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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Vito Di Bari. Direttore NextMedia Lab. Insegna “Progettazione, Gestione e Innovazione dei Sistemi” alla Facoltà di Ingegneria dei Sistemi del Politecnico di Milano e “Corporate Communication” all’Università Bocconi.
Autore di alcune teorie innovative riconosciute internazionalmente, il Premio Nobel per l’Economia Kenneth Arrow ha detto di lui “C’è da aspettarsi un grande cambiamento nel modo in cui la gente interagirà e Di Bari elabora sogni. Sogni possibili, basati su solidi fatti.”

Per biografia e bibliografia, cliccate con fiducia QUI.

Di Bari, pur trattando del futuro, non è un futurologo; ritengo, infatti, tale dizione prossima all’insulto perché i futurologi narrano – spesso più da romanzieri che da divulgatori di scienze – di cose non verificabili e diventa facile per loro stupire il pubblico con pirotecniche profezie.
Di Bari fa una cosa estremamente più difficile, le sue previsioni agiscono dentro un periodo che mai supera i 15 anni (tendendo, più severamente ancora, ai 5-10 anni dai suoi interventi), e lo fa con un’attenta ricerca delle fonti, documentando e interpretando quello che già è in corso d’opera.
Ovviamente, molte delle cose di cui sa e c’informa potranno avere tempi di commercializzazione anche lenti, dovuti a leggi del mercato, ma esistono, sono già vere, vicine a noi.
Questi nuovi ritrovati tecnologici (riguardano il corpo, l’habitat, il tempo libero, il lavoro, la comunicazione) sono presentati e descritti in un volume da poco in libreria, anno terrestre 2006, e che dà lo spunto a questa nostra conversazione.
Titolo del volume: Il futuro che c’è già (ma ancora non lo sappiamo). Editore: Il Sole 24Ore.
E’ un’imperdibile esplorazione del nostro futuro prossimo.
Ha scritto Sabina Minardi su L’Espresso: “Di Bari, con il suo pool di ricercatori del NextMedia Lab, laboratorio di ricerca milanese ispirato al Mit di Boston, ha scovato scarpe che camminano da sole, schermi di tv e computer riavvolgibili dopo l’uso, protesi robotiche sostituibili per farci vivere meglio, più a lungo”.
E nel libro che ho segnalato, ci sono anche tante altre meraviglie.
Questa mia taverna spaziale mi pare, quindi, un luogo ben adatto a lui.
Di Bari è pure esperto in produzioni cinetelevisive: dirigente della Divisione Cinema e Televisione del Gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, è stato pioniere dell’homevideo in Italia, dirigendo le edizioni video di Rai-Sacis editando opere di grandi maestri italiani ed esteri fra i quali: i fratelli Taviani, Franco Zeffirelli, Akira Kurosawa, Andrzej Waida, Peter Greenaway, Rainer Fassbinder.

 

