L’ospite accanto a me è Derrick de Kerckhove. Sociologo. Belga naturalizzato canadese.
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Primo fra gli studiosi di comunicazione ad aprire alle neuroscienze e all’analisi dei media digitali, de Kerckhove è ormai da molti anni uno dei pensatori più noti al mondo, accreditato tra i protagonisti assoluti della ricerca sulle nuove tecnologie.
L’occasione di quest’incontro è data dall’uscita del libro “Psicologie connettive” (Egea, 90 pagine, 6.90 euro) che contiene un suo maiuscolo intervento nel programma di incontri internazionali sulla cultura digitale diretto da Maria Grazia Mattei che firma un’acuta prefazione al volume andando “alle radici del nuovo” così come intitola il suo scritto.
- Benvenuto a bordo, Derrick…
- Bentrovato Armando
- La chef Cristina Bowerman della Hostaria Glass di Roma ci ha consigliato di bere durante la nostra conversazione nello Spazio questo Trebbiano d'Abruzzo di Valentini… cin cin!
Ascoltami, il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Derrick secondo Derrick…
- Derrick si diverte, pratica Gai Savoir senza prendere tutto da Federico Nietzsche, né tutto troppo sul serio. È affascinato dal presente, è colpito dal dolore esistente, però preferisce cercare le soluzioni piuttosto che lamentarsi della situazione.
Pratica regolarmente la meditazione. Serve a rimettere corpo e mente d’accordo.
- E dopo quest’autoritratto, gradirei che tu, in sintesi, tratteggiassi la figura del tuo maestro Marshall McLuhan…
- Pure lui si divertiva, diceva che tutto il suo lavoro era satirico. Adorava le barzellette, ne faceva collezione. Era divertente. Al modo del suo maestro, James Joyce, capovolgeva le nozioni comuni con un solo aforisma rovesciando le banalità correnti in epifanie, tipo “non l’avrei visto se non l’avessi creduto” o “Più pensi su di te meno tu esisti”. La sua leggerezza mi ha molto ispirato. Benché in un continuo stato di allerta, tutto osservando, sempre vigile, comunicava una serenità permanente, È quest’aura forse che mi ha attirato a lui.
- Veniamo a “Psicologie connettive”.
Affermi che talvolta ti accusano di “determinismo tecnologico”. Che cosa rispondi?
- Non lo nego. Ho passato oltre vent’anni a scoprire sempre di più a che punto la scrittura alfabetica e la sua estensione con la stampa continuava a determinare il modo di pensare dell’Occidentale. L’accusa di determinismo non risolve nulla. Il problema del determinismo tecnologico è che si rivela veramente tale quando si tratta di tecnologie applicate al linguaggio. Ho studiato con passione i caratteri della metamorfosi della mente greca dopo l’adozione del loro alfabeto e le conseguenze che ne sono derivate. Adesso siamo nell’era del linguaggio elettrificato. Non possiamo ignorare cambiamenti tanto importanti se non addirittura più profondi di quelli del Rinascimento. Però il determinismo non è del tutto comprensivo. Mi limito a dire che la digitalizzazione del linguaggio e la virtualizzazione delle nostre vite rovesciano ed esternalizzano le nostre strategie cognitive, e i contenuti della nostra intimità. Penso, come McLuhan, che niente si può ignorare dal momento che la gente ne è cosciente. Vedo anzi, o almeno credo di vedere, possibilità di sviluppi ulteriori. Inoltre sono conscio del rovesciamento di tutti i determinismi dopo la presa di potere della cultura sulla natura con la conquista, dalla forza anche simbolica, del codice genetico umano. Se poi la natura è in pericolo, ciò dipende dalla nostra responsabilità e non da qualche tipo di determinismo.
- Hai definito la nostra epoca come l'era delle psicotecnologie.
Puoi spiegare quella definizione?
- Tutte le tecnologie hanno un impatto particolare sulla nostra mente, pure la forchetta. Però quelle che hanno a che fare con il linguaggio hanno un impatto psicologico più invasivo. Nelle culture orali la psico-tecnologia principale è la voce. Tutto il linguaggio è sostenuto dal corpo ma è sempre fuori del corpo. Per il lettore, la voce si tace. Il linguaggio penetra in silenzio nella mente. Il lettore si crea una zona mentale, silenziosa e privata. Crescono insieme la necessità dell’individualismo e la condivisione del potere pubblico. Questi sono effetti psicologici determinati dalla pratica di una tecnologia specifica, quella della lettura. L’occhio del lettore domina assolutamente la pagina di carta. Il lettore prende possesso del linguaggio. Adesso questa relazione tra le persone e la conoscenza fissata su carta sta cambiando rapidamente con gli schermi del nostro quotidiano. La nostra epoca vede una moltiplicazione di psicotecnologie, tipo tablet, phablets, e tanti altri gadget potenti che modificano simultaneamente il linguaggio e la nostra mente. La fonte di tutte queste innovazioni è il matrimonio del linguaggio con l’elettricità. Il massimo della complessità si sposa con il massimo della velocità. Esistono già sistemi di connessione diretta tra pensiero e rete. Questi sono palesemente psicotecnologie e il loro impatto è tutto da studiare.
