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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L'ospite accanto a me è Franco La Polla. Confesso l'imbarazzo, io dell'Enterprise conosco solo questa vineria, lui ogni angolo. Ha dedicato, infatti, a Star Trek tre splendidi libri: "Il cielo è il limite" per Lindau, "Foto di gruppo con Astronave" e "Star Trek al cinema" con Punto Zero.
Comprateli, anche se non siete dei trekkers, perché quelle pagine vanno oltre EsseTi, proponendo avvincenti riflessioni di linguaggio. La Polla insegna Storia della Cultura Nord-Americana nell'Università di Bologna, suoi interventi li trovate nei sommari di prestigiose riviste: "Il Verri", "Paragone", "Il Ponte", "Studi Americani", "Filmcritica", già perché è anche uno studioso di cinema. Per chi volesse conoscerne quest'aspetto, sul web troverà la trascrizione d'una sua conversazione cliccando sopra la scritta http://fucine.com
Mo' di fronte a tanta scienza che faccio? Vado a nascondermi in un buco nero o proseguo? Mah…ci provo.

 

Benvenuto a bordo, Franco…
Ciao Armando
Voglio farti assaggiare questa bottiglia di Dolcetto San Nicolao…qua il bicchiere…ecco fatto!
Senti, il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a palla"…prudenza vuole che tu, in poche battute, trasmetta sulla Terra il tuo ritratto, insomma come vorresti essere ricordato dagli umani…no, non fare quegli scongiuri! Ci sto pur'io su 'sto tram, mica m'auguro che…
Un accademico senza accademismo, passabilmente onesto e dotato di umorismo, al punto da avere rinunciato a parecchie cose per amore di una battuta
Da studioso della letteratura americana, che cosa pensi dei vari Ruff, Vollmann, Wallace, dei cyberpunk Gibson, Sterling, Stephenson, in altre parole, del movimento dell'AvanPop?
Ricordo agli avventori di quest'enoteca che quel nome deriva dalla fusione delle parole "avantgarde" e "popular" ed è tratto, programmaticamente, da un album del musicista Lester Bowie un contaminatore di generi e linguaggi…
Non so se tutti questi nomi siano catalogabili come AvanPop. Comunque, nell'insieme penso che mentre è importantissimo il fenomeno osmotico che concerne discipline e aree diverse (la contaminazione, ecc.), nella pratica sino ad oggi non si è fatto molto per avere in questo senso prodotti di livello. Quelli che ritroviamo non appartengono di norma a quella lista, ma ad autori più anziani come Coover, Pynchon, DeLillo, i quali hanno capito meglio di loro quanto e come la letteratura narrativa poteva imparare da cinema, televisione, pubblicità, generi letterari popolari e via dicendo. Trovo che l'odierna situazione letteraria sia guastata da una critica - soprattutto quotidiana - gaglioffa e disonesta, che non cerca di capire ma che crea a seconda dei propri bisogni pubblicistici. Questo senza nulla togliere a Wallace, ad esempio, che è un bravo autore.
L'indebolimento dei confini, in teoria una buona cosa, cui assistiamo da anni non soltanto in ambito creativo ma anche politico, nella pratica si è portato dietro una serie di terribili problemi (si pensi ai micronazionalismi, risibili, certo, ma anche sanguinosi). E' paradossale che in un'epoca in cui tutto si mescola con tutto (anche troppo), piccoli gruppi spesso insignificanti compiano le più atroci crudeltà in nome di una sedicente cultura propria.
Chiedo scusa di avere allargato il discorso, ma il fenomeno oggetto della domanda è parte, piccola s'intende, di qualcosa di ben più ampio, che non possiamo né dobbiamo eludere.
Credo infine che la letteratura sia, temporaneamente, finita. Ma non perché è morta o altre sciocchezze del genere: soltanto perché ancora una volta non siamo riusciti a delinearne i confini. E dunque tutto, ma proprio tutto, è letteratura. Questa, sì, una vera sciocchezza.
