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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L'ospite accanto a me è Renato Barilli. Incarico in Estetica a Bologna dal 1970. Straordinario di Storia dell'Arte contemporanea dal 1972, Ordinario di Fenomenologia degli Stili dal 1980.
Figura complessa nello scenario culturale italiano, perché pur essendo corretta la dizione di "critico d'arte" per definirlo (da anni, ad esempio, lo leggiamo sull'Espresso nelle rubriche d'arti visive), è però inadeguata a rappresentare compiutamente la sua operazione che va piuttosto vista nelle dimensioni dello storico della cultura. I suoi interessi prevalenti si appuntano sull'area del moderno e del postmoderno, ma è altrettanto vero che uno dei migliori saggi su Pascoli porta la sua firma nelle edizioni La Nuova Italia. E gran parte delle sue scelte hanno motivazioni radicate anche in lontani territori che ci vengono ripresentati per farci meglio comprendere il nuovo.
Da "Tra presenza e assenza" pubblicato da Bompiani nel '74, passando per "Viaggio al termine della parola" dell'81 nelle edizioni Feltrinelli, fino ai più recenti "L'alba del contemporaneo" - ancora Feltrinelli -, "La neoavanguardia italiana" de Il Mulino nel '95, "E' arrivata la terza ondata", Torino, Testo & immagine, 2000, è tutto un interrogarsi ed esaminare i perché delle contaminazioni, la natura del fenomeno ed i suoi approdi futuribili.
Sul web la sua presenza è massiccia e mi limito a segnalare un video che potete vedere su www.raisatzoom.it ed un suo intervento sul postmoderno:
http://digilander.iol.it/fucine/archivio/fm05/barilli-text.htm

 

