai nel mercatino dell'usato non ci trovi il grande quadro ma trovi come è fatto l'immaginario collettivo... Molto cinema ‘trash’ italiano racconta più o meglio di alcuni film e mostrano la psicoanalisi, il trauma, la famiglia non in maniera alta ma insegna altrettanto bene”.
- Benvenuto a bordo, Gian Piero …
- Sono venuto con molto piacere, forse anche attratto dalla notizia per me irresistibile di un’enoteca spaziale…
- Ed eccoti servito: il sommellier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura , mi ha consigliato di farti assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo “Giarone” Chardonnay 1998, inviandomi una nota in spacefax che dice: “Un omaggio all’eleganza, allo stile, alla personalità dell'uva gialla più importante: chardonnay; questo vino ha provenienza dalla regione Piemonte e, più precisamente, e meglio ancora, da Costiglione d'Asti e dalla famiglia Bertelli. Riflette autentiche le doti di Borgogna patria del vino bianco quindi mineralità, frutto, struttura, equilibrio”. Bene… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Gian Piero secondo Gian Piero…
- Mi considero una sorta di Snoopy che ha avuto l’impressione e la fortuna di aver viaggiato fin dai primi anni settanta in compagnia di Ulisse per cercar di cogliere il canto delle sirene del cinema muto italiano, o andare alla scoperta dei misteri e incantamenti di molte isole della maga Circe e di vere e proprie isole del tesoro, non comprese allora nelle mappe conosciute e nei portolani cinematografici correnti…
Faccio parte di una specie privilegiata di persone che ha cercato con spirito pionieristico di dare un suo contributo alla nascita e sviluppo di una nuova disciplina universitaria come la Storia del Cinema. Personalmente mi sono sempre sentito e considerato uno studioso indisciplinato, un viaggiatore nelle immagini onnivoro, che non si è nutre solo di cinema, inquieto e curioso che ama mescolare gli strumenti, contaminare le metodologie, lavorare sia da solo che in gruppo anche a progetti tutt’altro che accademici. Ho usato tutti i mass media disponibili per parlare del cinema italiano, per cercare di raccontarne con orgoglio nazionalistico la sua grandezza all’interno del cinema internazionale (ma non ho cercato di nasconderne crisi e miserie). Ritengo di essere una persona che viene esaltata dalle missioni all’apparenza impossibili, come immaginare e scrivere da solo negli anni settanta una storia del cinema italiano, in assenza di tutto, a partire dai film, dalle opere di riferimento, dalle sovvenzioni, o affrontare negli ultimi dieci anni la grande avventura della circumnavigazione con duecento collaboratori della Storia del cinema mondiale.
- Ho ricordato poco fa un tuo libro che ho caro sui miei scaffali: “Il viaggio dell'icononauta”.
Dalla camera oscura di Leonardo alla luce dei Lumière che cosa è principalmente cambiato nella storia dello sguardo?
- Per secoli il tempo che una persona comune poteva dedicare alle immagini era pressoché nullo: le immagini di un ciclo d’affreschi visti per pochi minuti, o quelle di una stampa popolare, di uno spettacolo ottico di lanterna magica o di Mondo Nuovo entrate a fecondare l’immaginario per pochi secondi potevano rimanere nella memoria per tutta una vita. Con il cinema le immagini hanno occupato e coltivato l’immaginazione collettiva creando nuove forme di religione laica e creando sempre più dei rapporti di tipo periodico che nel corso del Novecento si sono dilatati. Oggi il tempo che una persona media dedica al rapporto con le immagini o con qualsiasi tipo di schermo fa sì che si possa pensare ad una possibile perdita progressiva di rapporti con la percezione della realtà. Per molti giovani ormai inseriti nella rete mediatica e di internet , la realtà appare come un surrogato dei mondi creati dalle immagini.
- Che cos’è secondo te che distingue, o dovrebbe distinguere, il traguardo espressivo del cinema dalle altre forme di comunicazione artistica, oggi?
- Il cinema inteso come modo di riproduzione analogica e in pellicola della realtà ha già raggiunto risultati straordinari e di fatto lo si può considerare come l’arte guida del Novecento. Oggi questa sua leadership è contesa da altre forme di esplorazione del visibile e da altri mezzi in grado non più di riprodurre fedelmente il visibile e il mondo conosciuto quanto di creare da zero una quantità di nuovi mondi possibili.
- Internet avrà un’influenza sul cinema? E, se sì, quali sviluppi di linguaggio prevedi?
- Internet è destinato ad essere il più gigantesco e significativo luogo della memoria universale che mente umana abbia potuto immaginare: Internet è l’ottava meraviglia del mondo e le sue possibilità di intervenire sul linguaggio cinematografico vanno dal numero pressoché sconfinato di colori alla possibilità offerta a chiunque di creare mondi virtuali e possibili da zero, ma anche la possibilità di raccogliere la memoria del mondo e di renderla tutta accessibile quasi in tempo reale. Gli icononauti possono effettuare viaggi inimmaginabili soltanto pochi anni fa.
- I “corti” sono una misura o un genere? Insomma, in che cosa indichi la loro specificità?