D'altra parte, quando sento colleghi accademici che si vantano di non essere mai stati al cinema negli ultimi 20 anni mi vengono i brividi al pensiero di quel che può uscire da una università popolata da gente di tal fatta
In America, in quale delle aree espressive - arti visive, letteratura, cinema, etc. - credi che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
Probabilmente nell'ambito delle arti figurative. Lo dico più per esclusione che per conoscenza. Il cinema è diventato televisione, e di pessima fattura. Giusto qualche nome autoriale importante continua a fare cose serie (Altman, Scorsese, ecc.), che fra l'altro non so fino a che punto possano rientrare nell'ambito dei "nuovi linguaggi". La letteratura ha vissuto la pessima stagione del postminimalismo con personaggi di secondo piano (Leavitt, McInerney, ecc.) trattati come se fossero di primo. Lo stesso Carver, certamente rispettabile, mi sembra essere stato sopravvalutato. McCarthy è bravissimo, ma ho il sospetto che lavori su una tradizione già consolidata (Faulkner). Insomma, anche lì qualche Autore (Pynchon), ma non una vera ondata.
L'arte invece osa molto di più. Si rischia la stupidaggine e la malafede, naturalmente, ma quando esce un grande allora è davvero innovativo
Arte e Mercato. In America è un rapporto accettato anche dalle avanguardie che s'impegnano semmai a creare nuovi circuiti, ma non inorridiscono di fronte all'arte come merce. Da noi è molto diverso. Ho visto artisti americani "off", e anche "off off" - in tutti i sensi - stupirsi dinanzi a certi noncuranti, e talvolta sprezzanti, comportamenti dei loro amici italiani.
Qual è la prima ragione di questa diversità?
La nostra società è storicamente classista. Gramsci diceva che un intellettuale contemporaneo si sente più vicino a Sannazaro che a un contadino lucano. E aveva ragione. La nostra arte (grandissima) è stata fatta per secoli nelle corti grazie ad aristocratici mecenati e a papi anche più ricchi di loro. Gli Stati Uniti nascono invece come nazione democratica (poco importa sino a che punto questo principio sia poi stato applicato), vale a dire come paese nel quale non solo i valori ma anche la realtà quotidiana del popolo è tenuta sempre in considerazione. La società di massa ovviamente non nasce solo perché essa è formata da tante persone (anche il Sacro Romano Impero ne contava parecchie), ma perché le abitudini, i gusti, i pensieri e le aspirazioni di quelle persone diventano soggetti. E dove può capitare una cosa del genere se non in una società democraticamente fondata?
Dico "fondata" perché nemmeno le cosiddette grandi democrazie europee (Gran Bretagna, ad esempio) rientrano in questo quadro, tarate come furono dalle loro origini aristocratiche e da una storia che per secoli escluse la presenza e l'importanza del popolo.
In questo quadro non può meravigliare che l'idea di arte sia profondamente diversa fra USA ed Europa. Ovviamente con la colonizzazione culturale americana del secondo dopoguerra le cose sono cambiate, ma soltanto nel mercato. Insomma, non abbiamo certamente rinunciato a pensare a noi stessi come a qualcosa di diverso dall'"invasore". E, aggiungo, giustamente: perché noi SIAMO diversi. Dove sbagliamo è nel ritenere questa diversità una nostra superiorità. E' un po' come con la questione dei dialetti: tutti li vogliono salvare. Certo, sono un patrimonio di grande interesse. Ma come si fa a salvare qualcosa che per condizioni e ragioni oggettive è destinata a perire? O anche la questione degli esotismi: perché mai dobbiamo arrabbiarci quando entrano nella nostra lingua parole di un'altra (piercing ecc.)? La lingua è una realtà in movimento, perché mai dovremmo fossilizzarla?
L'avvento della borghesia ha monetizzato anche quello che in precedenza non era quantificabile, ha reso merce l'arte. E' un fatto. E Hegel aveva ragione a profetizzare un mondo in cui l'arte si sarebbe realizzata, in cui tutto sarebbe stato arte: perché tutto alla fine si è trovato a venir trattato come merce. Non soltanto quadri e sculture, ma - ahinoi - lo stesso corpo umano (il traffico di organi).
E' qui che dovrebbe entrare in gioco la morale e distinguere nel processo di generale mercificazione ciò che è lecito e ciò che non lo è.