Benvenuto a bordo, Renato…
Ciao Armando
Voglio farti assaggiare questo Aglianico del Taburno Fontanavecchia…qua il bicchiere…ecco fatto!
Meno male che mi hai fatto assaggiare un rosso, perché appartengo al numero di quelli che ritengono che il vino sia "solo" rosso…il resto non esiste
Oltre al vino rosso, quale principio generale, filosofico, presiede le tue ricerche?
Non riesco a cavarmela con una sola risposta, devo giocare almeno due carte: la convinzione che i fatti delle arti siano sempre in sintonia (anzi, io parlo di omologia, di identità funzionale) con quelli delle scienze e della tecnologia. E che ci sia quasi sempre una corrispondenza generazionale, ovvero, i nati all'interno di una medesima generazione sono portati a fare più o meno le stesse cose, anche se ovviamente esistono le inevitabili eccezioni, che però sono proprio tali, eccezioni, in quanto si discostano dal comportamento medio
La tua accezione di post moderno si discosta da quella di altri studiosi. Spiegamene le ragioni.
Da un lato, accetto la periodizzazione dei manuali, che parlano di un'età contemporanea che comincia col 1789, mentre alla stessa data termina l'età che chiamano moderna. Però, siccome i termini di moderno e contemporaneo sono maledettamente ambigui e confondibili, propongo di sostituire "contemporaneo" con "postmoderno", nel qual caso sarebbe indicato già nella parola stessa il rapporto di successione, e anche di opposizione, tra l'una epoca e l'altra. E' chiaro però che, così facendo, mi discosto da tutte le correnti accezioni di postmoderno, che ne pongono l'inizio quasi due secoli dopo. Se accetto la datazione manualistica, ne respingo però le motivazioni. Come ho detto prima, credo nella profonda correlazione tra i fatti artistico-letterari e quelli scientifico-tecnologici. Sul fronte di questi ultimi, la fine-Settecento vede la grane emersione degli interessi elettro-magnetici, per esempio con i nostri Galvani e Volta. Quello è veramente l'inizio della contemporaneità, in quanto l'elettricità, che viaggia alla velocità fantastica di 300.000 Km al secondo, brucia le distanze, e così cancella la prospettiva, su cui invece si basava l'arte "moderna", da Masaccio al Tiepolo. Gli artisti "omologhi" a Galvani e Volta (Füssli, Blake, Flaxman, Canova, Goya…) cominciano ad astrarre i corpi, e soprattutto a schiacciarli sulla superficie, perché non sanno più cosa farsene di immagini troppo dettagliate e sapientemente scorciate. Inoltre queste immagini sono investite da un'energia selvaggia che le rende deliranti e oniriche. Allo stesso modo Goethe, in letteratura, scopre il profondo e l'Inconscio. Dalla corrente elettrica si passa alla corrente di coscienza, i due fenomeni, al solito, sono omologhi tra loro.
Così stando le cose, l'epoca che viviamo com'è definibile?
Siamo ancora all'interno dell'epoca contemporanea, pardon, postmoderna, di cui viviamo una fase tarda, autunnale, così come quella di cui ho parlato sopra era invece aurorale, timida e incerta, tanto che venne spazzata via dalla rivoluzione industriale, fondata sulle macchine, che non avevano nulla a che fare con l'elettromagnetismo e invece sfruttavano l'energia termica per fare andare su e giù un pistone e produrre un lavoro meccanico. Questa tecnologia meccanica era in perfetta omologia col "moderno", infatti la prima grande macchina industriale è da vedere nella tipografia. E così, la prima metà dell'Ottocento vede un ritorno in forze del naturalismo-realismo, che sono le forme d'arte omologhe alla tecnologia gutenberghiana-meccanica. Bisogna attendere gli ultimi decenni dell'Ottocento per una nuova partenza del "contemporaneo" o postmoderno, che però vive ancora tante fasi e procede per approssimazioni. Per esempio, ci fu la fase simbolista, in cui ci si appoggiò a una natura, ma profonda, energetica, e non passivamente aneddotica, come quella già cara ai naturalisti. I grandi narratori a cavallo dei due secoli scoprirono in pieno la "corrente di coscienza", o l'onirismo, penetrarono cioè nell'Inconscio, a sua volta perfettamente omologo alle tensione del "campo" elettromagnetico. Però la macchina non era ancora uscita dall'orizzonte, e anzi proprio le avanguardie primonovecentesche furono a lungo incerte se affidarsi a modelli meccanomorfi o elettromorfi. In ogni caso, veniva ripudiata la natura già cara ai positivisti o in genere ai moderni.
Quindi vedi un rapporto fra le avanguardie storiche e le nuove ricerche espressive dei nostri giorni, computer compreso…
Ovviamente sì, non ho che da procedere a tessere la mia tela. Le avanguardie storiche, dunque, erano titaniche, mettevano in scena un Grande Protagonista, prometeico nella sua fiducia di ricostruire l'Universo come una sorta di Ingegnere supremo. Questa è anche la prima ondata, secondo il computo da me affidato nel libro uscito l'anno scorso, da te citato in apertura. Poi viene la "seconda ondata", ovvero le neoavanguardie degli anni Sessanta, in cui mi sono formato, le quali vedono una "normalizzazione", una estensione capillare di quelle innovazioni tecnologiche che mezzo secolo prima avevano avuto un carattere epico-monumentale.
L'arte elettronica la vedi come una smaterializzazione delle arti così come le conoscevamo o una mutazione genetica?
In un certo senso, come ho cercato di dire, l'elettronica era già presente in nuce nei grandi esponenti dell'arte e della letteratura emersi alla fine del Settecento, i quali tuttavia la trattavano in modi indiretti, servendosi pur sempre dei mezzi tradizionali dell'arte o della letteratura. Solo le "ondate" più recenti, e in particolare quella che si situa attorno a una data cruciale come il 1968, hanno avuto il coraggio di affidare quest'anima elettronica a mezzi scopertamente basati sui ritrovati tecnici che questa ha portato con sé. Ecco insomma che gli artisti non si limitano più a "dipingere" immagini in qualche modo ispirate all'elettricità, ma inseriscono nelle loro opere dei veri tubi al neon, o delle resistenze elettriche incandescenti, oppure usano il video registratore, o infine anche il computer. E tuttavia questo è pur sempre un modo per cercare di afferrare la "presenza" del mondo, della realtà, attraverso canali sempre più simpatetici e diretti. Supponiamo invece che a un certo punto, grazie a questa programmazione affidata ai computer, o alla stessa immaginazione, si faccia nascere una realtà "altra" rispetto a quella esistente, una irrealtà dunque, o una sorta di clone che però va libero per conto suo. Potrebbe essere l'alba di una nuova età, non più postmoderna, perché affrancata perfino dal compito di avversare la modernità verosimile e rappresentativa.
Paul Virilio attacca l'arte moderna accusandola di trascurare il corpo rappresentato con tela e colori per imporre - a suo dire, complici i Musei - come vincente l'immagine spettacolare della videoinstallazione fatta di foto, fasci laser, alta definizione, eccetera. Come commenti quella critica?
E' fuori di dubbio, invece, che c'è stata, o c'è ancora attorno a noi, un'ondata importantissima affidata a tutti questi mezzi che dici essere disprezzati da Virilio. Anzi, a ben vedere, come ho detto sopra, questo sfruttamento sistematico di tutte le risorse elettroniche può essere considerato come l'acme, come la logica conclusione dell'intero ciclo del postmoderno.
Multimedialità, voglio una tua definizione di quel termine…è una parola che ha avuto tanto successo da provocare un abuso. Ho perfino visto reclamizzata una cucina come "cucina multimediale". Insomma, i suoi significati sono diventati troppi, rendendone generico il concetto…
Infatti a me piace poco, perché fa pensare a una somma eclettica di cose disparate, mentre invece il nocciolo del postmoderno, come lo intendo io, è dato dal ricorso a energie assolutamente unitarie; e se anche danno luogo a strumenti tecnici disparati e apparentemente diversi, si può notare che c'è un filo comune a collegarli, a renderli come tante facce della stessa medaglia.
Arti e Mercato, secondo alquanti sono termini inconciliabili. Anche per te?
Il mercato non va demonizzato, ma neppure esaltato più del giusto. Credo che in particolare l'arte espansa, diffusa, ambientale che è l'approdo del postmoderno, col suo nocciolo elettronico, si debba prestare soprattutto a una fruizione da parte di enti pubblici, istituzioni, musei. Così come anche la ricerca verbale non passa più necessariamente attraverso il libro e la tipografia, ma conosce tanti canali alternativi.
A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci, chiedo una riflessione su Star Trek…che cosa rappresenta secondo te quel videomito…
Confesso di non essere troppo addentro a questa problematica, però la considero molto importante, e molto in linea con le conclusioni cui sono arrivato nelle mie risposte di poco fa.
Siamo quasi arrivati a Baryllya, pianeta intraverbale abitato da alieni che s'esprimono facendo sfrigolare ed esplodere le parole…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia di Aglianico del Taburno Fontanavecchia.
Però torna a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
Ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

