L’ospite accanto a me è Tatiana Bazzichelli. Sociologa. Laureata nel 1999, con una tesi sull'arte digitale interattiva italiana presso l'Università La Sapienza di Roma, è esperta di new media art, hacktivism e culture del networking.
Dal 2003, vive e lavora in Germania, a Berlino.
Dalla fine degli anni Novanta ha curato rassegne, eventi e convegni, fra cui Hacker Art Lab (Perugia, 2000) AHA (Roma, 2002), MediaDemocracy and Telestreet (Monaco, 2004), Hack.it.art e Arte in rete in Italia (Berlino, 2005).
Fondatrice del progetto di networking AHA:Activism-Hacking-Artivism (2001), gestisce la mailing-list omonima sull'attivismo artistico.
Scrive come giornalista free lance su arte, media e nuove tendenze creative per "XL" de la Repubblica, "AD-Architectural Digest", "Next Exit", "Digimag", "Tk-Off".
Suoi articoli e recensioni sono stati pubblicati anche su "Flash Art", "Neural", "Avatar", "Noemalab", "Cluster", "Cut-up".
Per la casa editrice Costa & Nolan, ha scritto un saggio nel volume Neo televisione, Elementi di un linguaggio catodico glocal/e.
L’occasione per quest’incontro è data da un libro uscito – data terrestre: novembre 2006 – ancora per Costa&Nolan : “Networking. La rete come arte”.
Il testo s’avvale della prefazione di Derrick de Kerckhove, allievo di McLuhan ed erede dei suoi studi, oggi uno dei più acclamati guru della nuova comunicazione sul pianeta Terra.
“ Networking. La rete come arte” è un volume prezioso perché è la prima ricostruzione della storia del networking artistico in Italia, al tempo stesso realizzando una ricognizione su fonti, modalità, approdi dell’estetica interattiva dei nostri giorni.
Un'analisi sull'uso creativo e condiviso delle tecnologie, dal video al computer, una riflessione storico-critica sul ruolo dell'artista che si fa networker, operatore di reti collettive, ricollegandosi alle pratiche artistiche delle neoavanguardie degli anni ‘60 (prima fra tutte Fluxus), ma anche alla Mail Art, al Neoismo e alle creazioni multiname Luther Blissett.
Il libro dispone di un suo sito web: http://www.networkingart.eu
Ancora una cosa, in questa presentazione e forse nelle chiacchiere che seguiranno, ricorre una parola circondata da un’aria malfamata: “hacker”. A beneficio di eventuali alieni di passaggio poco pratici della terminologia informatica, è utile precisare che tale nomea è dovuto a un venticello calunnioso soffiato da frettolosi giornalisti che maldestramente hanno spesso associato l’hacker ai criminali informatici, la cui definizione più appropriata è cracker. Non a caso, Peter Sarnak, ideatore del ‘The Mathematics Genealogy Project’, ha detto: «Se Gauss fosse vivo oggi, sarebbe un hacker»
- Benvenuta a bordo, Tatiana…
- Ciao Armando... grazie per avermi invitato nella tua Interzona, sono molto felice di condividere con te e questo incredibile equipaggio i miei percorsi psicogeografici
- D – Bene. Sabrina Iasillo, scintillante sommellier dell’EnotecaBistrot UveeFormemi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo AR.PE.PE. http://www.arpepe.com Valtellina Superiore Riserva Sassella “Vigna Regina”, 1995, provincia di Sondrio, inviandomi in spacefax un messaggio che dice… leggo le sue parole: “Solo Nebbiolo o meglio Chiavennasca. In questo dibattito silenzioso tra il vecchio e il nuovo capita d’incontrare qualcosa, come il vino della famiglia Pellizzati Perego, che naviga sereno, che ricorda se stesso, che rincuora gli esploratori, che brilla e vive e vive e vive..”. Fin qui Sabrina Iasillo … qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Tatiana secondo Tatiana…
- Credo che il Capitano Picard sia un ottimo cyber-pilota, ma sicuramente le mie parole l’orienteranno meglio nello scegliere le vie psichiche giuste… comunque come sappiamo ogni pensiero è relativo e anche le vie da percorrere, per cui, aiutata da questo buon vino, sono ben felice di raccontarvi “chi è Tatiana”.
Pur non amando le definizioni perché in qualche modo tendono a delimitare il pensiero, di solito mi piace usare la parola art networker per connotare il mio lavoro. Art networker è chi investe la sua energia psichica nel creare reti, percorsi di condivisione sia digitale che “fisica” in cui le persone abbiano la possibilità di esprimersi liberamente, di entrare in contatto e creare qualcosa di nuovo, sia artisticamente che socialmente. Tatiana come arte networker è anche una persona che crede nella possibilità di inventare nuove modalità di agire, di valorizzare tanti piccoli buchi neri della creatività e dell’azione, che una volta percorsi possano diventare la via per aprire un nuovo “universo”, prima inesplorato.
