L’ospite accanto a me è Pino
Caruso. Attore e scrittore. L’occasione per quest’incontro è data
dalla pubblicazione presso Marsilio, nel marzo di questo 2003, de Il
venditore di racconti, una raccolta di narrazioni che si misurano nella
modalità più difficile nell’arte dello scrivere:
la brevità.
Ciascun racconto, a cominciare da quello, bellissimo, che dà il
titolo al libro, presenta figure e storie che trascorrono da atmosfere
struggenti (“La signorina Giulia”, “Don Puddu e la
carrozza”) ad altre grottesche (“Amore prematuro”),
ad altre comiche (“Il santo che piange”). Tutte vissute sulla
pagina, e prima ancora nella memoria dell’autore, in un clima
sospeso tra incanto e disinganni, sortilegi e svelamenti.
I personaggi, pur provenendo da luoghi fisici precisati – la Santa
Flavia ricovero d’una umanità che tenta di sfuggire alla
guerra, o la Palermo enigmatica e sapienziale di gente misteriosamente
saggia – sembrano, per la grazia della scrittura che li celebra,
già nati con carne di cellulosa e sangue d’inchiostro, “anagrafe
di una sola mitopea” come diceva Bufalino dei personaggi dei
libri.
Altri titoli che mi sono piaciuti: “La cinquina”, “Patologia
della mano morta”, “Il cassamortaro”…vabbè basta,
sennò finisce che vi leggo l’indice perché me ne
sono piaciuti molti. Ecco un libro da regalare a persone che vi sono
care e anche a voi stessi, se vi volete bene.
Ai miei avventori più distratti ricordo che questo non è il
debutto letterario di Pino perché – dopo un libro di poesie
Dissolvenze – ha pubblicato nel 1985 L’uomo comune, Palma
d’oro al Festival dell’umorismo di Bordighera; nel 1991
I delitti di via della Loggia; nel 1998 La Sicilia vista da me e Un
comico
urgente a via Cavour.
Di Caruso attore sapete già che è una grande figura della
nostra scena, praticandone il terreno più ardito e difficile:
quello della comicità; in teatro, cinema, radio, televisione e,
poiché del tempo gliene avanzava, anche in pubblicità.
Nonostante i tanti impegni e i successi ottenuti, ritengo che lo spettacolo
italiano gli sia ancora debitore. Ne volete un esempio? Vi servo subito.
Un solo esempio, piccolo piccolo forse, ma credo significativo, una mia
idea che peraltro condivido, come diceva Groucho Marx. Spesso sento dire
da quelle teste di silicio che dirigono le tv, del loro affanno a cercare
chi possa fare i cosiddetti programmi di traino…traino?...che brutta
parola!...fa pensare a certi sfortunati quadrupedi…però però,
a ben pensarci, vedendo chi li pensa e li fa, specie in questi ultimi
mesi, vuoi vedere che la parola è giusta?...insomma, immaginate
se in uno di quegli spazi pensassero a Pin…e no!...mo’ che
ci penso meglio, devo ammetterlo, sono un ingenuo, nonostante l’età e
gli ultratrentennali versamenti Enpals: vista la finezza, l’impegno
civile, l’indipendenza di cui è capace, forse non lo chiameranno
per quelle cose lì.
Tòccati pure, Pino, ma temo di non sbagliare.
Come al solito dò un link di riferimento del mio ospite, se
accendete i motori di ricerca sul web ne troverete molti, ma primo
fra tutti, cliccate
su www.pinocaruso.it, sito provvisto di varie sezioni che permettono
un ottimo approfondimento. A proposito, fra le sezioni non perdetevi
quella dei suoi aforismi, mi ringrazierete.
- Benvenuto a bordo, Pino…
- A bordo salgo volentieri. Amo il mare e tutto quello che ci sta sopra.
- Voglio farti assaggiare questo rosso "Diacono Gerardo 1028" Gutturnio
Riserva Doc Colli Piacentini …qua il bicchiere…ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne
la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi
nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole
che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione
con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Pino
secondo Pino…
- L’estraneo con il quale ho più confidenza.
- Un esercizio crudele. In 10 parole, tante quante sono le lettere che
compongono il tuo nome, definisci la tua presenza nello scenario letterario
italiano.
- Essendo dentro detto scenario, sono impossibilitato parlarne.
