Gli ospiti accanto a me sono Marco Solari
e Alessandra Vanzi, cioè la celebrata
ditta Solari-Vanzi, gruppo teatrale storico nella scena del teatro di
ricerca. Dapprima, come ricorderete, insieme a Giorgio Barberio Corsetti
formavano la Gaia Scienza, poi l'anima di quella Scienza si divise in
due corpi, entrambi in buona salute e con diversificati progetti. Rassicuro
gli spettatori, non si prevedono nuove scissioni, a meno che Alessandra
non si scinda da se stessa e Marco altrettanto. Purtuttavia, i due in
questi ultimi tempi hanno anche dato vita a produzioni singole e autonome.
Meglio per noi, godremo due volte, vedendoli talvolta insieme e talaltra
separatamente.
Com'è accaduto con Alessandra vista in "Enormi cambiamenti
all'ultimo momento" e con Marco in "OO.G.M. - Organismi Genericamente
Modificati".
Tra gli spettacoli della Compagnia, ai più distratti ricordo
"Notturni diamanti" (1984), "Il cavaliere azzurro"
(1985), "A sangue freddo" (1987), "Ho perso la testa"
(1988), "Fahrenheit 451" (1990), "Dialogo" (1991),
"Casi" (1992), "L¹Accalappiatopi" (1994), "Roma"
(1995), "Le Baccanti" (1997)
vabbè direi che per
oggi può bastare.
Per chi volesse saperne di più sui due, segnalo il sito della
compagnia, ovviamente in progress (
e ti pareva!): http://space.tin.it/spettacolo/marcemes
- Benvenuti a bordo
- MARCO - Ciao Armando! Grazie per averci invitato sull'Enterprise.
Era da un po' che aspettavamo... l'autostop non va più di moda,
e poi passano proprio poche astronavi da queste parti
ALE -
finalmente potremo starcene qui a parlare insieme
certo,
ci fosse qualcosa da bere, non diremmo di no...
- Stavo per servirvi infatti, questa è una taverna spaziale
- ALE - Già, crediamo che questo faccia la differenza tra la
tua Enterprise e una qualsiasi arca di Noè...
- Ci avete preso…Voglio farvi assaggiare questo Versato di Santa
Margherita…qua il bicchiere…ecco fatto.
Mo' sentite a me, il Capitano Picard è bravissimo, a Roma direbbero
"è un bel manico" per lodarne la guida, però
noi nello spazio stiamo, schizziamo "a palla", prudenza vuole
che voi, in poche battute, trasmettiate sulla Terra il ritratto della
Solari-Vanzi, insomma come vorreste che gli umani la ricordassero…
- Non è facile spedire autoritratti in giro per il cosmo (o per
il caos): anzitutto perché siamo abbastanza iconoclasti, nel
senso che non ci siamo mai troppo curati della famosa "immagine"
da dare; e poi, perché nel nostro percorso abbiamo fatto scelte
poco in linea o in tendenza: abbiamo operato in modo sempre autonomo
rispetto ai filoni principali del teatro. Ma ci sono alcune caratteristiche
costanti: il rapporto con la musica, quasi sempre originale, scritta
per noi, a volte eseguita dal vivo; la rielaborazione di testi esistenti
o la scrittura di nuovi (quasi sempre scritti da Alessandra, a parte
alcuni assoli di Marco); il continuare a pensare all'attore come a un
performer, nel senso nobile di un bricoleur che deve sempre mettere
insieme elementi apparentemente distinti e lontani in nuove unità
temporali e temporanee; l'idea di leggerezza, cioè di poter parlare
di cose anche serie senza cadere nelle trappole retoriche. Ma anche
la voglia e la necessità di affrontare temi o situazioni molto
vicini a noi, che riguardano l'esistenza concreta, non meno che il pensiero
di ora…situazioni magari marginali, che però hanno potenzialità
sufficienti per divenire…emblematiche...Stop op op op op op op…
- Sì, hanno risposto con le voci sovrapposte a loop in echo-room
ribattuto, ma le parole di entrambi erano le stesse…Teatro di
avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi
neo, post, trans…insomma, che cosa vuol dire "teatro di ricerca"
oggi?
- MARCO - Per me l'unico teatro che abbia un senso è un teatro
che metta in gioco un'idea di libertà, o meglio di liberazione.
