L’ospite accanto a me è Massimo
Bottura. Chef. E dei migliori. Il suo ristorante, “La Francescana”,
sta a Modena, via Stella 22, e vi si mangia male solo il sabato a mezzogiorno
e la domenica perché allora sta chiuso. Ma se ci andate in tutti
gli altri momenti della settimana, proverete emozioni di sapori che ben
valgono la visita. Insomma, vi dico come la penso (dopo, ben inteso,
esserci stato nel febbraio di questo 2003): passare per Modena senza
recarsi alla “Francescana” è un reato di omissione
d’atti di gusto. La sala è diretta dal giovane, ma già sapiente,
Giuseppe Palmieri che v’accoglie con cordialità assolutamente
non formale rivelandosi guida sicura d’un singolare viaggio attraverso
piatti della tradizione innovati in modo entusiasmante.
Non ne cito nessuno perché sono fra coloro i quali credono che
le pietanze vadano assaggiate e non descritte. Facendo un parallelo letterario,
avanzo l’ipotesi che la cucina di Massimo ricordi gli Exercises
de style di Raymond Queneau. Bum! L’ho detta. E lo dico perché le
variazioni su tema che propone questo chef su preparazioni e sostanze
della tradizione, trattano gli elementi del piatto componendoli e scomponendoli
come tanti modi di esercitare linguaggio gastronomico partendo da dati
semplici. Queneau dicevo,non è un caso che, spesso, si trova sulla
tavola lo stesso piatto di tradizionale fattura (e perfettamente eseguito)
con accanto la varianti di riproposta, così come fece Umberto
Eco che presentò ai lettori dell’edizione italiana gli “Esercizi
di stile” col testo a fronte. Mi piacerebbe un giorno – ecco
un’eccitante idea che porterebbe a sicura rovina il locale – mangiare
da Massimo lo stesso piatto lavorato in tantissimi modi, trascorrendo
dall’antipasto al dolce, così come il grande Raymond rielaborò in
99 modi un banale episodio di vita quotidiana…certo che l’ho
presa fitta con ‘sto parallelo letterario nel quale mi sono cacciato!
Foto e una scheda sul locale le trovate cliccando su: http://paginegialle.virgilio.it
- Benvenuto
a bordo, Massimo…
- Ciao, Armando
- Suggerisci un vino da sorseggiare durante questo nostro viaggio spaziale…
- Anna Maria Clementi di Cà Del Bosco, del ‘95
- Bene. Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per
lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”,
però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”,
prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando
la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma,
chi è Massimo secondo Massimo…
- Uno che pensa velocemente e con le orecchie sempre aperte
- Quando e com’è nata la tua vocazione?
Come hai cominciato? Quali i tuoi maestri nei primi passi del tuo percorso
professionale?
- Da quando avevo sedici anni i miei fratelli, appassionati di cucina,
mi scarrozzavano in giro per ristoranti (Cantarelli Peppino San Domenico
Gualtiero ecc.) La Lidia Cristoni sicuramente, cento chili di tradizione,
poi George Coigny mi ha insegnato come muovermi in una cucina; Alain
Ducasse la professionalità, l’organizzazione e la pulizia
nel piatto; Ferran la concettualizzazione; l’Artusi e il Carnacina
mi ricordano sempre da dove vengo, mia moglie chi sono, ed Emilio Mazzoli
dove andrò.
- Ora che i miei avventori ti conoscono meglio, illustra loro qual è oggi
la linea stilistica della tua cucina, quali le scelte che operi nel
tuo locale…
- Cerco di innovare la cucina con la quale sono cresciuto controllando
la materia prima di persona. Ducasse mi ripeteva sempre: non scriverti
le ricette, impara le tecniche ed applicale al territorio
- Partita dalle beauty farms, la cosiddetta cuisine minceur - menu
con meno di 500 calorie - è proposta in Francia da Michel Guérard
e anche da noi in qualche locale.
E’ possibile fare grande cucina rispettando tali regole? Tu la
proporresti nel tuo ristorante?
- Certo che è possibile, e non solo Guérard la sta sperimentando
ma anche a Pietro Lemann riesce benissimo. Per quanto mi riguarda in
questo momento ho la testa altrove
- Si moltiplicano i cosiddetti “crudisti”, capeggiati dalla
chef Roxanne Klein. C’è chi dice rappresenti qualcosa più di
una moda o di una scuola culinaria. Il tuo pensiero al proposito?
- Mi ricordo alcuni anni fa in un viaggio in California si cominciava
a parlare di questo tipo di cucina senza fonti di calore e tutta basata
sui tagli. Penso sia troppo elitaria, soprattutto per un motivo di approvvigionamento
della materia prima
- L’antropologo Lévi-Strauss nel suo libro Il crudo e il
cotto indica in quelle due modalità un passaggio essenziale
del passaggio da Natura a Cultura. Superiamo le (pur insostituibili)
fiamme
e i vecchi (ma validi) fornelli. Le nuove tecnologie (dai timers ai
forni a microonde, alle guide informatiche) possono apportare vantaggi
di gusto
alle tavole?
- Sicuramente sì.
L’importante è studiare la materia con attenzione e applicarla
al proprio lavoro in modo intelligente.
- La cucina fusion va diffondendosi presentando, talvolta in un solo piatto,
elementi di cibi nostrani accanto a quelli esotici. Come giudichi questo
melting pot a tavola?
Ti aspetti nuove rivelazioni? Lo consideri negativamente?
- L’immigrazione negli ultimi anni ha fatto sì che nei mercati
i prodotti classici venissero affiancati da altri cosidetti “nuovi” e
di conseguenza si è avuta la fusione. Nel periodo in cui ho vissuto
a New York facevo lo chef con un secondo francese, un altro era messicano,
un altro ancora giapponese, e c’era pure un “big brother“ di
Brooklin Quella era fusion. Fatta in modo intelligente. No quindi,
non la considero negativamente.
- La ristorazione italiana. Il suo maggiore pregio ed il suo peggiore
difetto…
- La mancanza di strutture che formino i giovani mentalmente, (ricordo
i ragazzini di 16 anni che arrivavano in cucina all’Hotel de
Paris; credevano nei sogni).
Il maggior pregio, secondo me, è la regionalità della nostra
cucina e, di conseguenza, la qualità delle materie prime.
- La diffusione di notizie sull’enogastronomia ha contribuito ad
elevare conoscenza ed interesse presso il pubblico. In quale direzione
dovrebbe meglio muoversi l’informazione stampata e radiotelevisiva?
- Questione di cultura. Vedi…in Francia, negli Stati Uniti in Giappone
in Spagna, ma anche altrove, uno Chef è considerato una stella.
Qui un semplice cuoco. In ogni caso mensili come il “Gambero Rosso” stanno
aiutando parecchio.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci, infliggo
una riflessione su Star Trek. Che cosa rappresenta quel videomito nel
tuo immaginario?
- Ignoro la materia, non amo la fantascienza, sono un uomo di blues e
jazz.
Il blues…la realtà quotidiana, e il jazz…il sogno.
- Siamo quasi arrivati a Botturya, pianeta gourmet abitato da alieni
ghiottoni che sono immortali perché si nutrono solo con piatti che provengono
tutti da una celeste mensa spaziale chiamata, chissà perché, “La
Francescana”…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata.
Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita
la bottiglia di Anna Maria Clementi ’95 di Cà del Bosco…
Però torna a trovarmi…
- Contaci.
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise:
lunga vita e prosperità!
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