Se vai su luna scopri che su luna non si vede la luna.
- Sei un autore che lavora sia sulla parola destinata ad essere da
te stesso detta sia su quella destinata ad essere da altri letta. Qual è per
te la principale differenza tecnica fra i due tipi di scrittura?
- La parola detta, per arrivare al cervello, passa attraverso le orecchie
e
quando la si scrive si prevede un’interpretazione di chi la dirà che
ne
esprima il senso, lo integri o addirittura ve ne aggiunga un altro.
Sicché quando scrivo la parola destinata ad esser detta,
prima la pronuncio ad alta
voce e poi la scrivo. Insomma in questo caso la parola nasce sonora
e poi si
sdraia silenziosa sulla pagina in attesa di risuonare.
La parola scritta, per arrivare al cervello, passa attraverso gli occhi
e
quando la scrivo non la dico, la penso.
Pasquino, in un film di Gigi Magni, chiarisce esemplarmente ad un suo
allievo, la differenza tra il dire e lo scrivere. “Il termine ‘cornuto’ -
spiega Pasquino - se lo dici è un insulto, se lo scrivi è un
pensiero.”
- Don Isidoro, il protagonista del racconto che dà il titolo al libro,
mi sembra sintetizzi l’allegoria d’un destino borgesiano della lettura
che si fa scrittura. E’ una delle mie solite cappellate oppure stavolta…hai
visto mai…ci ho preso? E ancora: se si fosse verificata tale remota
ipotesi, ti riconosci nella figura del tuo personaggio?
- Se l’allegoria ti è venuta in mente…ci hai preso! Nel senso che,
se uno
scritto suggerisce qualcosa, quella cosa c’è, al di là dell’intenzione dell’
autore.
Ogni personaggio sempre somiglia a chi lo concepisce, tanto per analogia,
quanto per contrasto. Così come in ogni figlio, inevitabilmente, sempre c’è
un po’ della fisionomia e del carattere dei genitori.
- Hai scritto: “…nonostante la televisione e il cinema, la più stupefacente
invenzione dell’uomo rimane proprio il libro. Perchè? Semplice: se
va via la luce, il libro non si spegne”. Al di là di questa saporita
riflessione, che cos’è secondo te che distingue (o dovrebbe distinguere)
il traguardo espressivo della letteratura dalle altre forme di comunicazione
artistica, oggi?
- Il traguardo espressivo della letteratura è tutto nelle immagini
e nei
concetti che riesce a comunicare e a suggerire. Senza la parola e la
scrittura non esisterebbero immagini, o non ne esisterebbero di sensate:
esisterebbero soltanto o visioni o deliri. Il cinema, per dirne una, e la
televisione, per dirne due, sono scrittura prima di diventare immagini.
- Ho apprezzato delle tue pagine anche l’uso di ritmi dialettali sottesi
alla lingua nazionale, hai rinunciato cioè alla scorciatoia di dare
facile colore alla scrittura applicando una cosmetica sulle parole
scrivendole in vernacolo (tranne in qualche occasione in cui s’avvertono
necessità e significati). Quali i motivi di questa, preziosa, scelta?
- Penso non si tratti di una scelta tecnica applicata a freddo, ma
del risultato di una condizione generale di ‘onestà’ della mente -
l’aspirazione
a una forma di sincerità del vivere e, quindi, dello scrivere.
- E ancora su lingua e scrittura. L'Associazione La bella lingua, ha
redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto
da molti autori e operatori culturali; per citarne solo alcuni: Guido
Ceronetti, Francesco De Gregori, Ernesto Ferrero, Vittorio Sermonti,
Luciano Violante, e tanti altri. Da chi e da che cosa, secondo te,
va difesa oggi la lingua italiana?
- Soprattutto dai letterati e dagli intellettuali, responsabili di
trascurare
(se non di ignorare) un aspetto, secondo me fondamentale, della nostra
lingua: la pronuncia. Nessuno di loro, o quasi (ma questo ‘quasi’ non saprei
a chi accreditarlo) conosce l’esatta pronuncia della parole; il che
significa non conoscere (o, semmai, peggio: conoscere e ignorare) la loro
etimologia. D’altronde, il nostro è (credo) l’unico paese al mondo, dove a
scuola non si insegna la pronuncia della lingua nazionale. E questa è
certamente un attenuante per chiunque, non lo è per un letterato di
professione, che vive bazzicando e usando quotidianamente le parole. Una
corretta pronuncia non è un fatto estetico ma pratico: attiene alla
comunicazione: rende chiaro all’istante e più fruibile ogni comunicazione verbale.
