L’ospite accanto a me è Silvia Veroli. Giornalista.
Per la sua bio uso un autoritratto che Silvia tracciò di sé poco tempo fa. Eccolo.
“Giornalista professionista, avvocato credente ma non praticante, sono responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione di un ente pubblico molto serio. Parallelamente il mio avatar da dieci anni collabora con Alias e il Manifesto occupandosi di cinema, arte e nuovi linguaggi e di argomenti culturali inqualificabili. Il frutto di questa collaborazione è stato raccolto dall’editore Guaraldi, bontà sua, in un ebook di prossima uscita dal titolo “Alter Ego Alias”.
L’avatar collabora anche con la rivista on line dell’Università di Padova il BO e si è dilettato a scrivere sceneggiature per cortometraggi, video e guide turistiche romanzate per i pod. La cosa più assurda in cui si è cimentato è il progetto Volti e Risvolti con Paolo Della Bella conosciuto per aver scritto di lui nel 2004. Quasi tutti gli intervistati per il Manifesto sono diventati infatti ottimi amici (anche la moglie di Schulz, un pochino…) e questo non ha prezzo. Per tutti il resto c’è il lavoro da ufficio stampa e copy”.
Insomma lo avete capito, tante le occasioni che il lavoro giornalistico le ha riservato, eppure tutte girano sul perno che si può individuare nello studio dei nuovi linguaggi, da quelli sociali a quelli artistici.
- Benvenuta a bordo, Silvia…
- Grazie Armando, bella l’Enterprise vista da dentro! Mi sento un po’ su Star Trek e un po’ in una puntata della Pimpa.
- Notizia per te: i tre fratelli, Massimiliano, Andrea, Jacopo Arcioni del Centrovini Arcioni, stellare enoteca romana in Via della Giuliana 13, hanno consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Franciacorta Docg Brut 25 prodotto dalla Casa dei Fratelli Berlucchi… cin cin! Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Silvia secondo Silvia…
- l migliore ritratto interiore che posso fornire è l’eco addome con cui mi hanno dimessa non troppo tempo fa. Posso aggiungere che sono una che usa le parole scritte per lavoro e lo fa con molto piacere, specie se si tratta d'indagare progetti e propagare storie.
- Ora che i miei avventori ti conoscono meglio, sapendo io che ti sei interessata alla fantascienza (e siamo o no su di una navicella spaziale?), comincio col chiederti: com’è cambiata l’immagine degli alieni da Verne ai nostri giorni?
- … forse la risposta potremmo chiederla allo Jung Carl Gustav (che ha studiato ai tempi della Guerra dei Mondi), del saggio ''Un mito moderno - le cose che si vedono in cielo''. Comunque nella rappresentazione degli alieni potrebbero incidere gli effetti della crisi politica, morale ed economica: nei momenti positivi gli alieni hanno sembianze umane, in quelli di crisi si accentuano caratteri più zoomorfi, (attualmente l'effettistica fantasy sta andando in questa direzione). Un po’ come l’immagine dei demoni nell'arco della storia della pittura: nel primo quattrocento il diavolo è antropomorfo, nel tardo rinascimento è “animalesco”.
- Parecchie le tue incursioni in campo cinematografico non solo come sceneggiatrice, ma anche su particolari aspetti meno frequentati di solito dalla critica.
Ricordo, ad esempio, tue riflessioni sul “cinema privato” traendo spunto da una rassegna sul tema proposta dalla Mediateca Regionale Toscana.
Qual è la differenza fra il cinema privato e il cinema dei filmini familiari?
- Spesso, per ragioni pratico-classificatorie gli homemovies, sono ricondotti nell’insieme “Cinema privato”, un universo complesso di prodotti audiovisivi con caratteristiche precise: il tratto autobiografico, l’auto rappresentazione, la visione soggettiva sulle cose, l’uso della prima persona, l’assenza di un pubblico vasto… Però mentre il Cinema privato ha spesso dichiarate finalità critiche, inquisitorie (e terapeutiche), e non si fa problemi a lavare i panni sporchi davanti a tutti, i filmini familiari colgono la famiglia solo nei momenti della sua autocelebrazione, ce la mostrano raggiante col vestito della festa. Le nuove tecnologie, il web 2.0 moltiplicano i prodotti di questo genere, quasi tutti oggi sono in grado di filmare il proprio nipote che soffia le candele e condividerlo su youtube in tempo reale. A volte questa condivisione da’ esiti e frutti inaspettati (alto numero di visite, richieste di sponsorizzazioni, un po’ soldi, un po’ di fama) .