- Negli anni cinquanta e sessanta l’aspirante operaio specializzato dava prova delle proprie attitudini e competenze professionali realizzando al tornio un manufatto di precisione che si chiamava “ il capolavoro”. I corti sono il modo più rapido e sicuro per l’aspirante regista di mostrare le proprie qualità professionali, di misurarsi con un minimo rischio con l’insieme dei problemi della realizzazione di un prodotto cinematografico esattamente e di dare una prova della propria capacità di realizzazione di un manufatto costruito esattamente in modo da permettere di dare una misura delle proprie capacità.
- Sono stati smentiti coloro i quali prevedevano che a metà degli anni ’90 in poi si sarebbero prodotti sempre meno film tratti da libri.
Ecco uno spunto per chiederti quanto segue.
Dalla cellulosa alla celluloide: la prima cosa da fare, la prima cosa da evitare…
- Il cinema italiano in tutta la sua storia ha attinto a larghe mani alla letteratura e tuttora un libro di successo può facilmente prevedere di avere una seconda vita sullo schermo. La prima cosa da fare è sperare che il regista che si accosta al testo letterario non lo voglia semplicemente tradurre, ma voglia farlo proprio, metabolizzarlo e ri-crearlo adattandolo al suo mondo. Da evitare la riduzione, il surrogato, la trasposizione degli aspetti più superficiali del testo di partenza perdendone subito di vista la struttura profonda, l’anima.
- Una delle più frequenti accuse ai giovani registi italiani è quella di essere sempre più autori, in altre parole, d’essere autoreferenziali. Condividi quest’accusa?...
- Questo era vero soprattutto per quanto riguarda gli anni novanta. Nelle ultime stagioni si può riconoscere che la poetica “ ombelicale” o autoreferenziale sembra lasciare il posto ad una capacità di tentare strade nuove, di liberarsi da parte di molti registi emersi negli ultimi tempi – penso a Ozpetek e a Garrone a Crialese o a Gaglianone, e a Ciprì e Maresco, ma anche a Soldini e Mazzacurati o a Piccioni - dall’eredità dei padri e dei nonni neorealisti per tentare di raccontare in maniera nuova storie dell’oggi e del passato prossimo e remoto, di mescolare memoria collettiva e piccole storie individuali. Penso anche che l’esempio di un regista come Tavarelli che passa alla televisione con una miniserie come quella dedicata a Nino Borsellino faccia ben sperare anche sui futuri destini del cinema in televisione.
- Non in Italia, ma in altri paesi europei, per non dire degli Stati Uniti, quando non dispongono di somme significative, realizzano semmai qualche economia in più durante le riprese pur di investire denari in promozione…”The Blair Witch Project”, per fare un esempio (piaccia o non piaccia quel film, a me non è piaciuto, ma qui non c’entra il dato estetico), è costato 40mila dollari dei quali ben 5mila destinati alla comunicazione!…
Come spieghi che da noi molti giovani registi – proprio quelli che più necessitano di visibilità per le loro pellicole – trascurino (anche quando sono produttori di loro stessi) il lancio dei film riservando budget ridicoli alla pubblicità o, addirittura, affidandosi ad improvvisati uffici stampa?
Insomma, non credi che un pizzico di cultura industriale farebbe bene a non pochi autori? I film si girano per farli vedere, o no?
- Blair Witch Project è un perfetto esempio delle enormi possibilità che oggi si aprono a chi voglia fare cinema ed esplorare, anche con mezzi minimi, nuovi canali comunicativi. Oggi l’investimento pubblicitario occupa una percentuale importante nell’intero costo produttivo di un film americano. Nel cinema italiano questo tipo di investimenti ancora non sono previsti per cui la vita di un film è legata a una serie di fattori variabili e indipendenti che lo accompagnano dall’indomani della fine della post produzione. Bisogna prima o poi entrare in questo ordine di idee, senza rincorrere peraltro il modello americano.
- Oltre il cinema in quale delle altre aree espressive credi che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- Tutte le arti visive, fotografie compresa sono oggi di nuovo in tensione, anche se l’invenzione e la creatività che si potevano notare negli anni sessanta oggi sembrano solo un lontano ricordo. Il cinema non è più l’arte guida, come lo è stata a lungo nel secolo scorso.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa … che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Per me primo viene 2001 Odissea nello spazio (non a caso citavo Ulisse): Star Trek ha il merito ai miei occhi di aver raccolto da Kubrick e Clarke questa esigenza di proiettarsi nel futuro e mangiare il tempo ed ha straordinariamente allargato i territori dell’avventura della cronocrazia, dell’immaginazione del futuro. I personaggi di Star Trek, rispetto a quelli di Star Wars sono molto più familiari e mi piacciono perché sono simili a dei possibili compagni di scuola e amici di casa, o studentesse che con molta naturalezza la mattina invece di prendere un interregionale che da Piovene Rocchette o da Schio le porta a Vicenza si imbarcano sull’Enterprise …
- Siamo quasi arrivati a Brunettya, pianeta di cellulosa abitato da alieni che vivono in flash-back fin e comunicano per tutta la vita attraverso battute estratte dai parlati dello schermo… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Chardonnay “ Giarone” 1998 di Bertelli, consigliata dal sommelier Giuseppe Palmieri de “La Francescana” di Modena… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Questo Chardonnay ha sei anni ed è ancora straordinariamente giovane. Mi auguro di poterlo gustare ancora…
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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