L’ospite accanto a me è Giovanna Cosenza. Laureata in filosofia, ha conseguito il dottorato in Semiotica sotto la direzione di Umberto Eco.
È una tra le menti più brillanti che abbiamo nell’indagare i segni e gli approdi proposti dai nuovi media e, in particolare, quelli che riguardano la comunicazione politica.
Professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi all'Università di Bologna, è autrice di articoli e contributi per riviste e volumi collettanei, ha pubblicato tra l'altro La pragmatica di Paul Grice (Bompiani 2002), e curato il volume Semiotica della comunicazione politica (Carocci 2007).
Nel catalogo Laterza figura, giunto alla seconda edizione, Semiotica dei nuovi media (2010)
Dal 2008 scrive il blog Dis.amb.iguando.
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L’occasione per quest’incontro è dato dall’uscita, ancora presso gli Editori Laterza, di un suo libro straordinario per chiarezza e intelligenza: SpotPolitik. Perché la “casta” non sa comunicare.
- Benvenuta a bordo, Giovanna…
- Ben trovato. Uh, che parole lusinghiere… esagerato, mi hai messa quasi in imbarazzo. Grazie comunque.
- I tre fratelli, Massimiliano, Andrea, Jacopo Arcioni del Centrovini Arcioni, stellare enoteca romana in Via della Giuliana 13, hanno consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Cabernet Sauvignon Riserva, Azienda Pfarrhof… cin cin!
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Giovanna secondo Giovanna…
- Sono curiosa e affamata di tutto, perché non sopporto due cose al mondo: ripetermi e annoiarmi. Perciò non riesco mai a stare con le mani in mano, ma soprattutto non so darmi tregua con la testa: devo sempre leggere o scrivere qualcosa, sempre guardarmi intorno, frugare, pensare, mettere il naso dappertutto. E poi sono incontentabile: più faccio-penso-ascolto-vedo, e più ne vorrei. D’altra parte, mi dico: la vita è una, perché sprecarla a non far niente? Meglio moltiplicare persone, cose, azioni. Così magari posso vivere molte vite in una.
- Qual è stata la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere “SpotPolitik”?
- Cominciai a occuparmi in modo sistematico di comunicazione politica nel 2003-2004, prima era un interesse più sporadico. Da allora ho preso l’abitudine di osservare con attenzione, giorno per giorno, tutti gli errori di comunicazione che fanno i nostri politici, specie a sinistra, perché all’epoca Berlusconi era ancora in forma dal punto di vista comunicativo. Quando poi, all’inizio del 2008, ho aperto il blog Dis.amb.iguando, ho cominciato ad annotare lì dentro tutti gli errori, accompagnandoli con una breve analisi. Erano moltissimi. A un certo punto, dalla primavera 2009, la comunicazione politica italiana è addirittura peggiorata, perché pure Berlusconi, dopo gli scandali sessuali (Noemi, D’Addario, Ruby e le altre), è andato in tilt. Allora ho pensato di raccogliere in un libro i principali errori che avevo osservato dalla fine del 2007 alla fine del 2011, da sinistra a destra. È così che è nato il libro: la motivazione principale sta nel fatto che non ne potevo più, né della quantità di errori, né della loro stupidità.
- Rispetto al tempo in cui la comunicazione politica (allora detta “propaganda”) era affidata ai manifesti e ai comizi stradali, che cosa è cambiato con l’avvento della tv?
- La risposta a questa domanda si legge in tutti i manuali di comunicazione politica: con la televisione, si dice, la politica si è spettacolarizzata e personalizzata. Il che vuol dire che la politica ha cominciato a seguire le regole che servono a catturare audience in televisione, facendosi rappresentare dai personaggi più capaci di “bucare lo schermo” e mescolandosi all’intrattenimento e al gossip. È la televisione che mette i politici a fianco dei personaggi dello spettacolo e premia – in termini di audience, ma anche di voti – coloro che sono più capaci di fare a loro volta spettacolo, con le performance televisive, ma non solo: anche con la vita privata, che è sempre più spesso sottoposta allo scandaglio del gossip mediatico.
