L’ospite accanto a me è Alfonso Santagata. Attore, regista, drammaturgo.
Protagonista del nuovo teatro italiano, ha espresso nel suo percorso la sperimentazione di nuovi linguaggi e una riscrittura personalissima dei classici e della letteratura drammatica che l’ha portato a confrontarsi con Shakespeare, i tragici greci, Büchner, Cervantes, Beckett, Pinter, fino a vederlo impegnato in un progetto triennale dedicato a Eduardo De Filippo di cui parleremo fra poco.
Lo spunto per invitarlo in questa taverna spaziale, lo traggo da un recente libro: “Katzenmacher. Il teatro di Alfonso Santagata”, quinto titolo della collana ‘Pedane Mobili’, diretta da Franco Vazzoler e Paolo Gentiluomo per www.editricezona.it. N’è autrice Cristina Valenti, Docente presso il Corso di Laurea DAMS e quello di Laurea specialistica GIOCA dell'Università di Bologna. Nel volume, si esplora il percorso artistico di Santagata, autore, finora, anno terrestre 2005, di 31 testi e regista di 37 spettacoli. Una lunga storia, fondamentale per la ricerca teatrale italiana a partire dal 1980, l'anno del primo spettacolo, "Katzenmacher", che darà il nome alla compagnia.
Il saggio, segue l'intero arco dell'esperienza di Alfonso, spaziando fra vita e teatro, seguendo il percorso irregolare di un "attore per caso", proveniente da una famiglia di agricoltori di un piccolo paese in provincia di Foggia, emigrato giovanissimo in Germania e quindi conquistato prima al cinema (attraverso una particina in un film di Lizzani) e poi al teatro (scoperto attraverso i lavori di Carlo Cecchi). Dopo la Scuola del Piccolo Teatro a Milano e i primi lavori da scritturato (con Dario Fo, Carlo Cecchi, Luca Ronconi), inizia l'avventura personale dell'attore-autore, condivisa, dal 1980 al 1992, con Claudio Morganti.
Il volume comprende inoltre una sezione dedicata allo sguardo fotografico di Maurizio Buscarino, certamente fra i più prestigiosi e sensibili fotografi teatrali contemporanei, una selezione dei testi di Alfonso Santagata e la videografia aggiornata.
Per visitare il sito della compagnia, conoscerne storia, proclami, foto, teatrografia dettagliata, calendario degli spettacoli: www.katzenmacher.it
- Benvenuto a bordo, Alfonso…
- Gustare un buon vino è come gustare un pezzo di vita.
Navicelle, vicoli, corsi, circonvallazioni: tutte le strade portano al vino, ma poche al buon vino e riconoscerlo non è da tutti.
Quando ho la fortuna d’incontralo non solo assaggio, ma vado fino in/fondo… della bottiglia.
- Il sommelier Giuseppe Palmieri de “La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura, mi ha consigliato di farti assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo “Solaria Jonica” 1959, inviandomi anche una nota in spacefax che dice “E’ un vino figlio del caso e fine a se stesso, cantine Ferrari, imbottigliato nel novarese ma da uve primitivo di Puglia. Vi consiglio di aprire la bottiglia 24 ore prima per godere note di tabacco-cacao-bosco-confetture”. Bene …qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Alfonso secondo Alfonso…
- Io sono quello che sono. Alfonso è quello che è: il mio interiore che sconfina continuamente verso l’esterno e sinceramente non distinguo.
- Un esercizio crudele. A te, uomo di spettacolo, di certo non disarmato di fronte alla dea Sintesi, chiedo di scrivere un telegramma di sedici parole – tante quante sono le lettere del tuo nome – in cui riassumi la tua poetica…
- La mia poetica non so definirla, direi parole che non dicono nulla.
- Però!... Ancora 4 parole e ce l’avresti fatta!
Maurizio Grande in un suo intervento di anni fa si chiese: “Ma chi è l’attore: un corpo promosso a figura? Una maschera promossa a persona? Un sostituto promosso a originale?
Tu come risponderesti a tali domande?
- L’attore è quella “persones” che si espone al mondo cercando di sollevare il dubbio tra il suo teatro e la sua vita.