Al di là dei temi o dei testi - è sempre la forma e la
struttura che m'interessa: il montaggio, la combinazione…non nella
direzione della solidità e del vincolo, ma della fluttuazione,
della mobilità, della trasformazione. La "messa in scena",
già come espressione, mi fa venire la pelle d'oca - così
mi risparmio il fastidio di andare a teatro. Questo parlando dell'oggetto
"teatro". Ma, si sa, il teatro è attività condivisa:
ed è proprio su questo che da un po' di tempo mi viene da pensare.
Ai luoghi, ai modi, ai tempi, ai contesti, a quelli con i quali si vorrebbe
condividere l'esperienza teatrale. In questi ultimi anni certamente
ho sentito di più la necessità del teatro (parlo del nostro
teatro) in luoghi piuttosto periferici, rispetto alla circuitazione
ufficiale (per non parlare di Roma, dove abito). E poi: continuo a provare
un certo fastidio per i grandi temi, i grandi classici, l'enfasi positiva,
i mattatori, i dialetti, le radici...
Soprattutto le radici mi provocano più allergia dei fiori e delle
foglie.
- ALE - Concordo. Il teatro dovrebbe tornare ad essere il lavoro di
sintesi espressiva dei linguaggi del presente
- Non mi faccio mai i fatti miei, perciò vi chiedo: qual è,
oggi, il progetto espressivo della Solari-Vanzi? Quale ruolo recita
nel nuovo teatro?
- MARCO - Resistenza attiva. Nessun ruolo fisso nello schema dei nuovi
poteri
ALE -
una presenza artistica e sorprendente.
- Lo ammetto, sono indiscreto: come vivete l'incontro fra teatro e
nuove tecnologie?
- ALE - Finché non mi troverò a recitare con un ologramma,
piuttosto bene.
MARCO - Senza problemi ideologici, alcuni tecnologici sì. Uso
il computer normalmente. Non sono stato certamente tra i primi, ma nemmeno
tra gli ultimi. Ai tempi di "Cuori strappati" (si era nell'84,
all'epilogo della Gaia Scienza), mentre con Alessandro Violi stavamo
ragionando sulla scenografia, armati di matite, righelli, pezzi di cartone
e fiasco di vino…Chianti per la cronaca...pensai che per visualizzare
tutte le possibili trasformazioni della scena, avremmo dovuto avere
un computer. Michele Bohm, con uno dei primi Apple, realizzò
il programma. Tutti credettero che le scene erano state fatte al o col
computer. Lo lasciammo credere! Molto più tardi, nel '94, ho
realizzato un CD-Rom "Percorsi Cifrati" (su richiesta, lo
posso inviare), con moltissimi materiali della Solari-Vanzi e della
Gaia Scienza. Quella è stata un'esperienza molto interessante
perché mi ha costretto a riordinare molti frammenti di memoria,
cercando connessioni nuove. Ora uso il computer per prefigurare, più
velocemente, soprattutto le scene. Dal punto di vista della scrittura
preferisco dei quaderni che compro in Grecia e la matita.
E poi c'è la Rete: che è un discorso a parte.
- E' in teatro, oppure in altre aree che ravvisate oggi i lavori più
interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- ALE - In questo momento mi sembra che il teatro non offra molto di
nuovo, anzi, a parte qualche rarissima eccezione, è regredito
e si è ri-mummificato. E anche le altre arti sono piuttosto ferme
rispetto ai momenti fertili del Novecento. A parte forse la musica.
La ricerca e la sperimentazione sono concentrate sulle tecnologie...
sugli strumenti, piuttosto che sui contenuti
MARCO - A me pare che il teatro stia rielaborando le ipotesi fatte
nel secolo scorso (il 900!), e che quindi ora si stia in una fase di
assestamento, di ri-combinazione, non certo di esplosione di proposte.
Questo non vuol dire che non ci siano compagnie, gruppi, registi, attori
e performers interessanti, ma mi viene difficile pensare a "nuovi
linguaggi". E questo non perché il teatro di sua necessità
debba sempre riferirsi all'arcaico, al primario, all'essenziale, non
sono di quella linea lì, tardoterzoteatrista. Mi sembra ci sia
un calo di tensione, forse fisiologico. Non siamo in ogni caso in un
periodo glorioso
le Avanguardie storiche o il Living, per dire...Credo
invece che in altre arti, soprattutto in quelle visive, ci siano maggiori
segni innovativi. Non è un caso che le esperienze teatrali più
interessanti cerchino un nuovo rapporto proprio in quella direzione,
oltre che con la musica. Inoltre, benché per l'Italia sia forse
troppo presto per dirlo, il discorso Rete può costituire una
vera innovazione di linguaggio in quanto a forme, modalità...
