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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Gilberto Corbellini. Filosofo ed epistemologo.
Laureato in filosofia e dottore di ricerca in Sanità pubblica, ha iniziato la sua attività studiando proprio la sanità pubblica e approfondendo vari aspetti della storia e della filosofia delle scienze biomediche. Ha rivolto particolare attenzione alla storia delle immunoscienze e delle neuroscienze, all'evoluzione dei modelli eziologici delle malattie, alle evoluzioni della pedagogia sanitaria e alle istanze etiche in relazione agli avanzamenti conoscitivi e applicativi delle ricerche mediche più avanzate.
Tante le sue pubblicazioni di successo su alcune delle quali fra poco ci intratterremo.
Particolare un suo volume (scritto con Pino Donghi e Armando Massarenti), pubblicato da Einaudi: “Biblioetica”; si tratta di un dizionario – diventato anche spettacolo teatrale per la regia di Luca Ronconi – costituito da una quarantina di voci sulle quali si fonda il dibattito scientifico intorno alle origini, ai modi e al fine della vita.

 

Benvenuto a bordo, Gilberto
Bentrovato, Armando
La stellata e stellare chef Cristina Bowerman che illumina Glass Hostaria di Roma ci ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di birra Curmi di Via dei Birrai 32 prodotta a Treviso… cin cin!
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Gilberto secondo Gilberto
Un sopravvissuto, che ha attraversato quasi incolume complesse e rischiose stagioni, e oggi apprezza molto il privilegio straordinario di guadagnarsi da vivere con un lavoro divertente, cioè studiando e insegnando.
Come dicevo poco fa, vorrei cominciare questa conversazione con te facendo un rapido viaggio attraverso alcuni tuoi libri più recenti.
“Perché gli scienziati non sono pericolosi. Scienza, etica e politica” (240 pagine, 16 euro, Longanesi 2009), illumina temi e problemi dell’ostracismo verso gli scienziati con particolari riferimenti al caso italiano.
Tra i tanti interessanti capitoli, drammatico è quello che ricorda grottesche insipienze e pessima informazione del mondo laico: dall’agghiacciante caso Di Bella alla dissennata politica antiogm portata avanti da Pecorario Scanio prima e Gianni Alemanno poi, con l'appoggio di Mario Capanna, fino al licenziamento del genetista Lucio Luzzatto dall’Istituto per la ricerca sul cancro a Genova.
Quale il motivo per cui non bisogna diffidare degli Ogm (e aggiungo: per il proprio bene tenersi lontano da Mario Capanna)?
La paura degli ogm è un fenomeno quasi divertente, perché un numero sterminato di persone esprime idee stupidissime e non ha la minima idea di cosa sono i geni, come funziona il Dna e che cosa è l’agricoltura. Ma è agghiacciante osservare l’aggressività e il fanatismo che produce l’ignoranza scientifica ed è doloroso assistere al suicidio morale di intere generazioni a causa di autoinganni deliranti (basta ascoltare qualche discorso mediatico di economia e politica.)
"Scienza quindi democrazia" (166 pagine, 10 euro, Einaudi 2012).
Il principale motivo che ti ha spinto a scrivere questo libro…
Il libro sviluppa le riflessioni conclusive di “Perché gli scienziati non sono pericolosi”, che, come hai ricordato, pubblicai con Longanesi nel 2009. L’interesse principale era capire perché una forma di conoscenza così estranea, sul piano psicologico, ai modi attraverso cui spontaneamente cerchiamo le spiegazioni di quello che accade e ci accade, quale è la scienza, abbia potuto diventare un elemento culturale imprescindibile delle società più progredite, libere ed egualitarie che siano mai esistite, cioè le moderne democrazie liberali. Ed ero convinto che se fossi riuscito a soddisfare questa curiosità avrei in qualche modo contribuito a chiarire anche le origini delle controversie sul ruolo sociale della scienza.
Come mai – parole tratte da questo tuo libro – “nel mondo occidentale è montata un’avversione diffusa contro la scienza”?