- Come ho accennato in apertura, sei impegnato in un progetto triennale su Eduardo De Filippo di cui ‘Le voci di dentro’ sarà la seconda tappa di questo piano di lavoro che hai inaugurato con lo spettacolo ‘ Quali fantasmi’, titolo dell’intero progetto.
Due domande in una, lo ammetto: sono vorace.
La prima: che cosa ti ha spinto ad avvicinarti ad Eduardo? La seconda: perché la scelta di quel titolo che, è ben intuibile, vorrà esprimere l’anima dell’intera fatica intrapresa?
- Sono partito con l’idea di affrontare Eduardo come studio della commedia.
Egli è l’ epilogo di un mondo dove il teatro era una necessità e un gesto di appartenenza
Nei miei lavori precedenti ho toccato la farsa, il paradosso, il grottesco, ma mai la commedia, questi tre anni mi servono per approfondirla.
- In un tempo come il presente in cui anche in scena sono assai spesso protagoniste le tecnologie, quale ruolo ritieni che abbia il teatro di parola?
- Già negli anni ottanta le tecnologie iniziarono ad occupare i teatri fino al loro esaurimento, come se il teatro dovesse aggiornarsi; un cavallo che tutti potevano cavalcare.
Ma proprio in quegli anni i miei primi lavori partivano dal corpo dell’attore e dalla sua memoria alterata, con due o tre riflettori, un vecchio registratore Akai e qualche radiolina che s’intrometteva: una tecnologia assolutamente casalinga
Non ho mai cavalcato il cavallo del momento, sono sempre rimasto ” fuori dal tempo ”.
Il teatro delle tecnologie è diventato un teatro di tendenza come tanti altri, io appartengo al teatro delle differenze.
Ah, dimenticavo… il “teatro di parola” è la parola che deve diventare corpo, altrimenti diventa il bla bla inutile come il novanta per cento del teatro italiano.
- Orson Welles in “Filming Othello” pone una domanda ai suoi commensali: “Perché l’attore che recita un personaggio sordo fa ridere appena appare e uno che fa il cieco invece no? Eppure sono entrambi gravissimi handicap”.
La questione, posta volutamente in modo banale e provocatorio, mirava a tentare un approccio al confine drammaturgico che separa il comico dal tragico, i meccanismi del riso da quelli del pianto allorché sono affidati ad un interprete.
Per te, in che cosa consiste quel confine?
- Eduardo si chiedeva perché in Italia in una commedia o si ride o si piange, mentre con Molière si rideva e si piangeva nella stessa commedia.
Il mio sogno è che nella stessa commedia o tragedia un occhio rida e l’altro pianga.
- Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?
- Alcuni anni fa una giornalista mi chiese dove mi collocavo, a quale genere di teatro, io risposi provocatoriamente “all’ufficio di collocamento”, per dire che tutte queste etichette erano fastidiose.
Continuo a pensare che il teatro è uno e che la ricerca non è un genere ma una concezione del mondo e del teatro diversa.
- Oltre il teatro, in quale delle altre aree espressive - arti visive, letteratura, fumetto, video, musica, web art, etc. - credi che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- Le arti visive hanno una visione più oggettiva e ossessiva del mondo che ci circonda, per cui più vicina a me
La letteratura crea amori, penso al primo romanzo della nostra storia, la Bibbia, il secondo, Don Chisciotte e tutti gli altri amori: Shakespeare, Dostoevskij, Buchner che continuano a tornare.
La musica mi sposta, mi fa partire per i miei lavori, non riesco a commissionarla, ma la devo incontrare per caso.
Quale arte sperimenta nuovi linguaggi? Penso che sono sempre le persone a inventare nuovi linguaggi con la loro visionarietà, il loro stravedere e strasentire, quando sono le macchine non lasciano tracce.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Non so nulla di Star Trek, forse mi dispiace.
- Siamo quasi arrivati a Santàgatya, pianeta scenico abitato da alieni che per precetto di vita hanno un Decalogo dettato loro in tempi antichissimi da un alieno chiamato, pare, AS… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Solaria Jonica” 1959 consigliata dal sommelier Giuseppe Palmieri de “La Francescana” di Modena… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- A presto, felice di aver viaggiato con te.
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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