Artaud lancia segnali da dentro un forno a micro-onde
- Quale futuro prevedete per il videoteatro? E ancora: potrà
avere un circuito, un consumo diverso da quello attuale, sostanzialmente
limitato a rassegne e festival?
- MARCO - Il videoteatro per me è stata una dilatazione, uno
sconfinamento della pratica teatrale in un nuovo (allora, negli anni
80) linguaggio, con nuovi strumenti. I riferimenti erano alla musica
(il clip musicale), al cinema, all'arte visiva: si trattava di riversare
uno stile e un modo di percezione nell'elettronica. E di utilizzare
con disinvoltura tecniche e strumenti per riprese e post-produzione.
Andando cioè oltre la mera documentazione degli spettacoli. In
ogni caso, per quanto riguarda la storia della Solari-vanzi, i vari
video che abbiamo fatto partivano sempre da spettacoli, cercando però
di superarli. Veramente mi sembra ora che ci sia una caduta d'interesse
per il video di ricerca. Anch'io, quando mi imbatto in schiere di monitor
che trasmettono dei video, me la svigno rapidamente. Pure in questo
caso è un problema di contesto. Non c'è stata in Italia
l'apertura che si sperava da parte delle reti televisive, quello poteva
essere l'unico modo per lanciare un discorso forte. Rimangono i gruppi
musicali con i loro clip, spesso eccellenti.
Proporrei delle enovideoteche, dove si può parlare, come sotto
il fico di Epicuro
Proprio così: con un occhio a un monitor e un altro al bicchiere...
- Beh, io ci sono andato vicino con questa taverna spaziale tra calici
e silicio
- ALE - In verità, vedo più calici che silicio
- Hai ragione. Un po' di silicio in più non guasterebbe
Arte e Mercato. Tema tozzo. In America è un rapporto accettato
anche dalle avanguardie che s'impegnano a creare nuovi circuiti d'opposizione,
ma non inorridiscono di fronte all'arte come merce. Ho visto artisti
americani "off", e anche "off off" - in tutti i
sensi - stupirsi dinanzi a certi noncuranti, e talvolta sprezzanti,
comportamenti dei loro amici italiani. Perché da noi, si sa,
è molto diverso. Infatti, sono in molti a ritenerlo un rapporto
impossibile. Anche voi lo ritenete tale?
- ALE - In Italia il rapporto impossibile è proprio quello che
si instaura tra la cultura e i suoi rappresentanti: critici, gestori
di teatri, festival, premi, politici vari
e arte, libera sperimentazione
e ricerca. Questo impossibile rapporto condiziona conseguentemente il
rapporto col mercato da una parte, ed impedisce il crearsi di reali
circuiti di opposizione dall'altra
MARCO - In effetti non mi pare tanto semplice. Probabile che questo
sia dovuto ai meccanismi economici, che sono diversi dagli Stati Uniti
pensa
alle detassazioni, eccetera
e al fatto che il teatro, ad esempio,
in Italia è in buona parte sovvenzionato direttamente dallo Stato.
Qui poi da parte del teatro di ricerca c'è una buona diffidenza,
in gran parte di origine ideologica, verso il considerare l'arte come
merce. C'è sempre una mediazione politica tra arte e mercato.
Il teatro gira in circuiti finanziati da istituzioni pubbliche. Le sponsorizzazioni
sono sempre bassissime, grandi eventi a parte.
Rimane il discorso del pubblico pagante, cioè degli incassi,
che però sappiamo benissimo non possono coprire i costi della
ricerca, se ricerca è. Per quanto mi riguarda sono abbastanza
deluso dai rapporti istituzionali, ma non vedo molte possibilità
fuori da questi. Questo vale per il teatro. Per le arti visive è
già un po' diverso, nel senso che con momenti più o meno
felici, il bene oggetto d'arte può essere un investimento.
- L'impianto di un fondo statale specifico per il teatro di ricerca
e sperimentazione, quali conseguenze ha avuto?