- Prima di addentrarci nella nostra conversazione, dammi una tua definizione della differenza tra informazione e comunicazione nell’epoca della tripla w…
- La differenza fra questi due concetti sta proprio nel concetto di partecipazione. Nel mio immaginario vedo il concetto di informazione come trasmissione di dati da un nodo a un altro, seguendo una forza lineare. La comunicazione presuppone invece un rapporto di feedback fra utente e destinatario. In questo senso, il passaggio delle informazioni investe un piano più reticolare e comporta uno scambio. A mio parere, le dinamiche di networking sono più vicine all’ìdea di comunicazione piuttosto che a quella di informazione. Anche se, ovviamente, i due piani non sono incommensurabili e spesso si fondono (soprattutto nell’epoca della tripla w)…
- Qual è stata la principale finalità che ti ha spinto a scrivere “Networking. La rete come arte”?
Quale cosa ti stava particolarmente a cuore affermare e quali equivoci dissipare?
- Il libro “Networking. La rete come Arte” non tratta solo di arte, ma anche di tecnologia, hacktivism, movimenti creativi, relazioni individuali e collettive. È la conseguenza di un lungo percorso iniziato circa dieci anni fa, quando, studiando Sociologia della Comunicazione, sono stata attratta da un “buco nero” molto promettente, un vero e proprio universo parallelo, formato da persone capaci di lavorare con la propria fantasia e di inventare sempre nuovi mondi, virtuali e reali. Al che, ho deciso anche io di creare il mio universo di rete, sperando di poter dare ospitalità a tante persone, allo stesso modo in cui era stato fatto in passato con me. Così, dopo aver fondato il progetto di networking artistico: Activism-Hacking-Artivism, specializzato sull’hacktivism e la net art in Italia, ho pensato che fosse arrivato finalmente il momento di raccontare il viaggio psichico percorso, attraverso l’operato di tante persone che hanno amato e tuttora amano il concetto di fare rete e lo scambio di idee e informazioni. Questi percorsi non sono mai stati raccontati finora in Italia seguendo un percorso lineare e coprendo un arco di tempo che va dagli anni Sessanta fino ad oggi. Il libro tratta dell’Italia perché mi premeva mettere in luce quelle attività realizzate nel nostro paese che non sono state ancora adeguatamente riconosciute, immaginandomi un target non solo di specialisti, ma anche di semplici curiosi. Per questo, il linguaggio usato nel libro è relativamente semplice e immediato, per attrarre anche coloro non facenti parte del “circuito”.
- Nel luglio 2000, profilavi in un tuo scritto su “ La Critica” un possibile progetto di Network-Museum, e lì s’annunciava quanto poi avresti successivamente approfondito. Allora scrivevi che l'opera d'arte digitale si caratterizza come evento <fluttuante, impermanente, collettivo>.
Ti chiedo d’illustrare in breve quei tre termini da te usati perché, mi pare, recitano un significativo ruolo in questo tuo più recente lavoro…
- Parlando di networking, non ci si riferisce naturalmente a opere d’arte oggettuali, bensì a reti di relazione amplificate attraverso la tecnologia, ma che possono vivere anche senza di essa (basta pensare alla mail art, per fare un esempio). Ciò che nel libro si descrive, e ciò che le mie attività di networker hanno sempre presupposto, è il fatto che l’arte di fare network supera il concetto di oggetto fisso da osservare a distanza e collezionare, facendosi un processo sempre in corso e investendo una molteplicità di individui di volta in volta sempre diversi. Per questo, il networking assume le proprietà di un evento fluttuante, che assume forma “liquida” in base ai diversi contesti in cui viene messo in atto, scorrendo senza limitazioni fra progetti, persone e luoghi, e originando piattaforme in cui le persone possono scambiare idee, opere e visioni della propria quotidianità, senza censure. Per questo il networking è anche impermanente, perché vive negli interstizi del sociale e culturale propagandosi fra tutti coloro che sanno guardare dove nessuno guarda, muovendosi in un universo sotterraneo libero ed espanso, multiforme e in progress. Collettivo, perché ovviamente il networking è fatto da gruppi che danno vita a nuove modalità di rapportarsi con l’arte, la tecnologia, la politica, la vita in generale. Il Network Museum era un’idea utopica nel 2000, ma oggi credo che attraverso l’uso sempre più partecipato della rete non sia più un miraggio… Basta pensare a progetti come Wikipedia, che considero un museo virtuale aperto della coscienza umana.