Benvenuto a bordo, Vito…
Grazie Armando, ho sempre sognato di salire a bordo dell’Enterprise… e mai mi sarei aspettato di trovarci un’intera enoteca – il che, devo dire, è proprio una gradita sorpresa.
Ci ha pensato a rifonirla Sabrina Iasillo, sfavillante sommellier dell’EnotecaBistrot Uve e Forme, e mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo vino prodotto in provincia di Asti dalla Cascina 'Tavijn, “Ruché di Castagnole Monferrato” 2004, aggiungendo in Spacefax le seguenti parole che qui leggo: “L’uva e’ il Ruché, lei Nadia, una giovane produttrice. Hanno caratteri comuni, si comprendono. In una terra di giganti, austeri e sacerdotali, senza nulla togliere al rigore, un aroma di fragolina fa breccia nel cuore di chi, qualche volta ha bisogno di candore”. Fin qui Sabrina Iasillo… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Vito secondo Vito…
Vito Di Bari è un professore universitario, prima di tutto. Che si occupa di futuro. Per dirla in termini più “accademici”, si occupa di “previsioni a medio termine”, di analizzare cioè una serie di variabili nei diversi ambiti del sapere e di trarne considerazioni ponderate su quello che accadrà, fra 5-10 anni, alla nostra vita di tutti i giorni. Da come cambieranno i nostri elettrodomestici a come ci relazioneremo in famiglia.
Qual è il principio generale, filosofico, che presiede le tue ricerche?
C’è una frase che mi piace spesso ripetere e che credo aiuti bene a capire il senso del mio lavoro. E cioè che il futuro è tutto quello che abbiamo, tutto il resto è latte versato. Questo per dire che il mio sguardo, nella vita come nella professione universitaria, si rivolge sempre in avanti. Studio il presente per capire il futuro. Il tutto su solide basi scientifiche, senza nessuna presunzione di sapere con certezza che cosa domani potrà verificarsi. Ma facendo stime, verifiche incrociate, calcoli probabilistici su quanto un certo fenomeno potrà affermarsi o meno.
Credi che oggi siano le relazioni sociali a guidare le tecnologie o viceversa?
Credo che quello tra tecnologie e relazioni sociali non sia un rapporto a senso unico: la realtà è che esiste una forte circolarità tra i due elementi. Ogni ricerca o invenzione deve innanzitutto apparire attraente a investitori che decidano di scommettere sul suo futuro; e quando s’affaccia alla società è tanto capace di abilitare nuovi modelli di relazione quando soggetta all’influenza della società stessa. Pensa al telefono:  i suoi primi sviluppi, alla fine dell’ottocento, riguardavano la possibilità d’utilizzarlo a fini d’intrattenimento, come sistema di broadcasting. È diventato invece un sistema di comunicazione uno-a-uno, rivoluzionando, a sua volta, tutto il sistema di relazioni del pianeta.
Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; secondo i futurologi in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli…quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi?
Caro Armando, io mi occupo di previsioni a medio termine, che è come dire… del futuro che già c’è: nei laboratori di ricerca, nei prototipi delle aziende, in una serie di innovazioni che già oggi possiamo sperimentare nel nostro quotidiano. Per questo, più che su “pirotecniche profezie”, mi piace riflettere su tendenze già oggi verificabili. Dell’uomo di cui tu parli, puoi trovare interessanti riflessioni nelle opere di diversi scrittori, quali Philip Dick, nonché negli studi dei cosiddetti “transumanisti”, come Nick Bostrom.
- …scusa l’interruzione, mi dai l’occasione di segnalare ai miei avventori che ho fatto quattro chiacchiere in questa taverna spaziale con Riccardo Campa Direttore della Wta, l'Associazione mondiale dei transumanisti… riprendi pure…
… ecco, da parte mia, posso dirti che l’uomo della prossima generazione avrà sicuramente un rapporto diverso con la propria esistenza rispetto al nostro: innanzitutto perché la sua età media sarà d’almeno vent’anni superiore alla nostra, in secondo luogo perché potrà perfezionare il proprio corpo e la propria mente grazie a uno stadio della medicina evoluto e ormai alla portata di tutti.
Molti studiosi sono divisi nel giudicare le prospettive del futuro di noi umani.
Al pessimismo, ad esempio, di Katherine Hayles (“Come siamo diventati post-umani”), o di Bill Joy, scienziato della Sun Microsystems, il quale sostiene che “il futuro non ha bisogno di noi uomini”, s’oppongono, per citarne alcuni, Chris Meyer e Stan Davis che nel libro “Bioeconomia” sostengono che la futura complessità non sarà incomprensibile e offrirà molti vantaggi; oppure Andy Clark, docente di scienze cognitive all’Università dell’Indiana, autore di “Natural-Born Cyborgs”: “nel futuro continueremo a innamorarci, a desiderare di correre più veloci, di pensare più efficacemente… crescerà però l’abilità di creare strumenti che espandono la mente”.
Tu a quale dei due schieramenti ti senti più vicino, o meno lontano? Oppure hai un’altra ipotesi?
Mi proponi la classica divisione tra apocalittici e integrati! La verità è che non amo le posizioni estreme… nel mio ambito, sono tipiche di quei futurologi che amano tendere all’iperbole e al sensazionalismo; ma nel farlo, lasciamelo dire, peccano spesso di determinismo. Come ben sai l’impatto di una tecnologia sulla società non è mai ‘scritto’ nella tecnologia stessa, piuttosto nell’uso che se ne fa: con la fusione nucleare ci crei sia energia pulita, sia ordigni capace di distruggere in pochi secondi un’intera metropoli. La mia ipotesi è che le tecnologie siano semplicemente da considerarsi quali abilitatrici di desideri prima impossibili: in quest’ottica, la ricerca scientifica tende a migliorare la qualità della vita, non a distruggerla.
