L’ospite accanto a me è Lisa Vozza. Biologa e consulente editoriale.
Da anni si occupa di comunicazione ed editoria scientifica. Ha collaborato con numerose case editrici, tra le quali Principato, Utet, Enciclopedia Microsoft-Encarta, Mondadori, Longanesi, Salani, Feltrinelli, Rizzoli.
Tante le sue partecipazioni alla realizzazione di periodici, come, ad esempio, alla rivista “Mente e cervello”.
La sua più recente impresa è la direzione della collana “I mestieri della Scienza” – prevalentemente diretta ai lettori più giovani – per la Zanichelli.
Per sei anni è stata responsabile dello sviluppo di nuovi progetti della casa editrice “Le Scienze” e International Editorial Coordinator delle edizioni europee della rivista americana “Scientific American”.
Attualmente lavora all’interno della direzione scientifica dell’Airc, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.
- Benvenuta a bordo, Lisa …
- Grazie Armando. È la prima volta che salgo su una navicella spaziale e sono un po’ emozionata. Per di più, con l’assenza di peso, mi sa che spargerò bollicine di vino dappertutto! D’altronde, vista la mia proverbiale goffaggine, qualcosa di analogo mi sarebbe successo anche sulla Terra, dunque non preoccupiamoci e andiamo avanti
- Il patron del ‘Web and Wine’ www.webandwine.com di Volterra, Enrico Buselli, mi ha consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio (forse con qualche riferimento alla tua tenacia) questo rosso : “ Capatosta” segnalandomi in Spacefax che, cito le sue parole: ”… è un Morellino di Scansano Doc. dell’ Azienda: Poggioargentiera, il luogo di produzione è Grosseto; Vitigni: 95% Sangiovese, 5% Alicante, Anno di produzione: 2001”…qua il bicchiere.Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Lisa secondo Lisa…
- Una domanda difficile per rompere il ghiaccio! Continuo col genere self-deprecation che mi viene sempre bene. Sono molto cittadina e per niente sportiva (a parte il nuoto, lo sci e qualche camminata alpina, mi muovo poco). Insofferente a conformismi, ipocrisie e convenzioni, dico quasi sempre quello che penso. Quando cerco di trattenermi peggioro la situazione: il Lisa-pensiero mi si legge in faccia. Insomma, il vino che hai scelto mi si addice. Ciononostante, di me genitori e nonni hanno sempre detto un gran bene (brava a scuola, saggia, responsabile, affidabile, organizzata, razionale, analitica, di buon senso eccetera). I miei tratti a volte spigolosi non sembrano scoraggiare più di tanto neppure gli amici, che spesso mi chiedono opinioni e consigli. Io in fin dei conti mi sento proprio “normale”: fatta di carne e ossa, ho come tutti luci e ombre, talenti, passioni e fragilità. Per la cronaca, sulla Terra ho una bambina di cinque anni e un marito francese giramondo che mi aspettano .
- La scienza ha fatto sempre paura alle religioni – specie quelle monoteiste – come ben spiega lo storico delle scienze Daniel Kevles. Oggi di tali paure si trovano tracce anche presso una parte del pensiero laico. Da che cosa dipende questo pernicioso travaso?
- Il braccio di ferro tra scienza e religione è un leitmotiv che si ripete nella storia (Galileo docet). Oggi negli Stati Uniti le frange estreme degli evangelici militanti si oppongono non solo all’insegnamento della teoria dell’evoluzione a scuola o allo studio delle cellule staminali, ma perfino allo sviluppo di vaccini contro l’Hiv o altri virus a trasmissione sessuale, perché con ciò sarebbe più difficile predicare l’astinenza prematrimoniale quale prima linea di difesa contro le malattie.
La novità – a mio avviso – non sta tanto in queste posizioni religiose antistoriche e antiscientifiche, che sono sempre esistite, ma nello sfruttamento cinico di queste idee oscurantiste da parte di politici e membri del governo, spesso laici, che le mettono al centro dell’agenda politica in cambio di voti e consenso.
- Veniamo ad una delle più recenti tecnofobie, quella relativa agli Ogm che, in modo frettoloso e colorito, è chiamato anche “cibo di Frankenstein”.
Con tutto il rispetto per i Verdi e il loro, spesso, prezioso lavoro, basta un articolo di Grazia Francescato o uno strillo di Pecorario Scanio per oscurare i tanti ragionati pareri di esperti del calibro della Montalcini, di Dulbecco, di Veronesi.
Tu, da biologa ed esperta in comunicazione scientifica, come vedi il problema? E quale via indichi per trasmettere una corretta informazione sul tema?
