L’ospite accanto a me è Carlo Augusto Viano. Filosofo.
Si è laureato in filosofia nel 1952. E’ stato allievo e assistente di Nicola Abbagnano; ha insegnato nelle Università di Milano, Cagliari e Torino.
Membro del Comitato nazionale di Bioetica, fa parte anche del Comitato direttivo della “Rivista di Filosofia”, dell’Accademia Europea e dell’Accademia delle Scienze di Torino.
I principali àmbiti di interesse di Carlo Augusto Viano sono la storia della filosofia e l’etica.
Al mondo antico ha dedicato i volumi: La logica di Aristotele, Taylor, Torino, 1954 e La selva delle somiglianze. Il filosofo e il medico, Einaudi, Torino, 1985, oltre a numerosi saggi. Frutto degli studi sulla filosofia moderna è stata la monografia John Locke, Dal razionalismo all'Illuminismo, Einaudi, Torino, 1960.
Sull'etica, ci ha dato il volume “Etica pubblica”(Laterza, 2002) e molti saggi, soprattutto sulle teorie utilitaristiche. Sempre per Editori Laterza ha pubblicato Locke (1997), e ha curato – con Pietro Rossi – l’opera in sei volumi Storia della filosofia (1993-1999).
Tra le sue più recenti pubblicazioni: Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni (Einaudi, 2005), e il libro che fornisce lo spunto di quest’incontro: Laici in ginocchio, ancora Laterza, 2006.
Un libro di cui mi sono già occupato nella sezione Cosmotaxi di questo webmagazine e che mi ha entusiasmato per profondità e chiarezza espositiva. Libro – ripeto quanto ebbi già a dire – necessario oggi e che lo sarà anche quando in futuro si vorrà capire qual è stato il tracciato storico, filosofico e politico del confronto tra pensiero laico e confessionale in Italia in questi anni. Un confronto che, forse, non va definito tale perché, stiamo assistendo da una parte alla crescente aggressività del pensiero cattolico e dall’altra ad un progressivo arretramento del pensiero laico. E questo non perché i principii che lo sostengono siano entrati in crisi, ma perché coloro che dovrebbero dargli voce si sono ammutoliti nella prospettiva di accordi politici con il Vaticano.
Laici in ginocchio è un libro importante, che non si preoccupa di piacere, che non teme di farsi nemici, un’opera rara ai nostri giorni. Un volume (128 pagine, 10:00 euro) che v’invito a leggere, mi ringrazierete.
- Benvenuto a bordo…
- In una vineria su un’astronave: due trasgressioni in una. Si va in giro per il cosmo, non poi tanto ordinato, senza dimore per gli dèi, stretto tra il freddo assoluto e il caldo insopportabile. Il vino poi qui lo si beve in barba a tutti i divieti e senza la consacrazione di un rito. Alla salute, dunque!
- I patrons del Web and Wine di Volterra, Enrico Buselli e Federico Frosali, mi hanno consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo rosso Doc ‘La Regola’ segnalandomi in Spacefax che, cito le loro parole, puntualmente: “L’Azienda è il Podere La Regola, il luogo di produzione: Montescudaio (Pisa), Vitigni: 85% Cabernet Sauvignon - 15% Merlot, Anno di produzione: 2002”… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Carlo Augusto secondo Carlo Augusto…
- Quando dico che traffico con la filosofia mi domandano “di che corrente sei?”. Mi piace dirmi apolide, un po’ solitario e non troppo solidale. Mi piace raccontare storie di filosofi o smontare macchine filosofiche, non per ripararle, perché tanto, per difetto di costruzione, non funzionano quasi mai.
- Qual è la principale causa che vede in Italia oggi tanti laici in ginocchio?
- Opportunismo, cioè ricerca di un alleato considerato forte. E la chiesa è forte, soprattutto in Italia, dove risiede il papa. Ma c’entra anche il conformismo culturale: si vuole pensare in conformità con quello che sembra il pensiero dominante.
- E’ possibile indicare, se non una data, almeno un periodo in cui è cominciata questa genuflessione?
