L’ospite accanto a me è Ascanio
Celestini. Attore e scrittore. O viceversa. Fate un po’ voi. Perché è difficile,
e forse perfino ingiusto, cercare il confine fra i due territori, tante
sono le reciprocità di cui in questo caso si giovano. Probabilmente
una felice definizione dell’opera di quest’affabulatore sta
nella dizione che illustrava i motivi del conferimento del Premio UBU
Speciale assegnatogli nel 2000: “Per la capacità di cantare
attraverso la cronaca la storia di oggi come mito e viceversa “.
E Rodolfo Di Giammarco, commentando “Le nozze di Antigone” (testo
di Ascanio segnalato al Premio Riccione 2001 e di recente messo in scena
da Veronica Cruciani e Arturo Cirillo), ha scritto: “…è un
teatrante portavoce dell’epica dei nostri padri e del realismo
dei nostri fratelli più ignoti, reinventore di lessici familiari
e di destini umili ma esemplari”.
Se non avete ancora visto un suo spettacolo, vi consiglio d’andarci,
non ve ne pentirete.
E se non avete a tiro nella vostra città in questo giugno 2003
suoi spettacoli, potete conoscerne nuove date cliccando su www.ascaniocelestini.it,
sito che riporta anche teatrografia, recensioni, immagini. Oppure acquistare
le storie di Giufà contenute in “Cecafumo”, e “Fabbrica”,
racconto teatrale in forma di lettera; due libri con CD audio entrambi
editi da Donzelli; per leggerne le schede: www.donzelli.it.
Mi piace ricordare che “Cecafumo” s’avvale di belle
illustrazioni di Raffaella Ligi e musiche di Matteo D’Agostino
e Gianluca Zammarelli.
- Benvenuto a bordo, Ascanio…
- Bentrovato!
- Voglio farti assaggiare questo bianco Ortrugo Doc Colli Piacentini
di Torre Fornello…qua il bicchiere…ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne
la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi
nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole
che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione
con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Ascanio
secondo Ascanio…
- Mi chiamo Ascanio Celestini
figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera.
Mio padre rimetteva a posto i mobili, mobili vecchi o antichi
era nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare
sotto padrone
in bottega a San Lorenzo.
Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera
da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia
e a quel tempo ballava il liscio.
Quando s’è sposata con mio padre ha smesso di ballare.
Quando sono nato io ha smesso di fare la parrucchiera.
Mio nonno paterno faceva il carrettiere a Trastevere.
Con l’incidente è rimasto grande invalido del lavoro,
è andato a lavorare al cinema Iris a Porta Pia.
La mattina faceva le pulizie, pomeriggio e sera faceva la maschera,
la notte faceva il guardiano.
Sua moglie si chiamava Agnese, è nata a Bedero.
Io mi ricordo che si costruiva le scarpe coi guanti vecchi.
Mio nonno materno si chiamava Giovanni e faceva il boscaiolo con Primo
Carnera.
Mia nonna materna è nata ad Anguillara Sabazia e si chiamava
Marianna.
La sorella, Fenisia, levava le fatture
e lei raccontava storie di streghe.
- Un gioco crudele che spesso impongo ai miei ospiti. In sedici parole – tante
quante sono le lettere che formano il tuo nome – definisci la
tua presenza nello scenario teatrale italiano…
- Propongo sedici lettere, che ne dici?
- Va bene
- 172 cm di narratore
- In un tempo come il presente in cui anche in scena sono assai spesso
protagoniste le tecnologie,
quale ruolo ritieni che abbia il teatro di parola?
- Ritengo il teatro di parola una contraddizione. Il teatro non può essere
di parola. Il teatro è sempre la “presenza” dell’attore
(anche quando l’attore è un performer, un non-attore, un
danzatore, un atleta, un idraulico..... e anche quando si tratta di teatro
di figura dove l’attore è nascosto dietro una quinta, un
telaio.... anzi in quel caso l’attore gestisce la propria presenza
attraverso una voce che è quasi sempre polifonica). Anche nel
mio teatro al centro è messa la “presenza” dell’attore,
mentre la parola è tanto presente quanto accidentale. Molto più importanti
delle parole sono le immagini che vengono evocate. Quindi, in un certo
senso, uso la parola stessa come supporto tecnologico... come se le
parole fossero il proiettore per le immagini che il mio discorso evoca.
