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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Antonella Rampino. Giornalista.
E’ inviata del quotidiano La Stampa, ha fatto reportage da mezzo mondo e pure dall’altro mezzo incontrando protagonisti della scena internazionale, da Balthus ad Arafat, da Fellini a Tarek Aziz.
Ha iniziato la sua carriera occupandosi del teatro sperimentale e dei mixed media alla fine degli anni settanta, anche conducendo su RadioRai Uno per alcune stagioni, a partire dal 1978, la trasmissione radiofonica settimanale "I pensieri di King Kong".
Ha scritto sulla Repubblica, sul Corriere della Sera, sull'Europeo, e tra il 1994 e il 2001, ha progettato e diretto "Aspenia" rivista di politica internazionale dell'Aspen Institute Italia, di cui è membro.
Pensa, con Baudelaire, che “la campagna sia il luogo in cui le galline camminano crude".
Quest’incontro avviene nel mese di dicembre dell’anno che per i terrestri è il 2008.

Benvenuta a bordo, Antonella…
Andiamoci piano, con questo benvenuto…
Uhm… cominciamo bene… qui m’aspetta il peggio…Nicola Batavia, chef e patron del ristorante 'LBirichin http://www.birichin.it/italiano/default.asp di Torino mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Grignolino doc 2007 Spertino, aggiungendo in Space fax le seguenti parole: “I vigneti sono ubicati sulle colline di Moncalvo, Castagnole Monferrato, Portacomaro, e Penango. Un'uva ormai poco usata e conosciuta. Amo l'intensità di questo vino, il suo carattere e la sua morbidezza da abbinare a piatti di pesce”.
Fin qui Nicola Batavia… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Antonella secondo Antonella …
Il tratto essenziale del mio carattere è il diniego. Credo fermamente che all’origine mia, e quindi del mondo intero, ci sia un bel “No”. Che è infatti quel che dico subito, qualsiasi cosa mi si chieda. Non sfuggirà al Capitano Picard che si tratta di un’astuzia al fine di negare qualsiasi sussistente traccia di peccato originale, condizione primigenia nella quale forze oscure schiaffarono l’umanità costringendola a dire subito di sì, al solo scopo di costringerla a proferire no definitivi invece di traccheggiare deliziosamente sulle eventuali concessioni che possono sempre seguire il diniego, volendo.
In secondo luogo, detesto il mio nome, e così in tutta probabilità anche il cognome. Sono, insomma, quel che resta di me essendomi dimenticata tutto.
Ora che i miei avventori ti conoscono tragicamente meglio, dimmi qual è per te la differenza fra comunicazione e informazione…
Questo da Lei non me l’aspettavo. Sono la stessa cosa, nonostante i tomi che sono stati scritti per differenziarle. La comunicazione, a saper cercare, contiene informazioni. E informare è un modo di comunicare. E’ la cultura che è diversa dalla comunicazione e dall’informazione. Ma la cultura è quel che resta dopo aver dimenticato tutto.
“5 italiani su 100 tra i 14 e i 65 anni” – scrive Tullio De Mauro su Internazionale (marzo ’08) –  “non sanno distinguere una lettera da un'altra, una cifra dall'altra; 38 lo sanno fare, ma con difficoltà; 33 superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico è un'icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per 100 della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”.
Due domande in una: qual è la prima conseguenza di questo disastro culturale?
Perché l'invito a investire nelle conoscenze non è raccolto dai partiti politici né dalla mitica "gente"?
Mi viene in mente quello che una volta mi disse Luciano Mauri, il più geniale degli editori italiani, anche perché lui i libri li distribuiva pure, lasciando a Mario Spagnol la facoltà di sceglierli: sa quanti libri si leggono, su cento che si vendono? Solo dieci, e di questi, integralmente, forse uno o due. Ma, aggiungeva, l’importante è che si vendano. Naturalmente, non si trattava solo di motivi di cassa. Qualcosa dei libri ci resta, anche solo a rigirarli tra le mani. E poi, una volta o l’altra, chi lo sa… Non averne proprio per casa, naturalmente, non agevolerebbe la lettura.
Ma quel che lei mi vuol dire è che al tempo delle calcolatrici nessuno sa più far di calcolo, nell’epoca degli sms nessuno capisce più l’ortografia, nella stagione della tv che è solo spazzatura dilaga l’ignoranza, e che insomma gli italiani sono analfabeti di ritorno. Non ne dubito. Ma ha visto come investono in Borsa? E come si vestono? E in che modo si svestono? A che servirebbe “investire in conoscenza”? E’ stato fatto, comunque. E non mi pare che la condizione culturale sia migliorata, almeno stando a quello che scrissero, nelle loro epoche, il Leopardi in “Dei costumi degli italiani”, o il Giulio Bollati dell’ “Italiano”. Per risponderle, bisognerebbe credere, con l’ausilio della statistica, che esista l’italiano-massa. Il quale, per fortuna, non esiste. In verità, in ultima istanza, dubito dell’esistenza dell’italiano. A volte anche come lingua.
Ti sposti frequentemente viaggiando dagli Stati Uniti all’Europa all’Asia, esiste un tratto comune, un’immagine di fondo che hai colto dell’Italia (per quelli che sanno dell’esistenza di un paese così chiamato) sul pianeta Terra?