- Che sugli Ogm ci sia dibattito è comprensibile: come per ogni innovazione, ci vuole tempo per “assimilarli” e “digerirli”. Dunque c’è un tiro alla fune tra la scienza che “strappa” e il pubblico che resiste. La politica dovrebbe avere un ruolo di regolazione, controllo e mediazione: dettare regole basate sulla comprensione profonda delle istanze in gioco, educando i propri cittadini, creando consenso e verificando che le regole siano rispettate. Ma un processo di questo genere richiede coraggio, tempo e fatica. La politica, invece – affamata di consenso facile e immediato – non solo cede all’emotività, abdicando al proprio ruolo, ma a volte enfatizza demagogicamente paure e timori. Alla fine a rimetterci sono le fasce più povere e ignoranti della popolazione, che non hanno né le conoscenze, né i mezzi per nutrirsi correttamente. Personalmente, quel pezzetto di Dna ibrido su cui tanto si dibatte (che peraltro assumo anche quando mangio un mandarancio) mi fa meno paura delle quantità industriali di prodotti chimici (pesticidi, fertilizzanti e chi più ne ha più ne metta) che continuiamo a ingurgitare inconsapevolmente.
- Le più recenti scoperte – per esempio il Dna e la conseguente mappatura del genoma umano, ma anche altre scoperte in altri campi – hanno rafforzato o ridimensionato l’idea della vita come incrocio fra caso e necessità teorizzata dal biologo Jacques Monod nel 1970?
- Direi che le idee di Monod ne escono rafforzate e meglio definite. La mappatura del genoma ha infatti ampliato enormemente le nostre conoscenze nel dominio della “necessità”, ma ci ha anche fatto capire come la complessità non si esaurisca affatto con la decifrazione dei nostri geni. Al contrario, la straordinaria varietà di proteine (i “soldatini” che operano sul campo, in ogni millimetro cubo del nostro organismo) che può sortire dal nostro genoma (il “comandante in capo”) fa dell’interno del nostro corpo un ambiente di scambi continui e casuali. Inoltre le molecole dell’organismo interagiscono continuamente con l’ambiente esterno, dando esiti sempre inediti e imprevedibili.
- Un argomento che m’affascina e m’interessa.
Craig Venter, lo scienziato di genetica della Celera Genomics, si reputa più che un ingegnere un artista, un architetto designer, e prevede che con la prossima generazione di biologi avremo una seconda genesi non dettata dall’evoluzione naturale, ma dall’immaginazione umana.
Anche Freeman Dyson – sia pure illustrando alcuni rischi e perciò prospettando la necessità di leggi e norme per la pratica del biotech – contestando ogni censura alla ricerca, prevede in un non lontanissimo futuro la possibilità alla portata di tutti di trasferire geni tra specie diverse e perfino “biotech games” in cui i ragazzi giocheranno usando vere uova e sementi vive, al modo come si divertono oggi con i videogames.
T’interessa questa direzione di ricerca di tipo transumanista? Che cosa ne dici di chi – Jeremy Rifkin, ad esempio – vi s’oppone parlando di “high-tech eugenetico dal freddo taglio ingegneristico”?
- Non mi dispiacerebbe un trapianto genico che mi facesse fare le fusa o avere occhi come quelli del mio gatto... Scherzi a parte, non condivido la visione da cercatore d’oro che intravede, nella genetica innestata sugli inappagabili desideri degli esseri umani, una fonte inesauribile di dollaroni. Prediligo ipotesi più caute e realiste: credo che, data l’enorme complessità della macchina biologica e dell’ancor minima conoscenza in nostro possesso, siamo molto lontani dalla possibilità di un tamagotchi in versione reality. E mi auguro che le applicazioni che tu chiami “transumaniste” – se ce ne saranno – vadano prima di tutto a curare gravi malattie per cui oggi non c’è alcuna speranza. Al loro sviluppo non mi oppongo, anzi. I tempi però non saranno brevi e credo che per un’evoluzione armoniosa, elementi di regolazione e controllo siano necessari.
- Quando mi trovo – come in questo caso – di fronte a persone come tu sei che lavorano in campo scientifico rivolgo loro da qualche tempo una domanda che qui replico con te.
Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; secondo i futurologi in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli…quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi?
- L’astrazione non è mai stato il mio forte: sono un’inguaribile realista, ancorata a terra con pesi piombati, e a volte fatico a immaginare il futuribile. Storicamente, mi pare che più scopriamo mondi sconosciuti – siano essi nell’infinitamente piccolo o nell’infinitamente grande – più si aprono orizzonti inediti da esplorare: humus per la mente e per la progressione delle conoscenze.
- Semir Zeki – docente di Neurobiologia all’Università di Londra – prospetta, nel suo libro “La visione dall’interno”, la nascita di una neurologia dell’estetica e scrive: <…esprimo l’impressione che le teorie estetiche diventeranno comprensibili e profonde solo quando saranno fondate sul funzionamento del cervello, e che nessuna teoria estetica che non abbia una forte base biologica può essere completa e profonda>.
Sei d’accordo con quest’affermazione? Se sì, oppure no, perché?
- Chissà quale emozione profonda proverò a sentire Placido Domingo interpretare Otello che canta a Desdemona Già nella notte densa, quando finalmente comprenderò la sequenza di neuroni e neurotrasmettitori che si attiveranno in quel momento nella mia corteccia cerebrale!
Ironia (e melomania) a parte, ho grande stima per il professor Zeki, le sue ricerche e i suoi libri. Sono curiosa di conoscere le fondamenta biologiche alla base del rapporto tra arte e cervello e credo che da questi sviluppi trarranno giovamento le diverse teorie estetiche esistenti. Non penso tuttavia che, in assenza di un quadro scientifico complessivo, la percezione dell’arte e le teorie che la descrivono non possano avere dignità proprie.
