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L’ospite accanto a me è Roberta Torre. Regista.
Biografia e filmografia: sul suo sito web
Il primo lungometraggio (1997) è anche il suo film più noto: Tano da morire, musical sulla
mafia tratto da un episodio realmente avvenuto; film strepitoso che io credo – e non sono il solo – destinato a restare nella storia del nostro cinema.
Il suo film più recente è “I baci mai dati” presentato con successo quest’anno – per i terrestri è il 2010 – ottenendo il Premio “Brian” dell’Uaar; un’intervista con la regista e una clip del film QUI.
- Benvenuta a bordo, Roberta…
- Salve a tutti e buon viaggio
- Lo stellare (e gli auguro presto che sia anche stellato) chef Gabriele Muro del ristorante Giuliana 59 di Roma, mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Nero d'Avola “Chiaramonte” prodotto da Firriato … cin cin!
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Roberta… secondo Roberta…
- Ritratto interiore….difficile come prima domanda….Ma credo che la definizione di viaggiatrice descriva bene la mia natura. Ho sempre viaggiato in fondo, fin da bambina uscivo di casa e tornavo a sera inoltrata. Ero una anomala milanese allora, vivevo in un quartiere residenziale della città e non era semplice che una ragazzina di undici anni passasse le sue giornate per strada, almeno non lo era per la mia famiglia che non capiva perché mi piacesse tanto stare in mezzo alla strada. Che fai tutto il giorno per strada? Mia
madre non capiva. Io avevo il mio bel daffare, ero curiosa del microcosmo che trovavo giorno per giorno nel quartiere, gli incontri, i fidanzati, le persone, tutto quello che capitava al bar dell’angolo, spiavo, scrutavo e sentivo il più possibile. Da allora non è cambiato molto. Continuo i miei personalissimi viaggi.
- Qual è la principale motivazione che ti ha spinto a fare cinema?
- Quella di scoprire nuovi mondi appunto. Il cinema mi ha permesso di entrare nelle vite degli altri, spesso in mondi che altrimenti non avrei mai potuto avvicinare. Ho potuto conoscere intimamente mafiosi, gangster, prostitute, scambisti, preti, mistici, miracolati… non è poco. E poi le immagini. Io ho iniziato dipingendo e la pittura e i colori sono sempre stati presenti nel mio cinema. Il cinema che amo è vicino alla pittura.
- Immagina di trovarti davanti a una platea di quelli definiti “non addetti ai lavori” e descrivere in parole semplici il tuo modo d’intendere il cinema e il tuo modo di farlo.
Come diresti?
- Torno alla prima immagine: il cinema che amo e che cerco di fare è quello che ti fa conoscere un mondo, lo ricrea, ti fa entrare in quel mondo come se spiassi dal buco della serratura e ti accomodassi poi in salotto accanto ai tuoi personaggi. Una mescolanza di intimità e lontananza da mondi non necessariamente lontani fisicamente ma spesso viaggi dentro le persone. Io lavoro sempre mescolando fortemente la realtà e la finzione.
Conosco qualcuno che mi piace, mi incuriosisce e voglio che mi racconti la sua vita.
Zavattini direbbe lo pedino e frugo nella sua storia e nella sua intimità, entro a casa sua, nei suoi affetti, parlo con le persone che gli sono più vicine e soprattutto voglio scoprire quello che è il suo segreto. La vita di ognuno gira attorno a un segreto, a me piace raccontare quello. Quando poi lo metto in scena, certo uso la mia immaginazione, lo dipingo come farebbe un pittore con il suo modello, quindi non una fotografia naturalistica, ma un quadro impressionista.
- Il tuo recente film “I baci mai dati” – accolto con successo al Festival di Venezia –, ha ricevuto, come ricordavo in apertura, il Premio “Brian” dell’Uaar.
Qual è il tuo pensiero sulla laicità?
- Io sono da sempre profondamente credente dunque il mio è un punto di vista di rispetto ma di non condivisione. La fede è un dono , assomiglia molto all’amore una delle poche cose ancora oggi non ricreabile artificialmente, o lo provi o non lo provi. Certo puoi fingerlo, ma questa è un’altra storia. Chi non ha questo dono può trovare complessa e incomprensibile una tale dedizione, è ovvio.
- La In-Stat Research, think-tank americana sui media, sostiene che entro pochi anni il mercato delle sale sarà del tutto marginale. La fruizione dei film sarà prevalentemente casalinga con un mercato immaginato sui 50 miliardi di dollari interessando il 41% delle famiglie negli Usa mentre in Giappone la media sarà ancora superiore. Gli stessi analisti pensano che in altri paesi asiatici e in Europa saranno, invece, i sistemi portatili-telefonini, players Mp4, palm-computer e iPod ad essere i più usati.
Quale conseguenza pensi che possano avere tali cose sull’ideazione e produzione dei film?
- Anch’ io credo che nel tempo il cinema in sala resterà un bel ricordo, lo vedo chiaramente e anche in Italia è già evidente come il sistema–cinema stia andando verso metodi produttivi e distributivi diversi. Ritengo che questo avrà i suoi vantaggi, soprattutto perché sarà più facile da un lato fare film e distribuirli, anche perché in Italia ormai si è arrivati a un collasso del sistema gestito in modo poco meritocratico e totalmente sottomesso a interessi politici e familistici, quindi questo andamento porterà una rivoluzione negli assetti di potere che andavano scardinati se si vuole tornare ad avere una creatività libera e fruttuosa.
- Dopo l’avvenuta moltiplicazione dei media, quale la cifra espressiva che dovrebbe sempre più distinguere il cinema dalle altre forme di comunicazione artistica oggi?