Partendo dal territorio delle Scienze, hai esteso, come ricordavo presentandoti, i tuoi interessi alle arti occupandoti di produzioni cinetelevisive. Qual è il tracciato che ti ha portato a questo?
Il percorso, semmai, è quello inverso. Io mi occupavo solo di innovazione della comunicazione. E poiché l’ICT ha dettato i ritmi dell’innovazione dell’ultimo decennio, ho iniziato a specializzarmi nelle previsioni a medio termine su come le innovazioni avrebbero mutato il nostro modo di fare le cose. Ma ora l’ICT si sta progressivamente integrando con altre discipline. Per fare un paio di esempi, le nanotecnologie e le biotecnologie. Ed ecco che mi sono ritrovato ad occuparmi anche di innovazioni al di fuori del territorio originale.
Non pochi sostengono che oggi l'avanguardia non appartenga più alle arti ma alla scienza…si pensi, ad esempio, alla fisica delle particelle... è un giudizio che ti trova d'accordo, oppure no?
Nell’arte l’avanguardia indica un movimento di opposizione e sperimentazione rispetto a un paradigma dominante. Ma ad oggi la comunità scientifica ha già operato, per dirla con Kühn, il suo cambio di paradigma, passando dalla meccanica classica alla fisica quantistica. Così come diverse teorie inizialmente considerabili come avanguardie in tal senso si sono rapidamente fatte accettare da tutta la comunità scientifica, se non altro perché nella scienza, a differenza che nell’arte, il valore di una teoria è immediatamente comprovabile dall’applicazione tecnica; basti pensare alla fuzzy logic, e alle sue difficoltà iniziali nel farsi accettare – difficoltà ben presto dissolte di fronte alle incredibili prestazioni che offriva nei campi più disparati, dai software per il riconoscimento facciale alle lavatrici. Diverso il discorso se trasli il termine dall’ambito militare, che è poi il suo contesto d’origine: allora è sicuramente lecito considerare la scienza come avanguardia, nel senso di movimento d’avanscoperta verso il futuro.
Il web è ricco di molti siti d’informazione sulle Scienze. Ritieni che sulla Rete la divulgazione scientifica abbia trovato già un proprio linguaggio, oppure non ancora?
Piuttosto che un linguaggio tipico della ‘divulgazione scientifica in rete’, osservo in quest’ambito quella variabilità tipica di tutta la conoscenza diffusa in rete: a un estremo, semplici trasposizioni di contenuti pensati per il medium cartaceo; all’altro, vere e proprie esperienze che scaturiscono da un sapiente utilizzo di multimedialità ed interattività. Di certo, posso affermare che la divulgazione scientifica ha trovato nella rete un nuovo mezzo, rendendo possibile reperire informazioni con una facilità e rapidità fino a poco tempo fa impensabile. Col risultato di poter fruire a casa propria contenuti prima esclusiva di biblioteche, musei o laboratori universitari.
Mentre uno dei padri di Internet, Vinton Cerf, sta studiando come portare il web nello spazio, come sono cambiati i modi di percepire il mondo nell’era telematica?
Se con la televisione abbiamo iniziato ad esperire un mondo globale, la telematica ci ha aperto le porte a un mondo accessibile: indipendentemente da dove siamo, possiamo non solo trasmettere o avere accesso ad informazioni ovunque esse si trovino, ma anche agire a distanza, e in tempo reale. È il mondo che rende possibile l’impresa virtuale, la telepresenza e la telemedicina, la collaborazione a distanza, l’essere-sempre-connessi che, ai fini dell’interazione, svuota di significato la propria localizzazione fisica.
Il fatto che il termine “Big Bang” sia stato inventato non da uno ch’era solo scienziato ma scienziato-scrittore, Fred Hoyle, il quale avversava quella teoria, quali pensieri suscita in te?
Uno, immediato: la creatività è ingrediente fondamentale per la scienza. Non credi?
Sì, credo di sì. Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Un ottimo esempio d’anticipazione del futuro! Magari non a riguardo d’invenzioni quali il salto nell’iperspazio; penso piuttosto ai cellulari con sportello pieghevole, copia dei comunicatori in uso sull’Enterprise, o ai traduttori istantanei, che vedremo arrivare sul mercato nel giro d’un paio di decadi.
Siamo quasi arrivati a Dibàrya, pianeta futuribile abitato da alieni che comunicano fra loro solo attraverso i propri avatar… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia “Ruché di Castagnole Monferrato” consigliata da Sabrina Iasillo dell’Enoteca Uva e Forme di Roma …
A presto. Arrivederci!
Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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Bellissimo sito, il Tuo, ricchissimo di cose belle, tra cui il nostro Luigi Serafini, che proprio non mi aspettavo (ti ho trovato cercando di lui qualche mese fa, verso ottobre, NdA). Dante e Gozzano insieme: un'acqua santa (e cheta) con un diavolotto da Carnevale che mangia gianduja nelle confetterie, tossendo discretamente in un fazzolettino di batista. Formidabile. E noto che ti piace, evidentemente, Vittorio Metz, che nessuno rammenta più: ma sei un regista, non potevi far altro che conoscerlo. Di norma lo hanno dimenticato. Impudenti. Infine, dal mopmento che Ti piace Serafini, non puoi che essere una persona simpatica. Ciao ciao e a presto. Cecilia www.ceciliaraba.ilcannocchiale.it

inviato da Cecilia A. Raqbà
 

 

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