- Scuole di scrittura creativa: impegnativa dizione! Che cosa succede,
ci si entra Previti e si esce Leopardi? Insomma, credi oppure no nell’utilità
di queste scuole che si sono moltiplicate in Italia e sono oggetto
di polemiche da parte di sostenitori e detrattori?
- Se pensi che Previti possa diventare Leopardi queste scuole hanno
una loro
utilità. Se pensi il contrario, no. Ma, scusa, la ‘scrittura creativa’ non
dovrebbe esercitarsi e sperimentarsi a Scuola, la scuola normale intendo?
non è lì che si propongono temi da svolgere?
- Già!
A un paio di domande sullo spettacolo non t’illudere di sfuggire. Nemmeno se
ti tuffi nello Spazio attraverso quell’oblò.
Da Diderot a Grotowsky, sono oltre due secoli che fioriscono teorie e dibattiti
sull’attore. Da chi ha indicato i meccanismi di quell’arte a chi nega che sia
possibile individuarli scientificamente.
Tu come la pensi?
- Qualunque teoria scientifica sull’attore (o sull’artista e l’arte
in genere)
attiene essa stessa più all’arte che alla scienza. E’ un’invenzione. Una
creazione. E ciò non significa che a suo modo una verità non la raggiunga;
ma una verità, non la verità. Ed è già tanto. D’altronde uno scrittore (per
citare solo uno dei modi di fare arte) non è forse un bugiardo che dice la
verità?
- A volte la bravura, essendo temuta, diventa una colpa e citando il
titolo d’un film, da te diretto e interpretato, ti dirò: Lei è colpevole,
si fidi. Insomma, tu sei un’eccezione, ma è noto che, assai spesso,
l’attore italiano di teatro non funziona al cinema e viceversa. Perché
succede?
- Discorso lungo. Se un attore di teatro non funziona al cinema, vuol
dire che
non funziona nemmeno a teatro. Solo, nessuno se ne accorge perché si ritiene
che a teatro ciò che è finto si deve vedere che è finto, mentre al cinema
ciò che è finto deve sembrare vero, ché se si vede che è finto l’illusione
che sia vero cade e insieme ad essa cade anche il film. Secondo me di cadute
di questo genere risente anche il teatro: nemmeno l’1% della popolazione lo
frequenta. Una percentuale che non permetterebbe l’ingresso in parlamento a
nessun partito.
- Ci avviamo alla conclusione di questa conversazione. E, prendendo
pretestuosamente spunto da un tuo racconto, Stelle di San Silvestro,
in cui un falegname t’incanta con la sua sapienza astronomica, ti chiedo,
in omaggio all’ambientazione spaziale che ha ospitato il nostro incontro:
perché in Italia non abbiamo una tradizione di letteratura fantascientifica?
- Perché? La risposta è nello stesso racconto: perché i falegnami,
in Italia, non sono abilitati all’insegnamento.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
infliggo una riflessione su Star Trek (non necessariamente elogiativa)…che
cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che rappresenti
qualcosa, s’intende…
- Non rappresenta nulla. Non ho mai visto una puntata di Star Trek.
Evidentemente sono di un’altra generazione. La mia fantascienza è ferma a
Gordon Flash. E poi sai che c’è?...
La fantascienza non mi piace perché non mi stupisce. Mi stupisce di più la
realtà.
- Non ti stupire ora, ma siamo già arrivati a Carùsya, pianeta di affabulazioni
abitato da alieni che leggono solo racconti scritti su foglietti colorati
simili a quelli sui quali si stampavano un tempo testi di canzoni e
pianeti della fortuna…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata.
Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di "Diacono
Gerardo 1028" Gutturnio Riserva Doc Colli Piacentini…Però torna a trovarmi,
io qua sto…intesi eh?
- Intesi. Torno a trovarti. Quando vuoi.
Sono dell’opinione che bisogna parlarsi, mentre si è in vita.
Dopo non è detto che sia possibile.
- La penso anch’io così. Vabbè, nonostante non ti piaccia Star Tek,
sono costretto a salutarti com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita
e prosperità!
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