- Nel volume, avvicini le pratiche artistiche della Net Art alle neoavanguardie degli anni ‘60, come, ad esempio, alle esperienze Fluxus. Che cos’è che le rende confinanti?
- Come descritto nell’Introduzione del libro, Il termine "arte" può aiutare a connotare criticamente una serie di attività che vedono il fulcro nella costruzione di connessioni, network comunitari e reti di relazione fra soggetti eterogenei. Il libro ripercorre la storia in Italia delle persone che hanno trasformato la concezione di arte come oggetto in un'arte come reti di relazione, possibilità di intervenire personalmente e collettivamente nella creazione di un prodotto artistico. Riferimento diretto sono quindi le Neoavanguardie degli anni Sessanta (Fluxus per prima), che hanno spostato l'attenzione dall'oggetto artistico alla vita quotidiana, contribuendo a scalfire la nozione di "originalità". Ma è soprattutto in contesti al di fuori del circuito delle gallerie e dei musei che si concretizza realmente la possibilità di sperimentare l'arte come inter-azione collettiva, spostando il dibattito dal luogo artistico alla realtà sociale quotidiana. Questo avviene dagli anni Settanta fra i graffitisti e nel movimento punk, fino ad arrivare ai circuiti delle reti telematiche antagoniste e al movimento hacker attuale. E alla net art, ovviamente, quando intesa come evento in progress e occasione di partecipazione.
- E in che cosa, invece, principalmente si differenziano?
- Negli happening di Fluxus, per esempio, lo spettatore veniva invitato a eliminare la distanza fra se stesso e il prodotto artistico, ma la dicotomia artista-spettatore in parte rimaneva. Fluxus era ancora completamente parte del circuito museale e artistico, pur se i suoi fautori agivano per criticizzarlo. Nel punk, movimento che in Italia ha costituito la base per molte pratiche di attivismo artistico e tecnologico successive, tale volontà critica si è manifestata nella volontà di scalfire l'opposizione fra dilettante e professionista, dimostrando che è possibile auto-produrre la propria arte (musica, riviste, materiale informativo, eccetera) al di fuori dei circuiti di mercato. Come nota la videoartista Simonetta Fadda, che ha scritto la postfazione del libro Networking e ha curato l’editing della pubblicazione, “ l'intento era rivoluzionario, ma è stato prontamente recuperato dal sistema, poiché era l'arte a scendere nella vita e non la vita che si trasformava in arte”, cosa che invece è avvenuta con fenomeni come la mail art e le successive sperimentazioni artistiche con il computer e la tecnologia.
- Ho già detto in apertura che il tuo libro è la prima ricostruzione della storia del networking artistico in Italia.
Nessuno meglio di te, quindi, può riferire se esiste - oppure no - una caratteristica, una sorta di elettronico genius loci, che distingue il networker italiano nello scenario internazionale…
- Ovviamente può sembrare una forzatura creare delle classificazioni territoriali in un libro che parla di rete e della Rete, e che considera quindi come primario un territorio “espanso”. Però, da quando vivo a Berlino mi sono accorta che in realtà in Italia le pratiche di networking hanno generato una scena con una forte identità e con un proprio sentire artistico, tecnologico e politico, una rete di progetti che non ha uguali in nessun altro paese. Basta pensare alla concezione data da noi ai termini come hacktivism e cyberpunk, strettamente connessa alla storia della telematica alternativa e agli ambienti di movimento, cosa che nella maggior parte dei paesi esteri non è avvenuta. In qualche modo, il nostro paese costituisce un laboratorio di sperimentazione underground che può diventare un modello per molti altri, pur se spesso risente di un gap linguistico per cui le nostre opere vengono difficilmente diffuse, e conosciute, all’estero. In ogni caso, basta pensare ad artisti e attivisti come 0100101110101101.ORG , [epidemiC], Jaromil, Giacomo Verde, Giovanotti Mondani Meccanici, Correnti Magnetiche, Tommaso Tozzi, Federico Bucalossi, Massimo Contrasto, Mariano Equizzi, Pigreca, Molleindustria, Guerriglia Marketing, Candida TV, Serpica Naro, Sexyshock, Phag Off, per capire come la rete di sperimentazione artistica e tecnologica in Italia sia variegata e viva sin dagli anni Ottanta. Per non parlare dell’intensa e decennale attività di networking di Vittore Baroni e Piermario Ciani che ha segnato la storia della mail art italiana.
- Pensando al “flash mob” che usa la Rete solo come avvìo della performance (in modo simile la usò già l’artista londinese Heath Bunting con King Cross Phone In ), ti chiedo: vedi il futuro della net art anche fuori della Rete?