- E che cosa è poi successo con la Rete e i nuovi media?
- La rete moltiplica i palcoscenici che ogni politico ha a disposizione per comunicare con i cittadini e le cittadine. Se prima c’erano solo i comizi di piazza, le dichiarazioni alla stampa e le ospitate nei vari programmi televisivi, ora il politico e il suo staff devono occuparsi – oltre che dei media tradizionali, che non sono certo scomparsi né a breve spariranno – anche del profilo Facebook, del’account Twitter, del canale YouTube, del forum, del sito web del partito e così via. Inoltre su ciascuno di questi palcoscenici il leader deve parlare coi cittadini ponendosi sempre in relazione uno-a-uno, e non uno-a-molti come nei media tradizionali. Su Internet, e in particolare sui social media, oggi si “conversa”, non si fanno discorsi dal pulpito. Chiaro che l’esplosione di mezzi rende ancora più difficile il lavoro già difficile del comunicare.
- E’ possibile, aldilà del medium usato, identificare il principale errore, quello più comune, in cui incorrono i politici italiani?
- Purtroppo in Italia tutti i politici fraintendono il concetto di comunicazione: come se per comunicare bastasse scegliere uno slogan generico, due colori per il logo e qualche foto per le affissioni. Come se fosse solo una questione di estetica superficiale e scelta grafica. O di cerone per andare in Tv. Invece comunicare è la cosa più importante per ogni essere umano, perché significa entrare in relazione con altri esseri umani. E in politica significa entrare in relazione con i cittadini e le cittadine, gli elettori e le elettrici. Questo sarebbe “comunicare” nel senso più alto e pieno della parola. Cosa che i politici italiani sono ben lungi dal capire, e questo vale per tutti, indipendentemente dal partito o schieramento e dai media che usano. È per questo che oggi si parla tanto di “casta”, che è per definizione chiusa e autoreferenziale.
- Nel tuo libro, non risparmi nessuno dei politici notando in tutti loro tanti tic e difetti.
Eppure, molti sostengono, che Berlusconi sia un grande comunicatore (anche se tu ne rilevi alcune cadute, specie in questi ultimi anni).
Ti chiedo: Berlusconi ha conquistato mente e cuori degli italiani con la sua iniziale comunicazione di marca aziendale oppure gli italiani erano già berlusconiani prima ancora dell’apparire di Berlusconi?
- Né l’una né l’altra cosa. Nel 1994 Berlusconi non fece nulla di speciale: semplicemente fu il primo a introdurre anche da noi una commistione fra sistema politico, media, marketing e pubblicità, che negli Stati Uniti c’era almeno dalla metà del Novecento. Inoltre oggi la politica spettacolarizzata e personalizzata non è solo prerogativa italiana, ma accomuna tutte le democrazie cosiddette “mature”, pur in diverse dosi e varianti nazionali. Insomma non c’è nulla di eccezionale nella commistione fra marketing, tecniche pubblicitarie, uso dei media e comunicazione politica. Berlusconi ha conquistato gli italiani per tanti anni sia perché sapeva usare bene questa mescolanza di tecniche e mezzi (o almeno in modo sufficiente a conquistare, di volta in volta, la maggioranza), sia perché con queste tecniche e mezzi riusciva a entrare davvero nella testa, nel cuore e nella pancia, come si dice, dei suoi elettori e delle sue elettrici.
- In “SpotPolitik”, accanto a tante fulminanti riflessioni, ce n’è una in cui contesti a Mc Luhan la famosa espressione “Il mezzo è il messaggio”. Perché?