- Noto che le più innovative forme d’arte s’ispirano adesso alla scienza e alla tecnologia, penso, ad esempio, a Eduard Kac, The Cultural Art Ensemble, Yann Marussich…
E questo rafforza in me il parere che oggi l'avanguardia non appartiene più alle arti ma alla scienza…si pensi, ad esempio, alla fisica delle particelle…. Tu che ne pensi al proposito?
- Sono in molti ad affermare che la ricerca scientifica sia l’ultima avventura rimasta, in particolare in campo biologico e spaziale. Io ho qualche difficoltà a essere così tranchant: mi sembra che di avventure e avanguardie ne possano esistere tante quante sono le menti coraggiose e intraprendenti presenti sul nostro pianeta.
Che l’arte tragga ispirazione dalla scienza non è una novità: la “ Lezione di anatomia” di Rembrandt è il primo esempio che mi viene in mente, ma ce ne sono molti altri. Del resto la scienza immette continuamente innovazioni nella società, che stimolano la fantasia e la creatività di artisti e intellettuali.
- Non ho dimenticato che sei un’esperta consulente editoriale in campo scientifico come ho già detto in apertura. Seguono due domande ad hoc.
In Italia non disponiamo di una diffusa divulgazione scientifica. Naturalmente non mancano nomi eccellenti nel campo (da un capostipite qual fu Giovanni Maria Pace al giornalismo di Sylvie Coyaud alla saggistica di Piergiorgio Odifreddi, alle trasmissioni di Piero Angela), ma rispetto ad altri paesi siamo piuttosto indietro. Di questa carenza, a chi attribuire le maggiori colpe? Alla scuola? Agli autori? Alle case editrici? Alle tv?
- Se per quello, non disponiamo neppure di una diffusa ricerca scientifica, a parte qualche nicchia felice. Le cause sono da imputare al nostro Dna di italiani. Intelligenti, fulminei, creativi, maestri nell’arte di arrangiarsi, abbiamo doti da vendere per diventare grandissimi scienziati apprezzati in tutto il mondo. Non siamo però maestri di organizzazione, né ci piace fare sistema (preferiamo di gran lunga familismo, nepotismo e campanilismo litigioso): per la scienza dei giorni nostri, che richiede grandi macchinari e strutture da condividere fra molti, la scarsa propensione a fare squadra è una condanna al nanismo.
Il livello della divulgazione e dell’insegnamento della scienza nella scuola è a mio avviso una conseguenza di questo stato di cose. Rispetto a qualche anno fa trovo tuttavia che, in entrambi i settori (ricerca e divulgazione), si vedono comunque miglioramenti e progressi notevoli. Il successo di iniziative come i festival della scienza è un segnale positivo, sebbene non si traduca ancora in un aumento di iscrizioni nelle facoltà scientifiche.
- Il web non è privo di molti siti d’informazione sulle Scienze. Ritieni che sulla Rete la divulgazione scientifica abbia trovato già un proprio linguaggio, oppure non ancora?
- Internet ha iniziato la sua diffusione proprio negli ambienti di ricerca, i quali hanno già alle spalle quasi vent’anni di comunicazione in ambiente virtuale. Dunque gli scienziati hanno trasferito nel Web consuetudini, linguaggi e costumi propri delle loro comunità di riferimento. Il Web della scienza altro non è che la rappresentazione amplificata di reti esistenti anche nella realtà. Un esempio è www.facultyof1000.com: un sito che mette in evidenza gli articoli più interessanti pubblicati – per ora solo in biologia e in medicina – in base al giudizio di più di mille scienziati leader nel proprio campo di ricerca. Di fatto, le idee più interessanti circolavano già con lo stesso meccanismo – l’opinione dei leader – anche prima che esistesse Internet, ma la diffusione era necessariamente più lenta e limitata a circoli più ristretti di persone.
- Non so se hai avuto tempo e voglia di leggere "Segni di vita: la biologia di Star Trek", di Susan e Robert Jenkins, ma prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo tutti, crudelmente, a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Non ho mai visto né Star Trek, né Guerre stellari. Però da piccola seguivo con assiduità Spazio 1999... Lo so, lo so, il livello è penoso e se il capitano Picard mi vuole buttare fuoribordo senza bombole d’ossigeno, ha tutte le ragioni di questo mondo.
Il fatto è che il mio immaginario e la mia fantasia non si sono mai nutriti di avventure (neppure Kipling mi ha mai avvinto): quello che mi ha sempre “agganciato” e stimolato sono le vicende umane, terrene e non trascendenti.
- Siamo quasi arrivati a Vòzzya, pianeta mutante abitato da alieni che comunicano fra loro solo attraverso formule chimiche… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, o mia tenace, anche perché è finita la bottiglia di “Capatosta” consigliata dal Enrico Buselli patron dell’Enoteca Web & Wine di Volterra … Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Grazie per l’ospitalità, Armando. Mi sono trovata bene quassù: tornerò presto.
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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