- Dopo che il fascismo fu giunto al potere in modo illegale la chiesa fu l’ente più importante che lo legittimò, stipulando con quel regime un concordato e un trattato. Da quel momento la chiesa è diventata una base di potere rilevante e anche coloro che avevano alle spalle una tradizione laica hanno temuto di perderne il sostegno. Poi è intervenuta la guerra fredda e i movimenti politici di ispirazione liberale hanno considerato la chiesa un baluardo contro il comunismo. Ma neppure i comunisti hanno rinunciato all’appoggio della chiesa, nella quale hanno sperato di trovare un alleato nella lotta contro il capitalismo e la società industriale moderna.
- Qual è il significato positivo sul quale riflettere oggi di un’etica senza dio?
- Spesso chi parla di un’etica senza dio fa tutto il possibile per dare l’impressione che, salvo il riferimento a dio, tutto resti tale e che resti in piedi il complesso edificio che di solito si appende alla divinità: leggi universali, valori, il bene comune e così via. Un po’ come se si potesse fare l’ammazzasette con la teologia purché non vengano meno le tutele della verginità delle ragazze. Un’etica senza dio deve invece dare il gusto della liberazione da credenze e superstizioni, la fierezza del rifiuto di autorità assolute, l’orgoglio di provare strade nuove, la capacità di fare a meno di consolazioni fittizie. Ma un’etica senza dio è anche il riconoscimento che non c’è un corpo uniforme di norme, facili da interpretare e applicare. Le persone sono diverse e hanno vincoli etici differenti: si tratta di capirli, più che di imporre comportamenti uniformi.
- Globalizzazione e sacro. Secondo la sociologa francese Danièle Hervou-Leger, si sta assistendo ad una de-istituzionalizzazione del sacro, in molti gruppi (anche grandi, si pensi alla new age) si punta a un dio costruito da abili bricoleurs, un dio fatevelo-da-soli. Ritieni che questa sia una tendenza che si affermerà nel futuro o è solo una delle tante mode destinate a tramontare?
- Difficile prevedere corsi di eventi così generali. Sembra vero però che adesso stia aumentando il bisogno di appartenenza a gruppi religiosi, ma cresce anche la disobbedienza alle chiese più antiche e collaudate. Forse la congiunzione di queste due tendenze produce il bricolage religioso. L’anarchia religiosa non è mica tanto male e la cultura laica dovrebbe guardare a essa con interesse.
- Nell’elenco delle tue pubblicazioni si nota un marcato interesse verso Locke; ricordo ai più distratti fra i miei avventori che quel filosofo inglese visse tra il 1632 e il 1704.
Devo dirti che la cosa m’incuriosisce e, in parte, mi sorprende. Locke, infatti, se i ricordi della scuola dell’obbligo non mi tradiscono, fu sì un negatore del diritto divino nell’assumere la guida dello Stato, ma fu anche sostenitore di un cristianesimo delle origini. Dove sbaglio (è una specialità nella quale vanto primati) a sorprendermi del tuo interesse per Locke?
- Giusto: Locke credeva che il cristianesimo autentico fosse quello delle origini e riteneva che esso fosse una religione dell’amore. Tanti anni fa queste posizioni non mi colpivano in modo particolare e mi sembravano strumenti usati dopo Erasmo per perorare la tolleranza almeno tra cristiani. Adesso mi danno molto fastidio, perché il cristianesimo, come tutte le religioni, è un potente strumento di discriminazione e di mobilitazione delle persone le une contro le altre. E poi invocano quell’interpretazione del cristianesimo coloro che magari criticano gli atteggiamenti delle chiese cristiane, ma riconoscono al cristianesimo, quello finto delle origini appunto, una superiorità che non merita.
- Questo discorso su Locke mi fa ricordare le sue “Lettere sull’intolleranza” e al fatto che anni fa partecipasti ad una trasmissione televisiva che aveva per tema proprio la tolleranza.
Ora la domanda che segue sintetizza la sostanza d’alcune domande che ti furono fatte allora in tv e che io, aggiornandole, qui ti rivolgo.
Di fronte all’infittirsi dei flussi migratori che pongono problemi di reciproca incomprensione su cui s’innesta spesso, e talvolta strumentalmente, la xenofobia, di fronte all’invelenirsi dei rapporti sociali nelle metropoli, e al moltiplicarsi di episodi di cronaca agghiaccianti, qual è il concetto di tolleranza cui da laici dovremmo ispirarci?