- Hai scritto: “Trovare un altrove implica la risoluzione di prove e cimenti e una ridefinizione di spazi e codici, linguistici innanzitutto”. Ricordo la tua partecipazione nel 2011 alla mostra “Ah, che rebus!” dedicata al Gioco, nelle arti visive e in letteratura, visto, giustamente, come la cosa più seria al mondo. Quella mostra - curata da Antonella Sbrilli e Ada De Pirro - si svolgeva 50 anni dopo la creazione di Queneau dei suoi Centomila miliardi di poesie. E’ giusto (o è bene, oppure necessario, oppure ancora lodevole, o, forse, inopportuno) scrivere poesia dopo quella vertiginosa prova che anticipa tecniche informatiche, oppure no?
- E’ giusto scrivere poesia in genere? Dopo Archiloco, dopo Leopardi, dopo qualcuno di bravissimo che non ha mai pubblicato? Non lo so. Forse vale la pena tentare comunque, in forma di rebus, in endecasillabi sciolti, con i 140 caratteri di twitter
- A proposito di 50 anni, quest’anno tanti ne ricorrono dalla Fondazione del Gruppo ’63.
A te esperta di letteratura di confine e di sconfinamenti, chiedo: che cosa ha significato nella nostra letteratura quel movimento? E perché ancora oggi c’è chi ne parla con tanto livore?
- Il livore è connaturato a questi tempi di incertezza economica, ambientale, sociale e quindi di grande paura, ostilità dove si rivaluta e si mitizza tutto, anche l’impresentabile, e si attacca tutto contemporaneamente, quindi non ci farei troppo caso. Certe esperienze restano vive fin che c’è un clima (anche politico) che lo permette e finché ci sono elementi catalizzatori, e poi le eredità bisogna saperle raccogliere e mettere a frutto. Gli affluenti del Gruppo 63 sono stati molteplici e disparati e si sono contaminati, prima che il verbo diventasse di moda e prima di disperdersi; ad esempio la poesia visiva fiorita in quel periodo con Porta ha incontrato anni dopo, con l’orchestrazione di un immenso art director come Gianni Sassi, la ceramica di Franco Bucci, è stata parte del fluxus che, consapevolmente o meno, è scaturito in quegli anni e ha cambiato il modo di comunicare.
- Ti sei occupata di personaggi femminili fantastici e reali in letteratura.
Puoi fare qualche esempio di chi sono queste ragazze che definisci “devianti” e perché lo sono?
- Cappuccetto Rosso, che trasgredisce per il gusto di trasgredire, Goliarda Sapienza, che da bambina imitava la camminata di Jean Gabin e da grande ha rubato ai ricchi per sperimentare (e raccontare meravigliosamente) l’università di Rebibbia, Dorothy Gale a cui è bastato un solo capitolo della saga di Baum per capire che il regno di Oz anche se visto attraverso le lenti verdi è molto meglio del Kansas.
- Ti propongo un gioco. Immagina di dover trovare il nome – da cercare tra termini filosofici – per creare una password che permetta l’accesso al mondo del nostro tempo che Derrick de Kerchove ha definito delle “psicotecnologie”…
- Penso che per accedere al nostro tempo psicotecnologico e riuscire a sopravvivergli bisogna chiedere aiuto oltre che ai filosofi del linguaggio, agli scienziati e ai neuroscienzati.
“I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia”. Così dice il grande Vilayanur S. Ramachandran che vorrei tanto, non dico che diventasse mio amico, ma almeno mio intervistato.
La mia password è dunque: mirror neuron.
Oltre gli specchi ci sono sempre cose interessanti, figurati se c’è di mezzo anche il cervello.
- In apertura di questa nostra conversazione dicevo del tuo diffuso interesse per i nuovi linguaggi. Diceva John Cage: “Non capisco perché la gente è spaventata dalle idee nuove. A me spaventano quelle vecchie”. Eppure ancora oggi in tanti arretrano di fronte al nuovo; da dove viene quel panico?
- C’è Antonio Pascale che parla di una “patologia” diffusa ultimamente, la sindrome da retrospettiva rosea, ecco secondo me ha ragione.
Si ha paura del nuovo perché prima non c’era, e si guarda al passato come al territorio perduto della felicità, della creatività, insomma di quanto c’è di meglio.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Oh, è mi è molto simpatico Star Trek. Da bambina con mio padre, appassionato di fantascienza, non perdevo una puntata e nonostante la panzetta evidenziata dalla tutina arancione penso di aver avuto una piccola cotta per il Capitano James Tiberius Kirk…
- Siamo quasi arrivati a Veroli-S, pianeta abitato da alieni che sono governati da un re che si chiama Alias e da una regina che ha per nome Aka… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Franciacorta Brut 25 prodotta dai Fratelli Berlucchi e consigliata dai fratelli Arcioni… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Grazie del passaggio Armando, speriamo che quei sovrani siano illuminati.
- Ed io, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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