- ALE - Ha garantito e garantisce la possibilità di sperimentare
e produrre, ma ha rischiato - e rischia - di trasformare gli artisti
in piccoli imprenditori, alle prese con una regolamentazione e con una
normativa non facile da gestire, presupponendo che ogni singola compagnia,
anche la più piccola, abbia un amministratore, un commercialista,
un fiscalista, un consulente del lavoro, un avvocato, eccetera. Sarà
inevitabile, visto che si tratta di danaro pubblico, ma chi ha iniziato
a fare teatro con un'idea libertaria in testa finisce per diventare
matto, sottraendo sempre più tempo alla creazione artistica per
seguire l'amministrazione; a meno di non entrare a far parte di organismi
più solidi, in contesti più protetti. Tant'è vero
per noi, che da un anno siamo confluiti a Sala Uno. Ci eravamo talmente
esasperati fino al punto di rinunciare alla totale indipendenza (nominale),
pur di riprenderci il nostro tempo vitale, che se ne andava appresso
alla modulistica, al dover fare, al dover rispettare i programmi. Se
abbiamo una coerenza è la necessità di sentirci liberi
di cambiare percorso, deviare, improvvisare…
MARCO -
siamo inaffidabili, lo sappiamo... si sa
- Concordo. Siete inaffidabili. Inaffidabili proprio
Mo', proprio perché l'Enterprise naviga nello spazio, cerco di
fare anche domande che rimandino alla Terra, ma non proprio terra terra.
Pareri, suggerimenti, o anche insulti, che dall'Enterprise vengono trasmessi
alle Istituzioni coinvolte nelle conversazioni
dite una vostra
idea pratica, un provvedimento concreto, che disporreste per il nuovo
teatro, una cosa che fareste se, dio ci liberi, diventaste per un'ora
Ministri dello Spettacolo
- ALE - Domanda provocatoria, che meriterebbe risposte provocatorie.
Mi fai venire in mente visioni infernali, gironi, cataclismi, furori
rivoluzionari
MARCO -
certo che un'ora è poco, rischia di sembrare una
licenza, un saturnale di zolfo e beffe nel grigiore dell'anno.
Cosa caos si può fare in un'ora? Spostare le finanze da chi ha
troppo a chi ha troppo poco o nulla, ad esempio…moltiplicare i
progetti speciali, facendo sì che una pratica anche estemporanea
sia possibile, aperta anche ad artisti non esclusivamente di teatro…
ALE -
promuovere il teatro in luoghi pubblici non teatrali
MARCO -
introdurre il teatro nelle scuole, come materia pratica
e teorica
e poi
poi,
promuovere il teatro di ricerca in televisione
- Impegnativo programma! Però, alle prossime elezioni quasi
quasi vi voto
voglio pensarci
A tutti gli ospiti di questa vineria, concludendo l¹incontro,
chiedo sempre di fare una riflessione sul mito di Star TrekSche cosa
rappresenta secondo voi
- ALE - Dal mito estraiamo tre elementi, vero Marco?
MARCO -
sì, i maglioni girocollo, le orecchie a punta
e il teletrasporto
è questo che spesso vorremmo provare.
Ma non potendolo per ora sperimentare, ci accontentiamo di questo passaggio
sull¹Enterprise
si respira bene, anche se pure il cielo è
pieno di monnezza.
- Colpa di uno che dovrebbe badarci, ma non si riposa solo il settimo
giorno e ci ha messo nella merda
ma noto che è finita la
bottiglia di Versato Santa Margherita, e siamo quasi arrivati a Solarywanzya,
pianeta che nella Galassia se ne sta dietro le quinte ed è abitato
da tanti alieni teatrotrafficanti. Se dovete scendere vi conviene prenotare
la fermata. Però, promettete prima di tornare a trovarmi. Io
qua sto.
- Torneremo presto. com
secoli bui@ anni luce. it
a parlare di vini mutanti?
di identità in mutande?
Ciao, buon iper-trekking
P. S. : non scrivete solo a: secoli bui@anniluce. It
- Per essere più sicuri inviate a: ramarri@tin
tin
tin
tin
tin
tin
-
Ale e Marco hanno risposto come alla mia prima domanda. Con
le voci sovrapposte a loop in echo-room ribattuto, ma le parole di entrambi
erano le stesse
Vabbè, vi saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga
vita e prosperità!
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