- Nelle Lettere sulla tolleranza Locke proponeva un idea di tolleranza tra cristiani, anzi tra protestanti; oggi siamo di fronte a sfide che sembrano più radicali. Non credo che esista una ricetta semplice e automatica per garantire la convivenza pacifica e mi aspetto che incontri di civiltà lontane generino conflitti. Sarebbe già molto riuscire a tenerli entro limiti accettabili: bisogna incominciare a pensare che le società possono reggersi anche se le persone non condividono quelli che sono considerati i valori più elevati o le regole di rango superiore ed esercitano una rigorosa sorveglianza e un acuto spirito critico le une nei confronti delle altre.
- E qual è il confine che dovrebbe separare la tolleranza dal giustificazionismo (passami, anzi tollera, questa brutta parola) di cui spesso, a torto o a ragione, la sinistra viene accusata e non solo in Italia?
- Tollerare non significa giustificare, perché una politica di tolleranza tende semplicemente a ridurre al minimo l’uso della forza, impiegandola dove occorre per contrastare imposizioni su soggetti che non le accettano. Ma in una società tollerante la critica reciproca dei comportamenti è benvenuta ed è auspicabile che si critichino le condotte che non si reprimono. In una società liberale va combattuta la pretesa di imporre il velo alle donne o di costringerle a portare a termine una gravidanza non gradita: se una donna si ribella a queste imposizioni deve trovare un’autorità che le renda inefficaci. Ma anche quando il velo è indossato liberamente o la gravidanza è considerata un obbligo e non c’è ragione di intervenire con la forza, questo atteggiamento tollerante non comporta una giustificazione e non annulla la critica di quel modo di trattare le donne.
- Avere qui sull’Enterprise un filosofo è per me occasione troppo ghiotta per non porti una domanda che ha a che fare col futuro tecnofilosofico.
Tempo fa, fu mio ospite in questa taverna spaziale Riccardo Campa, filosofo transumanista.
Vorrei sapere se sei interessato a quella corrente di pensiero… se sì oppure no, perché…
- Conosco poco il transumanesimo, ma sono convinto anch’io che la cultura diffusa coltivi atteggiamenti antiscientifici e antitecnologici piuttosto preoccupanti. D’altra parte non mi piacciono neppure gli entusiasmi orgiastici per scienza e tecnica, anche perché di solito sono sguardi “da fuori”, che non danno conto dei problemi effettivi che scienza e tecnica devono affrontare. Le conoscenze tecnico–scientifiche ci aprono nuove possibilità, ma rivelano anche i limiti entro i quali dobbiamo muoverci per il futuro effettivamente prevedibile. Io credo perciò che la cosa più importante sia non demonizzare scienza e tecnica. Ma non mi illudo neppure sulla possibilità di una “tecnofilosofia”, perché i filosofi o cercano di versare le novità nei loro vecchi otri o tentano di “spiritualizzare” la tecnica, come se essa ci consentisse di liberarci dalla materia di cui siamo fatti.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa (anche se con te un elogio a ST lo voglio fare: lassù è stato prospettato un futuro in cui non c'è posto per gli dei del nostro presente e del nostro passato, fondamentalmente si professa l'agnosticismo)… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Devo confessare che non ho familiarità con ST e in generale con la fantascienza: un fatto di generazione, di miei limiti culturali, di storia personale. In genere nella fantascienza trovo immagini o troppo minacciose o troppo ottimistiche del mondo in cui siamo inseriti. Una delle conseguenze più importanti dell’ampliamento della nostra conoscenza del cosmo è stato il tramonto dell’idea che esso costituisse un sistema perfettamente ordinato, un’idea suggerita da una certa interpretazione del sistema solare. Il cosmo è invece una realtà aspra e inospitale, in cui potrebbero forse esistere altri mondi abitati, sui quali però non sappiamo nulla. La colonizzazione del cosmo non può essere intesa senza tener presente che le colonizzazioni nascono quasi sempre dalla sofferenza e si realizzano nella sofferenza.
- Siamo quasi arrivati a Vyano-1, pianeta filosofico abitato da alieni che mai s’inginocchiano dinanzi a nessuna divinità… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “La Regola” consigliata da Enrico Buselli e Federico Frosali patrons dell’Enoteca Web & Wine di Volterra … Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Con l’età le ginocchia diventano doloranti: non averle usurate sui banchi di qualche chiesa ha i suoi vantaggi. In piedi, dunque!
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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