- Da Diderot a Grotowsky, sono oltre due secoli che fioriscono teorie
e dibattiti sull’attore.
Da chi ha indicato i meccanismi di quell’arte a chi nega che
sia possibile individuarli scientificamente. Tu come la pensi?
- Io credo che non esista una scienza del teatro che può dirsi
valida. Non credo che esista nemmeno una scienza medica valida a priori.
Il meccanismo, nel teatro come in medicina eccetera... deve muoversi,
e nel movimento ci si deve rapportare ad esso. Se voglio conoscere il
martello e vedo il carpentiere che lo usa per piantare un chiodo nel
muro mi dico che il martello è “l’utensile che serve
per piantare chiodi nel muro”. Se voglio conoscere lo schiaccianoci
e vedo l’oste che lo usa per aprire una noce, dico che lo schiaccianoci è “l’utensile
che serve per aprire le noci”. Ma se vedo mia moglie che rompe
una noce col martello? Cos’è quel martello? Incomincerò a
chiamarlo schiaccianoci? Smetterò di piantarci chiodi nel muro?
Non credo che abbia senso considerare la possibilità di determinare
a priori la possibilità di un oggetto qualunque e, nel nostro
caso, poter dire che per imparare o per esercitare il teatro ci sia una
scienza esatta, una tecnica. Conoscere l’oggetto significa soprattutto
conoscere una possibilità della nostra capacità di conoscenza,
accumulare esperienza per imparare a gestire le relazioni.
La scienza teatrale è, dunque, la coscienza di fare teatro.
- Teatro d’avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con
i fatali prefissi neo, post, trans…insomma, che cosa vuol dire
per te “teatro di ricerca” oggi?
- Per me fare ricerca significa fare riferimento all’antropologia.
Sia come tecnica di raccolta del materiale che serve per la costruzione
dello spettacolo, sia come riferimento filosofico. L’antropologo
contemporaneo non va più a studiare l’altro per studiarne
la diversità, ma studia l’uomo per comprendere se stesso
e il proprio immaginario.
Per me la ricerca è “Ricerca sul Campo”.
- Aldilà del teatro, in quale delle altre aree espressive credi
che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione
di nuovi linguaggi?
- Credo che nella musica si stia facendo il lavoro più interessante.
Il musicista normalmente si sente di essere anche uno che conosce un
mestiere e non solamente un artista. Il musicista è uno che non
può non suonare per diverse ore al giorno. Per lui l’esercizio è una
questione che prescinde dal pensiero, è una scuola guida continua
che gli permette di manovrare il proprio strumento.... poi la musica
che suona è un altro discorso. Per il musicista la storia della
musica è tutta completamente presente. Suona Berio e Bach. La
tarantella di Montemarano, la Fabbrica Illuminata o Porgy and Bess sono
parti di una stessa storia e possono far parte di una stessa identità.
E poi, per il musicista è chiaro che il rapporto più importante è quello
che istaura col proprio strumento, questo gli da la possibilità di
gestire la propria identità....
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo di fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che
cosa rappresenta quel videomito nel nostro immaginario?
- La cosa che mi piace di ST è il diario del capitano. È come
se quello che vediamo accadere non fosse presentato sotto forma di film
(o di fiction televisiva) ma sotto forma di diario. E come se invece
di vedere ciò che accade.... leggessi (o ascoltassi) una voce
che parla a un diario. Insomma... una dimensione di scrittura orale più che
di rappresentazione.
- Siamo quasi arrivati a Celestynya, pianeta teatrale abitato da alieni
i quali si cibano di parole che cucinano in molti modi…se devi
scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista,
anche perché è finita la bottiglia di Ortrugo Doc Colli
Piacentini di Torre Fornello…
- Beh... a proposito di parole... con questo ultimo bicchiere di vino
vorrei fare il brindisi che faceva mia nonna:
vino vinello
cugino, mio fratello
beato chi te pota e chi te scacchia
vino vinello
me fai girà il cervello...
e mo’ che t’ho trovato
te fo’ subito carcerato!
- Ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga
vita e prosperità!
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