Perché c’è più benessere, cioè siamo tutti più ricchi e stiamo meglio in salute rispetto al passato, e c’è anche più libertà e meno diseguaglianza. Tuttavia, politici, burocrati ed economisti, per mancanza di studi adeguati e aggiornati, credono che queste condizioni siano il frutto di un’indefinita capacità umana di autogovernarsi, e che i principi e i valori che sono alla base della liberal-democrazia e del libero mercato siano una creazione della tradizione culturale umanistica. Quindi considerano la scienza o il metodo scientifico delle mere tecniche, prive di una dimensione culturale o morale. Per questo e per il fatto che la scienza prescinde da giudizi di valore nel cercare le spiegazioni, la giudicano una minaccia per la libertà e la dignità umana. Invece, una più pertinente conoscenza della storia dice che sono stati i progressi scientifici a rendere possibili quelli sociali e civili. E, forse, proprio la diffusione in una frazione cospicua della società occidentale di una mentalità scientifica ha reso possibile apprezzare e rendere funzionale, attraverso la creazione di tecnologie per migliorare la produzione e rendere le istituzioni più efficienti, il libero mercato e lo stato di diritto. Insomma, all’origine dell’avversione contro la scienza c’è un incredibile equivoco su quelle che sono le origini e le conseguenze della modernità. Di cui da un lato si sfruttano e godono i vantaggi, e dall’altro ci si sputa sopra, invocando un nostalgico ritorno al passato, perché non c’è un’effettiva consapevolezza di quanto si stia meglio oggi, rispetto al passato, proprio grazie alla scienza.
Tra i tuoi volumi che ho ricordato prima, impegnati a contrastare oscurantismi e disinformazioni, il più recente è “Scienza” (158 pagine, 9.00 euro, Bollati Boringhieri 2014).
Che cosa particolarmente si propone questo volume?
Ho voluto prendere in esame e spiegare gli argomenti contro la scienza. Ho scelto dodici affermazioni che si possono ascoltare, più o meno frequentemente, da parte di chi ritiene che la scienza non sia attendibile e affidabile, o che addirittura rappresenti un pericolo per l’uomo. L’intento è di mostrare a chi critica la scienza, che non sta argomentando in modo logico o fondato, ma soltanto in conformità a pregiudizi ideologici o metafisici. In questo senso, i diversi capitoli affrontano le varie relazioni che si stabiliscono tra l’attività di ricerca scientifica e innovazione tecnologica, e i contesti delle discussioni e delle scelte politiche, economiche, giuridiche ed etiche. Credo di poter dire che questo libro va al cuore delle controversie sulla scienza e il ruolo nelle società umane
La prossima domanda me la suggerisce ancora questo tuo libro.
È diffusa, purtroppo, l’accusa alla scienza di procurare tragedie e peggiorare il mondo.
Che cosa rispondere
Che questa idea o percezione è un autoinganno, nel senso che la nostra mente è naturalmente predisposta a farci credere che il passato fosse meglio del presente.
O che quel che è giudicato “naturale” sia per definizione superiore o più buono e giusto. Il che non è vero, da nessun punto di vista, e basterebbe conoscere un po’ di storia per rendersene conto. Vogliamo discutere e mettere a confronto le condizioni di vita oggi nei paesi sviluppati (ma anche in quelli sottosviluppati) rispetto anche soltanto a mezzo secolo fa, in termini di mortalità infantile, aspettativa di vita alla nascita o a qualunque età, disponibilità di cure mediche, alfabetizzazione, violenza su donne e bambini, tassi di omicidio, benessere economico, libertà individuali, eccetera? E più si va indietro nel passato, cioè alle condizioni di vita più vicine alla cosiddetta Natura, più il paragone diventa insostenibile. Ebbene se noi oggi stiamo molto meglio, larga parte del merito lo si deve al successo del metodo scientifico. Paradossalmente, chi critica la scienza lo può fare grazie alle condizioni che la scienza stessa ha creato. Parafrasando una famosa battuta, si può dire che “quelli che vogliono tornare al Passato (o alla Natura), non hanno alcuna intenzione di andarci a piedi”.