- Naturalmente! La mia idea del networking è sempre stata indipendente dal mezzo di comunicazione e questo emerge fortemente dalla lettura del libro. Considero molto importante tracciare un percorso che investa pratiche di vita, relazioni umane, modalità di interazione che non debbano necessariamente essere confinate dentro l’uso di uno o di un altro medium. Per questo, il libro connette la net art e l’hacktivism con il neoismo, la mail art, Luther Blissett, il punk e l’hacker art, seguendo un percorso trasversale fatto di reti e non solo di Rete. Del resto anche lo stesso Vuk Cosic, ha affermato che un’opera di net art è anche partecipare in un festival di net art. E su questo, sono totalmente d’accordo.
- Accanto all’uso più sofisticato del mezzo informatico, si nota anche la diffusione di un’estetica low-tech; ad esempio, lavori di Lew Baldwin, Cory Arcangel.
A che cosa è dovuta, che cosa si propone quest’articolazione di una tecnologia semplice nell’arte digitale?
- Forse al fatto che gli artisti sono sempre senza soldi?
A parte gli scherzi, anche in questo caso, non penso che l’uso di “materiali poveri” sia strettamente connesso all’uso della tecnologia. Anzi, molto spesso si tende proprio a usare materiali sofisticati quando si lavora nel campo del digitale. L’uso di una tecnologia semplice è una scelta precisa di intervento, una presa di posizione estetica che connota il lavoro di artisti che decidono di trasmettere certi contenuti e non altri. E che magari sono più interessati a creare dei processi, sia fisici che mentali, piuttosto che immergere il pubblico in universi high tech. Gli artisti di cui tratta il mio libro, seguono una modalità espressiva che crea un filo diretto con l’estetica punk o che comunque percepisce come vicino l’universo underground. Molti lavori poi sono autoprodotti, e quindi realizzati con pochi mezzi e risorse limitate. Molto spesso, infatti, la tecnologia povera è anche una necessità.
- Del termine “Hacktivism”, indichi un uso in Italia dal connotato prevalentemente politico.
Perché questo è accaduto da noi? E fuori dei nostri confini quali altri sensi ha quel termine?
- Nella storia del networking italiano, la componente sociale acquista un'importanza centrale: ecco perché spesso in Italia molte esperienze a cavallo fra anni Ottanta e Novanta sono definite come hacking sociale, in cui la sperimentazione sulla tecnologia e sul codice di programmazione si lega all'idea di condivisione delle risorse e della conoscenza. Dalla creazione delle BBS, fino agli Hackmeeting, alle Telestreet e alle altre pratiche di networking e di net art attuali, l’uso della tecnologia ha assunto un carattere fortemente collettivo, sottolineando l’importanza della condivisione dei saperi e della consapevolezza nell’uso dei media. Questa attitudine all’autogestione si lega strettamente all’evoluzione degli ambienti di movimento italiani, anche per questo motivo tali dinamiche si diffondono soprattutto nell’ambito dei Centri Sociali Occupati. Nei paesi esteri inseriti nella cosiddetta “net culture”, a mio avviso non esiste un’analoga rete di progetti sui media, l’arte e l’attivismo, che formi un network in cui artisti, attivisti e teorici condividono un immaginario comune come in Italia.
- Credi che oggi siano le relazioni sociali a guidare le tecnologie o viceversa?
- Penso che il rapporto di scambio e influenza sia reciproco. Senza il formarsi di determinate pratiche sociali non sarebbe mai stato possibile creare la rete Internet come la conosciamo adesso, ma senza lo sviluppo della tecnologia non sarebbe mai stato possibile dare vita a determinati fenomeni sociali nella forma attuale.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Beh, se ben mi ricordo in Star Trek convivevano perfettamente persone di paesi, colori e idee diverse. Mi ricordo che l’equipaggio era formato da persone bianche e nere. Insomma, nel mio immaginario è una forma di apertura verso mondi esplorabili, e scoprire la diversità praticando nuove modalità di azione ed espressione è un obiettivo primario del mio lavoro .
- Siamo quasi arrivati a Bazzichèllya, webpianeta abitato da alieni networkers che comunicano solo attraverso misteriose icone… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Vigna Regina” consigliata da Sabrina Iasillo dell’EnotecaBistrot UveeForme… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Naturalmente, tanto ormai conosco la strada che porta al Capitano Picard!... Anche se sono sicura che in tempo breve le icone si trasformeranno e nasceranno nuovi pianeti mentali. Per cui, vi invito ad esplorarli!
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuta.
Vi preghiamo di non richiedere alla redazione recapiti telefonici, mail o postali dei nostri ospiti che non dispongano di un sito web; non possiamo trasmetterli in ottemperanza alla vigente legge sulla privacy. |
|