Ecco: in fondo chi arriccia il naso davanti all'idea americana di arte/merce applica in sostanza una categoria morale a qualcosa che per tanto tempo sono stati loro i primi a voler svincolare dalla morale
Siamo sull'Enterprise, è giocoforza parlare di fantascienza. I videogames hanno ottenuto la diffusione di massa con "Space Invaders", coin-up del '77; i temi fantascientifici sono graditissimi al joystick ancora oggi. Qual è l'elemento di linguaggio che unisce quelle forme narrative a quelle macchine ludiche? Sembrano fatte le une per le altre…
Be', è una nuova tecnologia ed è quindi naturale che il suo soggetto sia di carattere (fanta)scientifico. D'altra parte esistono tanti games che mimano la realtà (le corse in macchina ecc.). Non credo si tratti di un'esclusiva. Si pensi anche ai games di Dungeons, le segrete medievali e così via. Semmai si tratta di una voga della fantascienza tout court, nel senso che stiamo sempre più trovando nelle invenzioni della fantascienza motivi e metafore non tanto del nostro domani ma del nostro oggi. Voglio dire: essendo il nostro oggi così strettamente connesso ai movimenti della scienza, fantasticizzare quest'ultima è la cosa più ovvia che possa accadere
Qual è il motivo per cui, in Italia, in letteratura, non vantiamo una significativa produzione narrativa del genere fantascientifico?
E' una questione annosa. Credo riguardi più in generale la nostra debole tradizione fantastica. Fino all'Ariosto ne abbiamo avuta una. Poi con la Controriforma le cose sono cambiate. L'unico immaginario possibile è stato di carattere strettamente religioso. Credo che da noi il cattolicesimo abbia fatto moltissimo per frenare la nascita (o la continuazione) di una tradizione fantastica. Oggi la critica scrive volumi per dimostrare che ne abbiamo una, ma non è vero. Abbiamo alcuni nomi, da Tarchetti a Buzzati a Calvino, ma non è un caso che siano tutti Letterati (L maiuscola). E' un po' il discorso di prima: da noi o si fa Arte o non c'è nulla. Una vera letteratura popolare, a dire il vero, c'è stata (la Serao, per dirne una), ma è significativo che anche quando il modello era il romanzo gotico inglese il testo che ne usciva diventava solo un melodramma potato di tutti gli spunti fantastici originari (penso alle cieche di Sorrento, alle mute di Portici e via dicendo). La nostra tradizione è MELODRAMMATICA, non c'è niente da fare. Per questo abbiamo avuto una grande opera lirica, ma pochissimo fantastico. Il fantastico non lascia grande spazio ai sentimenti, se non la paura e la meraviglia. A noi piace fare gli introspettivi, misurarci con quel che la società pensa di noi, con le trasgressioni delle leggi sociali, perché le trasgressioni delle leggi divine (Frankenstein & Co.) non sono permesse a priori grazie alla secolare invadenza della Chiesa
La fantascienza, al cinema e in tv, è in larghissima parte sinonimo d'effetti speciali.
Non così in Star Trek, almeno nelle serie televisive. Perché?
Ma perché Star Trek è un'invenzione umanistica e problematica. A Roddenberry interessavano i problemi prima che lo spettacolo. Che cosa vuol dire essere fedeli a se stessi? Che cosa significa nutrire dei sentimenti? Che cosa comporta la realizzazione dell'Utopia? Che cosa è il bene e cosa è il male? Perché il nemico ci è nemico?
Non mi pare che tentare di rispondere a queste domande comporti necessariamente spararsi addosso, inseguirsi nella galassia o anche soltanto tirarsi il collo gli uni con gli altri. Naturalmente c'era un po' anche di questo, ma solo perché la Tv è anch'essa un veicolo di spettacolo che non si può del tutto eludere
A tutti gli ospiti di questa vineria, concludendo l'incontro, chiedo di fare una riflessione sul mito di Star Trek, la domanda è, volutamente, sempre la stessa: "Che cosa rappresenta secondo te?" Con te che su Star Trek ci hai scritto centinaia di pagine, è lecito essere crudeli…t'impongo non più di 20 parole per dirlo, t'avverto: anche articoli e congiunzioni le considererò parole
L'unico spettacolo televisivo di carattere fantascientifico che si pone domande eluse dagli altri mezzi di massa
Bravissimo, hai impiegato solo 16 parole!
L'intervista è finita…e pure la bottiglia di Dolcetto.
Spero che torni a trovarmi presto
Certamente!
Vabbè…ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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