Aldilà dell’inettitudine e incompetenza di tanti politici, noto in loro (come in tanta gente anche lontana da incarichi politici) generiche diffidenze e paure verso il nuovo anche in campi non scientifici, ad esempio nelle arti, nel sociale… da dove viene quel panico?
Penso che sia una conseguenza dell’invecchiamento delle classi dirigenti e in generale del fatto che le persone che guidano istituzioni, sistemi di formazione e mezzi di comunicazione rimangono per troppo tempo sempre le stesse. Non dimentichiamo che fino a mezzo secolo fa gli individui più giovani, bravi e dinamici assumevano il più presto possibile un ruolo importante e decisionale nella società. E questo continua ad accadere nei dipartimenti universitari, soprattutto scientifici e tecnologici, dei paesi che valorizzano la ricerca scientifica e l’innovazione. Che non a caso sono anche i paesi che oggi crescono economicamente a ritmi più elevati. In Europa, ma soprattutto in Italia, siamo governati da una gerontocrazia che, per motivi fisiologici, tende a essere conservatrice in tutti i campi. Il nuovo fa paura prima di tutto perché impone cambiamenti, e quindi mette a rischio potere e privilegi.
Qual è il difetto che riscontri nella divulgazione scientifica praticata dai media, anche quelli di matrice laica, oggi?
Quello di trattare la scienza come qualcosa di estraneo alla cultura, cioè come un’attività umana di carattere pratico, che in qualche modo fa parte dell’arredo in una società moderna. Un simile atteggiamento è fuorviante e pericoloso. Fuorviante perché non valorizza la dimensione culturale e civile dell’impresa scientifica: la scienza è fatta da persone che per ottenere dei risultati si devono impadronire di strumenti concettuali e applicare metodologie che non sono qualitativamente inferiori a qualunque altra attività culturale umana. Anzi: il modo di ragionare che si apprende praticando la scienza aiuterebbe di molto a far funzionare meglio anche la società. Il pericolo che si corre nel divulgare la scienza in modo banale è di far ritenere la sua presenza qualcosa di scontato, mentre invece la scienza ha bisogno di particolari condizioni per funzionare. E la sua sopravvivenza è a rischio in paesi come l’Italia, dove la maggioranza degli intellettuali e degli uomini politici considera gli scienziati un pericolo per la democrazia.
Da tutto quanto fin qui ci siamo detti, mi pare ben evidente – e benvenuta – un’impostazione laica del tuo pensiero. Perciò ti chiedo: qual è significato di un’etica senza Dio?
Dio serve a chi manca di un grado sufficientemente avanzato di autonomia, e a chi non riesce ad amare e rispettare sé stesso e gli altri, cioè a relazionarsi all’interno di sistemi sociali complessi e forieri di disagi psicologici, senza assumere che qualcuno, un’entità immaginaria, glielo sta comandando – qualcuno che ovviamente può anche comandargli, tramite i suoi rappresentanti, di sacrificarsi e di uccidere nel suo nome.
L’etica senza Dio, per una persona che la pratica senza fanatismo, è una conquista cognitiva ed emozionale molto appagante. Un insieme di esperienze affettive e conoscitive attraverso cui vengono vissuti i valori che vincolano ai propri cari, e che danno sostanza al sentimento della propria dignità e responsabilità nella sfera sociale. Anche un credente può raggiungere analogo appagamento, ma penso che tra i credenti solo i mistici riescono, attraverso un percorso molto particolare, a liberarsi della soggezione psicologica che comporta il fatto di aver bisogno di un padre padrone o anche solo di una giustificazione esterna per manifestare o assumere un’etica.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende
Le serie e tutto quello che ha ruotato intorno a Star Trek l’ho sempre trovato molto divertente e consonante con miei atteggiamenti e gusti di fantasiosità intellettuale.
Siamo quasi arrivati a Corbellini-G, pianeta abitato da alieni fieri d’essere organismi geneticamente modificati… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché sono finite le due bottiglie di Birra Curmi consigliata dalla chef Cristina Bowerman del Glass di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh
D’accordo. Tornerò a trovarti di sicuro
Ed io ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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