- Non la contesto, dico che ciò che intendeva McLuhan era molto più e molto meglio dello slogan “Il mezzo è il messaggio”. Perché è vero che il mezzo è il messaggio, nel senso che ogni mezzo di comunicazione incide sul modo in cui i contenuti possono essere espressi e organizzati, ma è anche vero che il messaggio non è solo il mezzo, casomai è anche il mezzo. Detto in altri termini: è banalizzante trarre da McLuhan un rigido determinismo tecnologico-mediatico – come se i mezzi condizionassero direttamente e semplicemente i messaggi che veicolano – ma è altrettanto banalizzante pensare in termini di rigido antideterminismo, come se i messaggi potessero prescindere del tutto dai mezzi che li veicolano. I messaggi sono certo condizionati dai mezzi, ma il condizionamento non segue catene di cause semplici e unilineari come vorrebbe una visione deterministica, ma reti di concause molteplici e complesse, di cui i mezzi di comunicazione sono una parte, ma assieme a molti altri fattori contestuali, economici, sociali, culturali.
- Altra singolarità del tuo libro è costituita dal fatto che pur riconoscendo la grande importanza della Rete, non la ritieni – a differenza di tanti altri autori – sufficiente da sola a risolvere i problemi della comunicazione politica. Puoi, in sintesi, dire perché?
- La rete è fondamentale nella comunicazione odierna – non solo politica – ma non è una panacea. Inoltre non dobbiamo pensare, come molti tendono a suggerire, che, ora che c’è Internet, alla comunicazione politica basti buttarsi lì per recuperare il contatto coi cittadini: perché “è il futuro”, perché “così si intercettano i giovani”, perché ci si dà un look di “partito moderno e dinamico” e perché per giunta “costa poco”. La comunicazione politica, oggi più di ieri, va distribuita su una molteplicità di media: dalla televisione, che in Italia continua a essere il mezzo in assoluto più diffuso, alla stampa, dai comizi ai social media. Anzi, la comunicazione uno-a-uno tipica dei social media deve stimolare una rinascita della politica sul territorio: nei quartieri, nei centri sociali, nelle case. Come fece Obama nella campagna con cui vinse nel 2008, e come sta facendo anche ora, nella campagna 2012.
- Tv e Internet.
Bruce Sterling – ai più distratti ricordo che insieme con William Gibson è uno dei fondatori del filone letterario cyberpunk – ha scritto su Wired che “La tv nel giro di pochi anni sarà come il teatro, una cosa di nicchia, con un pubblico molto ristretto rispetto a quello di oggi, anche se culturalmente di livello meno alto del pubblico teatrale”. E in un’intervista a L’Espresso ha aggiunto: “La parola Internet sparirà come è sparita l’espressione ‘autostrada dell’informazione’. La distinzione artificiale tra virtuale e reale perderà il suo significato”.
Sei d’accordo oppure no con queste due affermazioni?
- Penso che abbia ragione, ma che i tempi per questo scenario non siano ancora maturi. Specie in Italia, che è ancora un paese molto televisivo. E lo è non a caso, visto che da anni si fanno pochi bambini e perciò l’età media degli italiani è già molto avanzata e tende a crescere.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Rappresenta, eccome. Hai già detto tutto tu. La commistione di sapere umanistico e tecnico-scientifico è un punto fondamentale. Negli Stati Uniti le imprese che vogliono davvero fare innovazione mettono sempre a lavorare fianco a fianco gli ingegneri, gli informatici, gli scienziati dei più disparati settori con umanisti che sappiano di storia, filosofia, arte, letteratura. Sanno bene che è più probabile che la creatività nasca da queste collaborazioni, piuttosto che da gruppi mono disciplinari. L’Italia invece stenta a capirlo. E infatti l’innovazione non abita qui da anni. Speriamo si inverta presto la tendenza…
- Siamo quasi arrivati a GC-One, pianeta abitato da alieni che parlano, scrivono e pensano disambiguando e dicono di avere appreso la pratica da un vecchio testo letto un tempo dai loro antenati in un vascello spaziale semiotico… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Cabernet Sauvignon Riserva, Azienda Pfarrhof consigliata dai Fratelli Arcioni dell’omonima enoteca romana… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Certo, quando vuoi: come resistere alle delizie del tuo vino e della tua conversazione?
- Non mi resta che salutarti com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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