Sì. Il calcio, la pizza e, tutt’ora, il bar “Dolce Vita” negli angoli più sperduti del mondo. Quelli nei quali, in genere, naturalmente la vita è tutt’altro che dolce.
Il lavoro ti porta ad essere in contatto assiduo con le nuove tecnologie della comunicazione, prima fra tutte Internet. E proprio di Internet ti chiedo: è una mappa o un labirinto?
E’ come la vita e le sue rappresentazioni. Un labirinto. Per non perdersi, bisognerebbe entrare dall’uscita. Cosa che per fortuna al momento ci è impossibile. A meno che il Capitano Picard, a furia di bere Grignolino, non abbia novità da raccontarci.
Mi sa di no, lo vedo già un po’ andato, non so come se la caverebbe se la police galattica l’obbligasse a soffiare nel palloncino…
Mo’, alle corte: credi che oggi siano le relazioni sociali a guidare le tecnologie o viceversa?
In linea teorica credo che siano le tecnologie a guidare le relazioni sociali. Non solo perché il mezzo è il messaggio, anche perché il mezzo è insieme lo strumento di espressione individuale e il terreno comune. E’ molto diverso scrivere a mano una lettera, stilare una mail, o comunicare con un sms. Ma in pratica è vero il contrario: è il tipo di relazione che mi spinge a usare un mezzo o l’altro. E il mezzo che uso, dipende dal messaggio e dal destinatario che ho nella mente.
La grande quantità d’informazione proiettata ai nostri giorni simultaneamente in tutto il mondo può portare alla formazione di un’”etica planetaria”, come la definisce Remo Bodei.
Vedi questo come uno strumento per elaborare libertà o un rischio di omogeneizzazione?
Remo Bodei è il geniale filosofo che ci ha spiegato, in tempi insospettabili, che il luogo del desiderio dell’Occidente è il supermarket. Come Marx però, anche Bodei ha trascurato il Terzo Mondo. Adesso lei mi informa che, chissà quanto sulla scia Hegel, Bodei spera nella globalizzazione etica. Spero proprio che abbia torto. I nigeriani hanno diritto alla loro etica, e il Vaticano alla sua morale della favola. Sono relativista anche per i consumi. Rivendico il mio diritto ad adorare i supermarket di Londra e New York. E non darei un omogeneizzato neanche al mio Gatto.
L'Associazione ‘La bella lingua’, ha redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto da molti autori e operatori culturali; per citarne solo alcuni: Guido Ceronetti, Francesco De Gregori, Ernesto Ferrero, Vittorio Sermonti, Luciano Violante, e tanti altri.
Da chi e da che cosa, secondo te, va difesa oggi la lingua italiana?
Dai giornalisti. E dagli editori che in realtà si limitano a stampare quello che ricevono, così come lo ricevono. Detto questo, non consegnerei il sancta sanctorum della lingua italiana nelle mani di nessuno, né dell’Accademia della Crusca, né dei signori di cui sopra. Innova di più la lingua italiana un coatto del Pigneto, Roma.
Nel presentarti, ho ricordato le tue origini professionali alla fine degli anni ’70 applicate alla nuova espressività nel teatro, nelle arti visive, nella musica, nella letteratura.
In quell’area che cosa trovi particolarmente di diverso da allora ad oggi?
Tutto. Poteva esistere il teatro sperimentale perché c’era quello “ufficiale”, per esempio. Oggi, in Italia, non c’è né l’uno né l’altro. Ho la sensazione che in tutte le arti, visive o meno, e penso soprattutto alla musica, a nessuno sia più data la possibilità di evolversi. Un nuovo artista dura al massimo sei mesi, se va bene. Intercettarlo, è un colpo di fortuna. E chi dura di più, certo non è perché sperimenta se stesso e i propri mezzi. L’arte sta diventando moneta vivente (e si stava meglio quando si stava peggio, una volta la monnaie vivente era il sesso!). Con una vocazione ottocentesca, ovvero di due secoli fa: èpater le bourgeois. Ma forse è solo che sto invecchiando.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek… non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
La fantascienza è il genere più realistico che sia mai esistito. Tra Jules Verne e Giovanni Verga è il primo che ci parla di quello che in noi è in movimento.
Alla fine di quest’incontro mi sento come uno che ha fatto a botte con un camionista. Lo ammetto: sono pieno di lividi. Vado a farmi un gin fizz che a me piace con molto gin e niente fizz. Anche la più innocente delle mie domande è stata fatta a pezzettini dalle risposte. Però però… proprio per questo, in fondo, un ritratto della Rampino, forse, sono riuscito, a farlo.
Naturalmente, AR è peggiore di quanto appaia dalle sue toste risposte.
Mo’ siamo quasi arrivati a Rampìnya, pianeta abitato da alieni che conoscono la campagna solo in immagini virtuali e pensano che lì gli avatar delle galline vi passeggiano crudi… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Grignolino doc 2007 Spertino consigliata da Nicola Batavia patron e chef del ristorante ‘L Birichin di Torino… Ora, ti è proibito aggiungere parola… ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

È possibile l'utilizzazione di queste conversazioni citando il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuta.