- Il fascismo elettronico è un pericolo reale oppure no?
- È tristemente reale. Sta crescendo nel presente, ma grazie, ad esempio, al coraggio di Edward Snowden, è stato portato alla luce, cosa che fa sperare nella possibilità di un accordo duraturo e affidabile di responsabilità mutuate fra i cittadini e le istituzioni. E di nuovo, come succede spesso con gli ostacoli che si presentano a Internet, è nello stesso Internet che si trova la soluzione. Apple ha appena trovato e incluso in un suo nuovo software, un modo di eliminare completamente non solo tutti i modi di tracciabilità sulla rete, ma anche quelli da parte della medesima Apple.
Per concludere: la tentazione fascista è certamente presente, ma incontra un tipo di resistenza nuovo da parte dei social media. Si pensi al ruolo di Twitter nello stimolare e sostenere le proteste popolari.
- Nel chiudere “Psicologie connettive”, tra le parole della nostra era, poni la tua intuizione del “punto di essere”. In che cosa consiste?
- L’idea del “punto di essere” mi è venuta per differenziarlo dal punto di vista, volevo fare capire e vivere lo spostamento del nostro sentimento di presenza al mondo dalla visione alla propriocezione. In generale, ci troviamo dietro ai nostri occhi. Il mio io si trova completamente alla fonte della mia visione. Però nel mondo multisensoriale nel quale viviamo, è richiesto un modo diverso di riferirsi alla relazione tra il nostro corpo, il nostro essere e il mondo esterno. Ma è veramente esterno? Non c’è forse qualche sottile continuità tra il battito del mio cuore e la realtà ambientale? Detto questo, il “punto di essere” non è veramente un punto; è piuttosto un’esperienza propriocettiva, tattile, diffusa, della mia presenza nel mondo. È un’esperienza che facciamo mille volte al giorno. Solo che adesso il nostro sguardo è fissato per più ore su qualche schermo più che sulla realtà che ci circonda. La nostra permanenza nel virtuale sta rubando i nostri corpi. Il “punto di essere” potrebbe forse presentare il metodo più semplice per riprendere possesso del nostro essere attraverso tutto il corpo e non solo attraverso la vista. Il nostro terzo spazio abitabile, il cyberspazio, sta contendendo con gli altri due - lo spazio fisico e lo spazio mentale - le nostre ore di attenzione. Tutti e tre sono interdipendenti ma chiaramente distinti. La domanda è come fare a gestire questi tre spazi in una fruttuosa collaborazione? La virtualizzazione minaccia l’equilibro fra i tre spazi. Il “punto di essere” richiede l’inclusione del corpo nei modi di capire. E, in particolare, il “punto di essere” procede da una dimensione tattile del mondo. Nel momento in cui le nostre capacità mentali emigrano sulla rete, il “punto di essere” serve a ricordare che il tuo corpo è l’unico posto dove sei veramente.
- Arte Globale. Uno dei perni sui quali va articolandosi il tuo pensiero. Una definizione…
- L’Arte Globale è un’arte che in qualche modo riflette la dimensione globale del nostro spazio comune. L’opera d’arte globale pone lo spettatore, o utente, nella dimensione spaziale che lo circonda: casa, città o pianeta. Dal momento che abbiamo visto il nostro pianeta ripreso dal satellite in tempo reale, la nostra dimensione è divenuta globale. La dimensione geografica della Terra accresce il nostro spazio mentale. Come pensare e vivere la Terra è la fonte dell’arte globale. Purtroppo la maggior parte degli artisti non se ne rende conto. O non se ne preoccupa. Non importa, l’idea è giusta e crescerà.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- A dire il vero di Star Trek, me ne occupo poco. M’interessa piuttosto immaginare varie disavventure di Pinocchio nell’epoca attuale. Pinocchio, mito globale, come la vittoria dell’umano sulla macchina. Quel burattino torna nella valle del Po, dove è stato meccanizzato dalla catena di montaggio, al suo villaggio toscano, ancora agrario. Non si ritrova più nei ritmi della natura. Pure i suoi genitori non lo riconoscono. Per tornare umano deve superare varie prove fino all’ultima passando attraverso il ventre della balena. Pinocchio 2.0 profilato da “Blade Runner” ad “Avatar”, e tanti altri film: “Atto di Forza”, “Essere John Malkovich”, “The Matrix”, “AI”, eccetera. La domanda è se proprio Avatar sia il nostro destino, Infatti è probabile che più non saremo umani nel Post-umanesimo…
- Siamo quasi arrivati a de Kerckhove-D, pianeta abitato da alieni che praticano solo Arte Globale… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Trebbiano d'Abruzzo di Valentini consigliata da Cristina Bowerman chef dell’Hostaria Glass” di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Puoi contarci
- Ti ringrazio, e ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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