- Inevitabilmente ci sono delle contaminazioni tra il cinema e le altre arti, io amo le contaminazioni tra cinema e teatro, pittura e musica. Le trovo vitali e fondamentali. E anzi per molto tempo il cinema italiano si è cristallizzato in canoni ormai sorpassati, continuando a guardare alla grande tradizione del neorealismo, stagione d’oro del cinema italiano ma ormai inattuale e non è un caso se gli stranieri ci conoscono ancora oggi per i film nati in quel periodo. Detto questo però credo che il cinema abbia una sua specificità che vada tutelata. È il modo di raccontare che deve essere salvato anche dai modelli televisivi che rischiano di fagocitarsi tutto. I tempi del cinema ad esempio non possono essere quelli nevrotici e didascalici delle fiction tv, la recitazione degli attori non può trasformarsi in quella omologata e assurda delle serie tv, con tutto quel pathos ad ogni sospiro e assenza assoluta di silenzi, per esempio. Gli attori delle fiction disimparano completamente a recitare.
- Sono stati smentiti coloro i quali prevedevano che a partire dalla metà degli anni ’90 si sarebbero prodotti sempre meno film tratti da libri. Ecco uno spunto per chiederti quanto segue.
Dalla cellulosa alla celluloide: secondo te, quale la prima cosa da fare, quale la prima da evitare…
- Un libro è grande sia per la storia che per il linguaggio che usa. Non a caso è quasi impossibile fare un film dall’Ulisse di Joyce. Mentre la trama si può adattare, non si può ricreare il linguaggio di quell’autore traducendolo dalla pagina allo schermo. In questo sta il lavoro della messa in scena cinematografica, non tradire il linguaggio dello scrittore sapendo che però è quasi impossibile assomigliargli. Quindi è spesso necessaria una sensibilità vicina tra regista e scrittore. Ricordo ad esempio un caso vicino a noi riuscito è quello di Salvatores e Ammanniti, “Io non ho paura”, dove il protagonista bambino è sempre perfettamente delineato mentre un caso di totale fallimento è quello di “Un giorno perfetto” di Melania Mazzucco che Ozpetek ha portato sul grande schermo dimenticando le ombre e la violenza che quel libro aveva.
- E’ proprio nel cinema oppure in quale delle altre aree espressive - arti visive, letteratura, fumetto, video, musica, etc. - credi che ci siano oggi i lavori più innovativi nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- Il cinema in Italia oggi mi sembra spesso vecchio in termini di sperimentazione visiva, e di linguaggi, non è un terreno dove si possa vedere qualcosa di innovativo e credo che il sistema che lo produce ne sia quasi completamente responsabile. La censura preventiva rispetto a tematiche e linguaggi lo rende povero e ripetitivo. La musica invece è molto più interessante e anche la letteratura ha una libertà che consente di scoprire nuovi mondi.
- Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, James Cameron, Joe Dante, e tanti altri hanno iniziato la propria carriera alla corte di Roger Corman che ricorda: "Da me non si imparavano soltanto le tecniche del mestiere, la mia scuola comprendeva materie come il marketing, la pubblicità, la distribuzione".
Da noi molti giovani registi – proprio quelli che più necessitano di visibilità per le loro pellicole – trascurano (anche quando sono produttori di loro stessi) il lancio dei film riservando budget ridicoli alla pubblicità o, addirittura, affidandosi a improvvisati uffici stampa?
Insomma, non credi che un pizzico di cultura industriale farebbe bene a non pochi autori?
- Quando ho deciso di iniziare a produrre con la mia casa di produzione “Rosettafilm”, ho voluto farlo proprio perché negli anni avevo accumulato una specifica esperienza in settori assolutamente fondamentali come la promozione, la distribuzione e la pubblicità. Spesso ho sofferto durante la distribuzione dei miei film precedenti, di una approssimazione da parte di chi se ne occupava. L’idea di dare una svolta al mio lavoro in direzione produttiva mi ha reso consapevole della differenza che c’è tra il momento creativo e progettuale artistico e quello invece decisamente imprenditoriale. Credo che questo vada assolutamente incrementato, altrimenti il cinema in Italia rischia di non arrivare mai a livelli competitivi.
- Ci avviamo alla conclusione di questa nostra chiacchierata.
Quale la cosa che più apprezzi del cinema italiano dei nostri giorni e quale quella che quando la vedi sullo schermo ti fa venire la scarlattina?
- Per fortuna ho avuto la scarlattina in tenera età. Amo i giovani autori e attori under 30, li sento vivaci e incontaminati, ancora incontaminati. E spero di poter iniziare a produrre proprio questa fascia di autori. Il cinema italiano ha bisogno di svecchiarsi, di far circolare aria nuova, di mettere a riposo cliché e abitudini che l’hanno reso noioso e auto celebrativo. Ha bisogno di un nuovo immaginario e di immagini nuove, anche di nuovi attori, meno divi e più viaggiatori insomma con voglia di sperimentare e di sperimentarsi al di là delle richieste di capi struttura barbosi, più coraggio, più passione. E poi il mio pensiero e la mia gratitudine va ai grandi Maestri che guarda caso quando fanno film hanno lo sguardo più nuovo di tanti altri ben più giovani anagraficamente: Bertolucci, Bellocchio, Olmi, Rosi, De Seta.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a
fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Il primo bacio interraziale della storia della televisione.
- Siamo quasi arrivati a Torre-R, pianeta abitato da alieni che si cibano di frames e vivono in flashback… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Nero d'Avola “Chiaramonte” prodotto da Firriato… consigliata da Gabriele Muro chef del ristorante Giuliana 59… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Bene, tornerò!!!
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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