È possibile l'utilizzazione di queste conversazioni citando il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.

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Qualcuno scrive del fruitore dell'opera d'arte non sinestesica defininendolo verduroide. Verduroidi (lessi, data la stagione) siamo noi studenti che ci troviamo a essere passivamente bombardati da una visione barilliana dell'arte, incastrati in un esercizio di riduzione della realtà nelle scomode categorie concettuali di scontri dialettici senza vie d'uscita: presentare-rappresentare, medium caldo-medium freddo, elettromorfismo-meccanomorfismo. La missione dello studente è far rientrare tutto in questi minuscoli cassetti a costo di comprimere idee troppo grandi e dilatarne altre, piccole e insulse. Non so a chi potrebbe servire questo esercizio. Non ad un giovane che deve imparare a riconoscere i paradigmi del mondo, fortunatamente un po' più complessi di così. Data la sconfinata cultura del professore penso che andrebbe invitato a condividere non solo le conclusioni che ha tratto dalla conoscenza del mondo ma anche qualcosa di più sul come ha raggiunto queste conclusioni (oltre ai collegamenti con le ormai bibliche teorie di Mc Luhan). Inoltre il panorama degli insegnanti di storia dell'arte contemporanea a Bologna si appiattisce in modo piuttosto inchinino sotto il peso delle teorie barilliane, quasi che qualsiasi altro approccio allo studio di tali argomenti non avesse lo spazio per crescere. Forse conoscere altri punti di vista (considerati evidentemente tabù) ci aiuterebbe a capire e apprezzare meglio anche le opinioni del professor Barilli. grazie

inviato da verduroide
 

Renato Barilli mi ha colpito fin dalla lettura al liceo del suo libro Arte Contemporanea, la sua visione dell'arte o più in generale d ella cultura èaffascinante , originale e di una logica stringente. Ho deciso di studiare a Bologna per questo . IL suo testo è diventato il mio preferito e trovare questa intervista mi ha fatto molto piacere.

inviato da roberta
 

Renato Barilli mi ha colpito fin dalla lettura al liceo del suo libro Arte Contemporanea, la sua visione dell'arte o più in generale d ella cultura èaffascinante , originale e di una logica stringente. Per me è stato illuminante . Ho deciso di studiare a Bologna per questo . IL suo testo è diventato il mio preferito e trovare questa intervista mi ha fatto molto piacere.

inviato da roberta
 

 

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