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commenti presenti

Continuo a leggere conpiacere queste interviste dell’Enterprise. Sono condotte sempre in modo intelligente e frizzante. Non sempre trovano chi sta al gioco (o lo capisca). Stavolta sì, e l’intervista ne acquista. Gianni di Ruberto

inviato da Gianni Di Ruberto
 

Splendida la definizione di Internet! Belfagor

inviato da Belfagor
 

Sì, la Rampino coglie nell’analisi di Bodei il solo punto debole: ave ret trascurato il Terzo Mondo nelle sue ipotesi di studio. Per l’occidente, invece, ci ha preso eccome! E’ il supermercato il luogo dei nuovi sogni. Tamburi Rullanti

inviato da Tamburi Rullanti
 

A proposito di quanto sia cambiato dagli anni ’70 ad oggi lo scenario artistico, rispetto al quale Antonella Rampino mostra più di una diffidenza verso il presente, mi p are che si riferisca prevalentemente al teatro e alle arti visive. Ritiene che si possa applicare lo stesso giudizio sulla letteratura italiana dei nostri giorni? Un caro saluto. simona giliberti

inviato da simona giliberti
 

Non so come la pensi l’intervistata, ma circa quanto dice Simona mi pare che la letteratura stia messa peggio del teatro e delle arti visive. In questi campi, infatti, attraverso le tecnologie usate sono stati, al di là dei risultati, capiti i tempi nuovi. Nella letteratura (a parte i temi sociali, vedi Saviano) a volte nei romanzi pare d’essere a un secolo fa. mariarita campese

inviato da maria rita campese
 

Capisco l’amarezza e la delusione della Rampino sui risultati dell’investire in conoscenza Dice però che “è stato fatto”. Francamente non mi risulta. Poiché, però, lei vive nella comunicazione e ne sa più di me, gradirei facesse qualche esempio. Grazie. giusy coletta

inviato da giusy coletta
 

Buongiorno. Visto che si tratta di una giornalista mi sarebbe piaciuto trovare una domanda che non c’è. La faccio io. Perché i giornali di destra riescono ad attacare efficacemente la sinistra e perché i giornali della sinistra (fatto salvo il Manifesto) non riescono ad attaccare altrettanto efficacemente la destra? Possibile una risposta? valerio santarelli

inviato da valerio santarelli
 

Cari internauti dell'Enterprise, risalgo velocemente a bordo per ringraziarvi dell'attenzione, come si dicesul pianeta Terra, e per rispondere alle vostre questioni, che non sono da poco. Mi pare che maria rita campese risponda perfettamente alla domanda posta da simona giliberti: di mio aggiungerei solo che magari, cara maria rita, stessimo a un secolo fa! I moccia e i piperno sono purtroppo solo dei salinger e dei proust de' noantri... Non comprendo bene la questione posta da giusy colletta: si può forse considerare che in una società non meritocratica e sottoposta a progressiva infantilizzazione, qual è la nostra, investire in conoscenza, come dire, rende poco? Rispondo subito a valerio santarelli: i giornali di centrosinistra, o che per meglio dire hanno un lettorato prevalentemente di centrosinistra, non riescono a fare un'efficace critica alla destra (neanche quando è al governo) perché soffrono dello stesso complesso di legittimazione di cui soffre la sinistra, e della stessa debolezza di leadership, probabilmente. Si ricorda le polemiche sul cosiddetto (da alberto ronchey) "fattore K"? Ecco, chi è di sinistra o di centrosinistra in Italia, anche per quella storica condizione, soffre anzitutto di un complesso di inferiorità, del non sentirsi "adeguato" a contrastare l'avversario e a contendergli la guida del paese. E' una condizione psicologica, di derivazione storica, alla quale si aggiunge il fatto oggettivo che contrastare con serietà e responsabilità il populismo e la demagogia è praticamente impossibile. Ringrazio Gianni Di Ruberto e Belfagor. A voi, Enterprise!

inviato da antonella rampino
 

alla si.ra antonella rampino, esprimo la mia ammirazione per il modo con cui conduce I^ pagina su rai3- ammiro la forza e la chiarezza nelle Sue risposte, anche quando nelle domande a Lei poste, sono implicite delle offese alla Sua persona. Non riesco a spiegarmi, come tra queste persone vi siano parecchie donne in difesa del sig.B. Finito il Suo intervento a Prima pagina, la seguirò attraverso i Suoi artiicol sulla Stampa. cordiali saluti. luigi

inviato da luigi
 

 

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